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www.ildialogo.org "Gaza still living!",di Don Nandino Capovilla

Natale nella Striscia
"Gaza still living!"

di Don Nandino Capovilla

La piccola delegazione del Patriarca di Gerusalemme ha avuto solo il 20 dicembre la conferma della possibilità di entrare nella Striscia maledetta (che è però anche Terra santa!) e le auto diplomatiche hanno percorso i primi chilometri tra distruzione di edifici e campi ancora "arati" dai cingolati dei tank che hanno distrutto le coltivazioni e le piante.

Arriviamo nell'enorme Gaza City, che ci dicono conti quasi un milione di abitanti, ma fatichiamo ad immaginarceli tutti vivi in questo deserto di rovine.

"Un anno dopo il massacro nulla è cambiato, tutto sembra più pesante: la fame e il bisogno vitale di tutto sono più forti, l'assedio alla Striscia è più duro, e noi siamo stanchi!". Le parole pesanti come macigni che il patriarca latino di Gerusalemme affida a Pax Christi solo apparentemente contrastano con la grande festa di Natale. Perché se attorno a noi è deserto, come un'oasi si spalanca davanti a noi improvvisamente la parrocchia della Sacra Famiglia, la chiesa bianca piena di addobbi, luci e fiori avvolta da quelle che da noi chiamiamo le "opere parrocchiali", ma che qui sono baluardi di sopravvivenza e spazi inimmaginabili di resistenza. Fuori il disastro e dentro la festa, qui la gioia dei canti e lì la frustrazione di una città di rovine. Attorno a noi il calore di un Natale di fede e oltre il cancello la fredda passerella delle ferite più assurde, sui corpi della gente come negli edifici.

In una porzione di mondo che non solo è quella a più alta densità di abitanti, ma che ha anche subito le più pesanti vessazioni, anni di embargo e bombardamenti devastanti, il 20 dicembre si fa Natale, mentre in 100 città italiane tanta gente si raccoglie per pregare e conoscere la vera tragedia di questa terra. L'iniziativa "Christmas in Gaza", infatti, è stata un ponte straordinario di comunione con i cristiani che - in quanto palestinesi e non in quanto cristiani! - soffrono enormemente per le conseguenze dell'aggressione dell'esercito israeliano, prima con anni di embargo e poi con un massacro dalle proporzioni inimmaginabili. L'idea è stata del vecchio parroco della Striscia, abuna Manuel Musallam che, in una struggente invocazione, ha affermato: "Signore nostro Dio, a Natale, un anno fa, un disastro si è abbattuto su di noi come una tempesta. Sotto i bombardamenti eravamo affamati e assetati. I nostri bambini piangevano. Non trovavamo pane per loro né acqua per placare la loro sete. Le finestre e le porte delle nostre case sono state distrutte dalle detonazioni delle bombe e noi deperivamo nel freddo di dicembre e nell'inverno che avanzava. I nostri corpi raggelati dalla paura, dalla sete e dalla fame, non potevano consolare i piccoli che si rannicchiavano su di noi".

È trascorso esattamente un anno da quei terribili giorni, da quando l'esercito israeliano, prima dal cielo e poi da terra, ha portato lutti, dolore, sangue e distruzione tra la popolazione, con un assedio durato 22 giorni, nel periodo dell'anno che per noi cristiani è momento di incontro, di speranza, di gioia profonda, e che per i musulmani della Striscia è sempre stata occasione di condivisione e partecipazione alla festa dei loro vicini. Hanno definito "operazione" un massacro che non si poteva certo definire come una guerra tra due eserciti. E poi ancora: "Piombo fuso". Il nome fa venire i brividi perché perfettamente "indovinato" nel suo potenziale distruttivo: 1.400 morti, 400 bambini, 5mila feriti.

A me si è presentata eccezionalmente la possibilità di entrare con le mie gambe e vedere con i miei occhi (allucinati) quello che i numeri non dicono. Il massacro di Gaza è stato il fallimento del diritto umanitario e della legalità internazionale, ancora una volta incapace di fermare un "ripetuto crimine di guerra" come l'ha definito Goldstone nel suo Rapporto per l'Onu.

Tutti si sentivano esposti. Gli attacchi dello scorso anno hanno causato enormi danni strutturali e una distruzione generalizzata di vaste aree della Striscia. Circa 21mila abitazioni sono state distrutte o irreparabilmente danneggiate e il numero degli sfollati supera i 100mila.

Raggiugendo con la delegazione del Patriarca di Gerusalemme la piccola chiesa della parrocchia della Sacra Famiglia, nel cuore di Gaza City, ho visto solo la distruzione di ogni tipo di edificio. L'Onu ha elencato con precisione i danni alle infrastrutture civili e non "terroristiche", come ci voleva vendere il più noto corrispondente da Gerusalemme Claudio Pagliara. Ho visto scuole bombardate e moschee danneggiate. L'attacco sistematico dei luoghi di culto ha privato la popolazione civile della possibilità di trovare rifugio e conforto nei suoi santuari di pace, alterando considerevolmente il tessuto sociale e forzando la popolazione a pregare nelle strade e nelle piazze. È stato ancora il vecchio parroco abuna Manuel a raccontarmi questo "pregare e resistere allo stesso tempo", notte e giorno.

Allora è fortissimo il contrasto tra la grande festa di Natale a cui partecipiamo e la devastazione di una città e di una terra violentate e ferite. Appena fuori del cancello della parrocchia, basta guardare i volti e i corpi della gente per rammentare i numeri e la realtà delle migliaia di feriti causate da "Piombo fuso" un anno fa. La tipologia delle ferite, molte delle quali apparentemente causate da armi anti-persona, include un'alta percentuale di mutilazioni e amputazioni, che hanno provocato disabilità permanenti in centinaia di persone. Questa nuova generazione di disabili costituisce un'ulteriore sfida per il sistema sanitario, sociale ed economico di Gaza, nonché un "memoriale" permanente della brutalità degli attacchi nella mente degli abitanti di Gaza per generazioni. "Ma il numero dei feriti - mi dice sillabando lentamente queste pesantissime parole suor Nabila - supera i 5mila, monitorati da ospedali e centri sanitari. Mi basta vedere i miei piccoli della scuola: il 65% è letteralmente devastato psicologicamente. E ogni giorno i genitori che vengono a scuola aggiornano la lista di parenti 'bruciati dentro' dal fosforo bianco o 'fatti a pezzi' dalle micidiali cd-bomb. Fa impressione solo parlarne, lo so, ma noi suore fatichiamo a parlare di cose belle ai bambini mentre loro hanno negli occhi solo la guerra. Non riesci a far immaginare la pace ad uno che non l'ha mai vista". Sr. Nabila, una delle coraggiosissime Suore del Rosario che hanno resistito ad anni di embargo e al massacro del Natale scorso, è uno dei mille volti che hanno cercato disperatamente di comunicarmi, anche solo per un istante, i sentimenti più contrastanti della gente di Gaza in questa festa anticipata di Natale.

Durante l'omelia, anche il Patriarca Twal ha ricordato: "Un anno dopo il massacro nulla è cambiato, tutto sembra più pesante: la fame e il bisogno vitale di tutto sono più forti, l'assedio alla Striscia è più duro, e noi siamo stanchi".

Il ragazzino che mi sta venendo davanti, con le mani tese a ciotola per ricevere l'Eucarestia, cammina male e trascina la gamba come trascinasse tutta la sua giovinezza traumatizzata, vergognosamente strappata al disegno di Dio per una esistenza piena e dignitosa. Prego pensando agli anni dell'embargo, al tempo dell'isolamento totale che ancora oggi perdura e soffoca queste famiglie, queste persone, questi bimbi pur ridenti che si affollano attorno all'altare e chiedono al Dio-con-noi di non abbandonarli, Lui che ama le sue creature tutte quante. Prego pensando che questi per noi europei sono stati e sono anni di silenzio colpevole.

Guardo gli occhi di questa gente, delle persone che abuna Manuel ha aiutato e consolato in quei giorni di morte e inaspettatamente vi trovo la speranza, l'"ottavo sacramento", dice, per i cristiani di Gaza. Gliela ha trasmessa lui, questa voglia di andare avanti, forse quando inviava loro sms con i versetti del Vangelo, mentre erano sotto le bombe e si potevano incontrare solo così, in preghiera telematica. E allora mi unisco a lui, rivolgendomi al Dio della pace, in questo Natale che per noi è ancora attesa del suo figlio: "Signore Gesù, quando sei passato a Gaza, fuggendo la minaccia di Erode, noi ti abbiamo protetto. Ti abbiamo nutrito. Abbiamo riscaldato il tuo corpo indebolito. Ti supplichiamo: ritorna ancora a Gaza! Non dimenticare il tuo popolo di più di tremila cristiani e un milione e mezzo di musulmani. Signore della Pace, dona la pace alla nostra terra. Siamo assetati di giustizia: vieni Signore Gesù".

"Gaza still living!", ripete dentro di me la voce di abuna Manuel.

Sì, questa gente nonostante tutto vuole vivere e sorride. Per me, che lascio la Striscia come se uscissi di prigione, è motivo per schierarmi dalla parte degli ultimi, senza le esitazioni di chi vorrebbe annacquare l'oppressione con "le colpe degli uni e degli altri", svuotando quella parola "pace" che si sposa solo e sempre con la giustizia.

Le auto blu sono ormai al valico di Erez. Le tre suore del Rosario ci salutano trattenendo le lacrime. Colpi di mortaio fanno da sottofondo alla delegazione del patriarca di Gerusalemme, che dal finestrino alza gli occhi al cielo e benedice lentamente un milione di figli di Dio che rimarranno sigillati come animali nella prigione più grande del mondo.

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* Parroco dell'isola di Murano (Ve), coordinatore nazionale di Pax Christi, referente della campagna "Ponti e non Muri" di Pax Christi International

da Adista Segni Nuovi n.4 del 16 Gennaio 2010

Articolo tratto da
ADISTA
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Marted́ 12 Gennaio,2010 Ore: 10:42
 
 
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