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www.ildialogo.org ASSASSINI DI SPERANZA,di Renata Rusca Zargar

Lettera
ASSASSINI DI SPERANZA

di Renata Rusca Zargar

In dicembre, ho letto sui media la notizia che, in Belgio, il Senato aveva votato a larga maggioranza (50 sì e 17 no) a favore di una legge che estendesse la possibilità di accedere alla “morte assistita”, già parzialmente depenalizzata nel 2002 per le persone adulte, anche ai minori malati terminali. In questi giorni, viene annunciato che “la riforma brucia le tappe dell’iter legislativo” e che sarà approvata prima del maggio 2014, data in cui le due Camere saranno sciolte e si svolgeranno nuove elezioni politiche. Il Belgio, si scrive, potrebbe diventare la seconda nazione al mondo, dopo i Paesi Bassi, a rendere possibile l’eutanasia anche per i minori. Nei Paesi Bassi, l’età minima per richiedere l’eutanasia è fissata a dodici anni. Le condizioni della proposta belga per attuare tale pratica sarebbero: il consenso del medico, la sofferenza insopportabile del malato (che può essere anche psicologica), la richiesta volontaria e consapevole del malato, il consenso dei genitori.
Non voglio entrare nel merito dell’eutanasia di persone adulte, magari costrette da anni a una vita vegetativa, sulle quali si sono già sviluppate tante discussioni, né negare che, come dice il dottor Eduard Verhagen, sostenitore della legge, i non addetti ai lavori non si rendano conto dell’esistenza di patologie estremamente orribili. Però, il dottor Umberto Veronesi, che non mi sembra un non addetto ai lavori, afferma: “Io, che da tutta la vita mi batto contro il dolore, sono convinto che con adeguate cure palliative nessuno chiederebbe l’eutanasia.”
Ora io mi domando se, in questa società dove la gente vive sempre più a lungo, forse troppo a lungo, costituendo una spesa notevole (pensione, assistenza, cure), non è più favorevole per le persone sane cominciare a eliminare qualcuno che tanto non potrà mai guarire?
Ma come si decide, mi chiedo ancora, chi deve essere eliminato?
L’inutilità della vita umana cambia secondo i tempi?
Durante la I guerra Mondiale, in Germania, le morti dei malati cronici negli istituti di cura tedeschi erano aumentate in modo impressionante: 45000 in Prussia e più di 7000 in Sassonia. Certamente, a causa della fame che viene sempre generata dalle guerre, ma anche della poca volontà di alimentare, in tempi di crisi, le “bocche inutili”. Così, nel 1920, lo psichiatra Alfred Hoche e il giurista Karl Binding pubblicarono il libro “L’autorizzazione all’eliminazione delle vite non più degne di essere vissute”, cioè “l’eutanasia sociale”. Il malato provocava sofferenza a sé, ai familiari, e anche sofferenze economiche sottraendo alle persone sane importanti risorse. Lo Stato, arbitro della distribuzione delle ricchezze, doveva, dunque, farsi carico del problema.
Nel 1939, gli istituti psichiatrici del Reich dovettero compilare dei questionari riguardanti gli “inabili al lavoro”. Quelle bocche inutili venivano poi trasportate in centri come Grafeneck, Bernburg, Sonnenstein, Hartheim, Brandenburg, Hadamar. Le camere a gas risolvevano, quindi, il problema. I parenti ricevevano più tardi una lettera standard che annunciava la morte del congiunto per una causa qualsiasi e che il cadavere era stato cremato per ragioni sanitarie.
Dunque, vite inutili, da eliminare, alle quali si aggiungevano vite sprecate in pensieri politici nemici come il comunismo e il socialismo, razze non gradite, come gli ebrei o i rom, interessi sessuali non omologati…
C’è qualcuno che crede di sapere, quindi, quali siano le vite inutili?
O non dipende dalle opinioni, dalle convenienze?
Per me, magari, sono inutili le vite dei fannulloni, di quelli che pensano solo a sé, che si prendono cura solo di se stessi. Li eliminiamo tutti? (Penso che sarebbe un numero piuttosto alto!)
Per qualcun altro sono inutili le vite di chi cerca l’emigrazione dal suo paese, che non accetta di vivere nella fame, nella guerra, di veder morire i propri figli, di chi non ha il suo stesso colore della pelle, dei vecchi, dei malati, dei senza tetto, delle persone con disabilità…
Scrive Corrado Viafora nell’introduzione al libro “Quando morire? Bioetica e diritto nel dibattito sull’eutanasia”1, “Nel caso di molte persone in fase terminale qual è il diritto in questione: il diritto a decidere autonomamente della propria morte o piuttosto il diritto ad essere assistiti e accuditi senza sentirsi di peso e senza vergognarsene? […] Introdurre la legittimazione di un diritto ad essere aiutati a morire non porterebbe inevitabilmente ad una generale colpevolizzazione di chi è vecchio, malato cronico, in vario modo menomato fisicamente e in tutto dipendente dagli altri?”. Viafora, ovviamente, si riferisce all’Italia e neppure prende in esame i giovanissimi da “eliminare”.
Davanti a tanta civiltà del Belgio e dei Paesi Bassi, ho provato a immaginare un bambino/a di dodici anni, stremato da una grave malattia, sottoposto a indicibili sofferenze. Invece di una parola di conforto, di speranza, di amore, invece del riconoscimento del suo diritto alla salute, che comporta anche il diritto a non soffrire grazie ai progressi della medicina, gli si chiederà di decidere la sua morte.
Mia zia, anziana, anni fa, era stata colpita dal terzo tumore. Mai, neppure una volta, le ho parlato della sua condanna: spero di averla aiutata a trascorrere gli ultimi tempi nella speranza di stare meglio, di tornare a casa, quando era in ospedale, circondata dall’affetto della mia famiglia. Così ho fatto con mio padre e gli altri parenti adulti gravemente malati. Perché avrei dovuto turbarli ancora di più? Invece, a un bambino/a si può dire apertamente che deve decidere di chiudere la sua vita, che deve essere artefice di tanto, mentre, fino alla maggiore età, per legge, non potrebbe decidere null’altro? Quanto si sentirà amato e accettato dai genitori e dalla società tutta quel bambino/a già tanto provato dalla sofferenza?
I genitori, che ormai hanno abdicato al loro ruolo e che, per evitare polemiche e dissidi con i figli, concedono loro tutto, per stare tranquilli a farsi gli affarucoli loro, adesso scaricano persino la responsabilità della vita e della morte sui figli stessi. Se vogliono uccidere il loro bambino/a, lo facciano pure, ma almeno –eterni infanti- se ne assumano il peso fino in fondo, non si lavino la coscienza dicendo che era la sua volontà!
Certo, i paesi del nord Europa non sono mammisti (o mammoni) come noi. Ricordo che mia figlia Samina aveva, come compagna di appartamento a Bologna, il primo anno di università, una studentessa olandese, in Italia con il Progetto Erasmus. Quella ragazza, che era tornata varie volte in Olanda dagli amici durante l’anno ma senza mai visitare i genitori, si stupiva molto dei nostri usi dipendenti e appiccicosi.
A volte, penso che l’Italia sia un paese finito e che, se fossi giovane, me ne andrei altrove.
Eviterei con cura, però, questi altri paesi più civili!
Perché l’abbandono di tutti i valori e i legami non credo ci porti la felicità.
Renata Rusca Zargar
1 A cura di Corrado Viafora, “Quando morire? Bioetica e diritto nel dibattito sul’eutanasia”, Fondazione Lanza, Gregoriana Libreria Editrice, Padova, 1996, pagg. 271



Sabato 01 Febbraio,2014 Ore: 19:50
 
 
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