- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (236) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org LE SCOMUNICHE AI MAFIOSI: ASPETTI PROBLEMATICI,di Augusto Cavadi

LE SCOMUNICHE AI MAFIOSI: ASPETTI PROBLEMATICI

di Augusto Cavadi

Riprendiamo questo articolo, su segnalazione dell'autore che ringraziamo, dal suo blog Augustocavadi.com
Da questa mattina, sulla home page di www.repubblica.it, più precisamente nel blog "Il Dio dei mafiosi" curato da A. Bolzoni, è ospitato un post richiestomi sulla tematica delle scomuniche ai mafiosi:

   http://mafie.blogautore.repubblica.it/2018/04/1711/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P33-S1.6-T1
Le scomuniche ai mafiosi, come le grida di manzoniana memoria, si sono moltiplicate in proporzione alla loro inefficacia. Già nel 1945 i vescovi siciliani ricordano che sono automaticamente (“ipso facto”) scomunicati “tutti i rei sia di rapina sia di omicidio”. Seguono anni di ambiguità sotto l’egida del cardinale Ruffini che non era un filo-mafioso, ma uno dei molti che (anche nella magistratura e società civile) riduceva la mafia a fenomeno delinquenziale come tanti nel mondo, senza  vederne lo spessore politico-economico. Nel 1993 Giovanni Paolo II, in visita in Sicilia, non usa il termine tecnico “scomunica” ma lancia ai mafiosi quel grido diventato celebre (“Convertiteti: una volta verrà il giudizio di Dio!”) che risuona ancora più eclatante di una mera dichiarazione canonica. Da allora, e specialmente dopo l’assassinio di don Puglisi e di don Diana, i vescovi ribadiscono che, anche senza una condanna esplicita, chi uccide o danneggia gravemente e intenzionalmente il prossimo si pone da solo fuori dalla comunione ecclesiale (ex communione). Si arriva così al recente pronunciamento di Francesco I nei pressi di Sibari il  21 giugno 2014: “I mafiosi sono scomunicati, non sono in comunione con Dio”.
    Chi segue i complessi rapporti fra Chiesa cattolica e mafie non può non constatare con soddisfazione la crescente consapevolezza, nei pastori e nei fedeli, dell’incompatibilità fra il vangelo e la lupara. Ma, con altrettanta lucidità, non può chiudere gli occhi su alcuni aspetti problematici della questione.
    Una prima considerazione: i mafiosi non vivono in una sfera vitrea fuori dal tempo e dallo spazio, risentono dei mutamenti culturali epocali esattamente come il resto dei cittadini. La secolarizzazione, che segna mentalità e costumi del Meridione, incide anche sul peso che essi danno agli aspetti teologici, liturgici e canonici. In alcune lettere intercettate e pubblicate, Matteo Messina Denaro confessa chiaramente di non ritenersi più cristiano: non crede più in Dio né in una vita dopo la morte.
   Una seconda considerazione: una cosa è condannare ex cathedra i mafiosi in generale e tutta un’altra cosa è applicare la condanna, nella concretezza dei territori specifici, ai singoli mafiosi in carne e ossa. Se sono papa o vescovo è relativamente facile comminare scomuniche; se sono parroco in un quartiere popolare di Catania, o in un piccolo borgo dell’Aspromonte, non è altrettanto facile negare a un noto boss il matrimonio in chiesa o il funerale religioso in pompa magna.
   Ma ciò che riterrei decisiva è una terza, e ultima, considerazione. Se scopro che la mia cucina è infestata da formiche o scarafaggi, prima di attrezzarmi d’ insetticidi, non mi chiederò che cosa attragga tanto gli sgraditissimi ospiti? Analogamente, prima di studiare strategie per cacciare i mafiosi dalla comunità ecclesiale, sarebbe più logico interrogarsi sulle ragioni per cui i mafiosi frequentano gli ambienti cattolici e tengono tanto a occupare posti di rilievo al loro interno (dirigenti di associazioni, superiori di confraternite rionali , amministratori di opere pie…). Si potrebbe scoprire una verità scomoda ma lampante: curie vescovili e parrocchie attirano mafiosi e amici di mafiosi, come il cacio attira i topi, perché sono luoghi dove girano soldi e si muovono leve di potere. Sarebbe così – si chiedono alcuni teologi più schietti – se le comunità cattoliche vivessero in maniera più sobria, più libera dall’affarismo economico, dalle relazioni con ministeri e assessorati, dalle manovre elettorali? Chiese più vicine allo stile evangelico  - alla solidarietà con gli impoveriti e gli emarginati; alla cura dell’ambiente naturale; all’osservanza delle regole democraticamente stabilite; al rispetto laico della libertà di coscienza di tutti… - sarebbero ancora appetibili agli occhi dei mafiosi ? O questi, piuttosto, se ne terrebbero lontani con sussieguo, come da congreghe di patetici idealisti?
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com



Domenica 08 Aprile,2018 Ore: 19:20
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
La chiesa di Papa Francesco

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info