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www.ildialogo.org Oscar Arnulfo Romero, martire e beato.,di Pierpaolo Loi

Oscar Arnulfo Romero, martire e beato.

di Pierpaolo Loi

Ringraziamo l'amico Pierpaolo Loi per averci inviato questo suo articolo già pubblicato da Chorus (https://newschorus.wordpress.com/).
L’accelerazione data da papa Francesco alla beatificazione di Mons. Oscar Arnulfo Romero è giunta al termine con l’autorizzazione il 3 febbraio 2015 della promulgazione del decreto di beatificazione di Romero (sono passati ventidue anni dall'inizio della causa). Nell’intervista su Avvenire (mercoledì 4 febbraio), il postulatore mons. Paglia, alla domanda sulla causa di tale ritardo, risponde: “La figura del vescovo Romero divenne da subito oggetto di strumentalizzazioni politiche. Una simile situazione comportò pertanto la necessità di esaminare contestualmente la condotta e soprattutto gli scritti di Romero per arrivare alla verità storica della sua azione nella difficile e controversa situazione salvadoregna del suo tempo. Il percorso, quindi, è stato segnato da soste, sospensioni e altre misure dilatorie”.
È stato appurato, dunque definitivamente, che Mons. Romero non è stato ucciso per una sua appartenenza politica, ma per la sua evangelica opzione preferenziale per i poveri1.
Mons. Romero è martire perché ucciso “in odium fidei”. Chi lo ha ucciso? Perché è stato “fatto fuori”? Di quale fede parliamo? Per capire il ritardo di questa “beatificazione” istituzionale – mentre il popolo salvadoregno e latino-americano lo ha proclamato santo da subito - dobbiamo rispondere a queste domande.
Ad assassinare Mons. Romero arcivescovo di San Salvador è stata l’estrema destra oligarchica sociologicamente cristiana2. L’oligarchia cattolica mal sopportava la voce profetica del vescovo dei “senza voce”, che difendeva i diritti dei poveri, contadini e operai, chiamava “struttura di peccato” l’economia basata sul latifondo e la rapina delle ricchezze in mano a poche famiglie (il 14% circa); pretendeva, infine, la cessazione della repressione nel sangue delle organizzazioni popolari, la cessazione della barbarie delle fosse comuni, dei desaparecídos.
La fede dell’arcivescovo non era un credo proclamato a parole, ma la straordinaria e “sovversiva testimonianza delle beatitudini”3, vissute con il proprio popolo martoriato e crocifisso, dal quale Egli si fece convertire al Vangelo. Questo “odio della fede” per cui viene proclamato martire e beato, senza che ci sia bisogno di un miracolo accertato, è non tanto una questione di mera professione di un credo (credere in Dio Trinità, in Gesù Figlio di Dio, ai dogmi della Chiesa) quanto l’avversione verso una vita spesa per rendere giustizia ai poveri, liberare gli oppressi, introdurre un tempo di condivisione dei beni. La terra è di Dio e i beni sono per tutti.
Credo che papa Francesco abbia letto alcune omelie di Mons. Romero, le sue Lettere pastorali, quelle che parlano del denaro, di economia, di giustizia sociale. Nella Evangelii gaudium al n. 202, il Papa afferma: “La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere… Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali”. Discorso ripreso nel video-messaggio (per l'Incontro di 500 rappresentanti nazionali e internazionali: "Le idee di Expo 2015 - Verso la Carta di Milano", 7 febbraio 2015) dove cita a più riprese l’Esortazione apostolica: “No, a un'economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa (ibid., 53). Questo è il frutto della legge di competitività per cui il più forte ha la meglio sul più debole. Attenzione: qui non siamo di fronte solo alla logica dello sfruttamento, ma a quella dello scarto; infatti "gli esclusi non sono solo esclusi o sfruttati, ma rifiuti, sono avanzi (ibid., 53)”.
Ecco quanto affermava Mons. Romero sull’economia nell’omelia della domenica 16 dicembre 1979: “Una vera conversione cristiana deve oggi scoprire i meccanismi sociali che fanno dell’operaio e del campesino (contadino) persone emarginate (...). Perché questa società ha bisogno di tenere campesinos senza lavoro, operai mal pagati, gente senza un giusto salario? Questi meccanismi vanno scoperti non come da chi studia sociologia e economia ma da cristiani, per non essere complici di un meccanismo che sta facendo sempre più povera la gente, sempre più emarginata, sempre più misera (...). Solo attraverso questo cammino si potrà ottenere la vera pace nella giustizia. Perciò la Chiesa appoggia tutto ciò che promuove il mutamento delle strutture”.
Nella Evangelii gaudium papa Francesco denuncia la nuova idolatria del denaro: “L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano (n. 55). Continua: “Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria” (ibid., 56).
Più volte l’arcivescovo di San Salvador denuncia le “strutture di peccato” della società salvadoregna e chiama alla conversione l’oligarchia, affermando che non basta essere battezzati, dirsi cristiani, andare a messa la domenica, organizzare festicciole dove si fa l’elemosina alla povera gente, mentre non si dà il giusto salario ai lavoratori; e credersi benefattori pensando di dare per carità ciò che si deve per giustizia. Nell’omelia dell’11 novembre del 1979, Monsignor Romero parla chiaro sulla ricchezza non condivisa: “…chi si dice cattolico e adora le sue ricchezze e non vuole separarsi da esse, non è cristiano, non ha capito la chiamata de Signore…Il ricco che si inginocchia di fronte al suo denaro, sebbene vada a messa e compia atti di pietà, se non si è liberato nel cuore dell’idolo denaro, è un idolatra, non è un cristiano”.
Certo, siamo in un altro contesto economico – ancora non si parla di neoliberismo selvaggio, di globalizzazione dei mercati e speculazione finanziaria –, tuttavia impera il capitalismo che pone al primo posto la ricchezza e la proprietà privata. Nella sua IV e ultima Lettera pastorale, promulgata il 6 agosto del 1979, dal titolo “Missione della Chiesa in mezzo alla crisi del Paese”, Mons. Romero scrive: “L’assolutizzazione della ricchezza pone l’ideale dell’uomo nell’“avere di più” e pertanto sminuisce l’interesse ad “essere di più”, che deve essere l’ideale dell’autentico progresso dell’uomo e del popolo. Il desiderio assoluto di “avere di più” fomenta l’egoismo che distrugge la convivenza fraterna dei figli di Dio. Perché questa idolatria della ricchezza impedisce alla maggioranza delle persone di usufruire dei beni che il Creatore ha voluto per tutti…(n. 43)”4.
Sulla proprietà privata, Mons. Romero cita il discorso inaugurale di Giovanni Paolo II a Puebla per la Terza Conferenza dell’Episcopato latinoamericano: “Riguardo alla assolutizzazione della proprietà privata, il Papa a Puebla ha fatto udire la voce contraria del magistero tradizionale e attuale della Chiesa, come ‘eco della coscienza umana…che merita e deve essere ascoltata anche nella nostra epoca, quando la ricchezza crescente di pochi segue parallela alla crescente miseria delle masse…(n. 44)”5. Ribadisce il carattere urgente dell’insegnamento della Chiesa secondo cui “sopra ogni proprietà privata grava un’ipoteca sociale”: l’applicazione di questo principio cristiano ed evangelico “porterà i frutti di una più giusta ed equa distribuzione dei beni” (ibid.). La denuncia dell’arcivescovo è chiara: la ricchezza e la proprietà privata che si ergono a idolo determinano l’idolatria del potere politico, sociale ed economico senza la quale sarebbe difficile mantenere i privilegi: “Nel nostro Paese questa idolatria è la causa della violenza strutturale e della violenza repressiva e, in ultima istanza, la causa del nostro sottosviluppo economico, sociale e politico (45)”6.
Parole estremamente chiare, che oggi ripete con altrettanta chiarezza e forza il papa venuto da lontano, da quell’America Latina che negli anni settanta/ottanta del secolo scorso fu dominata da dittature militari sanguinarie e attraversata da movimenti popolari di liberazione, e per la quale laici e laiche cristiani, preti e religiosi/e, e pure qualche vescovo, hanno speso la propria vita per fedeltà al Vangelo fino al martirio.
 
NOTE
1 “…per fedeltà alla Tradizione, la quale da sempre riconosce la predilezione dei poveri come scelta stessa di Dio” (Stefania Falasco, Il postulatore monsignor Paglia: ecco la verità storica su un pastore fedele, http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/Il-postulatore-monsignor-Paglia-ecco-la-verita-storica-su-un-pastore-fedelebr-.aspx).
2 “…en El Salvador de los escuadrones de la muerte y de la guerra civil la Iglesia sufría persecuciones feroces por parte de personas que, por lo menos sociológicamente, eran cristianas. El odio que desencadenado y que provocó su muerte fue cultivado y compartido incluso por sectores de la oligarquía acostumbrados a ir a Misa o a dar limosna y donaciones a las instituciones eclesiásticas. Incluidas las asociaciones de "mujeres católicas" que publicaban en los periódicos acusaciones y mentiras fabricadas en su contra” (Gianni Valente, Reconocen el martirio de Romero, Red Mundial de Comunidades Eclesiales, http://www.redescristianas.net/2015/01/17/reconocen-el-martirio-de-romerogianni-valente/). La “Comisión de la Verdad” che ebbe l’incarico di chiarire la natura dei crimini commessi durante la guerra civile (1980-1982) indicò il maggiore dell’esercito in congedo Roberto D'Aubuisson, fondatore della “Alianza Republicana Nazionalista” (ARENA), come uno dei principali autori morali dell’omicidio di Romero.
3 Parole dette da Mons. Romero nell’Omelia dell’11 maggio 1978, celebrazione del primo anniversario dell’assassinio di padre Alfonso Navarro: “Perché solo seguendolo (il Vangelo), anche se ci chiamano pazzi, anche se ci chiamano sovversivi, comunisti e con tutti gli epiteti che ci attribuiscono, sappiamo che non facciamo altro che predicare la testimonianza sovversiva delle Beatitudini che hanno rovesciato tutto proclamando beati i poveri, beati gli assettati di giustizia, beati coloro che soffrono” (in http://servicioskoinonia.org/romero/homilias/A/780511.htm); la traduzione è mia.
4 Cartas Pastorales y Discursos de Monseñor Oscar A. Romero, Centro Monseñor Romero – UCA, San Salvador (El Salvador), 2007, p. 134; la traduzione è mia.
5 Ibid., pp. 134-135.
6 Ibid., p. 135.



Venerdì 13 Marzo,2015 Ore: 16:42
 
 
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