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www.ildialogo.org Rio+20: lo show del governo brasiliano. Tutto fumo, niente arrosto,da Adista Documenti n. 26 del 07/07/2012

Rio+20: lo show del governo brasiliano. Tutto fumo, niente arrosto

da Adista Documenti n. 26 del 07/07/2012

DOC-2455. RIO DE JANEIRO-ADISTA. Perfettamente in linea con quanto espresso dalla Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, il governo brasiliano ha presentato sulla scena internazionale un bel po’ di fumo, tenendo quanto più possibile nascosta l’assenza di arrosto. Di certo, se lo “sviluppo sostenibile” perseguito da Rio+20 è simile a quello sbandierato dalla presidente Dilma Rousseff, si comprende bene il fallimento del vertice. Già alla fine di maggio la presidente aveva posto grande enfasi sulla possibilità di conciliare difesa dell’ambiente e crescita, sottolineando inoltre la necessità di stimolare il consumo nell’ottica di un modello di sviluppo con inclusione sociale: «Abbiamo dimostrato – aveva detto – che è possibile preservare le nostre foreste, la nostra biodiversità, i nostri fiumi, le nostre ricchezze naturali» e «allo stesso tempo assicurare la crescita», garantendo «l’aumento della produzione agricola, di quella industriale e dei servizi».

Grande risalto ha dato la presidente, in particolare, alla massima riduzione finora mai registrata del tasso di deforestazione, addirittura del 75% rispetto al picco del 2004 (per quanto, tra il 2010 e il 2011, l’Amazzonia abbia comunque perso 642mila ettari di foresta, vale a dire, secondo il ricercatore dell’Ong Imazon Paulo Barreto, 480 milioni di alberi con un diametro superiore ai 10 cm). Un annuncio fatto in grande stile durante la Giornata Mondiale dell’Ambiente, il 5 giugno, a pochi giorni dall’apertura di Rio+20, e accompagnato dalla presentazione del primo, timidissimo, pacchetto ambientale varato dal suo governo: la creazione di due nuove aree protette e l’ampliamento di altre tre (a fronte però di sette aree ridotte nell’ultimo anno) e l’omologazione di sette terre indigene (ma lasciandone fuori altre 5 di quelle previste).

Il fatto è che, dietro gli annunci ad effetto e le dichiarazioni altisonanti, la politica ambientale del governo Rousseff batte tutti i record negativi dei precedenti governi. Se il tasso di disboscamento è ai minimi storici, per una combinazione di fattori che vanno molto oltre i suoi meriti, il nuovo Codice Forestale approvato dal Congresso – su cui la presidente ha esercitato, contro le richieste della maggioranza della popolazione, solo un veto parziale (v. Adista n. 22/12) – rappresenta nient’altro che una dichiarazione di guerra agli ecosistemi del Paese, con evidente soddisfazione del settore produttivo legato all’agrobusiness. Con la nuova legge, ha commentato Marcio Astrini di Greenpeace, perdono le foreste e vince chi disbosca: «Amnistia? Certamente: le multe per la deforestazione realizzata fino al 2008 sono state condonate. Un minore recupero delle aree protette? Sì, signore: le aree di preservazione permanente (le aree protette lungo le rive dei fiumi, ndr) sono state ridotte. Premi a quanti hanno deforestato? Chiaro: oltre al condono, possono piantare eucalipto o qualunque altra specie esotica dove prima c’era solo la foresta nativa».

Alla fine di maggio, peraltro, il Senato ha approvato un progetto che converte in legge la Misura Provvisoria 558 decretata dal governo a gennaio, la quale prevedeva una riduzione delle aree protette per facilitare la regolarizzazione fondiaria delle famiglie presenti in quelle aree e la costruzione di nuove centrali idroelettriche. Costruzione che, come denunciano i movimenti sociali, viene portata avanti in modo autoritario, senza alcuna consultazione delle popolazioni interessate e senza reali studi di impatto ambientale. Ancora prima, a marzo, la Commissione di Costituzione e Giustizia della Camera dei deputati si era espressa a favore della proposta di emendamento costituzionale che prevede il trasferimento dal potere esecutivo al Congresso nazionale della prerogativa di approvare e ratificare la demarcazione di terre indigene. E, proprio riguardo ai popoli indigeni, il rapporto divulgato il 13 giugno dal Consiglio Indigenista Missionario rivela il terribile quadro di violenza e di spoliazione di cui sono vittime le popolazioni originarie, registrando, tra l’altro, un aumento, nel 2011, dei casi di suicidio, del numero di bambini indigeni morti per malattie facilmente curabili (da 92 a 126), delle invasioni per il possesso e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali. E criticando «la lentezza del governo federale nel demarcare e consegnare le terre agli indigeni»: «Nel 2011 - si legge - solo tre aree sono state consegnate dalla presidente Dilma Rousseff, il peggior risultato registrato durante il primo anno di governo dal tempo di Jose Sarney».

Un capitolo a parte merita poi il modello di energia “pulita” tanto orgogliosamente rivendicato dalla presidente: in realtà, gli investimenti previsti dal Piano Energetico Decennale riguardano piuttosto i settori tutt’altro che puliti del pre-sal (la grande riserva di petrolio individuata nell’Oceano Atlantico), del carbone e del nucleare, oltre alle nefaste megacentrali idroelettriche in Amazzonia (Santo Antonio, Jirau, Belo Monte, tra molte altre), i cui oppositori vivrebbero, secondo quanto affermato dalla presidente Rousseff, «in uno stato di fantasia».

Sulla politica ambientale di Dilma Rousseff si sofferma anche il sacerdote Edilberto Sena, della Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Santarém, nell’articolo che qui di seguito riportiamo in una nostra traduzione dal portoghese (pubblicato il 22 giugno dall’Instituto Humanitas Unisinos, l’Università gesuita del Vale do Rio dos Sinos; www.ihu.unisinos.br). (claudia fanti)

Articolo tratto da
ADISTA
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Giovedì 05 Luglio,2012 Ore: 17:12
 
 
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