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www.ildialogo.org L’ossessione del “velo islamico” contagia anche la Corte di Giustizia europea,di ANNAMARIA RIVERA

L’ossessione del “velo islamico” contagia anche la Corte di Giustizia europea

di ANNAMARIA RIVERA

Con una nota di Amina Donatella Salina


 Siamo lieti di pubblicare il contributo dell antropologa Annamaria Rivera, femminista, docente dell'Università di Bari. Il contributo risponde sia alla campagna della femminista Elisabeth Badinter in Francia contro l'uso dell'hijab islamico sia alle affermazioni contenute in un articolo di Giuliana Sgrena su Il Manifesto che, in nome di una laicità escludente e di un occidentalismo di sinistra, definisce il velo solo come usanza residua del tempo antico, simbolo dell'oppressione femminile. In realtà la difesa dell'autodeterminazione della donna passa anche per il riconoscimento del diritto ad esistere di " altri mondi '' all'interno della geografia del mondo occidentale. Le donne musulmane portano il velo per amore di Allah, swt, non per un uomo.
 Non solo ma la "' modest fashion"' viene adottata oggi non solo dalle donne musulmane e dalle credenti ma anche da tutte quelle donne che vogliono mettere il loro corpo al riparo dall'universo delle merci contro lo sfruttamento del corpo femminile a fini di marketing e l'imposizione di stereotipi. Come scrisse Fatima Mernissi contro il burka della taglia 42.
 Se libertà deve essere che sia all'interno di una laicità inclusiva e non escludente.
 Da tempo si e' inceppato il mito del progresso e la scintillante vetrina dell'Occidente ricco e sazio è solo una scenografia di cartone posta davanti ai cento milioni di poveri dell'UE di cui la stragrande maggioranza donne anziani bambini.
Per non parlare delle guerre con cui l'Occidente si arricchisce.
L ossessione per il velo è solo la proiezione delle criticità dell Occidente fuori dalla sua geografia come se la violenza sulle donne non fosse un fenomeno trasversale.
 Amina Donatella Salina

ANNAMARIA RIVERA - L’ossessione del “velo islamico” contagia anche la Corte di Giustizia europea

Chi si occupi sistematicamente e da lungo tempo dei ricorrenti “affaire del velo” (cui di recente si è aggiunto quello del burkini) lo sa bene: nessuna argomentazione, per quanto razionale e raffinata sia, può far cambiare idea a chi assolutizza l’hijâb – null’altro che un foulard – quale minaccia “ai nostri valori” e simbolo di oppressione e oscurantismo, senza neppure preoccuparsi di distinguere tra “veli” imposti e “veli” liberamente scelti.
In realtà, dietro una tale fissazione ideologica vi sono spesso retaggi colonialisti non elaborati (è il caso soprattutto della Francia) oppure la proiezione feticistica delle proprie inquietudini rispetto a un’alterità percepita come irriducibile, comunque retrograda. In qualche caso, le ragioni sono più oscure. In Francia, da molti anni, la filosofa “femminista” Elisabeth Badinter conduce una strenua battaglia contro il “velo”, che considera «uno stendardo politico e comunitario». Badinter è, tra l’altro, prima azionaria e presidente del Consiglio di sorveglianza di Publicis, società di pubblicità e comunicazione, terzo gruppo mondiale in questo campo. Ebbene, Publicis si distingue non solo per pubblicità sessiste, ma anche per aver firmato un contratto con l’Arabia Saudita, finalizzato a migliorare l’immagine di questo paese in Francia.

Per leggere tutto l'articolo vai al sevuente link http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=21905



Martedì 21 Marzo,2017 Ore: 21:48
 
 
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