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www.ildialogo.org Per la nascita di una cultura musicale islamica europea.<br>L’esperienza di una giovane musulmana italiana,di LUCIA KAWTHAR RALLO

Per la nascita di una cultura musicale islamica europea.
L’esperienza di una giovane musulmana italiana

di LUCIA KAWTHAR RALLO

dic 27th, 2010 | Dal sito

www.islam-online.it

L’idea della nascita di un cultura artistica islamica europea, espressa fortemente nelle conferenze e nei libri del prof. Tariq Ramadan, ha toccato profondamente il mio cuore di musulmana italiana convertita di 27 anni, cresciuta a suon di canto e musica sin dal ventre materno. Sono convertita all’Islam da quattro anni al-hamdulillah. E la musica ha avuto un ruolo fondamentale nella mia conversione. Basti pensare che mia madre sostenne l’esame finale per il diploma in canto lirico mentre era incinta di me. Già all’età di tre anni andavo pazza per Stravinskij e Ciajkovskij. Di imparare a suonare uno strumento proprio non ne volevo sapere niente, invece sin dall’asilo fui sempre affascinata dalla danza classica, cosa che ho praticato a livello di hobby fino ai sedici anni, e devo ammettere che se ancora oggi mi capita facendo zapping di imbattermi in un balletto, ne rimango profondamente attratta. Ricordo che sin dai tempi della scuola media adoravo ascoltare la musica gregoriana, barocca, Edward Grieg, Mussorgsky, Chopin, Albinoni, Schubert, eccetera eccetera. Poi cominciai ad esser educata all’ascolto di una musica classica più contemporanea, ovvero alle colonne sonore dei film del grande cinema hollywoodiano, da La mia Africa del grande compositore John Barry a Colazione da Tiffany di Henry Mancini, fino ad arrivare a quella indimenticabile musica del film Mission del nostro Ennio Morricone, musiche che non possono mai mancare nel mio cellulare, insieme al mio Corano, alle varie dua’, alle canzoni religiose di Sami Yusuf e di Yusuf Islam e alle varie registrazioni di conferenze islamiche, che mi tengono compagnia quotidianamente nel mio tragitto dal luogo di lavoro a casa.

Poi arrivarono i viaggi, dapprima quello in Palestina e Giordania con i miei genitori, quando avevo solo sedici anni, che cambiò definitivamente il corso della mia vita. La vista delle moschee e l’ascolto dell’adhan (l’appello alla preghiera) lasciarono il mio cuore e la mia anima così segnati, da portarmi a decidere di dedicare i miei studi universitari proprio all’arabo. La trovavo una lingua così musicale. In seguito giunsero i viaggi estivi in Tunisia per lo studio dell’arabo e con loro la bellissima scoperta della musica araba. Fu attraverso la scuola d’arabo che frequentavo che scoprii i primi nomi di cantanti arabi. Ricordo che ai primi livelli ci facevano ascoltare soprattutto Kadhim al-Saher e Majda al-Rumi, per la loro ottima pronuncia e perché avevano delle canzoni in puro arabo classico, senza alcuna influenza dialettale. Si trattava soprattutto di canzoni d’amore sdolcinate, che spesso riprendevano delle poesie del grande poeta siriano Nizar Qabbani, il “poeta delle donne”. E così ogni estate prima di tornare a casa facevo la scorta di cassette di musica araba che avrei ascoltato per tutto l’inverno. Fino a quando un’estate non scoprii il talento della grande libanese Fairouz, alla quale dedicai anche la mia tesi di laurea triennale. Con Fairouz i miei gusti musicali cambiarono: non solo con lei il mio orecchio si abituò definitivamente ai suoni dalla musica araba (quei suoni e quelle melodie da noi occidentali considerati alquanto “stonati” perché derivanti da una scala musicale diversa dalla nostra), ma cominciavo anche a capire meglio l’arabo e il contenuto di quelle canzoni. In effetti il motivo per cui Fairouz è sempre stata così amata da tutto il pubblico arabo, indipendentemente dalla sua fede religiosa, è il fatto che nei suoi brani elogia e mette d’accordo tutte le religioni monoteiste. Ancora oggi amo le sue canzoni ed amo cantarle a mia figlia. Devo ammettere che devo tanto a Fairouz, le devo tanto perché rappresentò l’ultimo passo prima della meravigliosa scoperta della bellezza musicale del Corano. Non potrò mai dimenticare il giorno in cui il mio maestro d’arabo ci chiese se qualcuno in classe conoscesse la sura al-Qadr, la sura del Destino. Alcuni convertiti risposero di si. Lui la recitò, con calma, dolcemente, scandendo tutte le lettere per bene, e io ne rimasi come abbagliata, emozionata. Così tornai a casa e imparai subito quella sura a memoria. Era per me quella una musica troppo bella da essere trascurata. Dovevo approfondirne la sua conoscenza. Fu quello il mio punto di partenza della scoperta del Corano e del suo tartīl.

Quello del rapporto tra Islam e musica è un tema che mi ha appassionato non poco, soprattutto dal momento in cui scoprii che vi erano dei musulmani che non ascoltavano musica, ritenendola illecita, e che numerose sorelle e fratelli avevano delle idee non poco confuse in questo senso. Tutto ciò ha scosso il mio cuore di musulmana italiana convertita. Ho cercato allora delle riposte. Sulla liceità o meno della musica sono stati spesi fiumi d’inchiostro nel corso dei secoli dai vari ulema’, senza mai arrivare ad una conclusione definitiva. Alcuni appoggiandosi su certi versetti o ahādīth e sul parere di riconosciuti esperti quali Ibn al-Qayyim al-Jawziyya, Ibn Baz o al-Albani ritengono la musica sia illecita. Altri, interpretando in maniera diversa quegli stessi versetti o ahādīth, o appoggiandosi su altri riferimenti autentici e su altri ulema’ quali Ibn Hazm, al-Ghazalī o il contemporaneo al-Qardawī, ritengono che la musica sia lecita qualora vengano rispettate talune condizioni, e in particolare se il suo contenuto è in accordo con i principi dell’etica islamica. Come afferma Tariq Ramadan nel suo Un chemin, une vision, la cosa più saggia è ovviamente riconoscere la pluralità legittima delle opinioni. Coloro che decideranno di non ascoltare la musica o il canto saranno rispettati, coloro che sceglieranno la strada opposta senza dimenticare le condizioni fondamentali dovranno ugualmente essere riconosciuti dalla loro comunità. I primi non sono più credenti dei secondi. Entrambe le opinioni sono islamicamente riconosciute e ciò impone a ciascuno di noi il rispetto silenzioso della scelta della propria sorella o del proprio fratello, fin tanto ch’essi non cerchino d’imporre la propria scelta all’altro con la pretesa che la sua sia l’unica scelta buona, l’unica “islamica”1. “Bisogna cercare di ricordare, e di ricordarsi, che la diversità dei pareri giuridici è sempre esistita nell’Islam e che la vera fraternità si misura nella degna accettazione di queste differenze, e non nell’imposizione di un’uniformità che non è mai esistita … neppure tra i compagni del Profeta (pbsl)”.2

LUCIA KAWTHAR RALLO

1 Tariq Ramadan, Un chemin, une vision. Etre les sujets de notre histoire, édition Tawhid, 2008, pp.90-92

2Op . cit. pag.92.



Sabato 22 Gennaio,2011 Ore: 18:32
 
 
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