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Quella in Siria non č una “rivoluzione” delle donne

Riprendiamo questo articolo da yallaitalia "il blog delle seconde generazioni"

Dati Articolo

Antonella Appiano è giornalista, presidente dell’Associazione Culturale di Ricerca e Studi sul Medio Oriente e il Nord Africa, Moan-Opportunities and News e autrice del blog e autrice www.conbagaglioleggero.com.
Yalla Italia l'ha contattata in Siria dove si trova da qualche mese.

Quel'è stato il ruolo delle donne siriane in questa rivoluzione e come mai hanno partecipato meno che le egiziane?

In realtà le donne siriane non hanno partecipato alle manifestazioni insieme agli uomini. Perché le donne non vanno in moschea il venerdì. O almeno sono poche quelle che lo fanno. C’è stato qualche raduno separato. Più volte sui siti pro-rivoluzione presenti su Fb, è stata annunciato qualche corteo, a Damasco, che poi non c’è stato. Una volta è stato disperso. Ma si trattava di poche decine di persone. Le donne hanno seguito i funerali dei parenti. E questo soprattutto a Dar’aa. Ma per stessa ammissione degli attivisti con cui ho parlato, le donne per ora sono assenti dalla scena. Devo premettere che in Siria, l’opposizione, “reale”- quella sul territorio intendo e non quella virtuale su Internet o quella all’estero- è composta in gran parte da elementi conservatori e religiosi. Anche i più giovani mi hanno risposto che “per l’Islam il ruolo della donna non è quello”. Altri oppositori più laici hanno sottolineato “il pericolo”. Ci sono poi motivi storici e socio-culturali che differenziano le donne siriane dalle egiziane. Il femminismo in medio oriente è nato in Egitto. Già nel 1923, Huda Sahrawi aveva fondato “l’Unione femminista”. E le egiziane parteciparono attivamente anche alle manifestazioni contro il Protettorato inglese. In Siria, secondo l’Osservatorio per i diritti della donna siriana”, la società è piuttosto conservatrice e le donne non prendono parte neppure al movimento per i loro diritti. Una volontaria mi ha detto “Non sono interessate. Facciamo molta fatica a comunicare i concetti di uguaglianza di genere. Su 3 milioni di donne fra i 18 e i 50 anni solo mezzo milione sceglie di lavorare fuori casa. L’obiettivo è ancora il matrimonio. E la cura dei figli”. In Siria poche, anche fra le giovani, sanno che in Europa l’8 di marzo si festeggia il giorno della donna. Qui esiste solo la “festa della mamma”

Si tratta di una rivoluzione, è un colpo di stato oppure è un tentativo di riforma?

In Siria ci sono senza dubbio gruppi che chiedono riforme, più libertà, stato di diritto, pluripartitismo. Ma la situazione è molto diversa dall’Egitto. Non tutti chiedono infatti un cambiamento attraverso la rivoluzione. Larghe fette della popolazione non vogliono la caduta del regime per paura di un vuoto di potere e di una destabilizzazione del Paese. Di un “effetto Libano o Iraq” con divisioni territoriali e confessionali. Di interferenze straniere. O semplicemente, come la borghesia sunnita legata ai gruppi di potere, per motivi legati all’economia. Damasco, la capitale, ed Aleppo la seconda città delle Siria, non sono per ora scese in piazza. Non possiamo parlare di mobilitazione generale. Ci sono state manifestazioni in qualche sobborgo, Douma per esempio o nel quartiere periferico di Barzah. Anche nel quartiere sunnita di Midan, (ho visto la polizia in assetto antisommossa) disperse con i lacrimogeni. Altri gruppi di oppositori che chiedono la caduta degli Assad, convinti che la leadership al potere non concederà mai le riforme richieste. Neppure ora dopo il terzo discorso del Presidente. C’è ancora chi vorrebbe l’allontanamento della “vecchia guardia” ma crede in Bashar-al-Assad. Vedremo se “il dialogo nazionale”, per discutere le richieste avanzate al governo, produrrà risultati concreti. Dialogo ritenuto indispensabile, da alcuni dissidenti siriani in patria. Tra questi, Michel Kilo, cristiano di Latakia, che preferisce una “soluzione politica” piuttosto che una “sanguinosa opzione rivoluzionaria”. L’alawita Luay Hussayn e Bassam Al-Kadi, che ha militato nel partito comunista, contrario alla conferenza “Per il cambiamento della Siria” (che si è tenuto ad Antalia, nel sud della Turchia, il 30 maggi), soprattutto perché, come mi ha dichiarato “ci partecipano oppositori in esilio provenienti da Europa e Nordamerica, interessati a destabilizzare la Siria”. Bassam ha fatto il nome di “Usama Munajjed, rappresentante del Movimento per la giustizia e lo sviluppo di Londra, che secondo documenti diplomatici americani diffusi da Wikileaks avrebbe ricevuto dal 2006 al 2009 circa sei milioni di dollari da Washington per finanziare le rivolte”. Ancora Bassam al-Kadi a maggio aveva firmato un manifesto diffuso on line, in cui accusava sia il regime sia gli attivisti della spirale di violenza che aveva travolto il Paese e invitava gli attivisti a fermare le manifestazioni e a riflettere.

Quali notizie divulgate in Italia non corrispondono alla realtà vista dal tuo osservatorio?

Fin dall’inizio delle proteste verso metà di marzo, sono state comunicate spesso notizie false. O ingigantite. A Damasco sono stata testimone diretta e lo posso affermare con certezza. E ne avevo già scritto sul mio blog, prima ancora di iniziare la corrispondenza per Lettera43. Un esempio, fra i tanti. Il venerdì della collera, il 29 aprile, per esempio, alcune agenzie riprese da importanti media italiani, hanno riportato “2000 manifestanti picchiati e rinchiusi nella moschea degli Omayyadi”. Quel giorno ero entrata in moschea (con l’hijab, come una musulmana) e non era successo niente. In generale, le testimonianze, non verificate da fonti indipendenti, sono sempre riportate come “verità”. E nessuno si è mai preoccupato di controllare notizie trasmesse da Twitter o Fb. Io ho provato, più volte, e spesso, ho trovato notizie non corrispondenti alla verità. A proposito della credibilità della blogosfera, é eclatante il caso della finta blogger Amina. Sono stata l’unica giornalista, penso, a non cadere nella trappola. Proprio perché ero sul “terreno”. Ho cercato infatti in tutti i modi di avere un contatto con lei ma le tracce si perdevano. Amici e alcuni attivisti mi hanno messo in guardia “E’ all’estero e scrive per farsi pubblicità o non esiste”. Erano sicuri “la storia è troppo perfetta, non ci convince ”. Infine, le testimonianze che ho raccolto, sul “terreno”, sono sempre state contraddittorie. E bisognerebbe tenerne conto. Riportarle tutte se non è possibile controllare personalmente. Dagli stessi attivisti con cui sono in contatto- a volte ho ricevuto informazioni diverse da quelle che poi leggevo sui grandi media, riguardo, per esempio, il numero dei partecipanti alle manifestazioni. Quasi sempre, inferiori.

La situazione varia da città a città, oppure il mood anti regime è diffuso in tutto il paese?

La situazione è molto diversa da città a città. A Damasco non esiste, per ora “un mood antiregime diffuso”. C’è un gran desiderio di riforme e cambiamenti anche ad Aleppo. Ma in “maniera pacifica”. Anzi Damasco è stata piuttosto indifferente. Preoccupata delle ricadute economiche per la mancanza del turismo e delle sanzioni contro il Paese, ma “assente” come massa critica. D’altra parte nella capitale è concentrata la media e piccola borghesia del paese. A Dar’aa, Homs, Hama Banyas, ci sono invece i gruppi che chiedono la caduta del regime.

Quando sei arrivata in Siria, avevi percepito o intravisto i segnali che avrebbero portato alle rivolte?

Al mio arrivo a Damasco, i primi di marzo, si parlava molto delle rivolte arabe ma con distacco, anche se, nel paese, c’erano già state alcune proteste in febbraio. Distacco e cinismo. Mi sentivo dire spesso che “la Siria non sarebbe stata coinvolta per la sua “specificità” (siamo un paese mosaico di etnie e religioni) ma che comunque avrebbe tratto beneficio perché, senza dubbio, il governo allarmato avrebbe concesso riforme in politica interna”.

Prima che tutto questo iniziasse, c'era una differenza tra l'opinione pubblica e la versione dei media siriani nei confronti della caduta di Mubarak?

Sia l’opinione pubblica che i media siriani, sottolineavano le ripercussioni della caduta di Mubarak sulla politica estera. Le relazioni fra i due Paesi erano cambiate dal trattato di Pace dell’Egitto con Israele nel 1979. L’opinione diffusa era che “un nuovo governo egiziano avrebbe potuto essere più favorevole ai Palestinese e meno dipendente dagli Stati Uniti”. I media siriani hanno espresso più volte la speranza che il nuovo governo egiziano avrebbe avuto un peso maggiore nella politica regionale, esercitato pressioni su Israele per la restituzione alla Siria delle alture del Golan (occupate da Israele nel 1967, durante la Guerra dei sei giorni) e favorito la creazione dello Stato palestinese. L’opinione pubblica, come ho detto, esprimeva anche la speranza, quasi la certezza di “riforme concesse dal regime, sull’onda delle proteste negli altri Paesi arabi senza che Siria venisse coinvolta da processi rivoluzionari”.



Domenica 03 Luglio,2011 Ore: 16:31
 
 
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