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www.ildialogo.org Stereotipi sull’islam,di Patrizia Khadija Dal Monte

Stereotipi sull’islam

di Patrizia Khadija Dal Monte

mar 15th, 2010

Pubblicato nel settimanale Carta.

Ogni tempo è segnato da pregiudizi «elettivi» così «naturali» da non avere contorni e frazionarsi in millepiccoli fatti «storici» e «motivati». Pare quasi che l’essere umano abbia bisogno di trovare dei punti di sfogo di problemi insoluti e frustrazioni individuali e collettive individuando nelle maglie della storia un capro espiatorio. L’ islam e i musulmani sono stati eletti indubbiamente in questo tempo a pregiudizio, assumendo un’aurea di pericolosità e ignoranza «a prescindere». Gli stereotipi funzionano. Esaminiamone alcuni:

1)L’islam è una religione maschilista.
Per dare un risposta, bisogna operare prima di tutto una distinzione tra religione e cultura e tra testi e interpretazione. Se possiamo parlare della presenza di elementi maschilisti nelle società e nella mentalità di persone che si riferiscono alla religione islamica, non è corretto derivare ciò dalla religione stessa. Prova di ciò è che la posizione della donna in tali contesti è sorprendentemente simile a quella di quasi tutte le società pre-industriali. Il secondo elemento di cui tener conto è quello della interpretazione dei testi. Esiste nel mondo islamico una pluralità di interpretazioni ignorata da chi ha interesse a fomentare il pregiudizio. Le due aree maggiori sono quella dei tradizionalisti e quella dei riformisti, i primi legati a una interpretazione letterale dei Testi o ’sacralizzazione’ delle produzioni dei sapienti precedenti, gli altri impegnati, in uno sforzo di rilettura continua del testo, in riferimento al suo senso globale, ai suoi obiettivi e al contesto.

2) Il velo è un segno dell’oppressione delle donne musulmane. Il velo è assurto a simbolo stesso dell’oppressione delle donne nell’islam da una parte e simbolo di islamicità dall’altra. Perché questa stigmatizzazione del velo è un’operazione fra le più riuscite, malgrado si levino nel mondo molte voci di donne intelligenti e consapevoli che dichiarano la loro libera scelta di indossarlo? Perché esso prima di tutto parla di valori diversi, come il pudore, la riservatezza che contraddicono una cultura dell’immagine e del corpo liberamente esibito in cui il celarsi viene percepito come problema psicologico, di negazione della persona. Il velo poi rivela una concezione unitaria dell’essere umano che differisce dalla cultura occidentale in cui in fondo il corpo è visto sempre come staccato, indipendente dallo spirito. Esso parla ancora di una specificità dell’essere donna, che mal viene
accettato da un femminismo occidentale che si muove ancora sotto l’egida di «uguali sempre e comunque». Richiama ancora il concetto di accettazione di una norma oggettiva, mal compreso in una società in cui domina l’individualismo. La martellante campagna politico-mediatica nei confronti del velo, che intende promuovere la convinzione di una incompatibilità tra islam e cultura occidentale, ha prodotto nella comunità musulmana un atteggiamento difensivo che ne ha ingigantito lo spessore: se da una parte è diventato simbolo di una legittima difesa della propria identità e della libertà religiosa, dall’altra rischia di offuscare tante altre dimensioni dell’essere donna musulmana.
3.)La poligamia è una prescrizione islamica?

La questione della poligamia solletica il pubblico occidentale che scopre un’inusitata anima candida e perbenista. Perché è buffo constatare come alla poligamia si opponga un matrimonio monogamico che ben poche persone praticano con fedeltà. Riferimenti alla poligamia ci sono nel Corano, principale fonte della religione islamica e nell’esempio profetico, raccolto nella Sunna. La Sura «Le donne», contiene i versetti principali circa la poligamia, che così recitano: «E se temete di essere ingiusti nei confronti degli orfani, sposate allora due o tre o quattro tra le donne che vi piacciono; ma se temete di essere ingiusti, allora sia una sola o le ancelle che le vostre destre possiedono, ciò è più atto ad evitare di essere ingiusti». Si può notare facilmente come la norma sulla poligamia abbia, il carattere di un permesso e non di una prescrizione vincolato poi a due condizioni: una necessità grave e l’essere in grado di viverla con equità. Il matrimonio monogamico vi appare come la via più normale e sicura per realizzare il rapporto uomo-donna nel matrimonio. In Europa è particolarmente sentita la necessità di una seria riflessione sul «permesso» in contesti sociali in cui si oppone alle leggi vigenti e comunque alla mutata percezione che la donna ha di se stessa e del rapporto di coppia.

4.)Le moschee covi di terroristi e scuole di integralismo?

Le moschee sembrano essere il pericolo numero uno per un’Italia che ben altri problemi avrebbe da affrontare. La loro costruzione è garantita dai principi costituzionali che vengono disattesi a favore di politiche tinte di razzismo. Ma cos’è la moschea per i musulmani? Il significato etimologico della parola araba masjid, deriva dalla radice araba s-j-d che significa prosternarsi e, quindi, può essere tradotta con «luogo di prosternazione», il luogo cioè in cui musulmani e musulmane, si inchinano per pregare Dio. Il significato primario di moschea è quindi quello legato alla preghiera. Oltre a masjid esiste un altro termine per indicare la moschea, jamah’a, e deriva dalla radice trilittera j-m-a che significa radunare. Questo termine è vicino a quello di ekklesia e synagogè, parole che indicano, infatti, una riunione di credenti. La costruzione di una moschea fu il primo atto compiuto dal Profeta all’arrivo a Medina e dall’inizio vi si svolgono, oltre alla preghiera, diverse funzioni di «utilità o servizio alla comunità dei credenti». Alcuni di esse appaiono legate all’islam in quanto realtà statuale e quindi non adatte a una società laica, altri vedono confermata la loro necessità dal contesto circostante. Le moschee poi svolgono il ruolo di aggregazione dei
musulmani, in momenti come questi in cui, oltre al legittimo piacere di ritrovarsi tra simili, ha il suo peso il rifiuto del «diverso». Molti casi confermano come le frange più estremiste dell’islam non si incontrino nelle moschee, uno per tutti quello che emerge dalla ricerca indotta da Tony Blair dopo gli attentati di Londra, in cui appunto è emerso come gli attentatori si riunissero in palestre e luoghi simili, non nelle moschee.

5.)L’Islam prevede pratiche come la lapidazione, le mutilazioni…

Per quanto riguarda la lapidazione il discorso è lungo e complesso, per cui rimando alla trattazione del problema
che ne fa Tariq Ramadan, in «Appello internazionale alla moratoria sulle punizioni corporali, la lapidazione e la pena di morte nel mondo musulmano», di cui sono firmataria. Aggiungo che la sessualità nella concezione islamica è una realtà fondamentale e positiva che non va lasciata al puro desiderio, ma va vissuta nel matrimonio, sia per gli uomini che per le donne e le trasgressioni in questo campo, proprio per la sua importanza, sono giudicate gravi. Per quanto riguarda l’infibulazione la maggioranza degli ulema afferma che essa non è da ritenersi una pratica islamica, ciò è confermato dalla sua assenza in alcune culture musulmane e la sua presenza in comunità di religioni diverse, tra cui cristiane. Si pone quindi come in altri argomenti il problema delle influenze culturali sulla religione stessa. Per le sue conseguenze estremamente gravi sulla salute della donna e la negazione del piacere è doveroso da parte dei musulmani e delle musulmane pronunciarsi chiaramente in merito. Prese di posizione importanti ci sono state in questi anni da parte di leaders religiosi come il Gran Muftì d’Egitto e Rettore di al-Azhar, Muhammad Sayid Tantawi, che in un fatwa del 1997 ha scritto che non si poteva trarre dal Corano né dagli insegnamenti del Profeta alcuna indicazione al riguardo. Subito dopo questo parere, il Consiglio di Stato egiziano ha vietato tali pratiche in tutto il paese.



Mercoledì 17 Marzo,2010 Ore: 14:55
 
 
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