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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org LIBERTA' FEMMINILE,di Michela Marzano

RIFLESSIONE.
LIBERTA' FEMMINILE

di Michela Marzano

A proposito della legge che vieta nei luoghi pubblici burqa e niqab


[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente pubblicato sul quotidiano "La Repubblica" del 3 agosto 2011 col titolo "Integrazione come valore" e il sommario "Dare via libera a una proposta di legge che vieta nei luoghi pubblici burqa e niqab?".
Su Michela Marzano dalla Wikipedia estraiamo la seguente scheda: "Maria Michela Marzano (Roma, 20 agosto 1970) e' una filosofa e docente italiana, residente in Francia. Nata nel 1970 a Roma, ha studiato all'universita' di Pisa e alla Scuola Normale Superiore. Dopo aver conseguito un dottorato di ricerca in filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, è diventata docente all'Università di Parigi V (Rene' Descartes), dove è attualmente professore ordinario. Autrice di numerosi saggi e articoli di filosofia morale e politica, ha curato il "Dictionnaire du corps" (Puf, 2007). Si occupa di filosofia morale e politica e in particolar modo del posto che occupa al giorno d'oggi l'essere umano, in quanto essere carnale. L'analisi della fragilità della condizione umana rappresenta il punto di partenza delle sue ricerche e delle sue riflessioni filosofiche. Ambiti di ricerca: il corpo umano e il suo statuto etico; etica sessuale; etica medica; aspetti teorici del ragionamento morale e delle norme e dei valori che possono giustificare una condotta. Bibliografia: a) in francese: Penser le corps, Presses universitaires de France 2002; La fidelite' ou l'amour a' vif, Hachette 2005; Alice au pays du porno (con Claude Rozier), Ramsay 2005; Le Corps: Films X : Y jouer ou y etre, entretien avec Ovidie, Autrement 2005; Je consens, donc je suis... Ethique de l'autonomie, Puf 2006; Malaise dans la sexualite', J.C. Lattes 2006; La philosophie du corps, Puf 2007; Dictionnaire du corps, Puf 2007; La mort spectacle, Gallimard 2007; La pornographie ou l'epuisement du desir, Buchet-Chastel, 2003, Hachette 2003, 2007; L'ethique appliquee, Puf 2008; Extension du domaine de la manipulation, de l'entreprise a' la vie privee, Grasset et Fasquelle 2008; Visage de la peur, Puf 2009; Le Fascisme. Un encombrant retour?, Larousse 2009). b) in italiano: Straniero nel corpo. La passione e gli intrighi della ragione. Milano, Giuffre' Editore, 2004; Estensione del dominio della manipolazione. Dalla azienda alla vita privata. Milano, Mondadori, 2009; Critica delle nuove schiavitu'. Lecce, Pensa MultiMedia, 2009 (con Yves Charles Zarka e Christian Delacampagne); Sii bella e stai zitta. Perche' l'Italia di oggi offende le donne, Milano Mondadori, 2010; La filosofia del corpo, Il Melangolo, 2010; Etica oggi. Fecondazione eterologa, "guerra giusta", nuova morale sessuale e altre questioni contemporanee, Edizioni Erickson, 2011"]

Adesso ci si mette anche il Governo italiano. Come se, in piena crisi economica, i parlamentari non avessero altro da fare che dare via libera a una proposta di legge che vieta nei luoghi pubblici burqa e niqab.
Come se l'esempio della Francia e del Belgio dovesse in questo caso essere necessariamente seguito, laddove in altre circostanze ci si inalbera non appena qualcuno osi fare un paragone tra quello che succede in casa propria e quello che invece accade all'estero... Certo, la giustificazione della legge e' intrisa di buoni propositi. Si parla della liberazione delle donne segregate e senza diritti. Si invoca l'umiliazione di tutte coloro che non possono riappropriarsi del proprio destino. Ci si scaglia contro questa forma di "aberrante imposizione". Burqa e niqab sarebbero un mezzo di oppressione per le donne, un modo per metterle al margine della societa' rendendole anonime e trasparenti. Si puo' tuttavia veramente vietare l'utilizzo per strada del velo integrale, punendo coloro che lo portano? Non e' sempre pericoloso quando, nel nome della liberta', si decide di legiferare sul modo in cui ci si possa o debba vestire in pubblico?
Molte donne musulmane sono ostili al velo integrale e mettono chiaramente in rilievo come il Corano non lo preveda: il fatto stesso di indossarlo significherebbe accettare la possibilita' di restare fuori dalla societa'. Tante altre pero', come hanno spiegato alcune francesi davanti alla Commissione parlamentare (la Commission Gerin), sostengono che portare un niqab e' oggi un modo per proteggersi dallo sguardo maschile, una maniera per esprimere la fierezza di essere musulmane in un mondo occidentale considerato decadente e corrotto. Nascondendo cio' che copre, il velo, per definizione, riesce contemporaneamente a mostrare e a distogliere lo sguardo. Da questo punto di vista, e' in genere utilizzato per proteggersi dalla vista degli altri, per sottrarsi alla logica della vergogna. Per mostrarsi e farsi vedere, bisogna volerlo: permettere allo sguardo altrui di posarsi su di noi senza ferirci. Il velo puo' allora essere un riparo per colei che lo porta, a patto, pero', di non chiudersi mai completamente. Se serve a proteggere il mistero del corpo, deve anche lasciar intravedere qualcosa - gli occhi, una caviglia, una ciocca di capelli. Il rischio, altrimenti, e' quello di diventare un "sudario". A seconda del contesto, del luogo e dell´identita' di colei che lo porta, indossare un velo puo' essere un gesto religioso come un atto di conformita' a un costume; puo' essere il frutto della sottomissione a minacce o intimidazioni, oppure un atto provocatorio e di sfida identitaria. Se alcuni veli sono in grado di dar forma al corpo femminile, il velo integrale, pero', non lascia intravedere proprio nulla. E trasforma il corpo della donna in una "macchia cieca". Al punto da rendere incomprensibile il fatto che alcune donne accettino di portarlo. Si puo' tuttavia anche solo immaginare di risolvere un problema di questo genere a colpi di legge, soprattutto quando si sa che di donne col niqab ce ne sono veramente poche? Non e' del tutto assurdo pretendere di liberare qualcuno attraverso un divieto? Non sarebbe meglio ascoltare cio' che dicono le donne velate - invece di affermare perentoriamente che non sono mai libere - e offrire loro degli strumenti critici per valutare meglio il peso e le conseguenze delle proprie scelte?
La strada per l'emancipazione e' lunga e difficile. Non si puo' sottovalutare l'impatto della ghettizzazione sociale in cui vivono molte donne. E' per questo che si dovrebbe fare attenzione a non passare troppo velocemente dalla logica della "repressione" a quella della "gentile indifferenza". Come se portare un velo integrale fosse sempre il risultato di una decisione libera e matura. Talvolta e' una scelta. Altre volte, come e' stato mostrato da recenti casi giudiziari in Francia, e' il frutto di un'imposizione. La realta' e' sempre piena di sfumature e si dovrebbe evitare non solo di strumentalizzare i valori delle lotte femministe, ma anche di banalizzare le difficolta' dell'integrazione.
In un'epoca come la nostra, in cui la questione della laicita' va di pari passo con l'aumento non solo degli integralismi religiosi, ma anche dell'intolleranza e del razzismo, forse bisognerebbe interrogarsi di nuovo sul significato dell'espressione "integrazione" e cercare di capire come il rispetto delle differenze non implichi necessariamente una rinuncia ai valori in cui si crede, come l'uguaglianza, la liberta' e la pari dignita'. Ogni Paese ha certamente un proprio patrimonio culturale specifico, che va di pari passo con la storia della propria unita', con le contraddizioni e le difficolta' che si sono di volta in volta incontrate per imparare a vivere insieme. Ma erigere barriere o promulgare leggi che, nel nome della liberta' e della dignita', interferiscono con le scelte dei singoli individui non serve a pacificare una societa'. Questo tipo di strategie non fa altro che spingere alla radicalita'. Invece di contribuire a organizzare le condizioni reali che possono permettere alla liberta' femminile di non restare solo un valore astratto.

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 669 del 5 settembre 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/



Luned́ 05 Settembre,2011 Ore: 16:17
 
 
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