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www.ildialogo.org CRESCITA O DECRESCITA ?,di Giovanni Dotti

Lettera
CRESCITA O DECRESCITA ?

di Giovanni Dotti

Egregio Direttore,

evidentemente siamo in tempi di “DECRESCITA” e non si intravedono segnali di ripresa. La forbice tra ricchi e poveri continua ad allargarsi, l’inflazione e la disoccupazione tendono ad aumentare.

Partendo da questi dati incontrovertibili non capisco proprio come si continuino a fare tante chiacchiere inutili in tanti dibattiti pubblici per concludere con la solita litania: ora che ha messo un poco in ordine i conti dello Stato IL GOVERNO DEVE PENSARE AD INCREMENTARE LA CRESCITA, LO SVILUPPO E L’OCCUPAZIONE. Come se fosse cosa facile per un Governo da poco instaurato (perché allora i precedenti in tanti anni non l’anno fatto?) ed avesse la bacchetta magica! Ma che prospettive esistono in questo campo? Se i capitali fuggono all’estero, sia per l’esportazione illecita di valuta nei paradisi fiscali (sembra ulteriormente aumentata negli ultimi tempi) sia per la “delocalizzazione” in altri paesi di varie produzioni industriali? E tantomeno con l’impossibilità di un consistente intervento finanziario dello Stato, che al momento non ha un soldo da investire ma deve solo pensare a ripianare la voragine del debito pubblico? E con la classe media che finora ha goduto di un certo benessere che si vede ridurre le entrate e quindi ha meno possibilità di spesa?

Per gli anni futuri dovremo quindi rassegnarci a vivere con la “DECRESCITA”, a ridurre i consumi che negli anni passati sono eccessivamente aumentati rispetto alle reali necessità, in ciò spinti dall’avidità del modello capitalistico che induce le masse a sprechi ingiustificati per incrementare sempre più le ricchezze di pochi, affetti dal “morbo dell’accumulo” (così definirei il Capitalismo). Giustamente ha detto un eminente economista francese che “il mondo è tanto grande da poter soddisfare le esigenze di molti, ma è troppo piccolo per soddisfare l’avidità di pochi”.

Per conto mio non vedo la “decrescita”, che ci costringe a ridurre i consumi, come un fatto di per sè completamente negativo, ne vedo anzi i RISVOLTI POSITIVI in termini di maggior risparmio dei beni naturali (salvaguardia del territorio, riduzione dei danni e dell’inquinamento ambientali) e del possibile avvento di un “nuovo umanesimo” atto a valorizzare maggiormente gli aspetti intellettuali e spirituali dell’uomo, rinunciando a quel “modello americano” imperante, già estraneo alla nostra cultura, che ha privilegiato la corsa alla ricchezza materiale e il consumismo più sfrenato. Se infatti il tarlo del Capitalismo ha finora costretto un po’ tutti a rincorrere denaro e successo giustificando per questo ogni mezzo (vero e proprio “machiavellismo” del capitalismo, sempre più insaziabile, avido e rapace), sarebbe ora finalmente di ritornare a stili di vita più sobri e più rispettosi del prossimo e della natura e soffermarci di più a pensare al sociale, cioè a vivere tutti un po’ meglio in un clima di mutua comprensione e solidarietà.

Certo il lavoro è un tema preminente, tutti dovrebbero poter vivere decorosamente del proprio lavoro (lavorare per vivere cioè, non vivere per lavorare – come il “modello cinese” – tanto per capirci): per far tornare il lavoro nel nostro paese e non costringere i giovani ad espatriare il Governo dovrebbe far di tutto per attirare e far rientrare i capitali esportati e indurre gli imprenditori a riportare in Italia le industrie che hanno delocalizzato all’estero (e non solo nei paesi poveri, ma anche in certi paesi ricchi a noi vicini!) adottando quegli incentivi e/o disincentivi che nel passato, come sempre, si sono mostrati efficaci a tale finalità gli economisti saggi sanno bene quali potrebbero essere) e anche migliorando nei tempi e nelle procedure (semplificandole) il sistema Giustizia.

Certo che l’eccessiva e non regolata libertà dei mercati finanziari voluta dal Capitalismo non s’accorda con la “sovranità” e la “democrazia” del nostro come di altri paesi occidentali: proprio per questo urge la necessità di una “regolamentazione” da parte dei Governi degli Stati stessi, che non devono più subire i diktat della grande finanza ma reagire dominandola per ritornare ad essere padroni del proprio presente e del proprio futuro. Non ci può essere infatti indipendenza politica se non c’è indipendenza economica ma si deve sottostare alle angherie del Capitalismo finanziario internazionale. Altrimenti è prevedibile che anche quella parte della Sinistra (o meglio del suo elettorato) che attualmente si trova su posizioni più morbide, per così dire “riformiste”, possa confluire con quell’altra parte, più “radicale”, che vede come unico rimedio l’uscita dal (cioè la fine del) capitalismo per costruire una società più umana, più libera e più giusta. Con quali sovvertimenti sociali è facile immaginare.

Varese, 1 febbraio 2012

Giovanni Dotti



Giovedì 02 Febbraio,2012 Ore: 15:45
 
 
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