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www.ildialogo.org Una testimonianza dall'Uganda,di P. Giuseppe Franzelli, Vescovo di Lira

Giornata Missionari Mondiale
Una testimonianza dall'Uganda

di P. Giuseppe Franzelli, Vescovo di Lira

Carissimi, 21 Ottobre 2016
sembra ieri, ma in realtà sono passati quasi sette mesi dalla mia ultima lettera, in occasione della Pasqua. E siamo già all’appuntamento della Giornata Missionaria Mondiale. Il tempo scorre veloce, come un rullo che macina e travolge giorni e avvenimenti, senza sosta, uno dopo l’altro. E’ impossibile aggiornarvi e ricordare tutto quanto è successo in questi mesi. A metà Giugno sono arrivato in Italia, dopo un periodo particolarmente intenso che mi ha lasciato addosso una grande stanchezza. Sono tornato in Uganda dopo cinque settimane, senza essermi scrollato di dosso tutta la stanchezza accumulata. Da allora è stato tutto un susseguirsi frenetico di impegni, incontri, visite pastorali, momenti di gioia e difficolta’ nel servizio alla “Chiesa-famiglia-di-Dio” a Lira. Tutto normale, insomma.
Come al solito, anche la situazione dell’Uganda presenta due facce contrastanti. A 54 anni dalla sua indipendenza il paese ha registrato notevoli progressi. Due dati per tutti. Il primo è l’aumento della aspettativa media di vita, che dai 43,7 anni del 1995, durante la guerrigilia LRA, è passata ai 58,4 anni attuali. Il secondo è la diminuzione della percentuale di gente che vive in povertà, scesa dal 53,2% del 2006 al 34,6% del 2013. E’ uno dei migliori risultati in tutta l’Africa. Peccato che la distribuzione geografica della povertà riveli in realtà un grande squilibrio. Già dieci anni fa, nel 2006, il 68% dei poveri viveva nel nord e est del paese. Tale percentuale è andata crescendo, raggiungendo l’84% nel 2013. Purtroppo, la diocesi di Lira si trova appunto nella zona nord, che ha il triste primato di ospitare la percentuale più alta della popolazione povera di tutta l’Uganda, il 43,7%, seguita dal 24,5% dell’est, l’8,7% dell’ovest e il 4,7% del centro, la regione di Kampala.
La povertà diffusa non è certo l’unico problema del paese. Alcune settimane fa, un rapporto del ministero dell’istruzione denunciava il fatto che 8 su 10 insegnanti delle elementari non sono in grado di leggere e fare i conti correttamente. Vi lascio immaginare la qualità dell’insegnamento e le conseguenze sugli alunni. Ancora: oltre l’80% dei giovani ugandesi sono disoccupati. Una ragazza su quattro dai 15 ai 19 anni è incinta o ha già partorito un figlio. Oltre ai rischi e conseguenze spesso mortali per la salute della giovanissima madre e del bambino, queste gravidanze e maternità precoci alimentano il numero di ragazze madri, spesso abbandonate dal padre dei loro figli. A migliorare il quadro della situazione del paese non contribuisce certo il fenomeno di una corruzione sempre più rampante, diffusa e... impunita. Con i fondi erogati per costruire 5.147 km di strade, ne sono stati realizzati solo 1.500 km, con vari tratti che hanno già bisogno di riparazioni. Dal punto di vista politico, c’è un uso sempre più frequente e sfacciato della polizia per reprimere brutalmente i diritti e libertà di espressione e movimento di chi non la pensa come chi comanda.Di fronte alla violenza di chi dovrebbe difenderla, la gente protesta, ma la situazione non cambia.
Mi pare di avvertire a questo punto la perplessità di qualche amico che mi legge: “Cosa ti succede, P. Giuseppe? Sei giù di corda, o hai messo gli occhiali scuri che ti fanno vedere tutto in negativo, quasi senza speranza?”
No, carissimi amici. Grazie a Dio, io vedo ogni giorno tante cose belle, incontro persone umili e splendide, sono testimone delle grandi meraviglie che l’amore misericordioso di Dio continua a operare intorno a me, in questa Uganda, fra la gente che è diventata mia e a cui sento di appartenere. Ma questo non significa chiudere gli occhi al tanto male, all’ingiustizia, povertà e violenza che sono altrettanto reali e che diventano per me una provocazione a impegnarmi di più, a fare la mia parte perché il mondo e la società in cui viviamo diventino sempre più simili al mondo che Dio sogna e vuole per i suoi figli, già ora, durante il nostro pellegrinaggio di ritorno alla casa del Padre.
Per questo, alla vigilia della 90ma Giornata Missionaria Mondiale, ho scelto di ricordare a me stesso e a tutti voi che c’è ancora molto da fare. E tocca a noi, a me e a ciascuno di voi. So che oggigiorno la missione ad gentes sembra superata e passata di moda. Con tutto il progresso economico, tecnologico e materiale, con la libertà religiosa e il diritto di ognuno di credere e vivere come gli pare, cosa ci stanno a fare ancora i missionari in giro per il mondo?
Nel messaggio per la Giornata Missionaria in questo Giubileo della Misericordia, Papa Francesco risponde con semplicità e chiarezza, presentando la missione ad gentes “come una grande, immensa opera di misericordia sia spirituale che materiale.... Siamo tutti invitati ad “uscire”, come discepoli missionari... a portare il messaggio della tenerezza e della compassione di Dio all’intera famiglia umana”. Tutti invitati ad uscire dal nostro guscio, tutti inviati. Anche voi, dovunque siate e qualunque lavoro facciate.
A Lira, forse mai come quest’anno mi sono sentito al tempo stesso oggetto, messaggero, testimone e strumento di misericordia. Più volte ho guidato folle di fedeli entrando, pellegrino e peccatore come loro, attraverso la porta della misericordia della cattedrale di Lira e del santuario mariano di Iceme. Con umiltà e riconoscenza ho sperimentato sulla mia pelle l’amore misericordioso del Padre che non si stanca di perdonarmi e abbracciarmi. Fra tre settimane varcherò di nuovo la soglia della cattedrale assieme a tutti i miei fratelli sacerdoti e missionari della diocesi, uniti profondamente dal fatto di essere tutti pastori, peccatori pentiti e perdonati da Colui che ci ha chiamati e inviati come strumenti della sua misericordia.
Sì, perché purtroppo anche nella Chiesa, anche in Uganda, facciamo quotidianamente esperienza della nostra debolezza e abbiamo bisogno di perdono. Recentemente ad Arua, una delle quattro diocesi della nostra provincia ecclesiale di Gulu, il funerale del vescovo emerito è stata l’occasione per ravvivare le tensioni ed opposizione di una parte del clero e dei laci nei confronti del vescovo attuale. Intolleranza, chiusura al dialogo e una buona dose di tribalismo che cova sempre sotto le ceneri, hanno eventualmente portato allla violenza di uno scontro e attacco alla casa del vescovo, che ora è costretto a vivere sotto scorta armata. Sono episodi che scandalizzano e fanno soffrire. Ma non possono oscurare la gioia e l’esperienza di essere ugualmente strumenti della misericordia di Dio.
E’ quanto mi è successo il 2 Ottobre nella prigione centrale di Lira. Costruito molti decenni fa dagli inglesi per circa 250 detenuti, l’edificio ne ospita attualmente oltre 750. Sono così alle strette che di notte i prigionieri, pigiati in grandi stanzoni, fanno i turni per dormire. Alcuni si sdraiano sul pavimento e dormono stesi e stretti per due ore, mentre gli altri restano in piedi. Passate le due ore, questi ultimi svegliano e fanno alzare i primi per prendere il loro posto e dormire per terra. E così via... E’ in questo ambiente degradante e disumano che mi è concesso di annunciare e portare la misericordia di Dio. I cancelli sbarrati del carcere diventano così la “porta della misericordia” attraverso cui irrompe il perdono di Dio che spezza le catene del male e viene a liberare ed abbracciare i suoi figli. Una trentina di detenuti riceve il dono dello Spirito nella cresima. Tra le mura del carcere mi unisco al canto riconoscente e gioioso di questi uomini liberi: “Kica ‘Obanga pe bino tum”, la misericordia di Dio non avrà mai fine! Non ci sono ostacoli all’amore forte e misercordioso di Dio. Neppure i nostri sbagli e peccati.
E’ vero. In noi e attorno a noi, a Lira, in Italia e ovunque, bene e male coesistono. Grano e zizzania, insieme. A volte, problemi che sembravano risolti, riaffiorano subdolamente in altro modo, con la perversa tenacità del male, gramigna davvero difficile da estirpare. Ma in fondo il Signore non ci chiede di eliminare completamente il male e risolvere tutti i problemi del mondo. Nel suo piano, egli lascia che grano e zizzania crescano insieme, fianco a fianco. Nella mia diocesi, in Italia, dappertutto. A noi è chiesto di continuare a seminare il bene, con perseveranza, giorno per giorno. Ad essere testimoni di misericordia. Alla fine a vincere sarà la sua misericordia. Coraggio, allora, e buona missione!
P. Giuseppe



Lunedì 24 Ottobre,2016 Ore: 16:56
 
 
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