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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Parole di donne,di Patrizia Khadija Dal Monte

Parole di donne

di Patrizia Khadija Dal Monte

Bismillah, Ar-rahmâni, ar-Rahîm
… Eppure le donne sono state sempre là con i loro grembi fecondi a mandare avanti la vita... mani operose che l'hanno intessuta, bagliori di bellezza che l'hanno illuminata, intelligenza imprigionata da cumuli di cose da fare e pregiudizi da sfatare...
Ad ascoltare le testimonianze storiche sulla posizione della donna nelle diverse civiltà antiche, pare levarsi un unico lamento di dolore soffocato da troppi silenzi: là dove ci si gira si possono scorgere, discriminazioni e di più: crudeltà e ignoranza... Il poeta cinese Fuchwan descrive così la donna cinese: “Che disgrazia, è il destino della donna, niente al mondo è meno vile d’ella. I figli sono in piedi addossati alle porte, Come degli dei caduti dal cielo. I loro cuori lanciano una sfida ai quattro mari, Ai venti, alle terre e alle migliaia di chilometri. Ma la figlia, nessuno si rallegra della sua nascita. La famiglia non realizza nessun guadagno con essa, quando cresce, si nasconde nella sua camera, nessuno la piange se sparisce dalla sua casa, repentinamente, come una nuvola che si scioglie dopo la pioggia.          Si morde le labbra, si curva e s’inchina e spesso manca di fierezza.”        
Anche nella religione induista (periodo vedico) troviamo un giudizio molto severo. “Quando Manu le ha create, ha donato loro l’amore del letto e dei gioielli. Le ha dotate di desideri carnali e di collera, della capacità di tradimento e di dissolutezza. Non ci sono dubbi che furono create sudice e bugiarde.”
Ma anche nella grande civiltà greca troviamo che grandi filosofi come Aristotele sostengono la pretesa inferiorità viscerale della donna: “La natura non ha dotato la donna di alcuna disposizione intellettuale su cui si possa fare affidamento. Per questo la sua educazione si dovrebbe limitare all’economia domestica, alla maternità, all’educazione dei bambini, ecc.” Quindi, dopo aver negato alla donna le sue qualità naturali, continua quest’oscuro ragionamento filosofico, considerando la donna come minore e incapace di gestirsi:“Tre persone non hanno la facoltà di disporre di se stesse: lo schiavo, che è sprovvisto di volontà ; il bambino, la cui volontà è immatura ; e la donna, dotata di una volontà, ma colpita da incapacità.”
Dovunque nel mondo, e anche là in terra d'Arabia, dove scese l'ultima rivelazione. Come ebbe a dire 'Umar Ibn Al Khattâb, parlando della propria cultura di origine: “In nome di Dio, noi vivevamo all’epoca preislamica (jâhiliya) senza accordare alcun credito alle donne, finché Dio fece scendere dei comandamenti che riconobbero loro dei diritti.”
Sappiamo infatti, come a partire dallo loro nascita le figlie femmine, erano talmente disprezzate nella cultura pre-islamica che a volte venivano, sepolte vive alla nascita. Il Corano ha chiaramente denunciato questo terribile costume: “Quando si annuncia a uno di loro la nascita di una figlia, il suo volto si adombra e soffoca (in sé la sua ira). Sfugge alla gente, per via della disgrazia che gli è stata annunciata: deve tenerla nonostante la vergogna o seppellirla nella polvere? Quant’è orribile il loro modo di giudicare.” (XVI, 58-59)      
Così in campo matrimoniale esistevano diverse forme di matrimonio, che troviamo ricordate in un hadith di ‘Aicha, la rivelazione coranica farà sua la forma più rispettosa della donna:
“Le forme di matrimonio adottate nell’epoca pre-islamica (jâhiliya), erano secondo ‘Aicha, sposa del Profeta, quattro: un matrimonio concluso nel modo da noi conosciuto ai nostri giorni, vale a dire una domanda di matrimonio al tutore della ragazza, con il suo consenso e la dote.Un’altra forma consistente nel dire alla moglie, alla fine del periodo mestruale: “Aggrappati al tale e fa commercio carnale della tua persona con lui.” Quando ciò si realizzava e la donna diventava incinta, suo marito la riprendeva con sé, se voleva. Questa forma di matrimonio, permetteva di avere dei bambini, specie nel caso di sterilità . Una terza variante, era molto strana: un gruppo di uomini, il cui numero non superava la decina, si radunava presso una donna e ciascuno di loro si coricava con lei. Una volta incinta, aspettava fino al parto e pochi giorni dopo, lo faceva sapere a tutto il gruppo, che di nuovo si riuniva presso di lei: “Ciascuno di voi sa bene ciò che è successo. Ebbene questo bambino è tuo o è del tal dei tali” diceva la donna, indicando colui che aveva scelto, e il bambino era così riconosciuto da quell’uomo,che non poteva rifiutarsi, per rispetto alla tradizione. Infine, l’ultima forma era identica alla prostituzione. Delle piccole bandierine sulle porte, permettevano di riconoscere queste case di prostituzione. Se una donna rimaneva incinta e partoriva, i clienti abituali venivano riuniti e uno di loro era designato ad assumere la paternità. Quando l’Islam fece la sua comparsa, le forme licenziose furono abolite a profitto della prima.”
 
E' bene sottolineare come il matrimonio islamico esiga il rispetto della volontà della donna espresso nel consenso, come confermano le parole di 'Aicha in questo hadith. Ciò può sembrare naturale, ma in realtà il problema dei matrimoni imposti, non è ancora superato nel mondo attuale in comunità a forte impronta patriarcale, musulmane e non... Pertanto esistono, per quanto riguarda l'islam, dei testi chiari che mettono in evidenza la libertà della donna di decidere chi sposare... Ecco, ad esempio, la storia di Barira, una schiava di 'Aicha, da lei poi affrancata. Barira era sposata ad un giovane uomo di nome Mughit che ella non aveva mai amato. Liberandola dalla sua schiavitù, il profeta le lasciò la scelta tra continuare la vita in comune col suo sposo e divorziare. Ella scelse di separarsi da colui che le era stato imposto suo malgrado, essendo schiava, ma Mughit era ancora perdutamente innamorato di Barira e la tradizione racconta come la seguisse dappertutto, la barba inondata dalle lacrime che non riusciva a frenare. Il Profeta, commosso da questa scena, domandò a Al-Abbas che era con lui : “Non sei stupito anche tu dell’amore di Mughit per Barira e dell’odio di lei per lui ? “. Al Abbas gli propose allora di cercare di riconciliarli. E’ ciò che fece il Profeta, che domandò a Barira : « Perché non riprendi la vita in comune con Mughit ? ». Ella rispose: « E’ un ordine da parte tua, o Profeta ? ». « Sono qui solo per intercedere in suo favore… » – rispose lui. Allora Barira rispose : « Se è così, no, non lo voglio più ». Il Profeta non si permise di obbligare la donna a sposare qualcuno che non voleva... davanti a lui, si poteva dire no, non lo voglio. Un altro esempio che va nello stesso senso è quello contenuto in un hadith che riporta la vicenda di “una giovane recatesi dal Profeta per lamentarsi del fatto che il padre l’avesse sposata senza chiederle il suo parere ad un cugino. Il Profeta allora le lasciò la scelta di separasi dal marito, se tale fosse stato il suo desiderio. Ella rispose in questo modo : « Io alla fine ho accettato questo matrimonio, ma sono venuta a lamentarmi da te, per dimostrare alle donne che i nostri padri non debbono prendere le decisioni al posto nostro. »
Così nel periodo ante-islamico c'era la possibilità di ripudiare la moglie senza alcun limite. Ricorda Al Qurtubî che al tempo del Profeta (*), un uomo diceva alla sua sposa: “Io ti ripudio e quando il periodo d’abbandono finirà, io ti riprenderò; tu non sarai mai ripresa definitivamente, e allo stesso tempo tu non sarai mai libera.” Una donna così trattata, andò a lamentarsi di ciò con 'Aicha, moglie del Messaggero di Dio, che ne informò il Profeta. Questi ricevette allora, la rivelazione di questo versetto, che limiterà la possibilità di divorzio:
Si può divorziare due volte. Dopo di che, trattenetele convenientemente o rimandatele con bontà (…)” (II,229)
Nell’eredità poi le donne non avevano alcun diritto, solo gli uomini ereditavano, con il pretesto di essere loro a proteggere la tribù. “La maggior parte degli esegeti classici riporta che il versetto fu rivelato quando una donna si recò dal Profeta per lagnarsi del fatto che, dopo la morte del marito, il fratello di quest’ultimo era andato da lei e dalle sue due figlie, per riprendersi tutti i beni. Infatti, prima dell’avvento dell’islam, gli arabi non riconoscevano alcun diritto all’eredità, né alle donne né ai bambini.   La rivelazione di questo versetto – e degli altri concernenti l’eredità – provocò una grande reazione nella comunità dell’epoca che non arrivava a concepire come le donne e i bambini potessero avere tale diritto !.. I giuristi musulmani hanno chiarito che nel Corano, le leggi dell’eredità dipendono da 2 fattori: il grado di parentela del successore con la persona defunta e dalla responsabilità finanziaria che incombe all’ereditare nei confronti degli altri membri della famiglia. E’ così che sono possibili diverse forme di eredità riportate nel Corano, nelle quali le donne ereditano più di un uomo (in più di dieci casi), dei casi in cui la donna eredita e l’uomo no, e diversi casi in cui la donna eredita una parte uguale a quella dell’uomo[1] ! Se un uomo muore lasciando una figlia e i propri genitori. Secondo la legge islamica, è la figlia che avrà la parte più importante poiché le spetta la metà dell’eredità mentre i genitori avranno ciascuno un sesto. Il padre del defunto ha dunque meno della figlia e uguale a quella della sposa. Nel Corano, il genere dunque non è sempre preso in considerazione in campo ereditario, salvo nel caso in cui la responsabilità finanziaria è importante e ricade interamente sull’uomo, come nel caso del versetto in cui il fratello eredita il doppio della sorella. Infatti, secondo i principi coranici e la situazione dell’epoca, gli uomini sono chiamati a sovvenire ai bisogni delle loro famiglie, donne, bambini, e anziani compresi. Il Corano ha insistito su questo obbligo per gli uomini di assumersi il sostentamento delle donne – siano esse ricche o povere – in diversi versetti”[2].
Peggio ancora nella società pre-islamica la stessa vedova era considerata come parte dell’eredità, come fosse un oggetto: “Quando uno di loro moriva, i suoi ereditieri s’arrogavano dei diritti sulla sua donna: o uno di loro la prendeva in sposa, o veniva fatta sposare con uno straniero alla famiglia, o ancora le si rifiutava la possibilità di risposarsi. I parenti della vedova, in questo caso non avevano né il diritto, né i mezzi di intervenire a suo favore.” Per questo il versetto coranico recita: “O voi che credete, non vi è lecito ereditare delle mogli contro la loro volontà. Non trattale con durezza nell’intento di riprendervi parte di quello che avevate donato (…) (IV,19)
 Anche qui possiamo notare come il Corano evidenzi la nozione di volontà personale della donna che nessuno si può permettere di usurpare. Possiamo notare anche un'altra cosa in questi versetti: essi si presentano strettamente legati ai problemi che si presentavano in quel tempo, per questo vengono chiamati congiunturali, rispondono cioè ad una situazione concreta. Questa è una distinzione importante legata alla discussione circa l'evoluzione di alcuni elementi di essi.
Nel Corano troviamo anche versetti che esprimono dei principi generali, tra questi quelli che parlano dell'uguaglianza creaturale tra uomo e donna:
 "O gente! Temete Iddio che vi creò da un'unica nafs. Ne creò il (la) suo (sua) zawj e trasse da quei due uomini e donne in gran numero..." (IV,1)
“Egli Colui che ha creato i due generi, il maschio e la femmina.” ( Corano LIII/45)
 Uomo e donna secondo i racconti della creazione sono parte di un’unica nafs, (anima, persona) che all’inizio contiene sia il maschile che il femminile, prima viene l'uguaglianza, la diversità si situa all'interno dell'uguaglianza... “ L’umanità sarebbe dunque stata creata da questa « entità primaria » o « verità primaria », come l’ha definita l’Imam Muhammad 'Abdû, che per la sua originale interpretazione si distingue dal resto dei commentatori classici. In realtà l’Imam’Abdû riporta due versioni molto simili su questa nafs wâhida. La prima afferma che questa entità primordiale inglobi i due sessi, maschio e femmina e si evolva, in un secondo tempo, per dar luogo ai due congiunti e poi da loro a tutti gli uomini e tutte le donne. L’altra versione, invece, riflette sul fatto che niente nel Corano impedisce di pensare che questa nafs primordiale sia di essenza femminile, ciò che secondo lui, lascia supporre il termine nafs che è al femminile, mentre zawj – che è al maschile – sottintenderebbe lo sposo, poiché in un altro versetto è detto « affinché (egli) (zawjaha: il suo sposo) riposasse presso di lei (nafs) ». L’imam Abdu giustifica da questo il nome stesso della sura, che si apre con il versetto citato, come « An- Nisa » ovvero « Le Donne». Ecco un bell’ esempio di interpretazione femminile…”[3]
Molti sono i versetti che affermano come maschio e femmina sia fatti della stessa sostanza, non esiste nel Corano nessuna affermazione che possa supportare una concezione di inferiorità sul piano dell'essere. In verità, il Corano dice chiaramente che se esiste una superiorità, questa è solo sulla base della fede:
 "Oh umani, vi abbiamo creato da un'unica coppia di uomo e donna, abbiamo fatto di voi poi tribù e nazioni in modo che possiate conoscervi l'un l'altro (non disprezzarvi l'un l'altro). Il più grande fra di voi agli occhi di Dio è colui che è più giusto (colui che maggiormente pratica taqwa, devozione).”
Poiché creature della stessa natura, sono responsabili egualmente dei loro atti:
 “Chi farà un male, subirà una sanzione corrispondente, mentre chi fa il bene, essendo credente, maschio o femmina, sarà fra coloro che entreranno nel Giardino in cui riceveranno di ogni cosa a profusione.” (XL,40)
Anche la responsabilità del peccato delle origini nel Corano non viene attribuita alla donna. Il Corano parla al plurale e questo è importante perché molto dell'atteggiamento tradizionale cristiano anti-femminile si è costruito sull'ipotesi biblica che sia stata la donna a trascinare nel peccato Adamo. “E dicemmo: “O Adamo abita il Paradiso, tu e la tua sposa. Saziatevene ovunque a vostro piacere, ma non avvicinatateli a quest’ albero ché in tale caso sareste tra gli empi”.(II,35)“(…) Li richiamò il loro Signore: “Non vi avevo vietato quell’ albero? (…) ( VII,22)
 
La donna impari in silenzio, con perfetta sottomissione. Non permetto alla donna d' insegnare, né di dominare sull'uomo, ma che stia in silenzio. Per primo infatti è stato formato Adamo e quindi Eva. Inoltre, non fu Adamo ad essere sedotto; la donna, invece, fu sedotta e cadde nel peccato. Tuttavia essa si salverà mediante la generazione dei figli, a condizione però di perseverare nella fede, nella carità e nella santità, con saggezza.” (Bibbia, Tm 2,11-15)
 
Su questa responsabilità individuale dell’essere umano, uomo e donna che sia, è indispensabile riflettere, perché spesso tradizioni a impronta maschilista l'hanno molto assottigliata per quanto riguarda le donne, fino a farle sembrare bambine a vita. Anche nell'agire profetico troviamo esempi di come le donne erano rispettate come esseri “adulti e consapevoli”, ad esempio nelle Bay'a. Le mubayiat sono le donne che compirono la Bay'a. “Esse furono numerose, durante tutto il periodo della rivelazione, a prestare « giuramento di allenza » al Profeta, in veste di dirigente della comunità musulmana dell’epoca. La storia islamica riporta diverse testimonianze di questo atto di bay‘a tra il Profeta e i credenti, uomini e donne di differenti regioni e tribù e ciò in diversi momenti dell’epoca della rivelazione. Sembra, secondo un recente studio, che ci siano stati almeno cinque grandi avvenimenti di questo tipo, a cui le donne parteciparono ricordando però che la lista non è completa perché non tiene conto dei casi in cui il Profeta (*), in circostanze particolari, fece prestare giuramento a donne convertite all’islam da poco. Ci fu, nei primi anni della rivelazione, precedentemente alla prima hijra, una primissima bay‘a alla Mecca, in presenza di quattordici donne. Siccome era l’inizio della missione profetica, il patto riguardò essenzialmente l’attestazione di fede e la fedeltà ai principi spirituali e a ciò che ne derivava riguardo alla morale e l’etica di vita. Poi c’è stata la bay‘a al-‘Aqaba, che si è svolta in più tappe, ed è nella seconda che troviamo citate due donne, Nusayyba bint Kâ‘b soprannominata Umm ‘Amâra e Asmâ bint ‘Amr trai settantatre uomini che prestarono giuramento. Le condizioni nelle quali si svolse questa bay‘a al-‘Aqaba furono molto difficili poiché la missione del Profeta era ancora clandestina e l’accanimento del clan dei Quraysh era al culmine. A causa di ciò il Profeta (*) impose in questo patto delle clausole più severe ed esigenti in linea col contesto bellico del momento. Il Profeta(*) infatti chiese ai musulmani presenti di ingaggiarsi al suo fianco nella lotta armata contro i nemici, di garantirgli protezione e assistenza e di giurargli fedeltà quali fossero stati i sacrifici e le privazioni che ne fossero derivate. C’è dunque motivo di affermare che le donne parteciparono in modo attivo alla maggior parte delle cerimonie di alleanza, e questo anche quando si trattò di stipulare un patto riguardante la lotta armata, la resistenza e l’assistenza fisica e materiale al Profeta e alla sua nobile causa...”[4]
A proposito delle donne – Mubayiates , il Corano dà alcune direttive che le concernono nel versetto seguente : « O Profeta, quando vengono a te le credenti a stringere il patto, [giurando] che non assoceranno ad Allah alcunché, che non ruberanno, che non fornicheranno, che non uccideranno i loro figli, che non commetteranno infamie con le loro mani o con i loro piedi e che non ti disobbediranno in quel che è reputato conveniente, stringi il patto con loro e implora Allah di perdonarle. Allah è perdonatore, misericordioso.» (LX,12)
“Questo versetto è stato spesso citato come « referenza » a supporto della Bayâa delle donne, chiamata Bayâat annissâa e l’Imam An-Nawawi considera questa alleanza come la più importante legalmente – Al Bayâa asharyia... Le donne si mossero da sole per partecipare a quella iniziativa politica. Non furono obbligate a farlo e ancor meno di seguire i loro mariti, padri o gli altri parenti maschi. Numerosi racconti ci mostrano come delle donne si siano convertite all’insaputa del loro sposo e anche dell’intera tribù a cui appartenevano, e come siano state costrette a vivere il loro impegno per l’islam nei termini di una rivolta vera e propria verso la loro famiglia. Il Profeta (*) ha ricevuto queste mubâyi‘ât separatamente dagli uomini, sottolineando chiaramente in questo modo la loro indipendenza  religioso-politica... E’ stato, dunque, quello un atto doppiamente rivelatore della volontà del Profeta (*): ricevendole personalmente ha dato un esempio di  concretizzazione della partecipazione politica femminile, e inoltre ha mostrato che la loro libertà di scelta in quanto donne era altrettanto fondamentale... Sarebbe poi interessante soffermarsi sulla conclusione del versetto che è quella che sancisce l'accettazione da parte di quelle Mubayiat delle decisioni del Profeta,  « …e che non ti disobbediranno in quel che è reputato conveniente… (Ma'rûf) » Il concetto di Ma'rûf, designa, un concetto globale. Corrisponde a ciò che comunemente chiamiamo « il Bene comune», che fonda tutti i valori etici e ingloba ciò che è conforme alla morale e alla giustizia. In questo versetto, Dio, incita le donne partecipanti ad obbedire al Profeta ogni volta che lui ordinerà loro s’investir in questo Bene, solo garante dell’interesse generale. E’ interessante notare come Dio condizioni questa « obbedienza » unicamente al « Bene », anche se si trattava del Profeta conosciuto per la integrità morale senza macchia e che mai e poi mai avrebbe incitato a qualcosa d’immorale. Ciò ci dovrebbe far riflettere su coloro che, per esempio sostengono un dovere di « obbedienza » – Tâ'a – « incondizionata » della donna verso il marito e che la presentano come essendo un principio fondamentale e indiscutibile per ogni donna musulmana pia, «musulmana  come si deve » !... Descrivendo il rapporto tra i due coniugi, Dio utilizza a più riprese, nel Suo libro Sacro il termine « Tarâdî » che significa « comune accordo », e il termine « Tashâwur » ovvero consultazione. Il Corano, a questo riguardo, ci fornisce un esempio che riguarda lo svezzamento del neonato, che dovrà essere deciso di comune accordo dai coniugi. Sono questi due principi, Tashâwur e Tarâdî, consultazione e comune accordo, che, come il Corano stabilisce il Corano, fondano una relazione coniugale sana ed armoniosa ...La « Quiwâmah » o prcedenza degli uomini sulle donne, non è altro che una « obbligazione » richiesta, nell’ordine del – Taklîf – in vista di una implicazione finanziaria nel mantenimento del focolare domestico e non « onore » particolare – Tachrîf – accordato agli uomini... il termine di « Quiwâmah » è stato spesso tradotto impropriamente con « superiorità » e la lettura patriarcale lo ha edificato in « dispotismo » facendone un « privilegio sacro » dell’uomo musulmano... E’ interessante approfondire l’analogia tra questi due aspetti della Tâ'a o « obbedienza  » : quella della moglie al marito e quella del musulmano, donna o uomo, ad un dirigente politico ! ! ! Nel gergo islamico il termine Tâ'a resta principalmente e strettamente legato a questi due poteri, quello del marito e quello del dirigente politico.”[5]
 Ascoltiamo le parole delle donne di quel tempo, perché tutto comincia dalla parola... e dall'ascolto,  il rispetto dell'altro, e prima di tutto dell'essere femminile complementare all'uomo e quindi con una ha una sua originalità, passa prima di tutto per l'ascolto, troppi uomini pensano di sapere meglio e in anticipo non solo cosa pensano loro, ma anche cosa devono pensare le donne. Allah e il suo Profeta, al contrario ascoltano le rivendicazione delle donne.
Stupisce leggendo le fonti della religione islamica come tanti secoli fa le donne islamiche non contente di norme che proteggevano la loro posizione sentissero il bisogno di una maggiore uguaglianza, a cominciare da quella del linguaggio. Lo studio delle « circostanze della rivelazione » del Corano chiamato « as-sbab annuzûl » ci svela l’implicazione di alcune donne nel contesto della rivelazione, in diversi versetti coranici. Ad esempio troviamo la protesta di più donne perché la rivelazione formulata al maschile sembrava metterle in secondo piano. “La versione più conosciuta, quella trasmessa tra gli altri da At-Tabari e che concerne Umm Salama sposa del profeta. Secondo questa versione, Hind Bint Abî Umaya, più conosciuta con il nome di Umm Salama avrebbe detto un giorno al profeta : « Perché le donne non sono nominate nel Corano come gli uomini? » Nello stesso giorno, alla preghiera di Dohr, ecco che il profeta dall’alto del minbar annunciò : « O gente – yâ ayyuhâ an-nâs – ecco ciò che vi dice Dio nel Suo Corano… » Poi, espose loro il versetto che poi citiamo Secondo una variante sempre Umm Salama, avrebbe invece detto : « Perché gli uomini sono citati in tutte le occasioni e noi donne invece no ? ! » Ci sono diversi hadith che riportano il fatto designando donne diverse diverse. Nonostante queste divergenze tra i diversi sapienti circa l’autrice della rivendicazione femminile, è chiaro che il contenuto resta lo stesso nelle diverse versioni esistenti. Sono delle donne che hanno manifestato al Profeta il loro malcontento davanti ad un discorso coranico che – ai loro occhi – sembrava ignorarle ! ! Visto le molteplici fonti che riportano questo racconto è molto probabile che siano state numerose ad esprimere un tale risentimento… E’ certamente questo un discorso rivendicativo di tipo femminista…”[6]
Rivendicare gli stessi diritti degli uomini, anche se certo erano coscienti che la parola di Dio a volte intende sia uomini che donne: Umm Salama, Madre dei credenti, una delle donne più erudite dell'epoca, racconta che un giorno, mente la sua cameriera la pettinava, intese l’appello del profeta dall’alto del suo minbar « Ayyuhâ an-nâs » o « O gente ! » Ella si alzò subito per raggiungere l’assemblea ed ecco che la servitrice le fece notare che questo appello non concerneva le donne ! E Um Salâma le rispose : « Ma io faccio parte della gente! »
 ma esigevano di più, un riconoscimento proprio in buona e dovuta forma. Il Profeta (pbsl) davanti a ciò tace, non si riportano le sue parole, non dice ma che volete già avete molti diritti che prima non avevate, tace e aspetta la risposta da Dio. E Allah stesso risponde a questa rivendicazione femminile, con un versetto che specifica bene questa uguaglianza, che così recita: « In verità i musulmani e le musulmane, i credenti e le credenti, i devoti e le devote, i leali e le leali, i perseveranti e le perseveranti, i timorati e le timorate, quelli che fanno l'elemosina e quelle che fanno l'elemosina, i digiunatori e le digiunatrici, i casti e le caste, quelli che spesso ricordano Allah e quelle che spesso ricordano Allah, sono coloro per i quali Allah ha disposto perdono ed enorme ricompensa.» (XIII,35)
Le rivendicazioni femminili non si fermano al linguaggio, ma toccano anche una rigida divisione dei ruoli che nel pensiero tradizionale pare tanto dura a morire: Dalle parole di   Asma bint Yazîd:
« Sono la delegata delle donne presso di te Profeta. Iddio ti ha inviato a tutti gli uomini e a tutte le donne di questo mondo, noi abbiamo creduto in te e nel tuo Dio, ma le donne sono limitate dalla loro funzione e sono davvero impotenti. Confinate nelle loro case, oggetto del vostro desiderio, incinte dei vostri figli, mentre voi uomini siete favoriti rispet­to a noi, nelle vostre assemblee, nella vostra parte­cipazione sociale e politica, nel pellegrinaggio, e so­prattutto nel jihâd sulla via di Dio. Mentre noi donne tessiamo i vostri abiti ed educhiamo i vostri figli. Non potremmo condividere tutti questi bene­fici come quello del jihâd che sembra sia un vostro esclusivo diritto?» Il Profeta (pbsl) stupito dall'eloquenza di quella donna, si volse ai suoi Compagni:« Avete mai sentito un discorso che attesti la devo­zione di una donna alla sua religione migliore di questo?»« Certamente no, non avremmo mai creduto che una donna fosse in grado di tenere un simile discorso!» risposero i Compagni evidentemente sbalorditi dal dire di quella donna.”
 
 Il discorso di Asma è per certi versi molto attuale. Una donna prende la parola davanti al Profeta (pbsl) e alla comunità per denunciare qualcosa che sentiva come una discriminazione. Ma non parla solo per e stessa, è delegata, quindi rappresenta le esigenze di un certo numero di donne che la pensavano come lei. C'è necessità di organizzarsi per avere un peso. Essa si rende conto che se la rivelazione è rivolta ugualmente ad uomini e donne, deve portare uguaglianza tra coloro che credono. Asma sente la limitazione la forte distinzione tra ruoli femminili e maschili come una discriminazione... Vuole di più. Vuole più condivisione nell'azione sociale, proprio in nome della religione. Ora voglio far notare l'atteggiamento del Profeta, che per noi musulmani è il modello di comportamento. Come dice Dio nel Corano: “Voi avete nell’Apostolo di Allàh(*) il modello esemplare di comportamento, per chi spera in Allah e nell'Ultimo Giorno e ricorda Allah frequentemente.” ( XXXII)
 Il Profeta, pbsl, modello di ogni musulmano, non le dice tu hai già il tuo lavoro, bada alla casa e ai figli che al resto ci pensiamo noi... E poi perché parli così davanti a tutti, la voce delle donne è 'awra... I campi di battaglia sono per gli uomini e poi donne e uomini non si possono mischiare insieme... Invece no, non dice tutto questo, accoglie le sue esigenze e non solo, si rivolge ai compagni, che certo conosceva bene e dice loro: “Avete mai sentito un discorso che attesti la devo­zione di una donna alla sua religione migliore di questo?” ... i Compagni invece rimangono colpiti che una donna fosse in grado di tenere un discorso articolato... Gli uomini sono spesso stupiti dell'intelligenza delle donne... “Se al tempo del Profeta (pbsl) le donne avevano rivendicato quel diritto alla partecipazione ai com­battimenti affinché sopravvivesse il messaggio del­l'Islam, come si potrà vietare alle donne musulma­ne di oggi la rivendicazione del loro diritto alla partecipazione sociale e politica e di coinvolgersi nel vero jihâd della modernità?”[7]
C'è un altro versetto d che afferma la co-responsabilità politica di donne e uomini: «  I credenti e le credenti sono alleati gli uni degli altri – Ba'duhum awliyâu ba'd - Ordinano le buone consuetudini e proibiscono ciò che è riprovevole… » Ogni credente, uomo o donna deve lottare contro l’oppressione, fare del proprio meglio per assicurare la giustizia sociale e fare il modo che le ricchezze comuni siano ridistribuite in modo equo. E’ nella misura in cui una società sarà fedele a questo principio fondamentale dell’islam circa l’ordinare il bene e proibire il male, che essa potrà essere considerata come una società giusta…
Diceva il Profeta, pace e benedizione su di lui: “Certamente le donne sono le sorelle degli uomini, chi le onorerà è onorevole, chi le disprez­zerà è disprezzabile”. Di questa capacità di comprendere l'essere femminile da parte del Profeta, pbsl, e invece della più grande difficoltà di alcuni dei suoi compagni, più ancorati alle logiche culturali lo vediamo in questo hadith: 'Umar disse: “Un giorno andai dal Profeta e lo vidi sorridere. Che Dio ti faccia sempre sorridere, o Messaggero di Dio, gli dissi e gli chiesi come mai stesse sorridendo. Sorrido a queste donne, stavano chiacchierando di fronte a me prima che tu arrivassi. Quando hanno udito la tua voce, sono scomparse tutte, rispose, sorridendo ancora. All'ascoltare questa risposta, alzai la voce e dissi loro:”o nemiche di voi stesse, voi siete spaventate da me ma non siete spaventate dal Messaggero di Dio, e non gli mostrate rispetto; gli risposero: Sei duro di cuore e severo”. (Al-Bukhârî)
 'Umar, che Dio sia soddisfatto di lui, fece più fatica a cambiare mentalità, perché il carattere ha molta influenza nel modo di porsi verso le donne, però la storia ci testimonia di come la rivelazione   e anche l'Egira, il cambiare luogo che lo mise in contatto con altre realtà, secondo le sue stesse parole: "Noi, uomini della tribù di Quraysh, dominiamo le nostre mogli, ma quando abbiamo incontrato la tribù degli Ansar, abbiamo visto che le donne dominano gli uomini; e di conseguenza le nostre mogli cominciarono ad imparare dalle donne degli Ansâr i loro modi”.
lo resero capace di un ascolto nuovo, di cui esempio abbiamo famosa storia di 'Umar già califfo e della donna che lo interpellò in mezzo alla moschea a proposito di un problema riguardante la dote. Si racconta infatti che ‘Umar Ibn Khattâb, accorgendosi che le doti delle donne toccavano cifre eccessive, ed inquietandosi per le conseguenze che ciò poteva avere, decise di limitare la somma massima della dote a quattrocento dirhams e di versare ciò che sorpassasse tale somma nella Tesoreria dello Stato (bait al-mâl) dei musulmani. Egli annunciò tale decisione durante la preghiera del venerdì, ma ciò suscitò la reazione di una donna presente nella moschea. Ella lo interpello così, ricordandogli questo versetto: “Se volete sostituire una sposa ad un’altra e voi le avevate donato un qintâr, non le riprendete niente. Che cosa! Vorreste riprenderlo con ingiustizia e peccato manifesto?”Allora senza offuscarsi oltre misura, il califfo esclamò con tutta umiltà: “Fa’ grazia ad ‘Umar, Signore. Tutto il mondo è più istruito di lui !” Si riporta poi il suo cambiamento di opinione.”
L'esilio significò per la nascente comunità islamica l'esigenza di distinguere tra abitudini culturali e rivelazione, problema particolarmente attuale per l'insediarsi di comunità musulmane in ambiti culturali diversi... Fin dall’origine, l’universalità dei principi islamici tra la Mecca e Medina non ha mai significato quindi l’uniformazione delle culture, ma al contrario l’integrazione di queste ultime nel rispetto dei principi comuni della fede e della pratica religiosa (al-‘aqîda, al-‘ibadât), oltre che la ricchezza delle varie esperienze umane e sociali... 'Aicha riferì : "Accompagnammo una donna al suo matrimonio con un uomo degli Ansar. Il Profeta (pbsl) disse: "'Aicha, non avete alcun intrattenimento? Agli Ansâr piace l'intrattenimento"" “Essi dovevano quindi cercare di distinguere la religione dalla cultura. Ma le difficoltà non finivano qui. Non solo bisognava separare i principi religiosi dai costumi, ma in alcune circostanze occorreva essere anche capaci di mostrarsi critici nei confronti della propria cultura. L’atteggiamento delle donne a Medina aveva rivelato alcuni tratti culturali meccani che era necessario rivedere e nei confronti dei quali bisognava fare autocritica. L’esperienza dell’esilio, e quindi della diversità culturale, aveva infatti una doppia conseguenza positiva: imporre una distinzione tra ciò che era veramente religioso e ciò che apparteneva alla cultura, ma anche consentire di valutare criticamente i propri costumi e le abitudini che fino a quel momento potevano sembrare indiscutibili perché assolutamente naturali. Il riferimento religioso può, e deve giocare questo ruolo di specchio critico delle consuetudini culturali: per essere veramente universale, il messaggio religioso non deve soltanto integrare la diversità dei costumi, ma anche stabilire un corpus di principi a partire dai quali è possibile riformare dei comportamenti ritenuti culturalmente normali (o accettati perché naturali e diffusi) e che devono tuttavia essere sottoposti a un’adeguata valutazione etica.” [8]
Proprio a causa dell'Egira troviamo un'altra rivendicazione femminile. Infatti, Umm Salama manifestò il suo profondo dispiacere di notare come il Corano tacesse sulla partecipazione delle donne all’espatrio o hijra, che fu una tappa primaria nella storia dell’islam. La tradizione riporta che Umm Salama disse al Messaggero di Allah : « Gli uomini sono nominati diversi volte dal Corano a proposito della loro partecipazione alla hijra, mentre noi donne non siamo affatto menzionate ! ». Queste parole saranno la causa della rivelazione del versetto seguente : «  Il loro Signore risponde all'invocazione: "In verità non farò andare perduto nulla di quello che fate, uomini o donne che siate, ché gli uni vengono dagli altri (baadoukoum min baad) . A coloro che sono emigrati, che sono stati scacciati dalle loro case, che sono stati perseguitati per la Mia causa, che hanno combattuto, che sono stati uccisi, perdonerò le loro colpe e li farò entrare nei Giardini dove scorrono i ruscelli, ricompensa questa da parte di Allah. Presso Allah c'è la migliore delle ricompense.» (III,195)
“La rivendicazione di Umm Salama era doppiamente comprensibile, poiché è lei che la tradizione ha soprannominato « la donna dei due esili », per la sua doppia emigrazione in Abissinia. La storia riporta che ella fu la prima donna a immigrare dalla Mecca in Abissinia, con il suo primo marito Abu Salama. Questo primo esilio forzato fu reso necessario dopo le angherie subite dalla coppia da parte sia dell’élite dirigente meccana sia dalla propria tribù. Ad Umm Salama vengono attribuiti lunghi racconti sugli avvenimenti occorsi in terra d’esilio, sulle sofferenze subite da lei e dai differenti compagni dell’epoca e anche di quelli in occasione della sua immigrazione verso Medina. Infatti, la tradizione riferisce le differenti prove che ella dovette subire, sopratutto quando ella fu separata – contro la sua volontà – dal marito e dal figlio, dalla sua tribù e dai suoi familiari. Separata dal suo sposo, che obbligato a lasciarla si recò a Medina e da suo figlio, sequestrato dai membri della sua famiglia, soffrì in questo stato per un anno intero, sola, inconsolabile, trascorrendo le giornate a piangere il figlio e lo sposo… Finché un notabile della sua famiglia, commosso dal supplizio che viveva, intercesse presso la sua tribù che così finalmente le rese il figlio e le permise di raggiungere il marito e gli altri musulmani a Medina. Sola, con unico compagno il figlio ancora piccolo, intraprese, malgrado i pericoli in cui poteva incorrere, la lunga strada per l’ esilio verso Medina. Era risoluta a raggiungere lo sposo, per vivere in pace la loro fede in quella nuova città della libertà che era la città del profeta… Poi, ad un po’ di distanza dalla Mecca, incontrò un valente cavaliere, il quale le propose di accompagnarla fino a destinazione. E qui è importante ricordare come colui che offerse il suo aiuto e la sua protezione a questa donna e al suo bambino,era all’epoca un non musulmano e ciò non impedì ad Umm Salama d’accettare il suo aiuto e di lodare in seguito la sua attitudine cavalleresca e la sua condotta morale irreprensibile.”[9]
 
 A proposito dell'Egira ricordiamo anche il contributo di “Asmâ Bint Abû Bakr, che seppe mantenere nel segreto la data del giorno previsto per la partenza del Profeta verso Medina e di suo padre Abû Bakr, entrambi, sorvegliati strettamente dai loro nemici Quraish. Quest’ultimi con alla testa Abû Jahl, andarono a interrogare Asma, alla ricerca del Profeta e a causa del suo fermo silenzio riceverà lo schiaffo di un Abû Jahl esasperato dalla sua impassibilità. Sarà lei pure ad assicurare di nascosto la sopravvivenza del Profeta e di Abû Bakr , nascosti nella grotta, durante il cammino d’esilio. Il Profeta la soprannominerà per questo « dhât anitâkain » cioè quella «dei due cinturoni », a causa del fatto che essa nascondeva i viveri, che trasportava per il Profeta e il padre Abû Bakr As-sadîk, tutto intorno alla vita con l’aiuto di due grandi cinture.
L’esilio,considerato come atto politico ha costituito un modo per la donna musulmana dell’epoca di affermare la sua presenza come membro attivo della società, assicurando il suo totale contributo al nuovo concetto di azione politica che fu istituito dall’islam. Non le si è chiesto di « rimanere in casa » ad aspettare che gli uomini da soli erigessero le fondamenta della nuova città musulmana !”[10]
 
 Tutto l'atteggiamento del Messaggero di Dio di­mostrava la sua indefessa volontà di promuovere lo sviluppo e l'emancipazione della donna. “Aveva fatto della moschea un luogo di riu­nione che radunava uomini e donne, insieme per dibattere, prendere le decisioni, discutere delle questioni spirituali, politiche e sociali, economiche e familiari. La moschea, così come l'aveva voluta l'Inviato di Dio, non era solo un luogo di culto, ma anche uno spazio culturale e politico in cui i mu­sulmani e le musulmane discutevano in gruppo dei loro problemi. Non c'era, come oggi vediamo ovun­que, muri che separavano gli uomini dalle donne. Era uno spazio comune in cui entrambi i generi riuniti per la preghiera prendevano decisioni, rice­vevano istruzioni dal Messaggero e si tenevano al corrente delle ultime novità della comunità. Le donne avevano lo stesso diritto di parola degli uomini e non esitavano a prendere la parola in pubblico. Il Profeta (pbsl) fu esplicito sull'obbligo delle donne di assistere a queste riunioni, come prova questo celebre hadith: «Non proibite le moschee alle donne.» Ad esempio Zaynab, figlia del Profeta (pbsl) un giorno prese la parola al mattino, al-fajr, per dichia­rare solennemente a tutta l'assemblea che concede­va la sua protezione all' ex marito – la cui tribù era in guerra contro i musulmani – che si trovava presso di lei. Dopo la preghiera il profeta (pbsl) verificò la notizia e accettò che quell'uomo fosse lasciato libero di circolare a Medina, nonostante il contenzioso con la sua tribù. Tutta la comunità rispettò la protezione concessa da una donna ad un nemico...”[11]
Ricordiamo ancora come la prima che credette nella realtà della rivelazione divina al Profeta, pbsl, fu una donna Khadija... Il primo martire dell’islam, cioè la prima persona morta sotto tortura per la sua fede, fu una donna, Sumaya Umm Ammâr, pugnalata al basso ventre da una lancia ad opera di Abû Jahl, un importante notabile meccano, nemico giurato del profeta, e questo dopo averle fatto subire i peggiori supplizi. Questa donna fa parte delle prime sette persone convertite all’islam... “Ricordiamo anche la storia di Umm Shârik, una donna appartenente ad una tribù chiamata Dauss, che si convertì all’islam durante un soggiorno alla Mecca. Vi fece poi uno straordinario lavoro di diffusione del messaggio dell’islam, ai tempi della sua prima fase clandestina , avendo accesso nei diversi salotti di donne, notabili della Mecca e invitandole ad abbracciare la nuova religione. Questa intensa attività di predicazione fu alla fine scoperta dai Qurayshiti che la consegnarono ai membri della sua tribù. Questi la sottoposero a innumerevoli sevizie affinché abbandonasse le sue convinzioni… Narrò lei stessa, in numerosi racconti come torturata, abbandonata e legata sotto il sole del deserto, senza bere per intere giornate, ella non cedette e anche in mezzo alla desolazione più profonda alzò il suo indice in segno della sua fede nel Dio unico. I suoi finirono per lasciarla libera e allora ella non ebbe che un’idea in testa quella di raggiungere il Profeta e gli altri musulmani a Medina !La strada era lunga, pericolosa e piena di imprevisti per una donna sola, ella dunque cercò a lungo qualcuno che la potesse scortare fino a Medina e finì per trovare aiuto da parte di un uomo ebreo che, addolorato di vederla ridotta così, le propose volontariamente il suo aiuto e l’accompagno fino a destinazione. Umm Shârik, arrivata a Medina, secondo alcune versione, propose essa stessa al Profeta di sposarla a lui. Il Corano evoca questo insolito « gesto » menzionandola con l’appellativo di credente « muâmina » : « … e ogni donna credente che si offre al Profeta… » (XXXIII,50).[12]
Chiudo questo discorso sulle testimonianze delle donna nell'islam ricordando colei che fu considerata la più grande sapiente di quel tempo 'Aicha.Infatti,ogni qual volta una questione religiosa, o giuridica o quant'altro si presentava complicata o delicata, i fedeli e i grandi Compagni, correvano da 'Âïsha trovando sempre soluzione al problema. Così come ben disse Masruq, uno dei sapienti del tempo che fu, tra l'altro, allievo di 'Âï­sha: «Giuro per Colui Cui appartiene la mia vita che ho visto moltissimi tra i più venerati e devoti Compagni del Profeta, venire presso 'Âïsha per interrogarla sul culto e sulle pratiche religiose e quando dissentivano tra loro in merito a qualcosa, andavano a sottoporla a lei» ...Abu Musa insisteva a riguardo:«Per ogni questione che ci sembrava di difficilerisoluzione, noi Compagni del Profeta ci recavamo da 'Âïsha, presso cui trovavamo la soluzione». Un altro sapiente del tempo, Abû Salman Abd Ar-Rahman non smetteva di dire, a proposito di 'Âïsha: «In tutta la mia vita non ho mai incontrato persona più colta e sapiente di 'Aicha per quel che riguarda la Sunna del Profeta, l'esegesi del Corano e gli affari del culto».'Umar ibn al-Khattâb ammirava le sue qualità intellettuali. Ricordandola un giorno disse: «Non conosco nessuno più colto di 'Aicha nelle scienze religiose, il fiqh e la poesia». 'Aisha era considerata una grande mufti del tem­po e molti testi di storia attestano la sua eccellenza nella giurisprudenza islamica durante il califfato di Abu Bakr, di Omar e fino alla sua morte... Il Profeta confermò in molte occasioni questo parere, incitando continua­mente i suoi Compagni ad imparare la loro religio­ne da 'Aisha: “Andate a cercare la scienza da questa rossina”. Fu la donna che trasmise il maggior di hadith (2200 circa). Il contributo di 'Aicha alle scienze religiose islamiche è stato ampio ed importante... Una ricerca storica ha rivelato che alla morte del Profeta (*) c’era una élite sapiente ed erudita che contava circa 8000 persone, di cui 1000 erano donne. L’emancipazione veicolata dall’islam, in un quarto di secolo fece sì che una persona su otto dell’élite intellettuale fosse donna... Citando solo qual­che esempio, la prima università costruita in terra d'Islam, Al-Qarawiyyin a Fes, nel corso del IX se­colo, è dovuta ad una donna di cui pochi musulma­ni hanno sentito parlare: Fatima al-Fihiriya. Que­sta università è considerata come la più antica del mondo musulmano ma sappiamo molto poco sulla sua fondatrice. L'università di Al-Azhar in Egitto, universal­mente nota e indiscutibile centro religioso, fu edi­ficata da una donna che si chiamava Al-Khanzida­ra. La storia riferisce che fece costruire l'istituto in questione e, allo stesso tempo, una moschea, un or­fanotrofio e un ospedale.”[13]
Abbiamo visto come nell'essere maschile riposi una tendenza arcaica a marginalizzare la donna e a ridurre i suoi spazi, a misconoscere il suo valore. Innumerevoli le testimonianze di questo, prima e dopo l'islam, che ci debbono far uscire da un atteggiamento di ingenuità per cui tutto per la donna sarebbe già stato fatto. Invece rimane molto da fare, nelle società occidentali come in quelle musulmane. Dobbiamo prendere sul serio le istanze della rivelazione che indubbiamente hanno prodotto nella società di allora un notevole miglioramento della condizione delle donne e continuare a svilupparle. Alcuni pensano a tali norme come qualcosa di a-temporale definito una volta per sempre, altri vi vedono l'innescarsi di un principio di liberazione della donna che esige di essere sviluppato, una direzione dunque. Per capire questa posizione pensiamo ad esempio al problema della schiavitù. Il Corano a proposito non formula una proibizione assoluta, impossibile per quei tempi, ma formula una direzione in cui andare, invitando a liberare gli schiavi come opera meritoria che cancella i peccati, dando l'esempio del Profeta, pace e benedizione su di lui, che così agì in diverse occasioni. Ascoltiamo ad esempio la sura Al-Balad, in cui la liberazione di uno schiavo viene messa per prima, nella via ascendente:“... Non gli abbiamo indicato le due vie? Segua dunque la via ascendente. E chi ti farà comprendere cos'è la via ascendente? È riscattare uno schiavo, o nutrire, in un giorno di carestia, un parente orfano o un povero prostrato [dalla miseria], ed essere tra coloro che credono e vicendevolmente si invitano alla costanza e vicendevolmente si invitano alla misericordia.” (CX)  
Ora dobbiamo dedurre da ciò che la schiavitù sia legittima e basti trattare bene gli schiavi e liberarli quando si vuole fare un'opera meritoria o liberarsi da un peccato? E' questo il posto del musulmano oggi? No, hamdulillah la schiavitù è stata condannata dalla coscienza umana collettiva, e semmai il posto del musulmano sta nell'individuare e denunciare nuove forme di schiavitù della società moderna più subdole e meno dichiarate e non ritornare alla situazione antica. Il discorso sullo statuto della donna nell'islam è di questo tipo, alcune cose importanti sono già delineate nei testi, ed esigono di essere sviluppate sempre meglio, andando nella direzione di un' uguaglianza e rispetto sempre maggiore. Non si tratta di assumere semplicemente il modello occidentale di donna, ma di porsi in un serio confronto con quelle che sono le 'istanze buone' che vi emergono e confrontarle con i testi della nostra religione. L'immigrazione e lo stabilirsi della comunità musulmane in Occidente è un'occasione importante per rinnovarsi e distinguere...
Concludo con un lungo hadith riferito da 'Ubada ibn Kathir, che ci mostra bene quella che fu lo spirito della rivelazione e la considerazione del Profeta, pace e benedizione su di lui, verso di loro e delinea per il musulmano un cammino, mai compiuto, di rispetto per l'essere femminile: «I migliori uomini della mia comunità sono i mi­gliori con le loro spose e le migliori donne della mia comunità sono le migliori verso i loro sposi. Ogni donna di queste ultime avrà come ricompensa quo­tidiana l'equivalente di mille martiri morti sulla Via di Dio. Mentre ogni uomo che sarà buono con sua moglie avrà l'equivalente quotidiano di cento martiri caduti sulla via di Dio.» Al che 'Umar Ibn-Al Khattab gli chiese: «Perché la donna ha il compenso di mille martiri mentre l'uo­mo soltanto cento?» «Forse ignori che la donna ha maggior ricompensa presso Dio e più qualità che l'uomo?! Iddio eleverà l'uomo al Paradiso ad un livello che dipenderà dalla soddisfazione della sua sposa e in relazione ai suoi du'ha per lui», concluse il Profeta.
 


[1]    Esistono circa 30 casi repertoriati in cui la donna eredita una parte uguale e maggiore dell’uomo e solamente 4 casi in cui eredita la metà…Livre de M Ammarra, p. 79 ; per maggior approfondimento consultare lo studio di Salah Eddinne Sultan circa l’eredità della donna nell’islam, Mirath al marâa wa kadiat al moussaouate, Editions dar annahada, Egypte, 1999. (Da Asma Lamrabet, Il Corano e le donne, edizioni Al Hikma Imperia, in pubblicazione).
[2]              Asma Lamrabet, Il Corano e le donne, edizioni Al Hikma Imperia, in pubblicazione.
[3]              Asma Lamrabet, Il Corano e le donne, edizioni Al Hikma Imperia, in pubblicazione.
[4]    idem
[5]    idem
[6]    idem
[7]    idem
[8]    Tariq Ramadan, La Riforma radicale,
[9]    Asma Lamrabet, op. cit.
[10] Asma Lamrabet, op.cit.
[11] Asma Lamrabet, op. cit.
[12] idem
[13] Asma Lamrabet, 'Aicha, ediz. Al Hikma, Imperia 2009


Giovedì 11 Marzo,2010 Ore: 15:23
 
 
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