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www.ildialogo.org Il buio del venerd́ e la luce della domenica,di Renato Pierri

Lettera
Il buio del venerd́ e la luce della domenica

di Renato Pierri

Per alcuni fedeli soffrire come Cristo in croce è una grazia di Dio. Giovanni Paolo II nella lettera apostolica “Salvifici doloris” (1984), scriveva: “Attraverso i secoli e le generazioni è stato costatato che nella sofferenza si nasconde una particolare forza che avvicina interiormente l’uomo a Cristo, una particolare grazia. Ad essa debbono la loro profonda conversione molti santi, come da esempio San Francesco D’Assisi, ecc. Frutto di una tale conversione non è solo il fatto che l’uomo scopre il senso salvifico della sofferenza, ma soprattutto che nella sofferenza diventa un uomo completamente nuovo…Questa interiore maturità e grandezza spirituale nella sofferenza certamente sono frutto di una particolare conversione e cooperazione con la Grazia del Redentore crocifisso. E’ lui stesso ad agire nel vivo delle umane sofferenze per mezzo del suo Spirito di verità, per mezzo dello Spirito consolatore. E’ lui a trasformare, in un certo senso, la sostanza stessa della vita spirituale, indicando all’uomo sofferente un posto vicino a sé.”
Ora, esaltare la sofferenza, farne l’elogio, è irriguardoso verso tutti coloro che soffrono e non vorrebbero soffrire per niente. Una donna, a Lourdes, parlando a nome d’alcuni cristiani malati, ebbe a dire a Giovanni Paolo II: “Noi persone malate, più che essere aiutate dalle parole cristiane, vi troviamo spesso ragione di inasprirci, di rivoltarci. Quando si dice che ‘Dio prova coloro che ama’, noi sappiamo che è falso”.
Gesù, nel Vangelo, non esalta il dolore. Può essere anche vero ciò che il Pontefice scrive circa l’interiore maturità e grandezza spirituale cui alle volte si giunge attraverso la sofferenza, ma bisogna pur dire che è ben triste la condizione degli uomini, se per elevarsi spiritualmente sono costretti a soffrire!
Il Papa, inoltre, a parte il pericolo in cui incorre di irritare chi soffre, e di suscitare una sorta d’indifferenza verso il loro dolore, sembra dimenticare completamente il lato negativo della sofferenza. In moltissimi uomini che hanno sofferto, lo Spirito di verità non ha agito per nulla nel senso indicato dal Pontefice. Moltissimi uomini si abbrutiscono proprio a causa delle sofferenze. Non tutti coloro che soffrono diventano “uomini nuovi” in senso positivo. E bisogna anche dire che guerre e genocidi non avvengono solo per sete di potere e di ricchezze, ma anche per assicurarsi una vita senza dolori, senza privazioni, stenti, fame.
Spesso la sofferenza è distruttiva non solo del fisico ma anche dello spirito. Quanti uomini a causa della sofferenza hanno perso la fede in Dio? Nulla dice, però, Giovanni Paolo II, riguardo  alla sofferenza dei bambini. Anche i bambini scoprono il senso salvifico della sofferenza? Anche i bambini giungono a interiorre maturità e grandezza spirituale?
Ma se il dolore è un bene in sé, perché dovremmo preoccuparci tanto dei fortunati che soffrono? E perché prendercela tanto con coloro che recano patimenti ad altri,  giacché in fondo, pur compiendo una malvagità, farebbero il loro bene?
A differenza di Gesù, molti santi hanno invocato la sofferenza, senza rendersi conto che la sofferenza come soddisfazione di un desiderio (o di un bisogno?) è già meno sofferenza. Soffre molto di più colui che soffre, ma non vorrebbe soffrire per niente.
 Gesù non desidera la croce per se stessa, ma l’accetta in vista della redenzione e della salvezza degli uomini: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te. Allontana da me questo calice!". Il Signore parlò di necessità della sofferenza per sé ( Lc 17, 25), ma non per gli uomini. Anzi, cercò in ogni modo di evitare sofferenze inutili ai suoi apostoli, e la sua predicazione e i suoi miracoli miravano a togliere il dolore dal mondo. Si potrebbe obiettare: ma non fu Gesù a dire: "Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua"? Sì, ma la croce deve essere l'inevitabile conseguenza di un comportamento improntato a verità e giustizia; seguire il comandamento di Gesù dell'amore verso il prossimo, può comportare sofferenza e perfino la morte. E’ assurdo pensare che la scelta della sofferenza in sé possa produrre il bene. I santi, i martiri, gli eroi, scelgono la via della verità e della giustizia, sapendo perfettamente che possono andare incontro a sofferenze, o anche rimetterci la vita. Ma quella della sofferenza, e anche della morte, deve essere l’unica via percorribile, altrimenti diventa una scelta egoistica, un sacrificio senza senso, un non-sacrificio: chi sceglie la via della sofferenza e della morte, al fine di diventare santo, martire, eroe, non sarà mai né santo, né martire, né eroe.
Per maggiore chiarezza voglio ricordare un gesto che fu autentica imitazione di Cristo. Il sacerdote polacco Massimiliano Maria Kolbe, proclamato santo proprio da Giovanni Paolo II, si offrì di prendere il posto di un padre di famiglia, destinato al bunker della fame nel campo di concentramento di Auschwitz. Ecco, se padre Kolbe si fosse offerto ai tedeschi per farsi torturare e uccidere senza nessuna ragione se non quella di soffrire come e con Cristo, non sarebbe stato un santo, ma solo un idiota.
Molti cristiani, ed in particolare alcuni santi, sono rimasti al buio del venerdì, dimenticando la luce della domenica. Hanno dimenticato che Gesù andò incontro alle donne che lo avevano cercato al sepolcro, e disse loro: «Rallegratevi!». Molti cristiani preferiscono continuare a piangere, nell'illusione di far piacere a Dio.
Renato Pierri
Scrittore - Ex docente di religione cattolica
Autore dei Libri: "La sposa di Gesù Cricifisso";  "Il Quarto segreto di Fatima" (titolo "rubato" qualche anno dopo da Antonio Socci senza permesso), entrambi editi da Kaos Edizioni; "Sesso, diavolo e santità" - Coniglio editore.


Domenica 14 Novembre,2010 Ore: 16:25
 
 
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