- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (358) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org L'imposizione del celibato nega la misericordia,di Perin Nadir Giuseppe

Giubileo della Misericodia (9)
L'imposizione del celibato nega la misericordia

di Perin Nadir Giuseppe

PRIMA DOMANDA
Coloro che nella Comunità ecclesiale hanno il potere e la responsabilità del servizio presbiterale : nell’imporre il celibato a tutti coloro che sono stati chiamati da Dio al ministero presbiterale, nella Chiesa Cattolica d’Occidente e nel continuarlo a fare, nonostante gli innumerevoli aspetti negativi, dimostrano di non avere misericordia .
Tale imposizione – dal momento che non poggia sul Vangelo, ma solo sul Diritto Canonico - più che un “segno di misericordia”, è un segno “di prepotenza” e “di dominio” su tutti coloro che sono stati chiamati da Dio ad esercitare il ministero presbiterale1 a servizio della comunità.
Gesù Cristo ha scelto i Dodici, senza porre condizioni, né una volta che gli Apostoli sono stati scelti ha posto dei “paletti” per poter svolgere il ministero al quale erano stati chiamati.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” ( Gv 15,16-17).
Né i Vangeli si soffermano ad analizzare i dati anagrafici degli Apostoli, il loro stato di famiglia, il patrimonio, i loro rapporti familiari.
Il presbitero nella Comunità ecclesiale primitiva, indicava colui che, vivendo in una determinata comunità, veniva scelto dagli apostoli per mettersi al servizio delle anime, come “pastore” di quella comunità cristiana. E, le prime comunità cristiane non si ponevano il problema se il loro “pastore” dovesse essere “celibe” o “sposato”. Tanto è vero che i quattro evangelisti non si sono mai soffermati di trasmettere le biografie degli apostoli di Gesù.
Dai vangeli risulta solo un matrimonio certo, quello di alcuni dei 12 Apostoli. E proprio perché i Vangeli non sono biografie nel senso stretto del termine, in essi non ci sono i ritratti a tutto tondo dei personaggi che li popolano, perché gli evangelisti si sono preoccupati di illustrare l’evento storico centrale dell’Incarnazione e soprattutto la sua dimensione trascendente.
Per questo sappiamo ben poco dei dati anagrafici familiari degli apostoli.
Tuttavia, una cosa è certa : che lo stato di coniugati - secondo la tradizione giudaica che attendeva alla stessa prassi biblica- doveva essere normale. Lo stesso Geremia, profeta celibe, segnalava la sua situazione di “celibe” ( non sposato) come una eccezione e per certi aspetti “scandalosa”.
E’ noto che Pietro fosse sposato non solo in base alla scena della guarigione della suocera febbricitante ( Mc 1,29-31), ma anche per la testimonianza di Paolo che allarga l’informazione al matrimonio degli apostoli e del gruppo giudeo-cristiano di Nazareth, cioè dei cosiddetti “fratelli del Signore”: “non abbiamo il diritto di portare con noi una sposa credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa “? ( 1Cor 9,5).
Più arduo è il tentativo di sapere qualcosa di più preciso sulla questione delle relazioni familiari dei dodici.
I Vangeli dal punto di vista documentario non si preoccupano di venire incontro a questa curiosità. Ma ci sono alcuni indizi e affermazioni che ci potrebbero dare qualche indicazione, anche se non soddisfano la nostra “curiosità giornalistica”, con la quale spesso e in modo errato, avviciniamo la Parola di Dio.
Da un lato, non è da escludere che le mogli avessero seguito all’inizio gli apostoli - come fa intendere Paolo nella sua dichiarazione – proprio per la consuetudine giudica che attribuiva il primato al padre-marito.
Durante il ministero in Galilea, Gesù si spostava in un’area ristretta e coi suoi discepoli poteva essere ospitato nelle case degli Apostoli, come attesta l’episodio della suocera di Pietro che “serve” a mensa. Si conservava, così un legame tra gli apostoli e le loro famiglie.
La “casa di Pietro” messa in luce dai Francescani archeologi a Cafarnao, può essere in memoria di queste relazioni tra Gesù, i dodici e le rispettive residenze.
Con il trasferimento in Giudea questo non è stato più possibile, anche se sulla base della notizia offerta da Luca “ In seguito Egli se ne andava per città e villaggi, predicando ed annunziando il lieto messaggio del Regno di Dio. C’erano con lui i Dodici ed alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, detta la Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni; Giovanna moglie di Cusa, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni”( Lc 8,1-3).
In questo seguito femminile di Cristo, si potrebbe ipotizzare anche la presenza di qualche moglie di apostolo, dal momento che la vita a livello popolare, nel vicino oriente, era meno complessa e la civiltà sedentaria, meno rigorosa della nostra. Ma si tratta solo di ipotesi. Niente di ciò che è narrato nel Vangelo è in grado di soddisfare la nostra “curiosità giornalistica”, perché niente è stato raccontato per fare uno “scoup” giornalistico (chi, dove, quando, come, perché).
Tuttavia, alcuni problemi “saranno venuti sicuramente a galla”, ed è, a questo punto, che ci sono delle testimonianze evangeliche sul distacco che possono essere interpretate come risposte relative a questi problemi.
Nei Vangeli sinottici, per esempio, incontriamo questo dialogo tra Pietro e Gesù, riferito da Luca: “Pietro allora disse: “Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito”.
Gesù rispose : “ In verità vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio che non riceva molti di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà” ( Lc 18,28-30).
E’ evidente, in queste parole, un distacco dagli ambiti familiari, anche se non sappiamo come sia stato affrontato e risolto, in concreto.
C’è qualcosa di più forte in una dichiarazione di Cristo che, citando il profeta Michea ( 7,6) rivela la “divisione” che la fede in lui introduce nelle famiglie: “D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tra contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera” ( Lc 12,52-53).
Ma, Gesù va oltre e, usando il linguaggio semitico che - non conoscendo i comparativi - usa solo gli assoluti - proclama: “ Se uno viene a me e non odia ( = non ama meno di me) suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria vita, non può essere mio discepolo” ( Lc 14,26).
Questa parole riflettono, anzitutto, il dramma delle tensioni sorte nelle famiglie ebraiche, dove allora si registravano le prime conversioni al cristianesimo.
Ma, Gesù, con queste parole, vuole delineare, in modo generale, la scelta radicale che ogni discepolo deve compiere, in maniera libera e responsabile per il Regno di Dio che dev’essere al vertice delle sue attese, del suo impegno, del suo cuore, qualunque avesse potuto essere la propria situazione familiare.
E’ su questa linea, ma sempre nel rispetto della libertà di scelta del singolo individuo, mai attraverso un’imposizione, che si sarebbe dovuta sviluppare la proposta evangelica, paradossale e provocatoria del celibato, come scelta libera ed atto di donazione totale, fatto personalmente e liberamente, per il vangelo e per il Regno, ma mai imposto per autorità da parte di terzi.
Tutto il Vangelo è una “proposta di vita” che Dio fa all’uomo, compresi i consigli evangelici, perché si tratta sempre di “accogliere volontariamente Dio che dona se stesso all’uomo per suscitare nell’uomo una risposta libera. Il celibato è uno dei tanti carismi ( doni) dello Spirito Santo. Accettandolo liberamente, l’uomo “diventa eunuco per il regno dei cieli”, come è suggerito in Matteo (19,12) e che Paolo svilupperà con intensità nel cap. 7 della prima lettera ai Corinti 2.
Si tratta sempre, però, di un atto libero, di una scelta che non può mai “essere imposta” per non perdere la sua caratteristica essenziale che è quella di essere un “dono dello Spirito Santo”.
Quando ci troviamo di fronte ad un’ “imposizione”, qualunque sia la ragione per cui “qualcosa” viene imposta, non si può più parlare di “scelta”, perché una scelta, per essere tale, deve avere il marchio della libertà.
Con alterne vicende, il problema del celibato obbligatorio è rimasto costantemente all’ordine del giorno nel corso degli ultimi decenni e le discussioni continuano ancora oggi in molte realtà ecclesiali, incrociando posizioni diverse.
Chi sottolinea la difficoltà di una ricostruzione storica attendibile del celibato.
Chi afferma la convenienza di inquadrarlo in qualche forma pratica comunitaria o all’interno di un programma di vita spiritualmente intenso ed impegnato.
Chi pur apprezzando il suo valore intrinseco, auspica anche la possibilità di ordinare uomini-sposati che abbiano dato prova di esemplare vita cristiana e di valido impegno pastorale.
Soprattutto molte sono le voci di coloro che chiedono l’abolizione dell’obbligatorietà del celibato per il clero secolare, riportandolo alla sua originaria natura di “scelta libera” e non di “imposizione” per legge canonica.
Da sempre è stato affermato che il “celibato” (cioè “scegliere di non sposarsi”) è un “carisma” che viene dato in dono dallo Spirito Santo. E’ una proposta di vita contenuta nel Vangelo e fa parte dei “consigli evangelici”, assieme alla “povertà” ed “obbedienza”.
E’ una scelta della persona, fatta in piena libertà e, per questo, la sua essenza è quella di essere un “ carisma” (= un dono) che lo Spirito Santo fa solo ad alcuni, non a tutti3, affinchè più facilmente - con cuore indiviso 4 si consacrino solo a Dio, nella verginità.
Pertanto “il celibato” non si può meritare, né con la preghiera, né con le buone opere e ciò che viene dato in base al merito, non si può più considerare un dono, cioè qualcosa di gratuito.
A ciascuno, infatti, è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene ( 1Cor 12,7) e lo “Spirito le distribuisce a ciascuno come vuole” ( 1Cor 12,11).
Il dono ha, concettualmente, qualcosa di diverso dal “regalo”.
Ciò che viene regalato ( il regalo) se non piace si può anche “riciclare”; ma, il “dono” non si può riciclare, perché è “ qualcosa che richiede da parte di chi lo riceve, una risposta che impegna nella relazione con la persona che fa il “dono”.
Quando si parla di scelta, l’elemento essenziale perché sia tale è la libertà della persona che sceglie. Quando invece c’è una imposizione non si può più parlare di “scelta”.
Perché il celibato - da carisma dello Spirito Santo - è stato, invece, imposto “per autorità” dal Papa, a coloro che ricevono il sacramento dell’Ordine ?
Il CELIBATO, come scelta di non sposarsi, era considerata nel primo millennio, prevalentemente tipica della vita religiosa e non dei preti. E, per secoli le comunità di religiosi o di monaci hanno praticato i consigli evangelici senza che questo li abilitasse ad accedere al ministero ordinato.
Con la riforma Gregoriana - che prende il nome dal papa Gregorio VII - dall’XI / XII sec. in poi – e non senza motivazioni di tipo economico, cioè per non disperdere i beni ecclesiastici tra i figli dei vescovi e dei preti – si volle imporre ai preti l’ideale monastico ( con l’obbligo di osservare i tre consigli evangelici: povertà, castità perfetta, obbedienza) e proporre ai monaci il ministero ordinato.
Da quel momento, il celibato imposto ai preti divenne per molti di loro un dramma.
E i fatti che vengono documentati dalla storia, a tale proposito, non sono stati inventati, né sono frutto dell’immaginazione o costruiti appositamente per infangare la Chiesa-istituzionale, ma si tratta di storie vere, a testimonianza delle sofferenze, delle umiliazioni, delle torture che hanno dovuto subire i preti che si erano sposati e le loro mogli e figli. Sofferenze ed umiliazioni che ancora oggi continuano, nella Chiesa, anche se in modi e forme diverse !
Fu proprio Gregorio VII ( un monaco potentissimo della curia romana, di nome Ildebrando) che aveva come unico interesse : la grandezza morale e politica della Chiesa, in quanto istituzione.
I suoi obiettivi erano quelli di dare autorità ed autonomia al papato, moralizzare il clero e rendere la Chiesa indipendente dall’Impero.
La situazione generale di allora era caratterizzata da un papato che aveva perso la sua autorità e da un impero che aveva raggiunto il culmine della sua potenza e del suo splendore; oltre che dalle tensioni affioranti tra queste due potenze: papato e impero.
Appena salito al soglio pontificio, Gregorio VII emanò il “Dictatus papae” contenente 27 sentenze, attraverso le quali espresse i suoi scopi e le sue idee.
Gregorio non considera il regno di Dio come un campo dove il grano cresce con la gramigna, al contrario vede il regno di Dio come un campo dove si scatena, senza tregua e senza pietà, la lotta della Civitas Dei contro la civitas diaboli”.
Per questo è stato chiamato il “papa più bellicoso che abbia mai occupato la cattedra di Pietro”.
In lui ha dominato la volontà di affermare la potenza terrena del Principe degli Apostoli, e per questo ha sacrificato sia gli uomini che si sono messi di traverso sulla sua strada che i princìpi immutabili di verità e di giustizia.
Una delle prime cose che fece fu quella di eliminare il matrimonio tra gli ecclesiastici allo scopo di garantire alla chiesa che le sue proprietà non passassero mai di mano.
E’ certo che uno dei motivi che hanno portato alla legge ecclesiastica del celibato fu la costituzione di una classe sociale, formata da chierici, che doveva essere potente per salvare una civiltà minacciata. E, una delle forze di questo corpo sociale-clericale stava nel non disperdere in eredità i loro beni fondiari.
L’effetto di questa legislazione fu di creare migliaia di virtuali prostitute tra le mogli innocenti dei sacerdoti confusi e adirati. E, quando furono separate dai loro mariti, per ordine del papa Gregorio VII, molte di loro si suicidarono.
Le concezioni monastiche sul sesso e sul matrimonio hanno partorito questa legge che è stata conservata ed imposta con ogni mezzo, al prete, ormai suddito della monarchia assoluta papale.
Questa idea repressiva di “rompere con un perpetuo anatema, il rapporto dei consacrati con le donne – come esigeva papa Gregorio VII- aveva avuto voce e spazio, nella Chiesa, già molti secoli prima5.
Questa posizione negativa della Chiesa-istituzionale occidentale contro il matrimonio dei preti, portò nel 1054 allo scisma tra la Chiesa occidentale e la Chiesa Ortodossa Orientale, la quale fondò la sua prassi sui decreti del Sinodo Trullano II ( 691-692) che concesse ai diaconi e presbiteri di continuare a vivere il matrimonio. Mentre la Chiesa-istituzionale Occidentale scelse di andare contro il normale corso della natura, favorendo così la fornicazione, la ribellione, lo scandalo e lentamente la spinta verso la Riforma.
Gli uomini che nella Chiesa-istituzionale, detengono l’autorità, sono stati quasi sempre in crisi per quanto riguarda il celibato dei chierici e il “voto di castità” per i sacerdoti non ha quasi mai funzionato; anzi ha provocato più danni alla morale di qualsiasi altra istituzione dell’Occidente, compresa la prostituzione.
La storia del celibato è talmente poco edificante che oggi neppure il romanzo più “spinto” potrebbe rivaleggiare con essa 6.
Ma, il più inflessibile sostenitore del celibato dei preti fu proprio Gregorio VII che nonostante l’aperta e continua opposizione degli ecclesiastici, chiamò “prostitute” tutte le donne dei preti, aizzò contro i preti una “teppaglia” composta di monaci e di canaglie.
Alcuni chierici persero i loro averi e per non vivere da mendicanti lasciarono il luogo dove erano stati dei notabili. Altri furono mutilati, torturati, trucidati.
Persino i partigiani della Riforma furono nauseati dalla vergognosa caccia alle donne dei preti che si era scatenata.
Ma, la storia del celibato è anche la storia della degradazione femminile e di frequenti aborti e infanticidi.
E’ la storia del clero divenuto una minaccia per le mogli e le giovani donne delle parrocchie.
E’ la storia di episcopati divenuti sempre più ereditari.
E’ la storia dei peggiori scandali verificatisi nella stessa Roma con i papi al primo posto nella classifica dei libertini.
E’ la storia dell’infame “collagium”, cioè la tassa sul sesso che preti, vescovi e papi dovevano pagare per poter avere una concubina.
E’ la storia di monasteri e conventi dove imperversava la promiscuità.
E’ la storia di una grande quantità di figli di cui nessuno sa chi siano i padri.
E’ la storia del permesso dato ai figli di preti di prendere gli ordini per non rischiare l’estinzione della classe sacerdotale.
Dalla storia risulta che il “celibato-imposto ai preti”, non fu per niente quel “gioiello prezioso” tanto decantato dalla Chiesa-istituzionale, quanto piuttosto un gravissimo peccato della Chiesa-istituzionale, per averlo deturpato “imponendolo”, privando l’uomo della sua dignità e della sua libertà di scelta !
Approfondendo la storia si scopre che, per il papa Gregorio VII, il celibato non aveva tanto a che fare con un’esistenza “casta”, quanto piuttosto, con l’indipendenza della Chiesa-istituzionale dall’influenza dei laici.
Quel pontefice sognava il Regno di Dio sulla terra che disponesse dei benefici e dei profitti dei parroci, come dei preti sciolti da ogni vincolo, per disporne più liberamente e facilmente, come nel caso dei preti monaci. Ciò nonostante fu proclamato santo, anche se molti ecclesiastici lo considerarono un eretico, perché aveva interpretato male la Parola di Gesù Cristo.
Ma non basta. Nel corso dei secoli le violazioni del celibato furono punite con la scomunica, il carcere, con pene pecuniarie7 , con la fustigazione e la bastonatura, con la riduzione in schiavitù delle mogli dei preti, con l’invalidazione di validi matrimoni e la separazione forzata dei coniugi; con la proibizione di prendere parte al matrimonio e alla sepoltura dei figli,; con la proibizione di seppellire le mogli dei preti con rito ecclesiastico.
Dopo la constatazione storica che il celibato imposto per legge, aveva procurato e continuava a procurare soltanto corruzione, ribellione e scandali, la decisione più ovvia, per chi avrebbe dovuto avere a cuore il bene della Chiesa, sarebbe stata quella di “abolire tale imposizione” del celibato, per ridargli la dignità di ritornare ad essere “una libera scelta” della persona.
Ma poiché lo scopo principale – camuffato sotto altre ragioni più spirituali che però non hanno mai convinto nessuno - è sempre stato quello di mantenere i “beni” della Chiesa, il nepotismo dei papi medioevali e rinascimentali finì con l’essere doppiamente oltraggioso, perché questi preti celibi, continuarono a dare gran parte dei beni ecclesiastici ai loro parenti, rendendo così il celibato privo di qualsiasi scopo. E, in molte diocesi, la “religione” scomparve proprio a causa del celibato imposto.
Lo stesso Gregorio VII non esitò a rivolgersi alle autorità civili per imporre il celibato e molti altri papi hanno continuato nel corso dei secoli su quella linea8 .
In Italia, con il concordato del 11 febbraio 1929, lo Stato divenne “il braccio secolare” nella persecuzione degli ex preti e religiosi, soprattutto a causa dell’art. 5 di tale Concordato, tanto che diversi giuristi e uomini di cultura italiani, si schierarono per la sua abrogazione.
Che cosa diceva questo art. 5 ? “ Nessun ecclesiastico può essere assunto o rimanere in un impiego od ufficio dello Stato italiano o di enti pubblici dipendenti dal medesimo senza il nulla osta dell’Ordinario diocesano. La revoca del nulla osta priva l’ecclesiastico della capacità di continuare ad esercitare l’impiego o l’ufficio assunto. In ogni caso i sacerdoti apostati o irretiti da censura non potranno essere assunti nè conservati in un insegnamento, in un ufficio od in un impiego, nei quali siano in contatto immediato con il pubblico”.
Tale articolo venne tolto nel concordato del 18 febbraio del 1984.
Molti preti vivono il “celibato obbligatorio” con sofferenza, dal momento che non lo hanno mai accettato, ma solo subìto, per forza maggiore.
E, molti di loro, pur avendo maturato nella propria coscienza la convinzione di essere veramente innamorati della donna che hanno “conosciuto”, non hanno il coraggio di cogliere l’invito di Dio ad “uscire ed andare…” ( Gn 12,1) : sia per paura delle difficoltà economiche da affrontare una volta “usciti dal Tempio”; sia per paura di perdere la propria reputazione o il prestigio legato alla stato clericale; o per altre motivazioni…
Scelgono di rimanere, continuando ad annegare la loro vita e la loro dignità nella menzogna, incuranti della devastazione morale e psicologica che tale atteggiamento causa sia in loro stessi che nelle donne innamorate di loro, spingendo qualche prete perfino a togliersi la vita !
Il celibato imposto per legge canonica, ma mai pienamente accettato ha contribuito a distruggere, nel tempo, in molti preti la loro identità di uomini e di cristiani, rendendo la loro vita un inferno… una terra arida e deserta, senza frutti; una terra dove tutto quello che viene seminato : sentimenti, emozioni, sensibilità, amore, condivisione… muore; una terra dove più nulla riesce a nascere, crescere e svilupparsi nella maturità del pensiero e nella coerenza dell’agire; dove la stessa dignità dell’uomo e della donna viene continuamente “deturpata” e “stuprata”.
Molti preferiscono vivere, nella clandestinità, i loro rapporti occasionali di “amore”, illudendosi in tal modo di avere la coscienza a posto, dal momento che, ragionando “diabolicamente” in punta di diritto canonico, si sono convinti che un prete “ viola la legge del celibato, inteso come scelta di non sposarsi, non quando va a letto con una donna, ma quando sposa la donna con la quale va a letto.
Sono convinto che in tutto questo non ci sia nessun segno di “misericordia” !
Nessuno può contestare l’affermazione che “l’imposizione del celibato ai preti della Chiesa Cattolica occidentale non trova la sua ragione d’essere nel Vangelo, ma solo nel Diritto canonico.
Infatti, il Diritto canonico al can 277 §1, afferma : “ i chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio, mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini”.
Successivamente c’è stata un’altra ratifica nella “sacerdotalis caelibatus” di Paolo VI (1967) e il “celibato” è stato sottoposto ad una lunga discussione nel Sinodo del 1971 che ha confermato a larga maggioranza il “celibato obbligatorio” nella Chiesa romana, perché ritenuto “sommamente confacente alla vita presbiterale”.
L’esortazione apostolica post sinodale del 1992 : “Pastores dabo vobis” da una parte si è dimostrata aperta ai suggerimenti accumulatisi negli ultimi tempi, ma dall’altra parte, decisamente ferma sulle posizioni tradizionali e sulla linea dello stesso Sinodo che aveva affermato : “ Ferma restante la disciplina delle Chiese orientali, il Sinodo, convinto che la castità perfetta nel celibato sacerdotale è un carisma, un dono, ricorda ai presbiteri che essa costituisce una grazia inestimabile di Dio per la Chiesa e rappresenta un valore profetico per il mondo attuale”.
Il Papa Paolo VI affermò, in maniera più esplicita che : “Spetta all’autorità della Chiesa stabilire, secondo i tempi ed i luoghi, quali debbano essere in concreto, gli uomini e quali i requisiti perché essi possano essere ritenuti adatti al servizio religioso e pastorale della Chiesa.
La vocazione sacerdotale, rivolta al culto divino ed al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio, benché divina nella sua ispirazione e benché distinta dal carisma che induce alla scelta del celibato come stato di vita consacrata non diventa definitiva ed operante senza il collaudo e l’accettazione di chi, nella Chiesa, ha l’autorità e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale9.
In questa dichiarazione, il Papa Paolo VI mise in risalto alcuni aspetti importanti della vocazione al ministero presbiterale, usualmente chiamata “vocazione al sacerdozio”:
-la vocazione sacerdotale è divina nella sua ispirazione;
-la vocazione sacerdotale è rivolta al culto divino e al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio;
-la vocazione sacerdotale è distinta dal carisma che induce alla scelta del celibato come stato di vita consacrata.
Ma queste tre caratteristiche della vocazione sacerdotale, non sono giustificative dell’affermazione che le precede : “Spetta all’autorità della Chiesa……”
Qual é, allora la motivazione per cui il Papa ha imposto il celibato ai preti della Chiesa cattolica occidentale ?
Perchè il celibato è particolarmente confacente alla vita sacerdotale”, pur riconoscendo, ancora una volta che il celibato non è richiesto dalla natura stessa del sacerdozio.
Questo risulta evidente, anche, dalla prassi della Chiesa primitiva ( cfr. 1Tim. 3,2-5; Tit 1,6) e dalla tradizione delle Chiese orientali, nelle quali, oltre a coloro che, assieme a tutti i vescovi, scelgono liberamente, con l’aiuto della grazia il celibato, vi sono anche degli eccellenti Presbiteri coniugati (Presbyterorum ordinis n 16 ) che dedicano pienamente e con generosità la propria vita al gregge loro affidato”.
Lo stesso card. Claudio Hummes, che fu titolare della Congregazione per il Clero, riconobbe apertamente che il celibato dei preti “non è un dogma, ma una norma disciplinare” e che “la proibizione del matrimonio” è stata promulgata solo alcuni secoli dopo l’istituzione del “presbiterato”.
Nonostante tutto, nessuno mai ha avuto il coraggio di “dissentire apertamente” con la decisione del Papa di “imporre il celibato” “perché particolarmente confacente alla vita saceerdotale”.
Gli stessi Padri Conciliari del Concilio Vaticano II, ritornarono ad approvare e a confermare tale legislazione contenuta nel Diritto Canonico, per tutti coloro che sono destinati al Presbiterato nella Chiesa Cattolica Occidentale.
Tale atteggiamento della Chiesa istituzionale, rappresentata in prima persona dal Papa, ha data la sensazione al Popolo di Dio, dell’inutilità di ogni dialogo e proposta su tale argomento, nonostante che coloro che sono responsabili del ministero presbiterale nella Comunità ecclesiale, si trovino a dover affrontare, ogni giorno, la “scarsità delle vocazioni al ministero presbiterale”.
Ma quello che rammarica maggiormente è il continuare a fingere di non accorgersi che tale imposizione del celibato, basata su “motivi di convenienza e perché sommamente confacente con la vita presbiterale” è un’aperta violazione dei diritti e della dignità della persona.
Perché ?
La Chiesa istituzionale conosce bene, che lo “ius-connubi” (cioè il diritto di sposarsi) è un diritto naturale che ogni essere umano-vivente ha e che può esercitare quando raggiunge la maturità di poter decidere e scegliere liberamente.
Quindi nessuna autorità al mondo può impedire o limitare questo “diritto dell’essere umano (maschio e femmina li creò) di sposarsi”, a meno che non ci siano delle gravi ed adeguate ragioni” richieste da gravi ed oggettive esigenze dello stesso istituto matrimoniale e della sua rilevanza sociale e pubblica10, altrimenti, la soppressione o anche la limitazione di tale diritto costituisce un’aperta violazione della dignità umana11.
Infatti, dal momento che gli uomini fanno parte di una società e che il matrimonio ha rilevanti conseguenze per i coniugi, i loro figli e la stessa società, è conforme al diritto naturale che il diritto positivo stabilisca quanto è necessario perché il “patto matrimoniale” sia valido e socialmente riconosciuto.
Ma, il diritto positivo civile o ecclesiastico (Diritto Canonico) non può porre delle restrizioni a tale diritto naturale, se non per “ una grave ed adeguata ragione” richiesta da gravi ed oggettive esigenze dello stesso istituto matrimoniale e della sua rilevanza sociale e pubblica”.
E la motizazione di “somma convenienza e confacenza” del celibato con il presbiterato”, portata dal Papa per imporre al presbitero l’obbligo di non sposarsi non si può considerare della fatti-specie delle “ gravi ed adeguate ragioni” richieste da gravi ed oggettive esigenze dello stesso istituto matrimoniale e della sua rilevanza sociale e pubblica” .
E’ lo stesso Papa Paolo VI che lo ha affermato, dicendo che “ il celibato di per sé non è necessario al presbiterato”.
Da qui, l’evidenza che tale “ decisione” del Papa di “imporre il celibato” ai presbiteri della Chiesa Cattolica Occidentale, non è un comportamento “misericordioso”, ma una violazione del diritto naturale.
Questa imposizione del celibato è stata codificata proprio nel Diritto Canonico, in quanto legge della Chiesa-istituzionale.
E, nel Diritto Canonico (non nel Vangelo) viene dichiarato che l’ordine sacro è impedimento dirimente al matrimonio dei chierici, i quali pertanto non possono “celebrare il sacramento del matrimonio”12. Eppure il Papa Paolo VI aveva chiaramente affermato che “ la vocazione sacerdotale, divina nella sua ispirazione, è distinta dal carisma che induce alla scelta del celibato come stato di vita consacrata”.
Al capitolo III del Diritto Canonico, ove si parla degli impedimenti dirimenti13, in particolare i cann. 1087 e 1088 recitano “ attentano invalidamente il matrimonio coloro che sono costituiti negli ordini sacri” e “… coloro che sono vincolati dal voto pubblico perpetuo di castità, emesso in un istituto religioso” di diritto pontificio o diocesano, nel senso proprio determinato dal can. 607.
Anche nel CCEO (Codice di Diritto della Chiesa Orientale) si afferma che “attenta invalidamente il matrimonio colui che è costituito nell’Ordine Sacro” (cfr. CCEO can 804 e 805).
Ma proprio il Magistero della Chiesa aveva affermato che il diritto positivo non può porre delle norme restrittive al diritto naturale di sposarsi, se non per una grave ed adeguata ragione” richiesta da gravi ed oggettive esigenze dello stesso istituto matrimoniale e della sua rilevanza sociale e pubblica”.
E, ribadisco che la motivazione di convenienza (soprattutto economica) e di “confacenza” per cui la Chiesa-istituzionale afferma che il celibato è sommamente confacente con la vita presbiterale non rientra nella fattispecie di una “grave ed adeguata ragione” richiesta da gravi ed oggettive esigenze dello stesso istituto matrimoniale e della sua rilevanza sociale e pubblica”.
Perché allora non riconoscere umilmente che “l’imposizione del celibato” ai preti della Chiesa cattolica occidentale è realmente, al di là delle belle parole, un’aperta violazione di un diritto fondamentale della persona e segno di non rispetto della dignità della persona, privandola della sua libertà di “scelta”. Tutto questo non è segno di “misericordia”, ma di sopraffazione e di violenza continuata ed aggravata.
1- In che cosa consiste il ministero presbiterale ?
-Annunciare la Parola di Dio : “andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato” ( Mc 16,16)
-Testimoniare la fede : perché se uno dice di avere fede, ma non fa seguire le opere, a che serve ? ( Lettera di Gc 2,14)
-Nutrire il popolo di Dio : con il pane di vita, disceso dal cielo (l’Eucaristia) in modo che tutti coloro che hanno accolto il Verbo incarnato di Dio e creduto nel suo nome, possano diventare “figli di Dio”, comportandosi come il Padre si comporta nei confronti di ogni essere umano” ( Gv 1,12-13). Questo vi raccomando che vi amiate gli uni e gli altri ( Gv 15,17).
NOTE
2 -Da un articolo di Mons.Gianfranco Ravasi, Vita Pastorale, maggio 2005
3 -cfr. Mt 19,11; 1Cor 7,7.
4- Il vero amore – anche quello matrimoniale- non divide mai l’uomo da Dio, ma lo unisce. Tanto più che un discepolo del Signore non può dire di amare Dio che non vede, se poi non ama, cioè non si fa prossimo all’altro che vede ( cfr. 1Cor 7,32-34)
5- Il primo scritto ufficiale si trova nel Sinodo di Elvira (306), poi nel Concilio di Cartagine (390) e ancora nel Sinodo romano del 402. Ci furono altri Sinodi, nei quali i padri della Chiesa e soprattutto i papi cercarono di imporre il celibato, nonostante l’opposizione, le proteste furibonde, le zuffe e i tumulti verificatisi nei secoli contro questa iniqua legge che imponeva agli uomini di vivere come angeli.
6 -Nella storia della Chiesa ci furono anche dei Papi che erano sposati, hanno avuto dei figli o che erano loro stessi, figli di un prete o di qualche vescovo : S. Pietro (67); Pio I (144-155); Stefano I (254-257); Damaso I (366-384); Anastasio (399-401); Bonifacio I (418-422); Felice III (483-492) ebbe 2 figli; Anastasio II ( 496-498); Armida (514-523); Agapito (535-536); Adeodato I (615-618) era figlio di S. Armida (514-523); Marino I (882-884); Giovanni XI (931-935); S. Innocenzo I (401-417) era figlio di S. Anastasio I (399-401);Teodoro II (642-649) era figlio di un vescovo; Adriano II (867-872) aveva 2 figli; Bonifacio VI (896) era figlio del vescovo Adriano; Clemente IV ( 1265-1268) ebbe 2 figlie; Innocenzo VIII (1484-1482) ebbe 1 figlio; Alessandro VI ( 1492-1503) ebbe 2 figli; Giulio II (1503-1513) ebbe 3 figlie; Paolo III (1543-1549) ebbe 4 figli; Pio IV ( 1559-1565) ebbe 3 figli; Gregorio XIII ( 1572-1583) ebbe 1 figlio……
7- Poiché le violazioni del celibato spesso furono punite con pene pecuniarie, il matrimonio dei preti ebbe un ruolo notevole nella diffusione della Riforma luterana in quanto questa portò a molti trasgressori un guadagno economico, consistente nell’evitare l’esosa pena pecuniaria.
8- Cfr. Articolo, I drammi del celibato dei preti, di Fernando Iachini, teologo e psicologo, tratto da Riforma – Settimanale delle Chiese Evangeliche Battiste, Metodiste, Valdesi, Anno 143- numero 6-9, febbraio 2007 e pubblicato sul “il dialogo”, Periodico di Monteforte Irpino, 06 febbraio 2007.
9- Cfr. Paolo VI, Encicliche e Discorsi, Ed. Paoline, Roma 1968, Vol XVI, p.264.
10- cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, 22 ottobre 1983
11- Cfr. Paolo VI , Enciclica Populorum Progressio, n.37 –
12-Per i lettori che non hanno dimestichezza con il linguaggio teologico ricordo che i ministri del sacramento del matrimonio sono gli sposi e che il “ministro” di un sacramento è colui che celebra il sacramento. Ecco perché si dice che sono gli sposi a celebrare il sacramento del matrimonio.
13-Si tratta di un impedimento di diritto ecclesiastico, connesso con la legge del celibato (can. 277). Il sacramento dell’Ordine imprime in chi lo riceve il carattere perpetuo ed indelebile, per cui un prete è e rimane prete in eterno (can 290).L’impedimento matrimoniale che ne deriva può cessare soltanto per dispensa riservata alla Sede Apostolica (can. 1078, § 2, 1°). Con il rescritto di dispensa dall’obbligo del celibato, il chierico può sposarsi nella “forma canonica”, cioè in chiesa, ma perde lo “stato clericale” (can.290).



Mercoledì 25 Novembre,2015 Ore: 23:09
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
La chiesa di Papa Francesco

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info