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www.ildialogo.org Il giudizio finale, e la monaca di clausura,di Renato Pierri

Il giudizio finale, e la monaca di clausura

di Renato Pierri

“Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua maestà... egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e metterà le pecore alla sua destra, i capri invece alla sua sinistra... Quindi dirà a quelli che stanno alla sinistra: «Andate via da me, o maledetti... Poiché: ebbi fame e non mi deste da mangiare, ebbi sete e non mi deste da bere, ero pellegrino e non mi ospitaste, nudo e non mi copriste, ero in carcere e non veniste a trovarmi... ». Una monaca di clausura, alla sua sinistra, rispose: «Signore, quando ti vidi avere fame o sete, essere pellegrino o nudo, infermo o in carcere, e non ti ho servito?». Il Signore rispose: «Ciò che non hai fatto a uno di questi più piccoli, non l’hai fatto a me». «Ma come avrei potuto servirti, Signore, trovandomi chiusa nel monastero in cui entrai per stare più vicino a te?». Il Signore: «E come potevi starmi vicino se ero pellegrino, infermo, carcerato, e non mi hai curato?». «Signore, per il pellegrino, per l’infermo e il carcerato, io ho tanto, tanto pregato». Il Signore misericordioso comprese le buone ingenue intenzioni della monaca, la perdonò, e la fece passare tra le pecore alla sua destra.
Questa parafrasi del noto passo evangelico sul giudizio finale (Mt 25), dimostra che l’istituzione della clausura è in contrasto e con la ragione e col vangelo. Ma che la clausura non sia in armonia col vangelo, lo dimostrò, senza rendersene conto ovviamente, Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas.
Così scriveva al n. 18 della Lettera: "Se però nella mia vita tralascio completamente l'attenzione per l'altro, volendo essere solamente «pio» e compiere i miei «doveri religiosi», allora s'inaridisce anche il rapporto con Dio. Allora questo rapporto è soltanto «corretto», ma senza amore. Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio...Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento...Così non si tratta più di un «comandamento» dall'esterno che ci impone l'impossibile, bensì di un'esperienza dell'amore donata dall'interno, un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri".
Ora, è chiaro che l'amore per il prossimo tra le mura di un monastero è solamente pura astrazione: allontanarsi dal prossimo, separarsi da esso e "partecipargli" amore è contraddittorio. Del resto, basta ricordare la parabola del buon Samaritano (Lc 10,25ss); una monaca di clausura non avrebbe alcuna possibilità di soccorrere il malcapitato percosso dai briganti, per il semplice motivo che non passerebbe mai per quella strada.
E sarebbe sciocco pensare che quando il Signore disse agli apostoli: «Se dunque io, il Signore e il maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri» (Gv 13,14), intendesse che Pietro dovesse “lavare i piedi” a Giovanni, Giacomo a Tommaso, e via di seguito reciprocamente, separandosi dal mondo.
Per conferire fondamento evangelico alla clausura ci si appella vanamente all'episodio di Marta e Maria, del vangelo di Luca: “Marta invece era assorbita per il grande servizio. Perciò si fece avanti e disse: « Signore, non vedi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque di aiutarmi ». Ma Gesù le rispose: « Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose. Invece una sola è la cosa necessaria. Maria ha scelto la parte migliore, che nessuno le toglierà ».” (Lc 10, 40-41). Ma la “cosa necessaria” non era il semplice fatto in sé che Maria si fosse “appartata” con Cristo, ma di ascoltare, in quel momento, la sua parola, per comprenderla appieno e metterla in pratica: “Se capite queste cose, siete beati se le mettete in pratica” (cf Gv 13,17).
Renato Pierri



Mercoledì 16 Maggio,2018 Ore: 18:45
 
 
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