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www.ildialogo.org L’amore umano, la famiglia e l’Eucaristia,di Perin Nadir Giuseppe

Sinodo sulla Famiglia
L’amore umano, la famiglia e l’Eucaristia

di Perin Nadir Giuseppe

E’ in corso il Sinodo sulla famiglia e molti sono i temi all’ordine del giorno.
Uno di questi è anche quello se ammettere “a cibarsi del corpo e del sangue di Gesù” anche coloro che hanno fatto esperienza del fallimento del loro matrimonio e di conseguenza si sono separati, hanno divorziato e poi, magari, qualcuno si è risposato.
Nel contesto del nostro mondo e del nostro tempo, dove “le cose”, “i contesti di vita”….cambiano velocemente sotto i nostri occhi, è possibile dire parole vere sull’amore umano e comunicare la “buona notizia sulla famiglia”?
Molti, rispondono a questa domanda, ripetendo gli insegnamenti del passato e usandoli come metro di giudizio per l’oggi. Ma, non si accorgono di parlare una lingua morta e per questo non sono capiti.
Altri si limitano a ripetere le forme e i modi di vita del passato che sono scaturiti da questi insegnamenti.
Pochi, invece, cercano di far risplendere, con parole ed esistenze plasmate dal Vangelo – come papa Francesco - ciò che è essenziale ed irrinunciabile, e che risponde alle attese e alle grandi domande umane, interpretando angosce e speranze delle persone.
Molto spesso, si dimentica che il cristianesimo non è un sistema chiuso di idee, di norme e di leggi, ma è una proposta di vita, fatta dal Figlio di Dio ad ogni essere umano e che va “ascoltata”, “appresa”, “interiorizzata”, “approfondita”, “vissuta” e “testimoniata” nei vari contesti di vita.
D’altra parte, se DIO, con l’Incarnazione, ha scelto di abitare il tempo - tutto il tempo e non solo quello dell’epoca di Gesù - questo significa che nella storia possono emergere comprensioni nuove del Vangelo e nuove risposte alla sua chiamata.
Se ricordate, nel mese di giugno del 2012, la Comunità ecclesiale della Diocesi di Milano, con la presenza di Papa Benedetto XVI, ha celebrò la giornata mondiale della famiglia: “ un Mondo – una Famiglia – un Amore”.
Le famiglie presenti sono state numerosissime e provenienti da tutte le parti del mondo. Penso che ci saranno state anche delle “famiglie di preti sposati”, anche se la cronaca non ne ha fatto menzione.
Il Papa, rispondendo “a braccio” alle domande che gli venivano fatte, si è rivolto alla “famiglia”, non come “categoria astratta”, ma alle mamme, ai papà e ai figli, ricordando che “Dio ha creato l’essere umano maschio e femmina”; che essi hanno pari dignità, ma con caratteristiche proprie e complementari perché “i due fossero dono l’uno per l’altro”; si valorizzassero reciprocamente e realizzassero una comunità di amore e di vita”.
Il Papa, in modo sintetico ha evidenziato che, nel matrimonio tra un uomo ed una donna, la coppia realizza una “comunità” (koinonia), quando tra di loro, come cemento che li unisce, c’è l’amore e non perché hanno firmato un pezzo di carta chiamato “contratto” di matrimonio.
Infatti, solo l’amore fa sì che la dualità tra due persone (uomo e donna) diventi e si trasformi in “unità”, nel rispetto della libertà individuale.
Noi diciamo che Dio è uno e trino, perché la natura, cioè l’essenza di Dio èESSERE AMORE” che si personifica nelle tre Persone Divine (Padre, Figlio e Spirito Santo) che sono uguali e distinte.
Se l’AMORE venisse meno, non ci sarebbe più Dio, ma il nulla.
Così nel matrimonio tra l’uomo e la donna, l’unità è data dall’amore che fa di due persone ( la dualità), una “unità”.
Se l’amore “muore”, anche l’unità matrimoniale viene distrutta e muore con essa il “matrimonio”, cioè la comunità, cioè l’unione di amore tra un uomo ed una donna.
Quante volte abbiamo cantato “Dov’è carità e amore, lì c’è Dio”!
Se questo è vero, è vero anche il contrario : “ dove non c’è carità e amore, lì NON c’è Dio”.
E, dove Dio non c’è è impossibile tenere insieme la vita.
E, dove non c’è la vita, c’è solo la morte.
In quella occasione, il Papa ha parlato anche delle coppie ormai “scoppiate”, cioè separate e divorziate, divorziate e risposate.
E, nei confronti di queste persone, ha ribadito la non possibilità per loro di accostarsi alla mensa eucaristica, pur partecipando alla celebrazione della Messa, aggiungendo, nello stesso tempo, che il Papa e la Chiesa li “sostengononella loro fatica.
Non so che cosa il Papa volesse significare con questa espressione, ma molte sono le domande che mi sono posto e che desidero condividere con voi.
Anzitutto, mi sono chiesto perché il Papa rispondendo alle domande sulle coppie separate e divorziate, in rapporto alla loro possibilità o meno di accostarsi alla mensa eucaristica, cioè all’Eucaristia, nel giorno del Signore, ha “discriminato” queste coppie “scoppiate” ?
Inoltre, perché Gesù nell’ultima cena, “mentre mangiavano prese un pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo:” Prendete, mangiate: questo è il mio corpo”. Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo:” Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti (=per l’umanità) per il perdono dei peccati” ( Mt 26, 26-29) ? ”Fate questo in memoria di me” ( Lc 22,19).
Se è vero, come è vero, che questa trasformazione sostanziale del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù, viene fatta nella celebrazione liturgica, per mezzo del ministero presbiterale – come Gesù ha fatto nell’ultima cena con i suoi Apostoli - non penso fosse nell’intenzione di Gesù, di trasformare questo sommo atto di amore di Gesù per l’uomo ( dare SE STESSO come cibo e bevanda) come se fosse il “pasto” finale, che - dopo l’ascolto della Parola di Dio - viene offerto in premio, a tutti coloro che durante la settimana sono stati “buoni”, perché hanno osservato la Legge, mentre “ i cattivi” (in questo caso i separati e i divorziati) perché non hanno osservato la Legge, vengono privati della possibilità di ricevere l’Eucaristia.
Nei Vangeli – come afferma P. Alberto Maggi, in alcuni suoi scritti - appare chiaramente che l’Eucaristia non è un premio concesso a quanti lo meritano, ma un dono per i bisogni delle persone.
Infatti, i meriti non tutti possono averli, mentre, invece, tutti siamo bisognosi.
Gesù ha cercato di far capire ai “teologi” del suo tempo, che erano piuttosto “duri di cervice”, cioè avevano difficoltà a comprendere, che la medicina e il medico sono per i malati e non per i sani e che non occorre purificarsi per poter accogliere il Signore, ma è “accogliendo il Signore” nella nostra vita che porta come effetto la nostra purificazione.
Il fatto, poi, di aver considerato l’Eucaristia come “un sacramento” ( uno dei sette) ha fatto si che il bambino la potesse ricevere quando, raggiunto l’uso della ragione, fosse in grado di capire cosa significasse “fare la comunione” e quindi, in seguito, fosse in grado di soddisfare a tutte quelle clausole imposte per “ricevere degnamente i sacramenti” ( cfr. Diritto Canonico : can 840 ss)
Tali clausole non sono state imposte da Gesù, nel Vangelo, ma da “coloro ai quali Gesù ha dato il mandato “di servire e pascere il gregge”, affinché tutti potessero avere la possibilità di godere della pienezza di vita, frutto dell’intima unione dell’uomo con Dio, per mezzo di Gesù, il Figlio di Dio.
Forse che la madre nutre il suo bambino al quale ha dato la vita, soltanto quando il bambino riesce a capire che in quel latte che sta succhiando dal seno materno, ci sono le proteine, le vitamine, i carboidrati, i sali minerali tanto necessari alla sua crescita e alla sua salute ?
O forse lo nutre soltanto quando il bambino è sano, mentre quando è malato si rifiuta ?
E’ questo l’atteggiamento di Dio-Padre nei confronti dell’uomo?
Il vero volto di Dio che Gesù - l’ Unigenito Figlio di Dio - ci ha fatto conoscere, è quello di un Padre che “dona”, fin dalla nascita, a ciascuno dei suoi figli il suo AMORE, affinché tutti possano godere della pienezza di vita. E lo fa senza fare alcuna “distinzione” tra “buoni” e “cattivi”.
Egli, infatti, essendo Padrefa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45).
Inoltre, proprio perché vuole che tutti i suoi figli, nonostante le loro debolezze e “marachelle”, possano vivere la vita in pienezza, non li abbandona a loro stessi, ma li chiama, li raduna, li convoca, li invita , attraverso il suo Spirito, a sedersi a tavola insieme - quale segno della riconciliazione reciproca tra i credenti - per mangiare “il pane della vita” , disceso dal cielo, “dissetarsi di Lui” per non avere più sete, ed ascoltare la sua Parola.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. ( GV6,50-51).
Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita” (Gv 6,53).
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui” ( Gv 6,56).
Colui che mangia me vivrà per mezzo di me... come io vivo per mezzo del Padre che ha la vita ed ha mandato me” ( Gv 6,57).
Questo pane, però, non va mangiato da soli, ma “insieme” agli altri, perché è “segno della riconciliazione reciproca tra i credenti”.
Lo mette in risalto S. Paolo :“ Quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri” ( 1Cor 12,33).
Questo significa che la koinonia ecclesiale deve tendere all’agape e per questo si esige dai membri della Chiesa un comportamento di comunione, cioè del fare le cose insieme, non gli uni senza gli altri, non qualcuno al di sopra degli altri, non gli uni contro gli altri, ma gli uni per gli altri, in solidarietà, in unione, in accordo, nella partecipazione reciproca.
Infatti, il legame che dovrebbe esistere tra i membri di una stessa famiglia è soltanto quello dell’amore e se uno si ammala non viene “buttato fuori di casa”, ma aiutato a guarire.
Forse che un padre di famiglia, quando tutti i suoi figli sono seduti a tavola, al momento del pranzo, invita qualcuno dei figli, perché “malato”, ad alzarsi da tavola e ad allontanarsi senza mangiare ?
Non è forse vero che tutti dobbiamo nutrirci, per poter continuare a vivere? Sia chi gode di ottima salute e sia chi è malato, affinché chi è sano, possa “mantenersi in salute” e chi è ammalato, possa guarire e “rimettersi in salute”.
In un passo della Didachè (XII, I) è scritto “ riunendovi (synaghein) ogni giorno del Signore, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati”.
Essere sano” nello spirito, non significa non aver commesso dei “peccati”, ma vuol dire che dopo “aver peccato”, ci si pente e si chiede perdono al nostro fratello, riconciliandoci con lui.
Essere malato” significa aver commesso dei peccati, dei quali non ci siamo ancora pentiti e per i quali non abbiamo ancora chiesto perdono, e pertanto non siamo ancora “riconciliati” con il nostro fratello.
E, la Didascalia Apostolorum, specifica che “non possiamo essere chiamati fratelli finchè non c’è pace tra di noi” ( II,49,I)
Gesù stesso, ci dice qual è il suo atteggiamento nei confronti dell’uomo peccatore : “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” ( Mc 2,17).
Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me: colui che viene a me, non lo respingerò ( Gv 6,32-38).
Sempre più spesso noi ci troviamo di fronte a situazioni di sofferenza e di disagio vissute dalle coppie che hanno ormai sperimentato nella loro vita la frantumazione della loro unità matrimoniale che Dio aveva realizzato (Mc 10,9) “accendendo l’amore” nel loro cuore.
In seguito, questo amore che li teneva uniti “è stato spento” perché non è stato “coltivato”; non se ne è avuta sufficiente cura; si è “consumato”, come l’olio che teneva accesa la fiammella della lampada e spegnendosi la luce, sono rimasti al buio.
Non riuscendo più a “vedersi”, a causa del buio esistenziale, le loro esistenze si sono separate – in modo irreversibile.
Spesso assistiamo al dramma di coppie “scoppiate” che non riescono a vedere alcuna possibilità di speranza o capacità per “ricominciare” .
Coppie alle quali non resta altro che separarsi legalmente, stabilire la modalità dell’affidamento dei figli ( qualora ci fossero) in attesa di arrivare alla sentenza di divorzio e quindi all’annullamento del “matrimonio civile”.
Spesso, nella ricerca della verità attraverso processi... avvocati....sentenze di tribunali, per conoscere chi dei due sia il vero colpevole della “deflagrazione” del matrimonio e, di conseguenza, di chi dovrà “pagare gli alimenti”... la vita della coppia “scoppiata” diventa un vero e proprio dramma non solo per loro, ma anche per i figli.
Perché, anche se è stata l’ultima goccia che ha fatto “traboccare” il vaso - è sempre difficilissimo individuare le cause da attribuire ad un unico colpevole, perché prima di quella, molte altre gocce hanno contribuito ad avvelenare la vita dei due sposi e a rendere sempre più amaro il “calice della loro esistenza.
E’ chiaro che per queste persone la vita continua ad essere un campo di battaglia all’ultimo sangue, accompagnato spesso da una serie interminabile di vendette... dispetti... ricatti...quasi sempre a discapito dei figli...che, in queste situazioni, diventano spesso dei “trofei di guerra” o dei “pacchi postali” esplosivi, da spedire all’uno o all’altra, a secondo della convenienza o del danno, della sofferenza e del disagio che si pensa e si vuole causare all’altro o all’altra “ex”.
E qui tornano a proposito le parole di Paolo ai Galati “ Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!” ( Gal 5,15).
Allora : quale risposta dare alle coppie separate, divorziate che pur vivendo nelle condizioni di disagio psichico e morale, sopra descritte, desiderano in cuor loro, perché credenti, di accostarsi alla mensa eucaristica nel giorno del Signore ?
Ma, chi può suggerire quando accostarsi alla mensa eucaristica ?
E, intanto, quale atteggiamento deve avere la Comunità ecclesiale nei loro confronti ? L’atteggiamento di quel ricco signore che, al momento del pranzo, con molta generosità, invita ad entrare in casa sua: il povero, il sofferente e l’affamato che ha bussato alla sua porta, per poi aggiungere che – pur rendendosi conto della loro sofferenza e della loro fame - non può permettere loro di sedersi a tavola con gli altri commensali ?
Eppure, questo accade nella comunità ecclesiale, ogni volta che il popolo di Dio viene riunito in assemblea per il culto.
In queste assemblee riunite nel giorno del Signore ci sono “troppi ricchi epuloni” (Lc16,19-30) che portando vestiti di porpora e di lino finissimo salgono al Tempio, come il fariseo, per pregare, dicendo : “ o Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini: ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo” ( Lc 18, 11-12).
Mentre, dall’altra ci sono “troppi poveri” “Lazzaro” che “stanno alla porta, coperti di piaghe, bramosi di sfamarsi con quello che cade dalla tavola del ricco” ( Lc16,19-30) e troppi “pubblicani, che salendo al Tempio a pregare, si “fermano a distanza, non osando nemmeno di alzare gli occhi al cielo e battendosi il petto, dicono : O Dio, abbi pietà di me peccatore” ( Lc 18,13).
Gesù disse queste parabole “per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”( Lc 18,9).
Se questa è “l’atmosfera” che si respira dentro le nostre chiese, allora, forse, anche per noi è meglio non partecipare all’eucaristia domenicale, piuttosto che farlo, nutrendo rancore o inimicizia verso un fratello.
Perché significherebbe cadere nell’ipocrisia religiosa già condannata dai profeti nell’A.T.
L’ipocrisia di chi unisce ingiustizia e solennità, odio e liturgia.
Mentre sarebbe necessario ricercare con sempre rinnovato vigore l’unità tra liturgia e vita, tra preghiera ed esistenza e far si che la “lex orandi” diventasse normativa ed ispiratrice della nostra vita di credenti.
Si sa che il tempo, come può acuire il dolore di una ferita, la può anche guarire, ridando equilibrio e serenità alle persone.
Quando, allora, possiamo dire a queste persone separate, divorziate, che avranno la possibilità di “accostarsi alla mensa eucaristica”, nell’assemblea del giorno del Signore?
Credo nessuno di noi, ma solo le stesse persone separate e divorziate possono essere in grado di rispondere personalmente a quel “quando....
Ma per poterlo fare devono “abitare” prima di tutto la propria coscienza e “mettersi in ascolto” di Dio, poggiando il capo sul suo cuore per sentirne i battiti di amore.
Soltanto dopo questa esperienza di Dio, in questo atteggiamento di ascolto, potranno maturare nel loro spirito delle certezze che serviranno da parametro per decidere sul “quando” ...
Di quali certezze si tratta ?
1) che Dio, perchè è AMORE “ non respinge alcuno di coloro che vanno a Lui”(Gv 6,32-38)
2) che lo Spirito di Dio li aiuterà a capire che il “sedersi a tavola insieme”, per “mangiare dello stesso pane”, è “segno di riconciliazione con i fratelli con i quali formiamo “un cuor solo e un’anima sola” ( At 4,32)
3) che questa “riconciliazione” con i fratelli deve avvenire prima di sedersi a tavola.
Infatti, “se presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” ( Mt 5,23-24; Mc 11,25).
La Chiesa cattolica afferma di poter dire sull’amore umano, parole di verità e decisive. Ma queste stesse parole hanno oggi molto meno peso di un tempo ed in alcuni casi sono anche contestate. Perché?
C’è uno slegamento tra i diversi ambiti dell’esistenza umana e la religione cristiana che in altre epoche, invece, dava forma al vivere pubblico e privato.
Ma, oggi, la stessa esperienza d’amore non fa più riferimento ai suoi insegnamenti e ai suoi riti.
Per cui, la condizione umana odierna va ascoltata, compresa, interpretata. Nell’assimilare la Parola, il nostro cuore si educa a leggere con gli occhi di Dio, il vissuto umano in cui coesistono il soffio dello Spirito Santo ed gli atteggiamenti mondani e idolatrici.
E’ vero che con la riflessione teologica questo processo di discernimento nell’ascolto di Dio e dell’umano, si struttura, si definisce, si traduce in parole che interpellano la mente, il cuore, la coscienza.
Ma è altrettanto vero che molto spesso l’approccio alla condizione umana, attraverso una dottrina immutabile che si serve della Bibbia, come stampella per confermare le proprie formulazioni, da cui ricava, per via deduttiva, giudizi e norme sull’umano, produce molta sofferenza, isolamento e spesso rifiuto dello stesso Dio, perché il suo volto è stato presentato in maniera deforme.
A ciascun approccio corrisponde un volto della Chiesa ed uno stile pastorale molto diversi.
Per trovare le nostre anime dobbiamo avere il coraggio di entrare nella nostra solitudine e imparare a vivere con noi stessi, perché non possiamo conoscere l’uomo finché non lo troviamo in noi stessi.
E quando l’abbiamo trovato scopriamo che è l’immagine di Dio.
Questa scoperta rende impossibile per noi l’evasione dall’obbligo di amare chiunque serbi in sé la stessa immagine divina presente nell’uomo con la sua libertà e capacità di amare, come Dio che “è amore”.
Per questo è necessario comprendere meglio l’annuncio del Vangelo, attingendo non solo dalle parole, ma soprattutto dai gesti del Signore, per maturare un’attitudine che sia riconoscibile come animata dal lievito del Vangelo, inteso non come un insieme di dottrine, ma prima di tutto come un modo di stare nella vita e di porsi gli uni accanto agli altri.
Non bisogna mai dimenticare che in tutte queste vicende umane, lo Spirito di Dio, può sempre entrare, perché valica tutte le porte e si rende presente con le sue energie di vita e di amore, anche quando non c’è una piena corrispondenza con i modelli morali e religiosi codificati.
Gesù è capace di raggiungere le persone nel loro intimo, riaccendere la loro fiducia nella vita, aiutandoli a credere che sono amati e possono amare nella libertà, per come sono, senza adeguarsi ad un codice normativo.
Anzi, molte volte, capita di constatare che le persone, esteriormente più aderenti ai canoni religiosi, siano, poi, in realtà, quelle meno capaci di fede in Dio e nella sua misericordia.
Perin Nadir Giuseppe



Martedì 13 Ottobre,2015 Ore: 20:04
 
 
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