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www.ildialogo.org L'ODORE DEL SANGUE,di Pierpaolo Calonaci

Lettera
L'ODORE DEL SANGUE

di Pierpaolo Calonaci

Non lo sentite anche voi questo odore di sangue nell'aria di questa cosiddetta civiltà?
Non potete non sentirlo dato che la stragrande maggioranza della teste è impegnato a produrlo, a diffonderlo, a rafforzarlo, a difenderlo.
Basta osservare, se ancora qualcuno rimane per saperlo fare, il significato dei fiumi di parole che si stanno spandendo come marea nera dopo i fatti di Parigi.
Basta l'esempio con cui nel vano e meschino tentativo di “capire” cosa sia stato quell'atto criminale, le parole s'ingozzano, si rincorrono e si riempiono della sola ricerca che interessa loro: fabbricare il sangue. «E' stato un atto di guerra? No, forse meglio un atto terroristico...no forse tutti e due insieme, ma con quale tattica? Ah, è la strategia che abbiamo imparato alla play-station...Ma forse può darsi che sia anche quella nata dall'uso della penna e del lapis che tracciano linee di morte? No, non si può dire forse è meglio ammantare quelle penne con la parola “libertà”? E ancora rafforziamola e stupriamola, aggiungendo “d'espressione”? Si, forse siamo sulla strada giusta per innescare poi la catena del sangue a cui qualcuno con armi automatiche poi risponderà altrettanto difendendo l'idea del suo dio morto...» e via via.
Come ci piace questo odore, ci tiene vivi. Cos'è che tiene vivo un cieco? Il fatto semplice di esserlo e continuare a esserlo impegnando tutto se stesso a rifiutare quell'unica fugace e fragile ma realissima consapevolezza che gli consentirebbe di vedere che non è altro che un atto partecipativo interno mortifero innalzato con la sublimazione dell'ipocrisia a ricercare nei colpevoli esterni al proprio centro malato una causa. Qualunque. Basta che questa rafforzi la sua cecità trasudante sangue.
Quando si cerca sangue, arriva la cecità. Quando arriva la cecità, siamo felici e ci illudiamo di vivere avendo eliminato ogni paura. Liberi da ogni inciampo, capaci solo di raffinate verità. Tanto coraggiosi da pensare come la massa composta della stessa polvere delle cose meschine arrivando così ad articolare il nostro pensiero sull'orma della pretesa esattezza scientifica della ricetta medica: «se c'è bruttezza, prendi il farmaco della bellezza; senti che ti stai abbrutendo? Diventa nonviolento; sei circondato dalla chiesa che costringe e impera? diventa anticlericale; hai paura di morire? contrapponi la vita; vuoi essere libero? spara o prendi una matita e spara; c'è la guerra? Recalcitra e grida la pace come un diritto di legge»
Ma non ci basta. Potremmo fare silenzio, forse fermarci. Ancora no.
Continuiamo a parlare, a dire, a difendere, a scrivere sui giornali, a produrre pamphlets nonviolenti, a sublimare, e soprattutto, malati come siamo di autoreferenzialità iperpositivista onnipotente, a farcire la parola con le nostre parole. Arrivando presto presto a difendere la libertà.
Ecco il centro del disgusto ma forse non è tutto perduto. Per cui è vitale citare lungamente questo passo di Romano Guardini:
«[ ] perchè raramente una parola (libertà) è stata usata in modo peggiore ed è stata corrotta più a fondo. In qualsiasi modo si voglia definire l'essenza della libertà, in ogni caso essa esprime la realtà di fatto [ ] che l'uomo ha iniziativa, nel senso che ha, al proprio interno, un'originaria forza di «iniziare»; e che per questo deve rispondere di ciò che fa in in quel modo specifico che è la responsabilità.
[ ] una tale forma di esistenza è impossibile per un essere che si risolve completamente nell'ambito della natura. Questa possibilità è data però all'uomo, perché egli è in relazione con qualche cosa che supera l'ambito della natura, qualche cosa che mette l'uomo nelle mani dell'uomo stesso vincolandolo (il corsivo è mio) alla norma etica: Dio. [ ] questa realtà, che è inseparabilmente legata alla libertà e che, come la libertà, non può essere affatto dissolta sul piano psicologico...noi la chiamiamo coscienza.
Non c'è nessuna libertà senza coscienza – tanto meno può esserci coscienza, responsabilità morale in un essere che non è libero.
Solo (corsivo mio) chi sa di essere vincolato dalla verità ha della opinione proprie e delle parole proprie. Solo chi rispetta l'inviolabilità della sfera personale altrui, ha diritto all'inviolabilità della propria. Solo chi vede nel lavoro e nella professione non soltanto un mezzo per guadagnare denaro,
ma il modo in cui compiere la propria opera responsabilmente nei confronti del tutto, può scegliere la propria strada in modo giusto. Solo chi acquisisce rettamente la proprietà e riconosce quella degli altri, ha diritto ad essa.
[ ] Non appena scompare dalla consapevolezza questo «essere di fronte a» (che pone il senso del limite, della mancanza e del vuoto da non riempire, della fragilità, del desiderio, Ndr) [ ] la libertà caratteristica della persona si trova in pericolo. E allora ciò di cui parla Sofocle, quel «qualcosa» nell'uomo che crea «sgomento», smarrisce ogni freno e norma. [ ] L'uomo finisce per perdere la fede nella sua aspirazione alla libertà, perde la forza di affermare questa aspirazione sotto la pressione dell'istinto, dell'utilità e del potere e allora egli è, dal di dentro, maturo per la dittatura». (cfr. Romano Guardini, La Rosa Bianca, Morcelliana, pagg. 49-51).
Pierpaolo Calonaci



Lunedì 12 Gennaio,2015 Ore: 22:34
 
 
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