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www.ildialogo.org Un modo diverso di guardare all’islam,di Mostafa El Ayoubi

Appello di Khamenei
Un modo diverso di guardare all’islam

di Mostafa El Ayoubi

Riprendiamo questo articolo, su segnalazione dell'autore, dal sito dell'agenzia ADISTA
In seguito agli attentati di Parigi del gennaio scorso, la guida suprema della repubblica islamica dell’Iran, ayatollah Ali Khamenei, ha rivolto un messaggio ai giovani in Europa e Nord America, invitandoli ad assumere un atteggiamento costruttivo e dialogico nei confronti della religione islamica, lontano dalla paura, dai pregiudizi, dall’odio e dalla stigmatizzazione spesso veicolati dai media.
Nel suo discorso Khamenei ha chiamato i giovani occidentali ad intraprendere una strada diversa da quella dei loro governanti, i quali nel rapportarsi con l’islam hanno «separato consciamente la via della politica dal sentiero della giustizia e della verità». La più influente personalità religiosa e politica di Teheran, nella sua dichiarazione, ripresa dalla stampa di mezzo mondo, ha messo l’accento sull’avversione che l’Occidente ha nei confronti della religione islamica. «Negli ultimi due decenni – ha affermato Khamenei – molti sforzi sono stati compiuti, più o meno dal crollo dell’Unione sovietica, per piazzare questa grande religione sulla poltrona del “terrifico nemico”. La creazione di un sentimento di orrore e di odio e successivamente la strumentalizzazione di questo sentimento sono purtroppo un fenomeno di lunga data nella storia politica dell’Occidente». Khamenei ha chiesto ai giovani di sviluppare «una conoscenza giusta, corretta ed imparziale dell’islam». Infine ha ribadito loro: «Grazie al vostro senso di responsabilità nei confronti della verità, le future generazioni possono scrivere a proposito delle attuali interazioni tra islam e Occidente con una coscienza più pulita ed una dose minore di pregiudizio».
Per molti questo appello è suonato strano, soprattutto perché fatto dalla guida di un Paese, come l’Iran, considerato una teocrazia assoluta incompatibile, secondo i suoi avversari, con lo spirito libero e critico e con la giustizia. Il suo, in realtà, non era un messaggio retorico, ma una mossa politica ponderata. Rientra nell’ambiziosa strategia dell’Iran di diventare una grande potenza regionale e di assumere la guida religiosa della Umma. Il "clero" sciita è preoccupato dell’immagine negativa che l’islam ha nel mondo oggi. Ne attribuisce una parte della colpa all’Occidente. L’altra parte l’addebita ai regimi arabi sunniti, specie quelli del Golfo che hanno largamente contribuito al diffondersi nel mondo arabo e non solo (vedi la Nigeria) di gruppi jihadisti terroristi quasi esclusivamente sunniti!
La mossa di Khamenei rientra in una vasta strategia politica e diplomatica per tentare di uscire dall’isolamento internazionale in cui versa l’Iran dalla rivoluzione islamica del 1979. Isolamento ad esso imposto dall’Occidente guidato dagli Usa: sanzioni economiche, embargh, ecc. 
Presentandosi all’opinione pubblica internazionale – attraverso questo appello della sua guida suprema – come promotore di un islam moderno non violento e invitando l’Occidente, tramite i giovani, a dialogare, l’establishment iraniano intende cambiare l’immagine che ha presso l’opinione pubblica occidentale. Immagine veicolata dai media mainstream – su indicazione delle cancellerie occidentali – attraverso la quale il regime viene dipinto come una dittatura teocratica sostenitrice del terrorismo (facente parte dell’«asse del male», come lo definiva Bush junior).
In Occidente, il "feroce" Ahmadinejad era sulla bocca di tutti, anche su quella di coloro che magari non sanno nemmeno chi sia il capo di governo della propria nazione. La propaganda anti-iraniana rientra, da anni, nel tentativo di destabilizzare il Paese con la speranza di farlo ritornare nella sfera d’influenza geopolitica degli Usa. Influenza persa dopo la caduta dello Scià. 
Con tutte le sue contraddizioni interne, l’Iran – con il suo retaggio di civiltà persiana millenaria – è riuscito dopo la rivoluzione islamica del 1979 a compiere passi importanti come Paese moderno. Diversamente da quanto avviene nei Paesi arabi del Golfo, in Iran vi è una forte dialettica politica in seno al potere clericale sciita. Una competizione politica che si manifesta nel massimo della sua vivacità durante le consultazioni elettorali. Nelle elezioni presidenziali del 1997, Nategh Nouri – candidato sostenuto dalla guida suprema Ali Khamenei – fu sconfitto da Mohammad Khatami. Khamenei accettò il voto popolare a favore del suo avversario. Nella storia politica post-rivoluzionaria in Iran si sono succeduti, alla guida del governo, riformisti come Khatami e l’attuale Rohani; e conservatori come Ahmadinejad, ma tutti con lo stesso obiettivo: fare dell’Iran una nazione sovrana e indipendente dall’Occidente.
Sin dall’avvento della rivoluzione islamica, l’Iran è sempre stato nel mirino della Casa Bianca. Nel 1980 Washington appoggiò Saddam Hussein nella sua guerra contro l’Iran (già sotto sanzioni economiche). Una guerra durata otto anni – nella quale Saddam usò armi chimiche provenienti dall’Occidente – vinta politicamente dagli iraniani. Da allora l’influenza dell’Iran nel Golfo Persico e nel Medio Oriente è cresciuta notevolmente. Ciò ovviamente è diventato un problema serio per gli Usa, per Israele – per il sostegno di Teheran a Hamas, a Hezbollah e alla Siria – e per i governi arabi a stragrande maggioranza sunnita, che temono l’egemonia degli eterni nemici sciiti. 
Gli Usa per cercare di "riappropriarsi" dell’Iran hanno fatto ricorso, sei anni fa, alla collaudata prassi della "rivoluzione colorata", già sperimentata con successo in altri contesti (l’opzione militare diretta era ed è ancora impraticabile). Questa prassi consiste nell’innescare dall’interno del Paese da colpire un meccanismo di destabilizzazione del governo "nemico" sostenendo economicamente, logisticamente e mediaticamente l’opposizione "amica", con il pretesto di avviare un processo di democratizzazione del Paese. Ma il vero scopo è che l’opposizione, destinata, attraverso tale "rivoluzione", a prendere possesso del potere in veste di governo democratico, serve come cavallo di Troia per impossessarsi del Paese. Oltre alla Cia, vi sono organismi che sotto copertura intervengono in questo tipo di operazione, come la NED (National Endowment for Democracy). La NED è una ong finanziata dal governo americano, che la presenta come un’organizzazione di «promozione della democrazia». Il suo ruolo è stato determinante nella "rivoluzione delle rose" in Georgia nel 2003, in quella dei "tulipani" del 2005 in Kirghizistan, e così via. Con l’Iran, però, il metodo non ha funzionato. Nel 2009, durante il periodo delle elezioni presidenziali, una "rivoluzione" colorata di "verde" è stata messa in piedi dalla Casa Bianca ma senza successo e nonostante il formidabile sostegno mediatico dei grandi media che hanno strumentalizzato, ad esempio, la morte – avvolta nel mistero – della povera Neda Soltan per farne il simbolo della "rivoluzione verde". Hillary Clinton, allora Segretario di Stato, dichiarò, in quell’anno, che «gli Usa hanno sostenuto l’opposizione iraniana» durante le elezioni e «continueranno a farlo nel futuro per rovesciare Ahmadinejad». 
L’Iran ha superato anche le prove delle elezioni presidenziali del 2013. L’Occidente sperava che la difficile situazione economica in cui versa l’Iran a causa delle sanzioni economiche e degli embarghi, imposti dagli Usa da oltre 33 anni, avrebbe scatenato il malcontento popolare e la diserzione delle urne. Ma è stata una speranza vana. Alle urne si è recato circa il 73% degli elettori e al primo turno ha eletto un nuovo presidente sostenuto dalla corrente opposta a quella a cui apparteneva Ahmadinejad, definita “conservatrice”: ha vinto Rohani.
Oggi le principali sfide per Rohani – oltre alla difficile situazione economica – sono il dossier del nucleare, l’embargo economico e il ruolo dell’Iran nello scacchiere mediorientale: Siria, Iraq, Libano, Yemen, ecc. Tuttavia, nell’articolato sistema politico-istituzionale iraniano, il presidente della Repubblica non dispone di pieni poteri. Le sue decisioni devono essere approvate dal Parlamento prima e poi dal "guardiano della rivoluzione" Ali Khamenei (il quale è tenuto, anche lui, sotto controllo da un’assemblea di esperti composta di 86 mullah eletti). E quindi la politica estera di Rohani in sostanza è simile a quella di Ahmadinejad. Rohani ha ribadito in diverse occasioni il diritto dell’Iran di disporre del nucleare per scopi civili e il sostegno al governo siriano e al movimento di resistenza palestinese.
L’Iran, portatore di un "islam sciita" minoritario, oggi gode di una grande popolarità presso i popoli arabi in stragrande maggioranza sunniti. Negli ultimi anni si sono anche verificati fenomeni di conversione alla dottrina sciita, il che ha fatto preoccupare non pochi regimi arabi sedicenti "musulmani sunniti". Regimi che però hanno le loro gravi responsabilità per la situazione di stallo in cui versa l’islam oggi. L’Iran potrebbe essere una risorsa importante per il mondo islamico per riaprire le porte dell’ijtihad (ermeneutica della Scrittura), di cui la religione islamica ha forte bisogno oggi. 
* caporedattore della rivista di ecumenismo e dialogo interreligioso “Confronti”



Martedì 24 Marzo,2015 Ore: 19:05
 
 
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