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www.ildialogo.org “Italiana ma musulmana, umiliata dalla polizia israeliana”. L’appello a Napolitano,di <em><strong>Ilaria Bortot</strong></em>

“Italiana ma musulmana, umiliata dalla polizia israeliana”. L’appello a Napolitano

di Ilaria Bortot

Dal sito: http://frontierenews.it/

Mondo - 5 dicembre 2012

“Ho scelto di andare in vacanza a Gerusalemme quest’anno. Ho scelto questa città perché è un pilastro fondamentale per la mia fede, l’Islam, e perché è una città importante per tutte e tre le religioni monoteistiche. Ero in una fase di “ricerca spirituale” che mi portava a trovare un luogo dove l’energia di Dio si completa con quella dell’uomo. Ero alla ricerca delle mie radici. Gerusalemme poi, è sempre stata un fulcro per tutte le civiltà sotto diversi aspetti, dal punto di vista storico, linguistico, perfino culinario. Per questo sentivo il bisogno di capire la religione ebraica. Volevo scoprire i diversi usi e costumi delle donne arabe nelle diverse generazioni, senza barriere o pregiudizi di alcun tipo. La mia ricerca puntava ad ascoltare tutte le donne della Terra Santa perché credo che l’essenza delle donne stia nella loro capacità di essere ambasciatrici di cultura ed educazione. Credo nell’umanità e sono convinta che anche se c’è così tanto dolore, sofferenza e malvagità nel mondo, puoi sempre trovare tanto amore da donare. Quindi sono partita per Gerusalemme senza alcuna paura, senza alcun timore”.

Il viaggio di Fatima Abbadi per la Terra Santa inizia il 26 agosto 2011, con un volo Alitalia da Venezia. Dopo un breve scalo a Fiumicino la destinazione è Tel Aviv. In mano, oltre che ai bagagli, una lista di cose da fare, da vedere, da visitare. Qualche amico da ritrovare, gli ostelli dove poter dormire. Una vacanza desiderata, un viaggio per crescere e per capire. “Era un sogno che stava diventando realtà e il mio cuore scoppiava di gioia”, come dirlo con parole migliori.

Arrivata all’aeroporto di Tel Aviv viene fermata, accanto a lei altre persone di origine araba ricevono lo stesso trattamento. Un breve colloquio e poi vengono rilasciati. È l’ultima della giornata, stanca ed eccitata, entra nella stanzetta quando è il suo turno, davanti a lei 2 persone. Iniziano con le domande di routine, si fanno dare numero di telefono, email, indirizzo. Chiedono la ragione della sua venuta in Israele. Fatima spiega che la ragione che la spinge maggiormente è la religione, la voglia di vedere la Terra Santa. Inoltre, è una fotografa e le piacerebbe scattare alcune foto.

Alla parola religione qualcosa deve andare storto. L’atteggiamento cambia, le domande diventano più insidiose, il tono più aspro, i modi più bruschi. Appurato che Fatima è musulmana l’intervista diventa immediatamente un interrogatorio. Le chiedono di mostrare loro i suoi account Facebook, Twitter e mail. Fatima sa che è una violazione della sua privacy ma di sicuro non ha la forza di reagire. Uno alla volta i suoi messaggi, le sue foto, la sua vita privata viene controllata, derisa, umiliata.

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Scoprono che ha degli amici palestinesi e lì scatta la furia. Subito dopo collegano ad alcuni suoi post il nome di Vittorio Arrigoni. Una raffica di domande, di illazioni, Fatima diventa ai loro occhi una terrorista.

“Hanno insinuato che fossi affiliata con dei movimenti di attivisti contro Israele. Continuavo a dirgli che su quelle stesse pagine c’erano migliaia di messaggi che parlavano di amore, di pace, ma loro continuavano ad accusarmi di essere una terrorista perchè vedevano in me solo quello che volevano. Quello che più gli faceva comodo“.

Le confiscano tutto, mentre lei piange e si dispera, intimidita e umiliata. La prendono in giro, la costringono a leggere le sue conversazioni private a voce alta. La lasciano solo con i vestiti e un po’ di soldi e la paura di non poter più tornare a casa. Rinchiusa in una cella di detenzione dell’aeroporto con altre nove donne, a illuminare quel posto pieno di sporcizia e di cattivo odore, restava solo la luce della luna.

La mattina del 27 agosto, grazie alle istituzioni italiane, Fatima riesce a salire su un aereo di linea per Roma. Sul suo passaporto il segno indelebile : un timbro con la scritta “Accesso Negato”. L’ultima umiliazione.

Fatima racconta questa storia in una lettera aperta al Presidente Napolitano, che è anche il suo presidente, visto che è figlia di mamma italiana, e chiede al Capo dello Stato il perché di quel timbro, il perché di quell’assenza di umanità e democrazia che le spettavano.

“È un timbro che non mi merito. Una negazione della mia libertà, una sentenza ingiusta emessa contro un’onesta cittadina che è arrivata in Terra Santa solo per poter capire meglio le sue origini, per amarne la cultura e per scoprirne la ricchezza. Un’ambasciatrice di umanità e solidarietà per chi ne aveva bisogno. L’unica cosa che mi ricorderò di questo viaggio saranno le urla, le minacce, i pregiudizi dovuti alle mie origini arabe. Tutto questo in Israele, la terra di gente meravigliosa, dalla grande storia e democrazia. Doveva essere la vacanza della mia vita, si è trasformata nel mio incubo peggiore”.

Durante i momenti di maggiore sconforto, a consolare Fatima le parole di Vittorio Arrigoni che continuava a ripetersi nella mente : “Stay Human“. Anche due ebrei americani ortodossi che incontra in una breve pausa del suo interrogatorio la incoraggiano ad essere forte, a non preoccuparsi, a rimanere “umana” nonostante i continui affronti, perché resti viva la speranza che un giorno le persone smetteranno di condannarsi l’un l’altra in base all’etnia o alla religione.

Aspettando che questo accada, ci uniamo all’appello di Fatima, perché quel timbro, quella palese dimostrazione di non democrazia venga rimosso, perché lei possa compiere il suo viaggio e avverare il suo sogno di visitare la Terra Santa, perché non vi siano più umiliazioni e “Accessi Negati”, ma solo dialoghi intelligenti e scambi di umanità.

Ilaria Bortot




Giovedì 06 Dicembre,2012 Ore: 19:01
 
 
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