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www.ildialogo.org Ricordi di un “angelo del fango”,di Mauro Matteucci

Ricordi di un “angelo del fango”

di Mauro Matteucci

In questi giorni si ricorda il cinquantenario dell’alluvione che colpì la città di Firenze (e non solo) il 4 novembre del 1966, infliggendole gravissimi danni oltre a provocare la morte di decine di persone. Ho parlato raramente, se non ai familiari, della mia presenza nei giorni successivi al disastro, nella città ferita, e che allora sembrava colpita a morte: anch’io sono stato uno degli angeli del fango, di cui spesso si è parlato in modo retorico. Infatti, quella di accorrere per dare una mano a Firenze e ai fiorentini, fu per noi una scelta per niente eroica, ma allo stesso tempo spontanea e quasi inconsapevole: era la città dove da un anno frequentavo l’università e sembrava quasi naturale, anche per curiosità, andare.
Non dimenticherò mai le strade del centro storico invase dal fango e dalla nafta che penetrava, con il suo odore insopportabile, nelle narici e che rigava i muri delle case e dei palazzi: la devastazione nella città, che tanto ammiravo, era desolante! Ci dettero una pala e dei gambali di gomma – i cosiddetti chantilly – e cominciammo a spalare la mota. Ma la volontà mia e di alcuni compagni era di andare, anzi di penetrare quanto prima in Piazza Brunelleschi, dove era la sede della nostra Facoltà di Lettere e Filosofia. Ricordo con una certa emozione che, quando vi giungemmo, ci venne da piangere, trovando il fango dappertutto: sembrava che una parte della nostra vita fosse stata cancellata per sempre dalla furia degli elementi! Ma superammo subito lo scoraggiamento e ci mettemmo al servizio di chi era impegnato nel lavoro – che sembrava inutile – di ripulitura dei locali e soprattutto degli amati libri. Stemmo per giorni così, a fianco dei custodi e di alcuni professori: non dimenticherò a questo proposito di aver lavorato per un’intera giornata a ripulire libri accanto al compianto professor Lanfranco Caretti, ordinario di letteratura italiana, con il quale in seguito avrei sostenuto due esami: devo dire che entrambe le volte mi ricordò con grande umanità il momento che ci aveva accomunato. Altri giorni, li trascorsi ancora a contatto dei libri, nei locali della Biblioteca Nazionale dove la devastazione era massima: mi colpiva l’amore degli impiegati per i testi che cercavano, in apparenza inutilmente, di salvare e di ripulire.
Ma l’episodio più toccante mi accadde la domenica, in cui mi ero recato a Firenze con alcune persone della mia parrocchia di Sant’Angelo di Bottegone. Andammo a lavorare nell’ Oltrarno al quartiere di Gavinana; a me e ad alcuni amici, entrati in una casa invasa dal fango, ci sembrò di udire una voce flebile venire dall’interno di una stanza, ci inoltrammo nella casa e, aperta una porta, ci trovammo di fronte a uno spettacolo sconvolgente: una vecchietta stava seduta sul letto circondato dall’acqua e dal fango e appena ci vide, ci abbracciò gridando che erano venuti a salvarla gli angeli inviati dal Signore! Noi rimanemmo ammutoliti, domandandoci come aveva fatto a sopravvivere isolata per tanti giorni: lei disse solo che aveva pregato la Madonnina del Grappa, della quale era devotissima e che l’aveva aiutata. L’ impegno sui luoghi dell’alluvione durò per una ventina di giorni con altri episodi commoventi che lasciarono a lungo traccia nella mia vita.
Per concludere i miei ricordi, posso dire soltanto che in quel periodo si crearono rapporti bellissimi di amicizia, che sarebbero durati nel tempo perché nati nella solidarietà e nella condivisione di un aiuto a chi era stato colpito dalla sventura. Il lavoro di tanti avvenne nel silenzio – anch’io è la prima volta che ne scrivo – senza attendere nulla, come peraltro sarebbe stato nella maggior parte dei casi. Ma imparammo che la sofferenza dell’altro ci appartiene nella comune umanità e che condividerla, fa crescere nell’animo: è senz’altro la ricompensa più grande.
Mauro Matteucci



Martedì 01 Novembre,2016 Ore: 15:23
 
 
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