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www.ildialogo.org Fede e cultura per Bergoglio. Conflitto e pace.,di Enrico Peyretti

Fede e cultura per Bergoglio. Conflitto e pace.

di Enrico Peyretti

   Questo testo di Bergoglio, papa Francesco, ripreso oggi, interessa non solo chiesa e cultura laica, come mostra Asor Rosa (nell'articolo in calce). A me sembra interessante per la cultura della pace, nella linea tolstojana-gandhiana, che è la più seria e profonda e realistica, non moralistico-esortativa, ma culturale-politica .
   In questa peace research, il tema laico del conflitto è centrale. Il conflitto va assunto, tutt'altro che eluso o coperto. Azione di pace giusta, nonviolenta (non è pace se non è nonviolenta nei mezzi, nel fine voluto, nel risultato ottenuto), è smascherare il conflitto occulto, che non può avere giustizia, verità e pace. La vittima del conflitto violento e occulto resta vittima. C'è silenzio, ma non c'è pace. Azione di pace è la trasformazione nonviolenta del conflitto aperto, liberato dagli elementi di violenza con cui appare.
   Il termine misericordia oggi corrente non è altro che l'amore positivo e attivo a favore delle varie forme di vita, dei suoi bisogni, della sua ripresa, e della stessa terra viva che noi abitiamo. La pace è atto di riconoscimento, rispetto, tutela della realtà, perciò è cura d'amore, occhio e sentimento positivo, di stima, di bene diretto dall'io responsabile a tutta la realtà. Perciò è impegno immediato a non distruggere, non ferire né offendere, a comprendere le ragioni altrui, a cercare la composizione di diritti, interessi, gusti e bisogni. E' un lavoro di intelligenza, di analisi e strategia. Tutte le arti messe in campo dal potere degli uni sugli altri, l'umanità può volgerle all'azione educativa-culturale-politica-storica per lo sviluppo umano degli uni con gli altri e per gli altri, in una linea evolutiva umanizzante che possiamo con umile concreterzza favorire e rpomuovere.  Ciò che la spiritualità, l'etica, chiama amore è quella benevolenza, comprensione, perdono, aiuto e stima che compongono una antropologia realistica ma positiva, pensata e praticata per la costruzione della pace, dalle relazioni prossime fino a quelle cosmopolitiche.
   Voglio solo dire che quel rapporto costruttivo e dialettico che Bergoglio propspettava nel 1985 e che rilancia oggi da papa, tra, da un lato, fede evangelica che è prassi di amore e giustizia, e, dall'altro lato, cultura laica di una società plurale e correttamente conflittuale,  è, espresso in termini analoghi, proprio il lavoro che i movimenti pensanti e operanti per la pace nonviolenta gandhiana, o pace giusta, intendono fare col costruire la cultura e la prassi della trasformazione nonviolenta dei conflitti.
   Le due culture ristrette, o soltanto al religioso o soltanto al laico, raramente (e non nelle loro espressioni più note e di successo) colgono e coltivano questo rapporto fecondo per tutti tra l'amore prevalentemente donativo (l'agape evangelica; la compassione buddhista) e il confronto-conflitto politico genuinamente democratico. Il quale, per potere essere davvero libero e aperto, ha bisogno di essere basato, non su scontri di cieche forze centripete, ma sulla giustizia distributiva, sui diritti umani e sulla dignità umana inviolabile. Personalmente, io tengo a testimoniare che, nei decenni del mio impegno e partecipazione, ho vissuto uno stimolante contatto e appartenenza ad entrambe queste culture, laica e religiosa, e sperimento, dalla mia formazione alla mia vecchiaia, che si fecondano l'una l'altra, senza assimilazione. C'è chi alimenta la guerra tra civiltà e culture. C'è chi sperimenta che è possibile, a livello locale e planetario, la  collaborazione dialettica tra le umane visioni e azioni, dirette a custodire e sviluppare la realtà. Questa è la pace.
E. P.  

 

Bergoglio lo ha scritto trent’anni fa e ora lo ha rivisto: un testo che riflette sul rapporto tra fede e cultura, tra paura e misericordia. Integrando concetti cristiani e laici
ALBERTO ASOR ROSA
la Repubblica 20 gennaio 16
Nelle settimane passate è apparso in Italia un testo di Papa Bergoglio, che a me sembra di grande importanza. Si tratta dell’intervento da lui pronunciato a un Congresso internazionale di teologia (da lui stesso voluto e preparato), svoltosi a San Miguel in Argentina dal 2 al 6 settembre 1985, sul tema “Evangelizzazione della cultura e inculturazione del Vangelo”.
L’intervento, nella forma pubblicata da Civiltà cattolica, porta il titolo “Fede in Cristo e Umanesimo”. Ritengo però che il suo vero tema sia più esemplarmente testimoniato da quello del convegno.
Andrò per accenni, limitandomi a segnalare quello che, dal mio punto di vista, spicca per novità e intelligenza del discorso. In effetti, trovo, per cominciare dagli inizi, che ipotizzare questa doppia missione – che è anche un doppio movimento di andata e ritorno per ognuno dei due elementi che lo compongono, e cioè: “evangelizzazione della cultura” e “inculturazione del Vangelo”– significa offrire una visione nuova dei rapporti tra la “fede cristiana” e “il mondo”. Bergoglio, infatti, non dice: “questa” o “quella cultura”. Dice: “cultura”. A chiarimento della tesi scrive: «Stiamo rivendicando all’incontro tra fede e cultura, nel suo duplice aspetto di evangelizzazione della cultura e di inculturazione del Vangelo, “un momento sapienziale”, essenzialmente mediatore, che è garanzia sia dell’origine (movimento di creazione) sia della sua pienezza e fine (movimento di rivelazione)». «Un momento sapienziale, essenzialmente mediatore…»: se la traduzione dallo spagnolo in italiano non ha deformato qualche senso, questo vuol dire che tra “fede” e “cultura” si può stabilire un confronto, i cui momenti di reciprocità sono destinati a influenzare sia l’una sia l’altra parte, producendo, attraverso la “mediazione”, un accrescimento di sapere e di conoscenza per tutti.
Bergoglio chiama in causa una parola-concetto tipicamente laica o quanto meno mondana: “mediatore”, mediazione. Tale impressione però si accentua, in misura significativa, nella lettura di un brano seguente, che qui riporto per intero, perché lo trovo denso di parole-concetti sorprendenti: «La base di questo sforzo è sapere che nel compito di evangelizzare le culture e di inculturare il Vangelo è necessaria una santità che non teme il conflitto ed è capace di costanza e pazienza. Innanzi tutto, la santità implica che non si abbia paura del conflitto: implica parresia, come dice San Paolo. Affrontare il conflitto non per restarvi impigliati, ma per superarlo senza eluderlo. E questo coraggio ha un enorme nemico: la paura. Paura che, nei confronti degli estremismi di un segno o di un altro, può condurci al peggiore estremismo che si possa toccare: l’“estremismo di centro”».
In questo caso, la parola-concetto centrale è: “conflitto”. Si deve ammettere che siamo di fronte a una acquisizione inedita nel campo della cultura cristiano-cattolica. Il termine infatti ricorre nel pensiero e nelle problematiche del pensiero dialettico e sociologico europeo e americano degli ultimi due secoli: da Hegel a Marx, e poi Simmel, von Wiese, Dahrendorf… Nessun equivalente, almeno della stessa portata, nel pensiero cristiano-cattolico dello stesso periodo, e si capisce perché: la predicazione evangelica sembrerebbe escludere una virata di tale natura. Ma la sorpresa è destinata persino ad aumentare se si procede nell’analisi del ragionamento. «Affrontare il conflitto », scrive Bergoglio, «per superarlo », ma «senza eluderlo»; si misura con «un enorme nemico: la paura». Paura di che? Paura dei possibili estremismi, che dal conflitto possono scaturire. Ma tale paura, se incontrollata, è destinata a condurre «al peggiore estremismo che si possa toccare: l’“estremismo di centro”, che vanifica qualsiasi messaggio». L’“estremismo di centro”! In un paese come l’Italia, spesso arrivato a catastrofiche conclusioni proprio a causa di un sistematico e prevaricante “estremismo di centro”, tale messaggio dovrebbe risultare più comprensibile che altrove. Anche il riferimento alla parresia s’inserisce in questo contesto: solo chi parla alto e libero può vincere la paura.
Quali considerazioni si possono fare su posizioni, di questa natura? Su Bergoglio sono stati scritti molti articoli (bellissimi quelli di Eugenio Scalfari). Pochi, però, si sono soffermati sulla scaturigine storica delle sue prese di posizione, che è inequivocabilmente gesuitica. I gesuiti, nel corso della loro lunga storia, ne hanno combinate di tutti i colori, nella difesa perinde ac cadaver della Chiesa di Roma. E però… Molti anni or sono ho studiato a lungo la cultura gesuitica del Seicento in Italia. Mi risultò chiaro allora che carattere perspicuo della cultura gesuitica, nei momenti migliori, è sempre stato il tentativo «di operare la saldatura fra cultura laica e cultura ecclesiastica, fra tradizione e rinnovamento… »; e questo su base mondiale.
Se le cose stanno così, la domanda (provvisoriamente) finale di questa ricostruzione è: quale rapporto esiste fra la centralità della parola-concetto “conflitto” e la centralità della parola-concetto “misericordia”, alla quale Papa Francesco ha voluto dedicare il Giubileo? La risposta più semplice è: nessuno. “Misericordia” è parola evangelica, pochissimo usata in ambito laico, come pochissimo “conflitto” in ambito ecclesiale. Sono passati trent’anni dalla prima formulazione, padre Jorge Mario Bergoglio, divenuto Papa Francesco, ha ripensato radicalmente le sue posizioni, rientrando nell’ambito più tradizionale della cultura ecclesiastica. Come tutte le soluzioni troppo semplici, anche questa però si presta a un’obiezione di fondo. Una noticina al testo pubblicato da Civiltà cattolica informa infatti che il testo è stato ripresentato «in forma rivista dal Santo Padre ». Questo ci rende lecito pensare che nel pensiero di Papa Francesco “conflitto” e “misericordia” possano stare insieme. Cioè: il prodotto di una cultura laica può stare insieme con il prodotto tipico di una cultura evangelico- cristiana. Non può esserci “misericordia” se non c’è stato “conflitto”; il “conflitto” è buono, anzi, addirittura indispensabile, se è necessario per superare la paura, e superare la paura è necessario per arrivare alla “misericordia”. Sarebbe troppo pretendere che Bergoglio, divenuto Pontefice, dopo averci additato come il conflitto sia necessario per attivare la misericordia, ci additi come la misericordia sia necessaria per attivare il conflitto, motivo quest’ultimo inesauribile – e positivo, quando c’è – delle azioni umane. Però la connessione possibile – il prima e il dopo, insomma, che però è anche o può essere anche, un dopo e un prima – almeno a noi laici e non credenti, risulta – credo – ben chiara.



Giovedì 21 Gennaio,2016 Ore: 22:40
 
 
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La chiesa di Papa Francesco

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