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www.ildialogo.org LA STORIA DELLA COMUNITÀ DI VILLAPIZZONE ALLA PERIFERIA DI MILANO,A CURA DI CARLO CASTELLINI

LA STORIA DELLA COMUNITÀ DI VILLAPIZZONE ALLA PERIFERIA DI MILANO

UNA COMUNITÀ DI FAMIGLIE APERTA E SOLIDALE SCATURITA DALL'ANNUNCIO DELLA PAROLA.


A CURA DI CARLO CASTELLINI

LA FORMAZIONE UMANISTA DI UN BIBLISTA.
PREMESSA OBBLIGATORIA.
Innanzitutto ringrazio i confratelli con cui ho cercato e cerco di vivere la Parola, in particolare FILIPPO CLERICI, BEPPE LAVELLI, STEFANO BITTASI, che mi sono stati vicini nella stesura di queste pagine con i loro suggerimenti preziosi. Ringrazio poi CARLO MARIA MARTINI, TOMASO BECK e FRANCESCO ROSSI DE GASPERIS miei iniziatori alla lettura della Parola. Ringrazio pure G. RONCHI, M. GALLI, F. MONTAGNA, ed E. BONALUME per la battitura e la correzione del testo. Non ho parole per ringraziare persone della comunità di VILLAPIZZONE, di SELVA e di tanti altri luoghi, con le quali ho letto la Bibbia: mi hanno insegnato più di qualunque maestro. In tale contesto nasce questo libretto, che è una chiacchierata familiare sulla Parola. (Silvano Fausti).
In queste pagine espongo la nostra esperienza. Siamo una comunità di gesuiti, che vive in una cascina alla periferia di Milano (Villapizzone), inserita in una comunità più ampia di famiglie aperte ai problemi dell'emarginazione. Questo contesto che ha dato origine al movimento A.C.F. (ASSOCIAZIONE COMUNITÀ E FAMIGLIA), molto frequentato anche da chi non va in chiesa, è un humus fecondo per il nostro servizio della Parola.
A chi è in ricerca proponiamo di leggere la Bibbia come qualunque scritto. Non supponiamo fede in Dio, o in particolari scuole esegetiche, anche se siamo credenti e usiamo strumenti esegetici. Nel libro, finchè sta negli scaffali, la parola è carne surgelata. La si congela, cucina e mangia aprendo il libro. Leggendolo, comprendendolo, e applicandolo a se stessi.
Il metodo di lettura, come dice una tradizione monastica, si compendia nell'aforisma:”Te totum ad textum applica, rem totam applica ad te”. (J.A. BENGEL). Spiego con semplici metafore come accostiamo un libro.
Un bel testo è come il PALAZZO FARNESE. Le pietre non vanno smontate per vederne la dimensione, taglio e provenienza. Lo si contempla gustandone l'armonia.
Un bel testo è una FORESTA. Non si tagliano le piante per farne cataste, etichettate secondo tipi e sottotipi. Nel bosco è bello perdersi dentro.
Un bel testo è uno SPARTITO MUSICALE. Le note non vanno separate e messe insieme secondo caratteristiche comuni. Vanno suonate così come sono. Ogni testo è un organismo vivo. Non lo si pone sul tavolo di anatomia per sezionarlo. Un brano staccato dal testo è morto. Non a caso si parla di “brano” biblico, perchè si “sbrana” il testo riducendolo a pezzi. Si possono fissare gli occhi in quelli dell'amata, Ma se si strappano per vedere come sono fatti, diventano ciechi e non sono più la luce del cuore.
Il testo biblico è un CORPO BELLO, che si offre per essere abbracciato: ci si unisce e si diventa con lui una carne sola mediante al lettura, rispettosa e amorosa.
Leggere certi commenti è come vedere cumuli ben ordinati di pietre invece che il Palazzo Farnese. O come entrare nel bosco, dove, con caterpillar e motoseghe, si sono tagliate tutte le piante per catalogarle. O come ascoltare blocchi omofoni dove sono state setacciate e messe insieme le stesse note della sinfonia.
O come ascoltare un frastuono assordante, prodotto da mirabolanti sintesi delle note più diverse. O come trovarsi sul tavolo anatomico: invece con studi filosofici aperti a tutto campo, vederne i pezzi, sezionati e conservati in formalina. Che scempio. Ecco, cerchiamo di non leggere la Bibbia in questo modo.
STORIA DI QUESTA LETTURA DELLA BIBBIA.
Base immediata di questa lettura, sono gli studi compiuti dal 1960 al 1970. Come tutti, da giovane, avevo sete di sapienza e di bellezza. Soddisfacevo la prima con tudi filosofici aperti a tutto campo, e la seconda con letture di ogni tipo, purchè belle. Verso i vent'anni cominciò ad affascinarmi il linguaggio. Attorno ad esso si coagulò la mia riflessione con attenzione sia all'aspetto logico-formale sia a quello espressivo-comunicativo.
Nella Parola infatti è impressa la realtà per l'uomo e si esprime al realtà dell'uomo. In quegli anni tiravano venti di grandi cambiamenti. Attorno al 1968 si vide, in breve tempo, una mutazione culturale maggiore di quella che c'era stata dall'uomo delle caverne fino ad allora. E da quella data il processo è in accelerazione, a caduta libera. Era naturale voler capire cosa stava succedendo.
Chi aveva una formazione “classica” sentiva di appartenere ad una lunga storia, che si apriva ad un presente inedito e a un futuro imprevedibile. Pareva di tenere un piede poggiato su un passato remoto, mentre l'altro cerca di affidarsi ad un futuro sempre più velocemente altro.
L'unico ponte gettato sull'abisso era la Parola, che ci aveva traghettato da una sponda all'altra. E' merito suo se l'uomo ha percorso questa distanza più che astrale. Per questo cercavo di capire, dal punto di vista filosofico,, come fosse la “parola”, che ha umanizzato l'uomo e il mondo.
Dal punto di vista teologico mi ponevo il problema se e come fosse possibile parlare di Dio. Erano gli anni della secolarizzazione della morte di Dio, dell'ateismo semantico, eccetera. Era in crisi qualcosa di più profondo della fede. Era cambiato il modello di pensare e di vivere. La mia ricerca,condotta attraverso varie piste, sfociò in un abbozzo di fenomenologia del linguaggio, scritta dal 1968 al 1969 e presentata come tesi di dottorato a Munster in Germania con l'allora professor WALTER KASPER. (SILVANI FAUSTI, ERMENEUTICA TEOLOGICA, BOLOGNA, 1973).
Il mio primo lavoro fu insegnare “teologia fondamentale”. Impostai il corso sul linguaggio, fondamento di qualunque pensare. L'anno successivo insegnai cristologia. Cercando opere di “cristologia narrativa”, trovai dotte pubblicazioni che auspicavano tale approccio, senza andare oltre l'auspicio. Mi decisi a prendere in mano il Vangelo di Marco, per vedere cosa e come racontava su Gesù. Mi sorprese un'altra cosa evidente (le cose evidenti, se si capiscono, sono sempre delle sorprese): il Vangelo non è una cava di pietre dottrinali o nomative né una miniera di perle morali o mistiche. E' narrazione di una storia.
L'identità di una persona è la sua storia, racconto che ne tramanda il ricordo. Tale identità non è fissa: è dinamica, aperta ad altro e comunicabile ad altri. L'ascoltatore la capisce secondo l'esperienza che ne fa; e ne fa esperienza secondo quanto la capisce. Un racconto è infinitamente conoscibile interpretabile, capace di produrre altre conoscenze. A differenza dei concetti, non è mai afferrabile. Afferra però l'ascoltatore e lo porta dentro la storia raccontata, fin che s'accorge che è anche la sua.
Era ciò che cercavo: un'opera di cristologia narrativa. Anzi la prima fondante per le altre. Ho evitato di usar il testo per “provare le mie idee”, come si fa in ogni lettura, anche del giornale. Ho preferito leggerlo come(4)
un racconto. Allo stesso modo di un romanzo, per intenderci. E lasciarmi condurre dal testo dove esso vuole.
In genere abbamo la preoccupazione di salvare credenze, istituzioni e Dio stesso. Vogliamo difenderci da questo mondo, che nega quanto giustamente riteniamo giusto. La Bibbia invece ci racconta di un Dio che non è da salvare, ma che ha tanto amato il mondo questo mondo perduto (cf Gv 3, 16), fino a perdersi per salvarlo. E che sempre ripetta la libertà, anche quando l'uomo va contro di lui, o addirittura contro se stesso. Il che per lui è peggio. Lo lascia libero di rifiutarlo e di negargli addirittura l'esistenza. Preferisce essere ucciso per bestemmia (cf Mc 14,64; cf Mt 26,65), piuttosto di uccidere chi lo bestemmia.
COSA PRODUCE LA LETTURA DELLA BIBBIA? DOVE PORTA
E PER QUALE CAMMINO?
Con queste domande cominciò e continua, la nostra avventura di leggee la Bibbia. La descriverò brevemente. Chi vuole approfondire questo metodo di lettura, può vedere lo studio già citato di CHRISTOPH THEOBALD, con la bibliografia indicata. Un'ampia e aggiornata descrizione, con relativa valutazione, sui vari tipi di lettura si può trovare in SILVIA PELLEGRINI, ELIJA – WEGBERAITER DES GOTTESSONHES, FREIBURG I. B 2000, PP.1-144.
Tale approccio trova il suo fondamento nel prologo di GIOVANNI, che echeggia l'incipit della Bibbia: la Parola è principio di tutto, sia nel creare che nel salvare. Non c'è parola neutra. Quella vera ci rende figli di Dio (Gv 1 12). Quella falsa ci rende figli del divisore, menzognero e omicida fin dall'inizio (Gv, 8, 44).
Se Dio ci è padre e noi siamo suoi figli, necessariamente gli assomigliamo. Portiamo in noi la sua immagine indelebile. La menzogna ci ha steso sopra uno strato di pece. La parola, progresivamente, pezzo a pezzo, la dissolve, per riportare alla luce, il nostro volto originario, della cui bellezza, siamo nostalgia. E' il restauo che il Vangelo opera in noi.
La Bibbia è teo-logia in senso forte, originante: non è parola su Dio, ma di Dio su di sé. Non vuole oggettivarlo. Sarebbe idolatria. Dio e uomo non sono oggetti, ma soggetti. Lui è l'ignoto, che parla e si comunica; l'uomo il suo interlocutore, che liberamente si crea e ricrea ascoltandolo e rispondendogli. (SILVANO FAUSTI, a cura di Carlo Castellini).



Domenica 09 Aprile,2017 Ore: 18:21
 
 
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