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www.ildialogo.org Niente misericordia per i presbiteri che abbandonano il ministero,,di Perin Nadir Giuseppe

Giubileo della Misericodia (10)
Niente misericordia per i presbiteri che abbandonano il ministero

,di Perin Nadir Giuseppe

SECONDA DOMANDA
Coloro che nella Chiesa hanno la responsabilità del ministero per la Comunità ecclesiale : nel modo di trattare i presbiteri – che hanno chiesto ed ottenuto dal Papa, il Rescritto di dispensa dalla promessa di celibato - non dimostrano di essere misericordiosi.
Premetto che non è sufficiente riconoscere ad ogni persona che abbia i requisiti richiesti dal diritto naturale e positivo, il diritto teorico al matrimonio, ma, è doveroso per la comunità, sia civile che ecclesiale, creare le condizioni che consentano l’esercizio di tale diritto a sposarsi e formare una famiglia.
In altre parole è un grave dovere dei pubblici poteri e della comunità non far mancare o per lo meno non porre degli ostacoli, affinché le persone che hanno i requisiti richiesti dal diritto naturale e positivo per sposarsi e scelgono liberamente di farlo, possano avere, almeno la possibilità, l’opportunità di poter conseguire tutto quello che è necessario per una corretta e dignitosa attuazione del loro diritto naturale al matrimonio ed alla famiglia, come un lavoro, una casa….
Questo significa che non basta che il Papa conceda il Rescritto di dispensa dalla promessa di celibato al prete che vuole formare la sua famiglia con la donna che ama e dalla quale è amato, ma è necessario, anche, che il Vescovo diocesano, o il Superiore Religioso, sotto la cui giurisdizione il prete ha esercitato il suo ministero presbiterale, lo aiuti ad attuare in modo dignitoso questo suo diritto al matrimonio e alla famiglia.
D’altra parte si tratta di un prete che ha servito la comunità, forse per anni, che ha insegnato nelle scuole, formando i giovani alla Fede, all’ascolto della Parola di Dio e alla testimonianza cristiana della vita….
Invece, quando un prete “s’innamora di una donna” e trova il coraggio di “spezzare” le catene di un celibato imposto…decide di “ lasciare” il suo ministero e di “uscire dal tempio”… pur avendo chiesto ed ottenuto dal Papa il Rescritto di dispensa dalla promessa di celibato, per potersi sposare, i suoi guai con la Chiesa-istituzionale non sono finiti, anzi si può dire che proprio in quel momento cominciano, perché il prete si trova all’improvviso di fronte “al nulla” : senza un lavoro, senza una pensione, senza una qualifica, senza una casa….
Si trova a vivere una situazione peggiore dell’attuale situazione di disperazione degli emigrati che fuggono dai loro paesi per poter avere un futuro più umano.
Anzitutto, quando un prete “lascia” l’esercizio pubblico del ministero presbiterale per accedere a scelte diverse, la sua decisione viene, quasi sempre, considerata dalla Gerarchia ecclesiastica, come frutto di una sterile contestazione, di una crisi di maturità o di un occasionale sbandamento. Mai come frutto di una maturazione della propria coscienza che indica la nuova strada da percorrere!
Il presbitero è ritenuto “un traditore”, “un fallito”. Soprattutto quando il “lasciare” è dovuto alla presenza di una “donna” che egli ama e dalla quale si sente amato e condivide con lui i valori e le istanze del Vangelo.
Non so se avete letto qualche libro che tratta del “prete-sposato”, né se avete mai conosciuto qualcuno di loro o le loro famiglie.
Molti potrebbero rispondere in modo affermativo, aggiungendo che questa esperienza li ha fatti “maturare” nella fede e ad una maggiore comprensione degli insegnamenti dateci da Gesù, sia in parole che in opere.
Se, poi, avete avuto la fortuna di essere anche “amici” di qualche prete-sposato, avrete certamente, conosciuto la sofferenza e il travaglio interiore che hanno dovuto affrontare e, a quali conseguenze sono andati incontro per aver scelto di “sposarsi”: l’isolamento, la solitudine e l’abbandono da parte di molti, senza contare le difficoltà economiche, legate alla difficoltà di trovare un lavoro o alla possibilità di “crearselo” in proprio.
Ma, siete in grado di affermare, anche, che non vi siete trovati di fronte a dei “delinquenti”, ma a delle persone per bene, intelligenti, generose, sempre pronte ad aiutare chi è in difficoltà.
“Alla fine dei conti”, si tratta di persone che – dopo anni di preparazione - sono stati ammessi a ricevere il sacramento dell’Ordine ed hanno accettato, in piena coscienza e libertà, di vivere il ministero presbiterale a servizio della Comunità ecclesiale, dando il meglio di se stessi.
Ma poi, “sentendo” ( certamente non attraverso l’organo dell’udito, ma attraverso una serie di circostanze) che Dio li chiamava anche alla vita matrimoniale, hanno risposto “SI” a questa chiamata, con uguale entusiasmo, gioia interiore, generosità con la quale avevano risposto alla chiamata al presbiterato. Perché era sempre la stessa Persona che chiamava, cioè Dio, Gesù Cristo, per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato in dono nel sacramento del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine.
Anche il motivo della chiamata è sempre lo stesso : “ Non voi avete scelto ME, ma IO ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” ( Gv 15,16-17).
E questo vale per ogni vocazione (chiamata) che viene da Dio, compresa quella alla vita matrimoniale!
Da una parte, il Diritto Canonico stabilisce che se il prete decide di sposarsi, deve chiedere al Papa “il Rescritto di dispensa dalla promessa di celibato”. E, il Papa concedendo il Rescritto di dispensa esorta il prete a partecipare, da sposato e assieme alla sua famiglia, alla vita del popolo di Dio, ad offrire un buon esempio e di mostrarsi fedelissimo figlio della Chiesa”1.
Dall’altra parte della medaglia, però, la stessa autorità ecclesiastica, attraverso una serie di proibizioni, fa “terra bruciata”, intorno a tale presbitero, allo scopo di dissuaderlo dal proposito di “andarsene” per evitare che il “celibato venga screditato agli “occhi del Popolo di Dio”.
Infatti, quando un prete chiede ed ottiene il Rescritto di dispensa dalla promessa di celibato per potersi sposare, la Chiesa-istituzionale gli stacca tutto: “la luce, l’acqua e il gas, l’insegnamento” ecc… e il superiore religioso deve rassicurare (“certiorem faciat”) l’Ordinario, peractae executionis, cioè dell’ avvenuta esecuzione !
Nel “Rescritto di grazia2 relativo alla dispensa dalla promessa di celibato” si legge : “l’autorità ecclesiastica, cui spetta riferire al richiedente il Rescritto, gli faccia presente quanto segue:
Il prete dispensato, con ciò stesso, perde :
i diritti che sono propri dello stato clericale,
gli oneri
gli uffici ecclesiastici 3;
non è più obbligato dagli altri doveri connessi con lo stato clericale;
● Gli è proibito di esercitare la potestà di ordine, salvo il disposto del can. 976, nel quale viene espressamente detto che “ Qualsiasi sacerdote, ancorché privo della facoltà di ascoltare le confessioni, assolve validamente e lecitamente da qualunque censura o peccato qualsiasi penitente che versi in pericolo di morte, anche se sia presente un sacerdote approvato”.
Non può tenere l’omelia;
non può esercitare il ministero straordinario della sacra comunione
non può esercitare un ufficio direttivo in campo pastorale; ì
non può avere nessun compito nei seminari e negli istituti similari, negli altri istituti per gli studi di grado superiore, in qualunque modo dipendenti dall’autorità ecclesiastica;
non può esercitare un compito direttivo o d’insegnamento.
Il prete dispensato
è tenuto alla stessa norma per quanto riguarda l’insegnamento della religione anche negli istituti similari non dipendenti dall’autorità ecclesiastica; di per sé il prete dispensato dal celibato presbiterale e a maggior ragione il prete congiunto in matrimonio 4,
deve stare lontano dai luoghi nei quali è conosciuta la sua condizione antecedente. Tuttavia, l’Ordinario del luogo in cui vive il richiedente, dopo aver sentito, per quanto necessario, l’Ordinario dell’incardinazione o il superiore maggiore religioso, potrà dispensare da questa clausola contenuta nel rescritto, se si può prevedere che la presenza del richiedente non provochi scandalo”.
Come risulta dal testo del Rescritto di dispensa, a tale presbitero è proibito, perfino, di svolgere quei ministeri che i laici, a ciò preparati, possono essere chiamati ad esercitare, come recita il can. 228, §1 : “ I laici che risultino idonei, possono essere assunti dai sacri pastori in quegli uffici ecclesiastici ed in quegl’incarichi o funzioni (munus), che secondo le disposizioni del diritto essi sono in grado di esercitare5.
In poche parole : è come se quel prete non fosse mai esistito per la Chiesa-istituzionale.
Il suo nome verrà radiato dagli annuari Pontifici e Diocesani, come fosse il peggiore delinquente esistente sulla faccia della terra ! Come se la scelta di sposarsi, avesse cancellato in lui e per sempre tutte le buone qualità e le capacità pastorali dimostrate nei confronti di quella porzione di “popolo di Dio” che gli era stato affidata, azzerando, in un istante, responsabilità e competenze che fino ad ieri erano state riconosciute e stimate da tutti.
Questa non è misericordia, ma violenza!.....
Nei discorsi ufficiali sul celibato, il problema della sua imposizione per legge canonica non viene mai affrontato.
Si parla sempre di “celibato” in se stesso come dono dello Spirito Santo, donato solo ad alcuni, senza che ci sia alcun merito da parte loro, e la libera accettazione di tale scelta di vita viene, giustamente, esaltata in quanto testimonianza visibile di “beni invisibili e di valori  più grandi “ qual è il Regno di Dio e l’amore di Cristo che, a loro volta, costituiscono anche le ragioni di tale scelta.  
Quando ,invece, il celibato viene analizzato come modalità di vita imposta per legge canonica al presbitero, perché sommamente confacente e conveniente alla vita presbiterale, il celibato improvvisamente diventa un  problema  per l’uomo.
Perché ?
Perché l’amore, la cui essenza è quella di essere solo ed esclusivamente dono, quando diventa un amore “codificato”, cioè imbragato dalla legge, perde la sua qualità di essere dono per diventare “qualcosa” da conquistare e meritare, attraverso la preghiera, il digiuno, la rinuncia, i sacrifici della vita quotidiana.
La risposta ad un dono fatto “a condizione che…”  non è mai una risposta libera, ma sempre condizionata…. Quindi sarà sempre vissuto come problema per l’uomo, finchè non diventerà nuovamente una risposta libera dell’uomo al dono di Dio.
Il Concilio Vaticano II, nel Decreto sul Ministero e la vita dei presbiteri mette in risalto proprio questo pensiero  (n.16) : “… il celibato, che prima veniva raccomandato ai sacerdoti, in seguito è stato imposto per legge nella chiesa latina a tutti coloro che si avviano a ricevere gli Ordini Sacri. Ciononostante, questo sacrosanto Sinodo torna ad approvare e confermare tale legislazione per quanto riguarda coloro che sono destinati al Presbiterato, avendo piena certezza nello Spirito che il dono del celibato, così confacente al Sacerdozio della Nuova Legge, viene concesso in grande misura dal Padre, a condizione che tutti coloro che partecipano del Sacerdozio di Cristo con il sacramento dell’Ordine, anzi la Chiesa intera, lo richiedano con umiltà ed insistenza ….
Ma, Dio quando dona non pone mai alcuna condizione, mentre la gerarchia ecclesiastica afferma che “…il dono del celibato…viene concesso in grande misura dal Padre, a condizione che…”
Tale modo di ragionare mette in luce due categorie che Gesù aveva escluso dalla sua comunità:
*la categoria del merito (che mette in risalto come l’uomo debba sforzarsi di essere in sintonia con la legge per meritare l’amore di Dio, grazie ai suoi sforzi)
*la categoria dell’esempio ( che mette in risalto come l’uomo deve impegnarsi nell’osservare le leggi, anche quando sono complicate, a volte addirittura impraticabili, per essere, così, di esempio per gli altri).
Cosa significa “essere di esempio”?  Significa mostrare la propria virtù o le proprie capacità all’altro, perché anche l’altro si sforzi, a sua volta, di imitarle.
Quello, invece, che Gesù ha cercato di farci capire è che la nuova Alleanza, non essendo più basata sull’osservanza della legge, sulla pratica dei precetti o dei comandamenti, ma essendo basata sulla grazia, sull’amore gratuito dato attraverso Gesù, l’amore di Dio non va meritato, perché l’amore di Dio viene dato gratuitamente e incondizionatamente a tutti, ma va semplicemente accolto.
Al posto della categoria del merito Gesù fa subentrare la categoria del dono; e se il merito comportava la categoria dell’esempio, quella del dono comporta la categoria del servizio (= mettere le proprie qualità e le capacità possedute, al servizio dell’altro, perché ne possa usufruire ed ottenere gli stessi vantaggi e gli stessi benefici).
Mentre, con la categoria dell’esempio si dimostrano le virtù, la capacità, le qualità, perché altri si possano sforzare, in qualche maniera, di imitarle, creando così disuguaglianza e differenza, con la categoria del servizio si crea l’uguaglianza.
Con Gesù non ci sono leggi, per quanto divine, da osservare, ma solo un amore da praticare.
“Da questo riconosceranno che siete i miei discepoli, se vi amerete gli uni e gli altri, come io ho amato voi”
Non si tratta di “cambiare il Vangelo”, ma di iniziare a “comprenderlo meglio”.
Penso che alla fine di ogni giornata, prima di andare a riposare, ognuno di noi dovrebbe rileggere la parola del figliol prodigo (Lc 15, 11.32) e fare un serio esame di coscienza…per accorgersi dell’abisso che ancora separa il nostro modo di amare, dal modo di amare di DIO .
Per accorgersi dell’abisso che separa il nostro modo di esercitare “ la paternità” nel Popolo di Dio, dal modo in cui il Padre la esercita nei confronti di ogni uomo, che Egli considera non come suo servo, ma come suo figlio amatissimo, anche se peccatore.
Un abisso che non sarà mai colmato, nonostante la fedeltà, molto spesso solo di facciata, alla legge del celibato che avrebbe dovuto permettere ad ogni presbitero-celibe (compreso il papa ed i vescovi) di esercitare “ una paternità capace di riflettere sul proprio volto l’amore misericordioso di Dio Padre e di essere segno  della  capacità di dono, della creatività nel plasmare il mondo con amore” .
C’è qualche prete-sposato che abbia fatto esperienza di un certo interessamento paterno da parte del proprio vescovo, o del proprio Superiore Religioso,perché desideroso di rendersi conto delle condizioni di vita in cui spesso il prete-sposato è  costretto a vivere, suo malgrado ?
Avete mai incontrato qualche vescovo che manifestasse la sua preoccupazione per il lavoro che  molti preti-sposati si devono inventare per poter vivere e mantenere  dignitosamente la propria famiglia e mettere insieme “il pranzo con la cena” ?
Se voi chiedete ai vescovi quali sono le motivazioni e le ragioni per cui la chiesa latina ha imposto il celibato ai preti, ve le sapranno dire in modo così disincantato e fluente da darvi la sensazione che stiano ripetendo una poesia a memoria.
Ma se domandaste quali sono le ragioni, le motivazioni perché i preti-sposati vengono trattati così male da santa romana Chiesa ? Perché vengono deliberatamente emarginati dal tessuto della comunità cristiana ?  
A questo punto credo che la parlantina e la sicurezza di molti,dimostrata nell’illustrare la convenienza del celibato per la vita del presbitero, si trasformerebbe in  balbuzie e disagio  per tutti.
Ciò nonostante, la maggioranza dei preti sposati ha continuato a mantenere vivo l’impegno della coerenza, della testimonianza cristiana e della comunione ecclesiale, nonostante le “mille difficoltà”! Ma non è la parte laicale del Popolo di Dio, che non ha alcun potere decisionale 6 né per “assumere”, né per “dismettere”, che lancia contro questi preti-sposati, “le pietre” per “lapidarli”.
Chi lo ha fatto e continua a farlo, è, invece, quella parte di Popolo di Dio che forma lo “stato clericale”.
Solo il Papa, può decidere, una volta per sempre, di togliere l’obbligatorietà del celibato per i presbiteri, perchè in forza del suo ufficio, è munito di una potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale, che può esercitare sempre e liberamente (can. 331).
Egli è il Vescovo della Chiesa di Roma, ma anche il capo del collegio apostolico, cioè del collegio episcopale, perché in lui permane l’ufficio conferito dal Signore, individualmente, a Pietro che era il capo del Collegio Apostolico.
Per questo, quello che il Romano Pontefice fa o decide come conseguenza della sua autorità suprema che lo pone al vertice della Gerarchia ecclesiastica, è inappellabile (can 333, § 3).
Contro qualsiasi provvedimento, pertanto, da lui deliberato, sentenza o decreto, non c’è possibilità di appello o di ricorso.
E chi osasse ricorrere al Concilio Ecumenico o al Collegio Episcopale contro un atto del Sommo Pontefice, commetterebbe un grave reato, passibile di censura ( can. 1372).
Perché allora il Papa non decide in tal senso ?
NOTE
 
1 - cfr.Rescritto di dispensa dal celibato, al § 4 .
2-Cann.59-75 : La voce “Rescritto” deriva dal latino “rescribere”, rispondere per iscritto. Nel diritto romano dell’età imperiale, il termine fu usato per indicare la risposta scritta data dall’imperatore a domande rivoltagli da privati o anche da pubblici funzionari. Dall’ordinamento romano, l’istituto giuridico del rescritto passò nell’ordinamento canonico, assumendo una grande importanza nella vita della Chiesa. Il canone 59, §1 definisce il rescritto come “ atto amministrativo emesso per iscritto dalla competente autorità esecutiva, col quale, ad istanza di una persona, si concede un privilegio, una dispensa o una grazia”.
I rescritti possono essere “rescritti di giustizia” se riguardano facoltà e diritti in ordine alle liti e alle controversie giuridiche; “rescritti di grazia” se riguardano puri favori, benefici, grazie.; “rescritti misti”, se riguardano la concessione di un beneficio che è insieme favore e provvedimento decisionale in materia contenziosa.
E in rapporto alla legge, i rescritti possono essere: “secundum legem”( concedono facoltà e favori previsti dal diritto); “praeter legem” ( concedono grazie che per se non sono previste dalla legge, ma non sono neppure ad essa contrarie); contra legem (contengono una deroga al diritto comune).
3-L’Ufficio ecclesiastico costituisce il cardine dell’intera organizzazione della Chiesa. Lo strumento tecnico indispensabile per l’ordinato esercizio dei suoi poteri, delle sue funzioni e delle sue attività. Il Codice di Diritto Canonico vi dedica una parte rilevante delle sue “Norme Generali”, disciplinandone accuratamente il conferimento e la cessazione ( cann.145-196). Il Nuovo Codice di Diritto canonico, attenendosi ai criteri stabiliti dal Concilio Vaticano II ( Decr. Presbyterorum ordinis, n. 20, 2) modifica il concetto tradizionale di ufficio ecclesiastico, sanzionato nel Codice precedente pio-benedettino del 1917 e lo libera dal suo carattere esclusivamente clericale, rendendolo accessibile anche ai laici.
4-il can. 229, §3 afferma che “attenendosi alle norme prescritte dagli statuti circa l’idoneità richiesta, i laici possono ricevere dalla legittima autorità ecclesiastica il mandato d’insegnare scienze sacre”.
Al presbitero sposato, invece, viene negata dall’autorità ecclesiastica, la possibilità d’ insegnare scienze sacre, anche se laureato in teologia.
5 - Cfr. Codice di Diritto Canonico, Titolo II – Diritti e doveri dei fedeli laici- cann 224-231.
6- Il papa Gregorio XVI ( 1831-1846), già cardinale Cappellari dell’Ordine Camaldolese, affermò che “ nessuno può disconoscere che la Chiesa è una società disuguale in cui Dio ha destinato gli uni a governare e gli altri a servire. Questi ultimi sono i laici, gli altri sono i chierici”.
A cui fanno seguito le parole di Pio X ( 1835-1914) – Giuseppe Sarto- che fu definito il più grande papa riformatore dai tempi del concilio tridentino : “ Soltanto il collegio dei Pastori ha diritto e l’autorità di dirigere e governare; la massa non ha nessun diritto, tranne che quello di lasciarsi governare come un gregge obbediente che segue il pastore”.



Mercoledì 25 Novembre,2015 Ore: 23:16
 
 
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