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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org La testa all’indietro del signor Amilcare,di Renato Pierri

Un racconto di Renato Pierri
La testa all’indietro del signor Amilcare

di Renato Pierri

Kovalèv una mattina si svegliò senza il suo grande naso, ma queste cose avvengono nei racconti, nei romanzi, oppure nei sogni. E io sto sognando, certo che sto sognando, mi devo svegliare, non è possibile buon Dio non è possibile. Il fatto è maledizione che non riesco a svegliarmi. La mia pancia il mio petto, sto toccando, sento la pelle, la mia pancia il mio petto sono a contatto col materasso,  sto toccando, sento, il mio corpo è disteso bocconi. La nuca la sento è sul cuscino. Se apro gli occhi sono certo vedo il soffitto. Non apro gli occhi, mi devo prima svegliare. Non apro gli occhi. E mentre facevo questi pensieri, dottore, è arrivata mia moglie. Lei si alza sempre prima di me, passa un attimo in bagno, sa che voglio si lavi le mani, e poi va in cucina a preparare il caffè, è gentile, è carina mia moglie, mi porta il caffè a letto. E’ obbediente mia moglie. E’ obbediente. Ha strillato si è spaventata è fuggita e la tazzina mi è caduta proprio in faccia, il caffè per fortuna non era bollente. Ma le pare, dottore, le pare, avrei preferito mille scottature anziché trovarmi in una situazione del genere. La testa completamente rivoltata all’indietro. Il collo è rivoltato all’indietro dottore lo vede il collo? Non è girato, non ruota su se stesso, è proprio come se fossi nato così, con la testa che dà sulla schiena. Il dottore non era spaventato, guardava con grande interesse, tastava, premeva, massaggiava. Perché massaggiava? Maledizione. In effetti il pomo d'Adamo, la sporgenza della cartilagine tiroidea è esattamente al suo posto, ma tutta la testa, mio caro Amilcare, è esattamente al suo posto, a me pare che è il corpo a non essere al suo posto. Ma no, ma no dottore, maledizione, mi scusi sa, a me sembra che sia la testa fuori posto, ma insomma che importanza ha? Io ero sicuro di sognare, dottore, sicuro che si trattasse di un incubo, il corpo a pancia sotto, la testa che guardava il soffitto. Poi è arrivata mia moglie con la tazzina, il caffè.  Una strana malattia, una strana, malattia, perché proprio a me?
Alzati. Piano. Così. Prova a camminare. Passi indietro ovviamente passi indietro devi fare, ovviamente, ovviamente. Fa’ come credi, se ti trovi meglio cammina pure in avanti come sempre, girando la testa vedi con la coda dell’occhio. Con la coda dell’occhio ovviamente.  Attento alla sedia. Attento, ovviamente. Telefono a un collega, un ortopedico di fama mondiale, il professor Costa. La tua signora è ancora su.  E’ spaventata, la tua signora, non vuole vederti in queste condizioni. Vuole andare da sua madre. Da sua madre? Ma scherziamo? Io mi ammalo e lei va da sua madre? Le dica di non muoversi da casa e di non parlare con nessuno di questa mia malattia. Strana malattia. Vada su dottore vada su e le dica che è un ordine. Un ordine del marito, del capo famiglia. Mi ha sempre obbedito, lei lo sa che la moglie deve obbedire al marito, deve essere sottomessa come dice San Paolo. Lei è religiosa. Ma lo so, lo so che fa per dire. Non mi lascerebbe mai in queste condizioni. E’ una brava moglie. Una moglie che ama il marito. Ma scherziamo? Una grave malattia le mia dottore una grave malattia e lei va dalla mamma?
In realtà caro amico mio tu non sei malato, sei sano come un pesce. La pressione è a posto, il battito cardiaco pure, ovviamente sei un po’ agitato, ovviamente, ovviamente. Ma sei un torello. E mentre lo diceva, il dottore, che Amilcare era un torello, sembrava gli venisse da ridere. La rabbia di Amilcare era lì lì che esplodeva, ma si tratteneva. Amilcare con la testa all’indietro si tratteneva. Non gli conveniva in quello stato litigare col dottore, ma perché tanta confidenza? Perché continuava imperterrito a dargli del tu se lui continuava a dargli del lei? Tutti così i medici, che brutta razza. Ma una volta non era così. Una volta c’era rispetto. Perché non darsi tutti del voi come voleva il Duce? Altri tempi, altri tempi. Bei tempi.  Gli dica di venire, dottore, non bado a spese, che venga qui a casa, il professor Costa, ché io in queste condizioni non posso uscire. Non è che mi vergogno, ci mancherebbe, ma è che proprio non posso. Sono come invalido, maledizione. Le preparo un caffè intanto, moglie mia, Caterina, perché non vieni giù a preparare il caffè al dottore? Non ti sente. E’ su la tua signora. E’ avvilita, spaventata, distrutta. Lasciala stare, non chiamarla, si deve calmare, ci penso io a fare il caffè, stai tranquillo caro Amilcare, stai tranquillo. Mettiti a sedere, dov’è il caffè, eccolo. Non ti preoccupare, girami pure la schiena, metti la sedia al contrario, ecco, la faccia è importante, per questo dicevo che a spostarsi, a girarsi all’indietro è stato il corpo e non la testa. E mentre parlava il dottore ancora una volta pareva stesse per ridere, che si fosse girato e concentrato tutto sulla caffettiera per non farsi vedere. Non metta troppo caffè, altrimenti non viene su bene. Bassa la fiamma, bassa viene più buono.  Si è spaventata, la signora, e chi non si spaventerebbe? Lascia il marito a letto in un modo e lo trova in un altro modo. Ma sì, dice che non sei tu, che non sei suo marito, ha parlato di alieni, bisogna che le dia un calmante, povera signora, povera signora. Il professor Costa deve risolvere il problema. Ma non sembrava per niente persuaso, il dottore, che il professor Costa avrebbe risolto il problema. E per la terza volta sembrava anche che accennasse a un mezzo sorriso, il che fece piangere di rabbia Amilcare. Amilcare con la testa all’indietro o col corpo all’indietro neppure lui lo sapeva. Ma che importanza aveva, maledetto dottore? Infilò la mano in tasca e portò il fazzoletto all’indietro sugli occhi. Maledizione mi verrà il torcico... e si fermò lì, non terminò la parola nel timore segreto che il dottore ridesse ancora della sua malattia. 
Venne il professor Costa, altissimo, magrissimo, occhi azzurri dietro le lenti spesse, capelli quasi tutti bianchi. La barba tutta bianca. Un vero dottore, un dottore come c’erano una volta. Lui non ha bisogno di analisi, a lui bastano i sintomi sono sicuro. Mica come questo qui. Che dice, professore, che malattia è la mia? Malattia? Il professore tastava, premeva qua premeva là, massaggiava massaggiava. Perché massaggiava? Ma è sicuro che non è nato così, che non è stato sempre così, che lavoro fa signor Amilcare? Io lo conosco, sono il medico di famiglia, non era così il signor Amilcare, ovviamente, ovviamente, glielo garantisco io professore. Amilcare si trattenne, la sua rabbia e la sua disperazione erano ormai incontenibili. Mai visto un caso del genere. Mai visto. Rabbia disperazione lacrime copiose anche perché il professore mentre diceva mai visto un caso del genere, si era girato verso il medico di famiglia, e pareva si fosse girato apposta per nascondere un sorrisetto.  Un maledetto sorrisetto. Di nuovo il fazzoletto. Caterina, Caterina, perché non vieni, scendi giù, manda via questa gentaglia, chiama un dottore vero, un medico che s’intenda di questa malattia. Caterina non lo sentiva. Nessuno lo sentiva. Fu il professore a dire che sarebbe stato opportuno il parere di un altro medico. Io che posso fare? Posso tagliare la testa e rigirarla? Impossibile. Potrebbe esercitarsi piano piano, giorno per giorno, a girare la testa all’indietro, camminare come ha sempre camminato, in avanti, macché torcicollo, macché torcicollo, gira la testa una volta di qua una volta di là e il torcicollo non verrà, anzi, e del resto che altro fare? Fisioterapia, fisioterapia. Ovviamente, ovviamente fisioterapia. Ovviamente. Il dottore era d’accordo col professore: fisioterapia.  Ha un computer, signor Amilcare? Sia gentile. La letteratura medica la conosco. Ma devo pur vedere se è mai esistito un caso del genere, magari il caso di qualche neonato con gravi malformazioni. Non di adulti com’è successo a lei. Questo è da escludere. Come un sogno per lei, signor Amilcare, un incubo, vero? Ma stia tranquillo. Qualcosa si dovrà pur fare. Non si muova, resti pure seduto, andiamo noi. Quella è la porta dello studio, vero? Entrarono nello studio del signor Amilcare. Le pareti erano piene di gigantografie. L’immagine di Mussolini dappertutto. Un busto in bronzo di Mussolini accanto alla scrivania. Un altro di marmo vicino alla finestra. Copertine della Domenica del Corriere incorniciate. Su una, la faccia di Vittorio Emanuele III a fianco alla faccia di Mussolini. Il Duce al balcone con la camicia nera, le mani appoggiate sul parapetto. Mussolini a cavallo. Mussolini con l’elmetto. Mussolini che alza un piccone. Mussolini che trebbia il grano. Mussolini a fianco di Hitler. Mussolini, Mussolini, Mussolini dappertutto. Ci vuole l’aiuto di uno psichiatra per la testa all’indietro del signor Amilcare. D’accordo, d’accordo, ovviamente, uno psichiatra di fama mondiale. Ovviamente. E questa volta non si schermivano. Ridevano, i maledetti. Ridevano apertamente, spudoratamente della sua malattia.  Una grave malattia. Era arrivato pian piano, camminando in avanti, girando la testa ora di qua ora di là, fin sulla porta. Ridevano. La rabbia e la disperazione esplosero.  Amilcare, gridò. Un grido tremendo, angoscioso, ma che uscì soffocato,  cavernoso. Caterina, che gli dormiva accanto, si svegliò spaventata. Che brutto sogno, Caterina, che brutto sogno, un incubo, non puoi immaginare. Alzati, amore mio, alzati, preparami il caffè, poi ti racconto. Anche qualche biscotto, grazie sì, prima devi andare al bagno, certo, a lavarti le mani.
Renato Pierri



Mercoledì 17 Agosto,2016 Ore: 16:37
 
 
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