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www.ildialogo.org Massimo Abdallah Cozzolino: “Riabbracciare l’Islam tra diffidenza e pregiudizio”,di NUCCIO FRANCO

Massimo Abdallah Cozzolino: “Riabbracciare l’Islam tra diffidenza e pregiudizio”

di NUCCIO FRANCO

Intervista tratta da http://www.agenziaradicale.com/

martedì 08 febbraio 2011

cozzolino.jpgMassimo Abdallah Cozzolino è il direttore della Moschea di Piazza Mercato a Napoli.E’ inoltre responsabile dell’Associazione culturale Zayd Ibn Thabit, nata nel 1997 su iniziativa di un gruppo di musulmani (italiani e nord africani) che intesero colmare il vuoto spirituale allora esistente e nel contempo dare vita ad un centro di assistenza per i tanti immigrati. Con alle spalle un percorso fatto di militanza politica ed una parentesi di noviziato da francescano, si è avvicinato all’islam all’età di 26 anni.

“La mia è stata una formazione culturale di sinistra,di tipo gramsciano.In seguito,c’è stato un periodo di riflessione nel quale ho iniziato a riscoprire la mia fede religiosa di appartenenza e mi sono avvicinato alla teologia della liberazione, ai francescani in particolare. Stavo per intraprendere la vita monastica ma poi, dopo un lungo percorso sono approdato all’Islam” ci dice.

- Quali sono state le ragioni alla base della scelta di abbracciare un credo diverso da quello d’origine nonchè le tappe fondamentali del suo personale cammino di avvicinamento alla nuova religione?

La conversione è avvenuta nel 1997. E’ stato un cammino di ricerca ed approfondimento che ho seguito inizialmente spinto solo dal desiderio di conoscere gli “ultimi”, ossia i tanti immigrati arrivati in Terra di Lavoro in quegli anni. In quel periodo ci fu la vicenda di Gerry Masslo, un rifugiato sudafricano assassinato da una banda di criminali, la cui vicenda personale emozionò profondamente l’opinione pubblica e portò ad una riforma della normativa per il riconoscimento dello status di rifugiato. Avendo vissuto e lavorato in quell’area,oggi tristemente nota per fatti legati alla criminalità organizzata, sono stato a contatto diretto con la realtà degli emarginati ancor prima della mia conversione. Parlando con loro, mi accorgevo che per alcuni di essi si trattava di un esilio politico ed è iniziato un confronto quotidiano che mi ha portato ad approfondire anche l’Islam. In particolare, con uno di essi, un algerino laureato in Sharia, iniziò questo confronto dialettico non per fini di proselitismo ma semplicemente per un desiderio di reciproca conoscenza, di confronto libero ed aperto volto a rendere il rapporto di amicizia maggiormente consolidato. Questa mia non paura dell’ “altro”, mi ha portato a scoprire un mondo a quei tempi totalmente sconosciuto a causa di una sorta di chiusura culturale verso l’oriente e l’Islam in particolare. La mia formazione francescana, ha influito certamente sul mio percorso. Mi ha spinto ad indagare determinati aspetti mediante il confronto con l’altro ponendo l’alterità al centro del mio obiettivo e della mia crescita personale. All’inizio è stata una sorta di curiosità che, successivamente, si è evoluta sino ad indurmi al salto di fede che mi ha portato a riabbracciare l’Islam.

- Come ha vissuto la nuova appartenenza religiosa nei suoi tratti distintivi, cos’è cambiato nella quotidianità, in famiglia, al lavoro?

All’inizio ho vissuto la mia conversione in modo silenzioso, facendo in modo che questa non risultasse limitante nel rapporto con gli altri. In famiglia la mia scelta ha suscitato una certa inquietudine nei miei genitori che, allora, temevano questa mia decisione pur ritenendo che tutto fosse riconducibile ad una fascinazione temporanea. C’erano critiche verso forme ritenute “arcaiche”ma poi, pian, piano hanno capito che la mia scelta scaturiva dal mio Io più profondo ed era dettata dal cuore, dal rapporto stabilito con la trascendenza. Tutto questo con il tempo è stato compreso ed accettato. Ricordo ancora una circostanza sintomatica dell’ignoranza in cui era avvolto l’Islam anni addietro. Durante il servizio militare, la semplice richiesta di poter effettuare le preghiere all’alba ed al tramonto, risultò un qualcosa di strano tanto che il comandante mi chiese se ero disposto a svolgere il servizio. In sostanza, l’appartenenza ad una religione fu interpretata come qualcosa che potesse pregiudicare la fedeltà ad una patria, una sorta di obiezione di coscienza. Purtroppo, era la visione che si aveva ed in alcuni casi ancora si ha di un certo fenomeno ed ho dovuto combattere contro luoghi comuni e pregiudizi.

- La conversione, è un passaggio che segna differentemente i percorsi biografici femminili e quelli maschili, oltre all’obbligo di conversione dell’uomo in caso di matrimonio?

Senz’altro la distinzione circa il procedimento che porta alla conversione differisce da soggetto a soggetto. Esistono biografie, particolarità e specificità individuali. Nella conversione dell’uomo ci sono certamente maggiori facilitazioni nel senso che è anche possibile non palesare apertamente la propria appartenenza. Ovviamente, così non è nel caso delle donne, non fosse altro per il fatto di indossare il velo. Ci sono dunque dei distinguo che vanno fatti soprattutto quando si tratta di percorsi relazionali. Quando invece si tratta di un cammino razionale, ritengo vi sia un fattore comune che è dato proprio da quell’elemento di forte e rigorosa concentrazione ed osservanza delle regole e dei precetti di fede.

- Cos’è per Lei l’Islam oggi ma, soprattutto qual è e come vive il rapporto individuo – collettività?

Come dicevo, non è semplice essere accettati dalla comunità per due semplici ragioni. In primis, perché si è considerati un po’ come dei traditori, come coloro che hanno “sviato” dalla retta via, quella di appartenenza alla fede originaria. In virtù di ciò, capita spesso di essere guardati con sospetto dalle istituzioni e, più in generale, dall’intera collettività. Dall’altra, assistiamo ancora oggi a forme di chiusura sia a livello politico che di comunità islamica la qual cosa ha reso tutto maggiormente difficile. Il nostro proposito è quello di consentire ai nostri figli, in futuro, di poter liberamente e senza alcuna pressione rivendicare libertà di culto, di professione di fede senza condizionamenti esterni. Sono questi gli ostacoli che ci troviamo ad affrontare quotidianamente nell’integrarci nella società a favore dell’impegno civile, politico, civico dando seguito all’impegno di cittadini a tutela delle propria città, dei diritti civili e sociali ancor oggi trascurati.

- Qual è stato l’atteggiamento della comunità nei Suoi confronti?Si possono tracciare diversità di approccio di un convertito ai temi ed alle problematiche di fede, sociali e politiche dell’Islam?

Nella comunità islamica la conversione è sempre vista con gioia e felicità. C’è stata subito una calorosa accoglienza. Ho ricoperto ruoli di responsabilità al suo interno. In essa vi è una molteplicità di culture che si sovrappongono. Non nego che all’inizio ci siano state delle forme di resistenza anche perché non veniva accettata l’idea che un italiano potesse avere un ruolo di responsabilità, quasi fossimo dei musulmani di serie b rispetto a quelli di nascita. Tuttavia, con il tempo si è avuta la possibilità di superare tutto questo ed adesso c’è la più totale integrazione, confronto e dialogo.

- Intanto la cronaca da un’ immagine falsata dell’Islam. Esiste davvero un Islam moderato?

Personalmente ritengo che la definizione di Islam moderato non abbia molto senso. Esiste l’Islam. E’poi legittimo che al suo interno vi possano essere delle posizioni diverse tra le quali possa svilupparsi un confronto dialettico. L’importante è che a tutte le opinioni sia comune un presupposto imprescindibile: quello della legalità, del rispetto delle leggi. Noi siamo per il rispetto e la difesa del principio della legalità, necessario per poter avanzare richieste in materia di diritti civili. Ciò è possibile solo in presenza di un impegno a crescere in maniera democratica in un percorso che non è etichettabile ma di puro e semplice confronto. Coloro i quali percorrono strade violente, assolutamente condannabili, si pongono contro la legge e, di conseguenza, al di fuori di questo processo.

- Quali sono i margini di sviluppo del fronte islamico-liberale, che chiede riforme democratiche, multipartitismo e laicità?

Questa corrente ha certamente una sua peculiarità che consiste nel concentrarsi su alcuni tipi di battaglie piuttosto che su altre. Non bisogna tuttavia dimenticare o trascurare alcuni aspetti interni alla comunità che sono molto problematici e che vedono tutti molto impegnati. Il punto è che ognuno di noi deve offrire il proprio contributo per giungere non ad una sovversione di quelli che sono i principi della comunità, assolutamente, bensì ad una maggior forma di cittadinanza che consenta a ciascuno di ottenere il riconoscimento dei principi fondamentali che costituiscono la libertà religiosa e, quindi, impegnarsi in una competizione civile per il miglioramento della società, le riforme. Tutto questo è molto importante e richiede alcuni passi preliminari che consistono nel dibattito e nello sviluppo di orientamenti nell’ambito della legalità che consentano una crescita collettiva.

- Due questioni di estrema attualità: il divieto di indossare il niqab e gli Imam. Modernità e tradizione, identità e futuro. E’possibile trovare una sintesi tra diverse esigenze e come?

La questione del velo invade ormai da anni il nostro immaginario perché è mediaticamente forte, fa scena, incuriosisce e soprattutto ricostruisce ancora una volta l’immagine prefabbricata nella mente del telespettatore occidentale del musulmano patriarca, nel deserto con una tenda . Non a caso, nel simbolo dei manifesti per il referendum contro i minareti in Svizzera, è più la figura della donna con il niqab nero che i minareti ad essere messa in rilievo. la figura di quella donna interamente coperta fa parte di quelle immagini forti, che ci ricordano i talebani, la guerra, il terrorismo. È efficace, fa paura,  e si è visto com’è andato il referendum. Ritengo sia necessario garantire a tutti i principi di libertà individuale nel rispetto delle esigenze generali di ordine pubblico e sicurezza. Per combattere la non scelta di alcune donne, occorre lasciare libere di scegliere. Ci rendiamo conto che in alcuni casi è certamente necessario rendere riconoscibile il volto delle donne. Quanto agli Imam, a volte la formazione è insufficiente ma la cosa non può essere causa di una statizzazione dell’islam. In tal modo, si rischierebbe di tarpare le ali a quel confronto dialettico e democratico all’interno della comunità. Il fatto di garantire a coloro che guidano la preghiera una funzione importante anche dal punto di vista pratico deve essere armonizzato sia con l’esigenza di una maggiore formazione ed educazione degli Imam, sia con il rispetto delle diversità. Il pericolo è che si giunga a forme di statizzazione come avviene in molto paesi dove gli Imam sono arrivati a sostenere il regime. Le due esigenze vanno bilanciate sempre nel rispetto dei diritti fondamentali. 



Giovedì 02 Giugno,2011 Ore: 21:58
 
 
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