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www.ildialogo.org La crisi in Medioriente: la voce delle donne,Di Khawtar Lucia Rallo

La crisi in Medioriente: la voce delle donne

Di Khawtar Lucia Rallo

mar 10th, 2011 | Dal sito  www.islam-online.it

La protesta popolare che ha coinvolto dapprima la Tunisia e che ha progressivamente interessato Egitto e Libia ha un indiscusso protagonista: la donna. La crisi mediorientale, infatti, si tinge di rosa ad opera di un movimento al femminile che pur non partecipando attivamente agli scontri, è sempre più in prima fila nel reclamare equità e giustizia sociale. “In molti sembrano sorprendersi ma in realtà, chi si occupa di queste cose e conosce la situazione sa che da tempo si registra un ruolo crescente delle donne in certi paesi islamici. Appare evidente che esse non svolgono un ruolo secondario” afferma Anna Vanzan, iranologa e autrice de “Le donne di Allah”.Spesso sottomesse, private dei loro diritti fondamentali e in molte realtà vere e proprie cittadine di serie B, esse hanno deciso di ritagliarsi un ruolo attivo negli accadimenti che stanno scuotendo il mondo arabo, decidendo di essere ancora una volta protagoniste del proprio destino. A tale proposito, c’è da dire che negli ultimi anni si è parlato spesso difemminismo islamico anche se queste donne preferiscono essere definite semplicemente impegnate nella lotta per i diritti civili, rivendicando la legittimità di una lotta di emancipazione e liberazione femminile secondo canoni non occidentali.

Si tratta di quelle stesse donne definite come “ pezzo di mobilio nel mondo arabo” daGheddafi  nel corso dell’ incontro nel giugno 2009 con 700 donne italiane all’Auditorium Parco della Musica di Roma, sotto lo sguardo impassibile di Mara Carfagna, Ministro per le Pari Opportunità. Fenomeno articolato e complesso, in alcuni paesi la sua storia è antica e parallela a quella del mondo occidentale, italiano in particolare.

Algeria, Egitto e Tunisia ne sono gli esempi principali. Un risultato lo hanno già ottenuto. In Arabia Saudita, stando a quanto riportano autorevoli fonti giornalistiche, re Abdullah avrebbe deciso di concedere il voto anche alle donne, anche se le stesse, almeno per il momento, non potranno essere eleggibili a cariche pubbliche. Ma si può davvero parlare di un fenomeno concreto o è semplicemente una moda occidentale come ha sostenuto Giuliana Sgrena, che ha parlato del femminismo islamico come di un ossimoro, alimentando dubbi sulla compatibilità dello stesso non solo con l’Islam ma con tutte le religioni monoteistiche?

“La cosa positiva del fenomeno risiede nel fatto che è una forma alternativa di femminismo propria delle donne musulmane del XXI secolo”, ci spiega Lucia Kawthar Rallo, redattrice di Islam – online e profonda conoscitrice del fenomeno e della realtà tunisina in particolare. Testimone diretta della nascita del Gierfi, ovvero il “Gruppo Internazionale di studio e di riflessione sulla donna nell’Islam”, ci aiuta a capirne la vera essenza.

“Il femminismo islamico rappresenta una forma alternativa di femminismo, che parte dall’interpretazione in senso non maschilista dei versetti del Corano e degli ahadith (i detti del Profeta) riguardanti la donna, rivendicando anche un diritto all’interpretazione dei Testi Sacri da parte femminile. Tra femminismo occidentale e quello islamico vi sono diversi punti in comune; ciò che diverge è la fede di fondo che caratterizza quest’ultimo. Il GIERFI, l’associazione di femministe islamiche con cui sono venuta a contatto in Marocco, si inserisce infatti all’interno di un “movimento femminista globale” che lotta contro ogni discriminazione femminile e che ha come obiettivo il miglioramento della condizione socioculturale della donne. La cosa certa è che si tratta di una discussione che va oltre l’aspetto prettamente religioso e che si concentra sui diritti universali ed inalienabili della donna che vanno difesi e che sono gli stessi per qualsiasi donna nel mondo. Le donne del GIERFI accolgono dunque la denominazione di “femministe”nonostante la forte connotazione negativa che tale termine veicola nell’immaginario musulmano e talvolta anche occidentale, a causa del fatto che alcuni movimenti femministi hanno sviluppato degli orientamenti ostili nei confronti degli uomini e della nozione di famiglia. Molte donne musulmane rifiutano per questa ragione il termine “femminismo”, ma ne utilizzano comunque analisi e strategie”.

- Qual è il contributo che le donne possono dare alla soluzione delle crisi in atto?

“Innanzitutto comincerei col dire che bisognerebbe smettere di screditare le attuali rivoluzioni dei popoli arabi richiamando lo spauracchio del fondamentalismo islamico. Questi movimenti non hanno nulla che vedere col fondamentalismo, ma costituiscono delle rivolte pacifiche e spontanee, create come si sa in particolare dalla gioventù, oppressa dalla mancanza di diritti umani e frustrata dalla mancanza di prospettive e di un futuro. In questo contesto le donne musulmane praticanti e non intendono prendere la palla al balzo per reclamare diritti che non gli sono mai stati riconosciuti. Nel caso della Tunisia, che conosco perché vi ho vissuto per un paio d’anni, le donne musulmane faranno di sicuro sentire la propria voce contro la politica di laicizzazione forzata perpetrata dal regime di Ben Ali, il quale propugnava l’idea di una donna tunisina “liberata” sul modello occidentale e al tempo stesso soffocava qualsiasi manifestazione della propria fede religiosa (malgrado l’Islam sia riconosciuto dal Art. 1 della Costituzione tunisina come religione di Stato). Basti visitare siti come quello di Amnesty International per capire le terribili violenze fisiche e psicologiche perpetrate dalla polizia tunisina contro le donne che indossavano il velo. Seguendo quotidianamente al-Arabiya o al-Jazeera ci si rende conto del numero di donne velate e non, presenti all’interno delle manifestazioni. Io credo che queste donne non rimarranno più silenti e che daranno vita ad una rivoluzione delle mentalità che lascerà a bocca aperta i più scettici osservatori. Non dimentichiamo che si tratta molto spesso di donne dalle grandi professionalità e con un elevato livello d’istruzione, capaci di far sentire il loro peso all’interno della società e nella formazione delle coscienze civili”.

- Come si è avvicinata al femminismo islamico?

“Mi sono avvicinata al femminismo islamico imbattendomi per caso, durante il mio soggiorno a Rabat nell’aprile-maggio 2008, nel libro di Asma’ Lamrabet “Le Coran et les femmes, une lecture de liberation”(Il Corano e le donne, una lettura di liberazione). Ero alla ricerca dell’argomento per la mia tesi di laurea specialistica. Chiesi all’autrice un’intervista e lei m’invitò a seguire una riunione del suo “Circolo di Riflessione e di Ricerca sulla questione della donna”. Vi incontrai donne dalle più svariate professioni e formazioni, medici, avvocatesse, ingegnere, esperte d’informatica, impegnate nel sociale, tutte con un alto livello d’istruzione. Si trattava di donne praticanti e non, velate e non velate, insieme per riflettere su una corretta interpretazione dei versetti coranici e degli “ahadith” riguardanti la donna. Ogni riunione si concentrava su uno o più versetti coranici concernenti il sesso femminile. La discussione si basava sullo scambio dei dati e delle ricerche che ogni donna aveva preparato riguardo i versetti in esame. Rimasi abbagliata dalle meravigliose scoperte che feci quel giorno, era un campo a me sconosciuto, decisi di dedicarmi a quell’argomento con tutta l’anima”.

- Quali sono i principi ispiratori ed i tratti caratterizzanti di questa corrente di pensiero?

“Il femminismo islamico intende distaccarsi da un femminismo occidentale di natura laica, che utilizzerebbe un linguaggio privo di spiritualità in cui le donne musulmane non si riconoscerebbero, un linguaggio che si distaccherebbe dalla memoria e dal contesto socioculturale di queste donne, ma anche da un tipo di discorso islamico ufficiale sulla donna musulmana riduttivo, infantilizzante e a volte vuoto nella sua stessa essenza. Si tratta di un discorso che, tendendo giustamente a mettere l’accento sulla dignità e sui diritti che l’Islam ha garantito alle donne, resta però nell’ordine della teoria; un discorso di carattere eccessivamente “normativo”, che guarda cioè alla donna solamente in funzione dei suoi ruoli sociali di figlia, moglie e madre, e che non considera la donna nella complessità della sua identità e della sua essenza. Per non parlare del maschilismo e delle discriminazioni diffuse ancora oggi non solo in terra d’Islam ma anche in Occidente, tutto ciò ha portato femministe islamiche di origini diverse ad unirsi per non tacere più dinanzi alle numerose questioni teologiche e giuridiche che si pongono dinanzi alle donne musulmane del XXI secolo. Il GIERFI rivendica una liberazione della donna ispirandosi al contesto spirituale della nascita dell’Islam, iscrivendola al tempo stesso in un processo di evoluzione della giurisprudenza islamica e delle sue fonti, attraverso la riapertura delle porte dell’”ijtihad”(lo sforzo di riflessione personale su questioni di diritto islamico allorché tutte le altre fonti del diritto rimangono silenti), e alla luce dei “maqasid al-sharia”, ovvero degli obiettivi supremi del Legislatore Divino. Le prime musulmane della storia erano donne che non temevano di esprimere le loro opinioni e la propria opposizione al Califfo, donne che partecipavano alle riunioni della comunità musulmana insieme agli uomini e che con essi dibattevano sugli affari pubblici, donne a cui il Profeta stesso chiedeva consigli in materia di politica e di diplomazia. Tale figura di donna musulmana dell’epoca della Rivelazione attestata storicamente è, nella visione del GIERFI,in totale accordo con l’immagine di donna descritta nel Corano. Il GIERFI intende incoraggiare la donna musulmana a rivendicare il suo diritto a partecipare alla riflessione sulla sua religione e sui valori della società in cui vive, mettere in luce le interpretazioni maschiliste e patriarcali che si sono fatte nel corso della storia dei testi sacri dell’Islam e far valere i diritti che l’Islam ha, attraverso il Corano e l’esempio del Profeta Muhammad, conferito alle donne, al fine di promuovere l’uguaglianza tra i generi, elaborare una nuova concezione della donna e dar vita alla fine ad una vera e propria riforma di fondo della giurisprudenza islamica. Uno dei punti fondamentali è quello di promuovere un’emancipazione femminile islamica che possa conciliare fede e modernità, senza mai tradire i principi del proprio credo”.

- Com’è nato il Gierfi?

E’ stato fondato nel settembre 2008 con una conferenza tenutasi a Barcellona, città scelta come sede dell’associazione. L’attività del “Circolo di Riflessione e di Ricerca sulla questione della donna” di Asma’ Lamrabet, si concretizzò così in un’associazione di carattere internazionale, confrontandosi col pensiero ed il lavoro di femministe musulmane di differenti nazionalità, provenienti dal Nord Africa, dal Medio Oriente, dall’Europa ed dall’America del Nord.

- In cosa si sostanzia l’attività dell’associazione?

“Bisogna dire che il campo d’azione del GIERFI è molto vasto, i suoi obiettivi sono numerosi e si vanno concretizzando con la costanza e l’impegno dei suoi membri, in particolare della presidentessa Asma’ Lamrabet, della portavoce del gruppo Malika Hamidi (nonché direttrice generale del European Muslim Network) e del suo Comitato Scientifico Internazionale. Vi sono chiaramente degli obiettivi teorici e degli obiettivi pratici. Tra i primi possiamo annoverare la promozione di una nuova coscienza femminile musulmana; contestare attraverso l’analisi dei Testi Sacri l’idea fortemente diffusa secondo cui l’ineguaglianza tra i sessi e il sistema sociale patriarcale siano inerenti al Corano ed alla Sunna; mettere in luce le interpretazioni maschiliste dei Testi Sacri dell’Islam e far valere i diritti che l’Islam conferisce alle donne; scardinare l’idea secondo cui il sapere religioso islamico sarebbe unicamente appannaggio maschile. Tra gli obiettivi pratici posso invece citare la denuncia delle discriminazioni in corso in terra d’Islam e in Occidente nei confronti delle donne, quali i matrimoni imposti, l’obbedienza incondizionata al marito, le mutilazioni genitali, il ripudio, ecc; la creazione di ateliers di giurisprudenza islamica per far luce su tali discriminazioni e far conoscere alle donne musulmane i loro diritti”.

Da Agenzia radicale, di Nuccio Franco

 



Domenica 13 Marzo,2011 Ore: 17:25
 
 
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