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www.ildialogo.org UN LIBRO SUL PERICOLOSO MESTIERE DEL GIORNALISTA  ,di Francesca Saglimbeni

UN LIBRO SUL PERICOLOSO MESTIERE DEL GIORNALISTA  

di Francesca Saglimbeni

L’ editrice bolognese Il Mulino ha recentemente diffuso una raffina scrittura di circa 180 pagine, dal titolo Le regole dei giornalisti/Istruzioni per un mestiere pericoloso, firmato da Caterina Malavenda, Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani: avvocati esperti di diritto dell’informazione e della comunicazione, i primi, docente di Diritto costituzionale e Diritto dell’informazione e della comunicazione all’Università di Milano-Bicocca, il terzo.

L’opera contiene, in appendice, una ventina di pagine dal titolo “Postfazione/Vita da querelato”, a firma di Francesco Merlo, famoso giornalista del quotidiano “la Repubblica”, che qui rende una testimonianza diretta della complessità e delle insidie di questo mestiere.

Una nota, in apertura d’opera, indica che “il paragrafo 5.4 e il capitolo 7 sono di Caterina Malavenda; i capitoli 3, 4, i paragrafi 5.1, 5.2 e il capitolo 6, di Carlo Melzi d’Eril; i capitoli 1,2 e il paragrafo 5.3, di Giulio Enea Vigevani”.

Il mestiere di giornalista, ultimamente, con il proliferare dei media televisivi e cartacei, ha affascinato moltissime persone, che vogliono esercitarlo spesso inconsapevoli del rischio in sé insito. Nel libro se ne parla con profonda competenza giuridica e chiarezza. Ad esempio, sulla quarta pagina di copertina sette righe recitano: “In un paese come il nostro si è soliti pensare che non vi sia alcun controllo, che ognuno possa scrivere ciò che vuole, senza rischiare severe sanzioni, come nelle democrazie più serie, né la vita e il carcere, come nei paesi a democrazia sospesa. Eppure anche qui da noi la vita può essere dura per coloro che non hanno un padrone e rispondono solo al lettore”. Leggendo e meditando la scrittura dei tre autori e di Merlo, la parola che spesso esplode caustica, aggressiva, offensiva, vile, giustiziera, mendace e calunniosa, diverrebbe più cauta e il mestiere del giornalista acquisterebbe più valore e dignità. Ma quali i temi affrontati nel lavoro degli autori? Si va da La libertà di espressione e di informazione a I diritti della persona e la libertà di manifestazione del pensiero; da I limiti normativi e giurisprudenziali al diritto di informare al Diritto di cronaca e diritto di critica e a Gli altri illeciti dell’informazione; da Il mondo di internet a Ostacoli e imprevisti.

Dal testo che segue alla Prefazione e che contempla l’essenza di tutto il contenuto dell’opera si legge una bella pagina di passato, di storia riguardante il vivere con lo scrivere che è arduo e rischioso, non da oggi, ma da sempre, se pensiamo che una delle leggi delle XII Tavole della Roma antica contempla, “per le diffamazioni, la pena capitale della fustigazione”. In età medievale, tra le altre pene riguardanti l’ingiuria, veniva recisa la lingua. All’inizio del 1600, gli storici fanno risalire il mestiere di gazzettiere. Chi allora scriveva era a conoscenza del “rigore della giustizia”. Accadde che nella metà di questo secolo, certo Giovanni Quorli, per il suo lavoro di “reportista”, subì arresti e sequestri. Dovette, conseguentemente, abbandonare la sua bottega in Venezia, una rudimentale redazione, e trasferirsi a Firenze, forse espulso o fuggiasco. Non erano immuni da punizioni coloro che scrivevano per diletto. Il grande pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio, che aveva redatto libelli dalle rime lascive e “versi infamanti” venne trascinato nel 1603, compresi altri artisti di quel tempo, in giudizio da Giovanni Baglione. Ancora prima che fosse giudicato, l’artista aveva subito il carcere a Tor di Nona, ma aveva potuto scontare la pena ai domiciliari, grazie alla sua fama e all’intercessione dell’ambasciatore di Francia. Ed ancora altre storie curiose ed interessanti che dovrebbero conoscere i giovani che vogliono fare del vero e ‘sano’ giornalismo. Il giornalista Joseph-Dominique Magalon, nel clima della Restaurazione, con il ritorno dei vecchi sovrani ai loro troni, venne condotto in carcere a piedi, e incatenato lungo le vie di Parigi, per aver pubblicato un libretto che denunciava le malefatte del governo. Ma quell’atto punitivo, anziché mettere a tacere la voce di un uomo che osteggiava un potere di ritorno non fece altro che generare nell’opinione pubblica un moto di istanze libertarie.

Nel tempo dell’Italia liberale, la parola dell’informazione venne censurata. Felice Cavallotti, uomo politico, poeta, giornalista caustico, venne processato per diffamazione, “condannato, arrestato e primatista di sequestri subiti in quasi tutte le avventure giornalistiche di cui fu protagonista, dalla collaborazione al Gazzettino rosa negli anni Sessanta del XIX secolo agli anni che precedono il duello fatale”. Il giornalista di provincia, Ernesto Majocchi venne condannato nel 1886 per aver definito la regina Margherita “una cattolica biondina” e nel 1894 per avere definito Crispi “briaco barcollante tra il prete e il questurino” e successivamente incarcerato “per un articolo diffamatorio nei confronti di un sacerdote”.

Nell’era della globalizzazione, il giornalista non è meno indenne da certi rischi. Anzi, come rivela l’avvocato Malavenda nel capitolo 5 (par.4), oggi bisogna fare i conti pure con certa giurisprudenza creativa. “Oltre ai reati comunemente contestati ai giornalisti”, scrive testualmente Malavenda, “non bisogna sottovalutare l’abilità creativa di pubblici ministeri e giudici, autori di provvedimenti sempre nel solco della legge, ma qualche volta dai contorni assai singolari”. Cui si aggiungono lacci e lacciuoli imposti dalla tutela della privacy, la tutela delle fonti e “norme irragionevoli” che delimitano soprattutto i cronisti giudiziari.

Dalle pagine, sopraccennate, di Francesco Merlo, si conoscono meglio la sua fede costante al lavoro arduo di giornalista, la sua vasta cultura, e le querele subite. Ѐ stato querelato da “ministri, presidenti del Consiglio, senatori e deputati, dirigenti di partito RAI, potenti dello stato e del parastato, giornalisti di regime, avvocati e qualche volta anche da magistrati”. Egli, fra l’altro, scrive: “Esiste, secondo me, l’abuso di cronaca che dovrebbe essere sanzionato, non in tribunale ma nelle coscienze, dalla cosiddetta deontologia, specie quando l’abuso si spaccia per verità senza tabù, per ‘necessità di sapere’”. E denuncia gli “eccessi dinanzi ai quali solo il silenzio è l’atteggiamento adeguato”.

Un contributo quello di Francesco Merlo, che, dai diversi nomi menzionati e dai diversi fattacci che hanno turbato e offeso il mondo pulito, si legge come un sostegno al nobile lavoro di Malavenda, Melzi d’Eril e Vigevani.




Lunedì 24 Giugno,2013 Ore: 13:15
 
 
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