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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org LE INDULGENZE,di Perin Nadir Giuseppe

Giubileo(2)
LE INDULGENZE

di Perin Nadir Giuseppe

LE INDULGENZE 1
Il Giubileo porta con sé anche il riferimento all’indulgenza che nell’Anno Santo della misericordia, acquista un rilievo particolare.
Tuttavia per comprendere bene il concetto di “indulgenza” è necessario conoscere “che cosa sia il peccato”, di fronte al quale il perdono di Dio non conosce confini.
Dio è sempre disponibile al perdono e non si stanca mai di offrirlo in maniera sempre nuova ed inaspettata.
Noi tutti facciamo esperienza del peccato.
Sappiamo di essere chiamati alla perfezione ( Mt 5,48), ma mentre percepiamo la potenza della grazia che ci trasforma, sentiamo forte il peso del peccato e della sua forza che ci condiziona.
Nonostante il perdono, però, noi portiamo nella nostra vita le “contraddizioni” che sono la conseguenza dei nostri peccati.
Nel sacramento della riconciliazione Dio perdona i peccati che sono per davvero cancellati, ma rimane l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri.
La misericordia di Dio, però è più forte anche di questo, perché diventa “indulgenza” del Padre che attraverso la sposa di Cristo ( la CHIESA) raggiunge il peccatore perdonato e lo libera da ogni impronta negativa lasciata dal peccato, abilitandolo ad agire con carità e a crescere nell’amore, piuttosto che ricadere nel peccato.
Come ?
La Chiesa vive la “Comunione dei santi” dato che con il battesimo, ogni battezzato forma insieme agli altri battezzati il “Corpo Mistico di Cristo”.
Il battesimo “ex acqua et Spiritu Sancto” configura a Cristo, con carattere indelebile e ci riveste di Cristo (Gal 3,27) e ci fa sue membra ( 1Cor 12,12-13 e 27).
Nel tempo stesso ci incorpora alla Chiesa .
In tal modo i cristiani costituiscono il “Popolo di Dio”.
Dalla incorporazione a Cristo segue la partecipazione ontologica e funzionale del suo ufficio sacerdotale, profetico e regale in tutti i cristiani, nel modo loro proprio e insieme la corresponsabilità di tutti e di ciascuno in ordine alla missione che la Chiesa è chiamata a svolgere nel mondo in nome e per autorità del suo Fondatore.
Nell’Eucaristia, poi, questa comunione con Cristo, “il pane vivo disceso dal cielo e donato da Dio Padre all’uomo”, attua una “unione spirituale” tra noi credenti con i Santi e i Beati, entrati ormai nella vita eterna e che si trovano in uno stato di piena “comunione con Dio-Uno e Trino, in Gesù Cristo” e sono un numero incalcolabile ( cfr Ap.7,4).
La loro santità viene in aiuto alla nostra fragilità e così la CHIESA, Corpo Mistico di Cristo, è capace con la sua preghiera e la sua vita di venire incontro alla debolezza di alcuni con la santità di altri.
Vivere l’indulgenza nell’Anno Santo significa accostarsi alla misericordia del Padre con la certezza che il suo perdono si estende su tutta la vita del credente.
Indulgenza significa sperimentare la santità della CHIESA, come Corpo Mistico di Cristo, che partecipa quindi a tutti i benefici della Redenzione di Cristo, perché il perdono sia esteso fino alle estreme conseguenze a cui giunge l’amore di Dio.
Chi può concedere le indulgenze ?
Viene specificato nel can. 995 al § 1: “Oltre alla suprema autorità della Chiesa, possono concedere le indulgenze soltanto quelli ai quali questa facoltà è riconosciuta dal diritto o è concessa dal Romano Pontefice”.
Mentre al §2 dello stesso canone viene specificato che : “Nessuna autorità, inferiore al Romano Pontefice può conferire ad altri la facoltà di concedere indulgenze, se questo indulto non sia stato attribuito espressamente dalla Sede Apostolica”.
Le indulgenze vengono concesse per rimettere dinanzi a Dio, la pena temporale per i peccati già rimessi quanto alla colpa, accostandosi al Sacramento della Riconciliazione e ricevendo l’assoluzione.
Le condizioni per lucrare le indulgenze sono specificate nel can 996 al §1 : la persona deve aver ricevuto il sacramento del battesimo, perché il battesimo ci fa membri della Chiesa e partecipi della Comunione dei Santi; non deve aver ricevuto alcuna scomunica canonica; deve essere in grazia di Dio, cioè senza peccato mortale, perché il debito della pena temporale non può essere rimesso se non dopo la cancellazione della colpa e la remissione della pena eterna, operate *dal sacramento della riconciliazione o, *in caso di impossibilità di accostarsi al Sacramento della Riconciliazione, da un atto di sincera contrizione col proposito di accedere al Sacramento della Riconciliazione, non appena possibile.
Al § 2 del canone 996, viene specificato che per lucrare le indulgenze ci vuole : l’intenzionegenerale” o l’intenzione “abituale” emessa una volta e non più ritirata; basta, perfino, probabilmente l’intenzione abituale implicitacontenuta nella professione della vita cristiana; l’adempimento delle opere prescritte, nel tempo stabilito e nel modo dovuto secondo il tenore della concessione.
Inoltre il can. 997 afferma che “ per quanto concerne la concessione e l’uso delle indulgenze, devono anche essere osservate le altre norme contenute nelle leggi speciali della Chiesa.
*“l’esclusione di qualsiasi affetto al peccato, anche veniale”;
*accostarsi al sacramento della Riconciliazione (la confessione deve essere “individuale ed integra”;
*fare la comunione eucaristica;
*pregare secondo le intenzioni del Papa.
L’indulgenza plenaria è quella che rimette tutta la pena temporale dovuta per i peccati già cancellati quanto alla colpa e alla pena eterna.
L’indulgenza parziale è quella che rimette solo una parte di tale pena temporale.
Nella precedente disciplina delle indulgenze si parlava di indulgenze di quaranta o di cento giorni, di sette anni e simili. Tali determinazioni, alquanto meccaniche, sono state opportunamente soppresse.
Durante il Giubileo, il fedele può “lucrare” quotidianamente l’indulgenza plenaria per sé o per i defunti a modo di suffragio, compiendo alcune pie pratiche o compiendo determinate opere stabilite ad hoc dal Papa.
Nessuno, tuttavia, può applicare le indulgenze che lucra ad altri che siano ancora in vita.
La confessione per poter lucrare l’indulgenza plenaria è sempre necessaria.
Anche colui che ha coscienza di non avere peccato mortalmente, deve accostarsi al Sacramento della Riconciliazione.
Il fedele non è obbligato a confessarsi nel giorno dell’indulgenza.
La confessione si può fare in uno dei giorni che precedono o che seguono quello dell’indulgenza. Inoltre “è sufficiente una sola confessione sacramentale per acquistare più indulgenze plenarie”, purchè permanga lo stato di grazia ( Enchiridion Indulgentiarum norma 20, §2).
La “dottrina cattolica” sulle indulgenze poggia essenzialmente sul modo di concepire il peccato che – secondo la Chiesa cattolica - è costituito dalla COLPA ( che si concretizza quando si commette un torto nei confronti di qualcuno) e dalla PENA ( per espiare l’offesa recata a qualcuno).
Per non espiare la pena legata alla colpa per un “delitto”(peccato) commesso, c’è bisogno di un’amnistia.
E, le indulgenze sono una specie di “decreti di amnistia” concessi dal Papa, sulla base del cosiddetto “tesoro dei meriti” di Cristo, Maria, dei santi in Paradiso, con i quali i cristiani ancora in vita su questa terra, formano il Corpo Mistico di Cristo.
La suprema autorità della Chiesa (il Papa) “applica uno sconto totale ( indulgenza plenaria) o parziale di pena, attingendo da questo tesoro di meriti, per diminuire o addirittura per cancellare la pena del peccatore (in vita o nel Purgatorio) per i peccati commessi, dei quali si è pentito e per i quali è stato perdonato e sacramentalmente assolto.
Il cristiano che “si sforza di purificarsi” del suo peccato e “di santificarsi” con l’aiuto della grazia di Dio, non si trova solo.
La vita dei singoli figli di Dio in Cristo e per mezzo di Cristo viene congiunta con legame meraviglioso alla vita di tutti gli altri fratelli cristiani nella soprannaturale unità del Corpo Mistico di Cristo, fin quasi a formare una sola mistica persona2 (Cfr. Cat. d. Chiesa Cattolica, n 1474).
Nella “Comunione dei Santi “tra i fedeli che già hanno raggiunto la patria celeste o che stanno espiando le loro colpe nel Purgatorio o che ancora sono pellegrini sulla terra, esiste un perenne vincolo di carità ed un abbondante scambio di beni.
In questo ammirabile scambio, la santità dell’uno giova agli altri, ben al di là del danno che il peccato dell’uno ha potuto causare agli altri.
In tal modo il ricorso alla comunione dei santi permette al peccatore contrito di essere in più breve tempo e più efficacemente purificato dalle pene del peccato.( 1475, Cat d.Chiesa Cattolica).
Questi beni spirituali della comunione dei santi sono chiamati “il tesoro della Chiesa”, ma non deve essere considerato “come la somma di beni materiali, accumulati nel corso dei secoli” ma come l’infinito ed inesauribile valore che le espiazioni e i meriti di Cristo hanno presso il Padre ed offerti perché tutta l’umanità fosse liberata dal peccato e pervenisse alla comunione con il Padre e con lo stesso Gesù Cristo Redentore, in cui sono e vivono le soddisfazioni e i meriti della sua redenzione”(1476 ,Cat. d. Chiesa Cattolica).
Appartiene inoltre a questo tesoro il valore veramente immenso, incommensurabile e sempre nuovo che presso Dio hanno le preghiere e le buone opere della beata Vergine Maria di tutti i santi, i quali seguendo le orme di Gesù Cristo Signore, per grazia sua, hanno santificato la loro vita e condotto a compimento la missione affidata loro dal Padre.
In tal modo, realizzando la loro salvezza, hanno anche cooperato alla salvezza dei propri fratelli nell’unità del Corpo Mistico (1477 Cat. d. Chiesa Cattolica).
Poiché i fedeli defunti in via di purificazione sono anch’essi membri della medesima comunione dei Santi, noi possiamo aiutarli ottenendo per loro delle indulgenze, in modo che siano sgravati dalle pene temporali dovute per i loro peccati. (1479, Cat. d. Chiesa Cattolica).
Noi usiamo un linguaggio umano, limitato dallo spazio e dal tempo in cui viviamo e che non ci dà la possibilità di conoscere “razionalmente” nella sua essenza, come questa “purificazione” dalle “impronte negative che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri” sarà attuata dalla misericordia di Dio.
Noi usiamo un linguaggio umano, anche quando parliamo del nostro rapporto con Dio e che possiamo rompere, peccando.
E anche quando parliamo del “peccato”, usiamo il linguaggio a noi più consono, cioè quello del diritto, dove il nostro comportamento negativo nei confronti del prossimo, viene definito una “colpa” (un delitto).
Ad ogni delitto (colpa), passato in giudicato, viene commisurata una pena che deve essere “scontata” in tanti anni, secondo le modalità contemplate dal diritto penale o civile e che devono essere attuate in base alla sentenza di un giudice.
Quando noi parliamo di “peccato” per indicare un’azione che ha rotto il nostro rapporto con Dio, usiamo lo stesso linguaggio giuridico.
Il peccato viene concepito come un’azione contro Dio ed è costituito : dalla COLPA (offesa di Dio) che può essere grave (peccato mortale) o leggera (peccato veniale) e dalla PENA che può essere eterna o temporale.
La pena eterna è l’inferno per chi commette un peccato mortale, perdendo così la “ comunione con Dio”, cioè lo stato di grazia soprannaturale” e muore senza essersi pentito.
La pena eterna dell’inferno, per i peccati mortali, viene cancellata ogni qualvolta la persona si accosta “fruttuosamente” al Sacramento della Riconciliazione, venendo così ammessa nuovamente alla comunione con Dio, cioè nello stato di grazia soprannaturale.
La pena temporale, invece, è legata ai peccati veniali.
Nonostante il perdono delle colpe (gravi o leggere) ottenuto mediante il sacramento della riconciliazione, la pena temporale deve essere scontata o quaggiù, sulla terra, mediante la preghiera e le varie pratiche di penitenza, proporzionate alle colpe confessate, le opere di misericordia e di carità, di pietà, di mortificazione, spogliandosi così completamente dell’ “uomo vecchio”, per “rivestirsi dell’uomo nuovo”, oppure nel Purgatorio, perché sia il peccato mortale, come il peccato veniale, anche se perdonati nel Sacramento della Riconciliazione, lasciano delle tracce negative nell’anima delle persone.
Tuttavia, la pena eterna come la pena temporale legate al peccato, non devono essere concepite come una specie di vendetta che Dio infligge dall’esterno, bensì come derivanti dalla natura stessa del peccato.
Una conversione, che procede da una fervente carità, può arrivare alla totale purificazione del peccatore, così che non sussista più alcuna pena (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1472).
Nel Nuovo Testamento, appare spesso il concetto che nella morte di Gesù” si mostrò la bontà di Dio, salvatore nostro e il suo amore per gli uomini” ( Tt 3,4).
E’ apparsa la grazia di Dio che porta la salvezza a tutti gli uomini ( Tt 2,11).
Per le comunità primitive “ Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” ( Gv 3,16).
La vita, la passione e la morte e la risurrezione di Gesù sono la manifestazione dell’amore di Dio che ci viene incontro per redimerci e per liberare l’umanità dal male.
Ma la teologia successiva interpretò il sacrifico ed l’espiazione nel modo più tradizionale, cioè come venivano intesi i sacrifici e le espiazioni nelle religioni antiche.
Più tardi prese piede l’idea che la morte di Gesù fu la soddisfazione che Dio esigeva e di cui aveva bisogno per perdonare i peccati dell’umanità.
In questo modo alla teologia del sacrifico e dell’espiazione, se ne aggiunse un’altra la teoria della soddisfazione.
Per cui la violenza del peccato si accanì tanto contro l’immagine di Dio, che la gente vide in questo Dio un essere intollerabile.
L’idea della morte di Cristo come soddisfazione per i nostri peccati non è contenuta nel Nuovo Testamento.
Comparve per la prima volta in Tertulliano (sec. III) e poi in Ambrogio di Milano (sec. IV) ma fu S. Anselmo da Canterbury ad elaborare questa teoria come è giunta fino a noi.
Anselmo volle dimostrare che l’incarnazione di Dio in Cristo fu assolutamente necessaria per rendere soddisfazione a Dio per i nostri peccati.
La sua idea di soddisfazione parte dal diritto romano.
Secondo questa teoria, chi commette un’offesa deve rendere dovuta soddisfazione all’offeso.
Ma la gravità dell’offesa si misura dalla dignità dell’offeso.
Nel caso del peccato, poiché l’offeso è Dio ( che è dignità infinita), l’offesa è di una gravità infinita.
Pertanto la soddisfazione richiesta deve essere ugualmente infinita.
Ne consegue che solo chi è Dio e uomo, nello stesso tempo, può dare questa soddisfazione per l’offesa recata.
Deve essere uomo per dare una soddisfazione umana, ma deve essere anche Dio per offrire una soddisfazione di valore infinito.
Da qui la necessità assoluta dell’incarnazione.
Ma, perché interpretare Dio e il disegno divino secondo una mentalità puramente giuridica?
Perché regolare i rapporti - di amore e di misericordia - dell’uomo con Dio, suo Padre- esclusivamente secondo l’ordine giuridico e legalista che codifica le relazioni della società umana ?
S. Anselmo presenta Dio, offeso in modo tale che la collera divina altro non è che la sua volontà di castigare.
Si tratta di un Dio collerico e punitore che fa ricadere il castigo sullo stesso suo Figlio, ordinandogli di accettare la morte.
Ma perché ?
Forse che Dio non può perdonare il colpevole senza la morte di un innocente?
Per S. Anselmo “peccare” significa “togliere a Dio l’onore che gli è dovuto”.
E chi toglie l’onore a Dio con il peccato, non può essere “sciolto” da tale peccato nemmeno dalla misericordia divina, perché sarebbe estremamente sconveniente.
Dio, in questo modo viene dipinto come un signore feudale al quale interessa solo il proprio onore e a chi osa privarlo di questo onore non gli resta altra via che la morte.
Così il Figlio di Dio fece da capro espiatorio.
Dio decise la sua morte perché noi potessimo sfuggire al peccato e ai suoi castighi.
La nostra salvezza, in realtà fu un regolamento di conti tra Dio e Dio, perché restasse intatto l’onore e la dignità dello stesso Dio.

 

NOTE
1 Indulgenza deriva da “indulgere”, ossia “dimostrarsi benevoli; elargire un dono o un perdono”. L’attuale posizione della Chiesa Cattolica Romana sul tema è contenuta nella costituzione “ Indulgentiarum Doctrina” di Paolo VI (del 1° gennaio 1967).
La definizione di Indulgenza si trova nel Diritto Canonico, ai cann 992-997. In particolare “L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale dovuta per i peccati, già perdonati in quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a particolari determinate condizioni, ottiene ad opera della Chiesa che, come ministra della Redenzione, dispensa ed applica con autorità il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi” ( ca. 992).
Il fine che si propone la Chiesa nell’ elargire le indulgenze, non è solo di aiutare i fedeli a scontare le pene del peccato, ma anche a compiere opere di pietà, di penitenza e di carità, specialmente quelle che giovano all’incremento della fede e al bene comune ( Paolo Vi, n. 8,4).
2 Cfr. Paolo VI, Cost. Ap. Indulgentiarum doctrina, 5.



Sabato 12 Dicembre,2015 Ore: 22:42
 
 
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