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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org PAPA FRANCESCO E IL DIO DELLA CARITA' ("DEUS CHARITAS"). La porta e la chiave. Una riflessione di Piero Stefani - con note  ,a c. di Federico La Sala

"DEUS CARITAS EST" (BENEDETTO XVI, 2006). PAPA FRANCESCO,  ALL'OMBRA DEL PAPA EMERITO, RIUSCIRA' A CAMBIARE REGISTRO? E a deporre le chiavi?! 
PAPA FRANCESCO E IL DIO DELLA CARITA' ("DEUS CHARITAS"). La porta e la chiave. Una riflessione di Piero Stefani - con note  

L’aprire e chiudere la porta è atto di Dio e non del portinaio. Pietro con il suo mazzo di chiavi posto sulla soglia del Paradiso è meglio che resti là dove compare con maggior frequenza, vale a dire nelle storielle e nelle barzellette.


a c. di Federico La Sala

NOTE PER RIFLETTERE:

SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO.

LA GRAZIA DEL DIO DI GESU’ E’ "BENE COMUNE" DELL’INTERA UMANITA’, MA IL VATICANO LA GESTISCE COME SE FOSSE UNA SUA PROPRIETA’. Bruno Forte fa una ’predica’ ai politici, ma non ancora a se stesso e ai suoi colleghi della gerarchia. Una sua nota, con appunti

LUDOVICO A. MURATORI E BENEDETTO XVI: LA STESSA CARITA’ "POMPOSA". Un breve testo dalla "Prefazione ai lettori " del "Trattato sulla carità cristiana" di Ludovico A. Muratori 

OBBEDIENZA CIECA: TUTTI, PRETI, VESCOVI, E CARDINALI AGGIOGATI ALLA "PAROLA" DI PAPA RATZINGER ("DEUS CARITAS EST", 2006). Materiali per riflettere  (fls)

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La porta e la chiave

di Piero Stefani

in “Il pensiero della settimana”
 (http://pierostefani.myblog.it/) n.434 del 25 maggio 2013

Se si consulta un dizionario dei simboli a proposito del termine «porta» si leggeranno, più o meno, queste parole: essa rappresenta il luogo di passaggio fra due stati, fra due mondi, fra il conosciuto e l’ignoto, tra la luce e le tenebre. La porta è un varco aperto sul mistero. Essa ha un valore dinamico e psicologico, in quanto non solo indica un passaggio ma si trasforma in invito a superarlo. Per questo può facilmente alludere anche a un viaggio verso l’aldilà. La porta è anche un simbolo ambivalente; è connessa a un entrare ma anche a un uscire, è aperta o è chiusa.

Quando la porta è intesa in modo dinamico si pensa all’atto di aprire o di chiudere. Allora pare spontaneo immaginare che essa si incontri con un altro simbolo, quello della chiave.

All’interno degli scritti neotestamentari si assiste, però, a una specie di dissociazione tra l’immagine della porta e quella della chiave; nella massima parte dei casi quando c’è l’una non vi è, almeno in modo esplicito, l’altra.

Avviene così, per esempio, nell’Apocalisse. Nella prima visione, colui che è «simile a un Figlio dell’uomo» (Ap 1,13) si presenta dicendo: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi» (Ap. 1,18; cf. Ap 9,1; 20,1). La porta resta sottintesa.

Nella successiva sessione delle sette lettere indirizzata alle sette Chiese, nel caso della missiva inviata all’angelo della Chiesa di Filadelfia, si legge: «Così parla il Santo, il Veritiero, colui che ha la chiave di Davide; quando egli apre nessuno chiude e quando chiude nessuno apre» (Ap 3,7). Il sottotesto biblico qui coinvolto (Is 22,22) chiarisce che la chiave è simbolo dell’autorità dell’amministratore che regola l’accesso al re.

La chiave, lo si sa, è al centro anche di uno dei passi più celebri e più contesi dell’intera Bibbia cristiana, quello del «primato di Pietro»: «A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato anche nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli» (Mt 16,19; cf. Lc 11,52). Per quanto la radice ebraica ptch , «aprire», da cui deriva anche il termine ebraico per chiave (maftteach), possa indicare anche l’atto di sciogliere, val la pena di sottolineare che, in riferimento a Pietro, non si opta per un aprire e un chiudere.

Almeno ai nostri orecchi, si evocano più dei nodi che delle porte. In ogni caso rimane fondamentale porre in rilievo il fatto che la potestas di legare e sciogliere è riferita alla terra, mentre, per quanto concerne il cielo, l’azione è espressa attraverso un «passivo divino» in cui il complemento d’agente sottointeso è riferibile a Dio e non già a Pietro. In ogni caso, il rilievo più importante sta nel ribadire che in tutto il passo non c’è alcun nesso tra chiave e porta. Infatti quando compare quest’ultimo termine (pylÄ“) esso è usato per scongiurare la minaccia di vedersi inghiottiti nelle profondità dell’abisso «e le porte (pylai ) dell’Ade non prevarranno» (Mt 16,18; secondo una traduzione letterale). La porta, lungi dall’essere figura di salvezza, evoca esattamente l’opposto; essa diviene un modo per richiamare l’antica bocca dello Sheol spalancatasi per inghiottire gli empi (Nm 16,33).

Cosa dedurre da questa divaricazione tra chiavi e porta? La conclusione più stringente è che la porta la si trova aperta o chiusa, nessuno, però, è stato investito del potere di aprirla o di chiuderla. Questa decisiva differenziazione non è stata valorizzata dal linguaggio ecclesiale, il quale, anzi, fin da epoche antiche, rese equivalente il legare e lo sciogliere a un chiudere e a un aprire.

Bonifacio I nel 422, scrivendo a Rufo e ad altri vescovi della Macedonia per ribadire il primato della sede romana, affermò, per esempio, che, secondo le parole del «nostro Cristo», chiunque insorga a oltraggiare il successore di Pietro non potrà abitare nel regno dei cieli: « “A te” dice “darò le chiavi del regno dei cieli” e in esso nessuno entrerà senza il favore del portinaio». Eppure noi avvertiamo ben più vera, specie in relazione al «regno dei cieli», la separazione biblica tra «porta» e «chiave».

L’aprire e chiudere la porta è atto di Dio e non del portinaio. Pietro con il suo mazzo di chiavi posto sulla soglia del Paradiso è meglio che resti là dove compare con maggior frequenza, vale a dire nelle storielle e nelle barzellette.



Martedì 28 Maggio,2013 Ore: 19:30
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/5/2013 06.35
Titolo:PAPA FRANCESCO CLONE DEL PREDECESSORE?
Clone del predecessore?

di Klaus Nientiedt

- in “www.konradsblatt-online.de” del 28 maggio 2013
- (traduzione: www.finesettimana.org)

Alcuni osservatori dell’attualità ecclesiale si preoccupano molto in questo momento di chiarire che tra papa Benedetto e papa Francesco non c’è la minima differenza. Con questo si vuol dire che sarebbe irrealistico presumere di poter sperare, con papa Francesco, in progetti di riforma che non erano fattibili con Benedetto.

Che ora con Francesco si realizzi tutto ciò che sotto Benedetto non è stato realizzato, è una speranza effettivamente irrealistica e decisamente anche lontana dall’ecclesialità. Ma bisogna proprio sostenere che tra Benedetto e Francesco non ci sia la minima differenza, in altri termini: che il nuovo papa faccia e pensi tutto esattissimamente come il predecessore? Ma che immagine di Chiesa e di papato sta dunque dietro a questa idea?

Anche a prescindere dal fatto che Francesco ha già posto una serie di segni con cui si è assolutamente distinto dal predecessore, sarebbe forse giusto attendersi una totale uguaglianza tra i vescovi di Roma?

Ma veramente alcuni pensano che la Chiesa cattolica possa garantire la sua unità solo tramite il fatto che in un certo senso un papa sia il clone del suo predecessore? Sarebbe un’immagine di Chiesa lontana dalla realtà. In passato non è stato così - e perché mai dovrebbe essere così oggi?

Prendiamo ad esempio Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Per quanto queste due persone possano essere state vicine - tra le due c’era ben più di una “minima” differenza. Dichiarare la messa tridentina rito straordinario della messa romana era qualcosa da non farsi con Giovanni Paolo II. Si possono anche citare le differenze di opinione tra Giovanni Paolo II e il cardinale Joseph Ratzinger a proposito dell’incontro di Assisi. O anche sul diverso atteggiamento rispetto alle richieste di perdono di papa Wojtyla nel 2000.

L’idea che tra due papi non ci debba essere la minima differenza mi pare un po’ infantile. C’è solo da sperare che non si stia prima di tutto attenti a che non avvenga mai nulla di diverso rispetto a quanto voleva il predecessore del papa in carica. Altrimenti come sarebbe possibile qualsiasi sviluppo?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/5/2013 14.05
Titolo:"Anche il Papa e la chiesa hanno peccati e imperfezioni". Papa Bergoglio ...
Papa: "Anche io e Chiesa abbiamo peccati,
ma Dio è misericordioso e perdona sempre"


Sotto una pioggia battente e senza nessun riparo, Bergoglio ha percorso Piazza San Pietro a bpordo della jeep scoperta per salutare i fedeli che lo attendevano per l'Udienza generale: "Non abbiate paura di essere genitori"


CITTA' DEL VATICANO - "Anche il Papa e la chiesa hanno peccati e imperfezioni". Papa Bergoglio, sfidando la pioggia battente che anche oggi cade sulla Capitale, così ha parlato ai 90mila fedeli riuniti in Piazza San Pietro per l'Udienza generale del mercoledì. "Alcuni dicono- continua Bergoglio - : 'Cristo sì, la Chiesa no', ovvero: 'credo in Dio ma non nei preti'. Ma la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio e ha anche aspetti umani, ci sono nei suoi membri imperfezioni, peccati. Anche il Papa ne ha, e ne ha tanti". "Ma il bello - ha detto ancora il Pontefice - è che quando ci accorgiamo di essere peccatori, allora troviamo la misericordia di Dio. Dio sempre perdona".

"Amate la Chiesa cari fratelli e sorelle - ha esortato rivolto ai pellegrini di lingua francese -, essa è l'opera di Dio". "Quando leggiamo i Vangeli, vediamo che Gesù raduna intorno a sè una piccola comunità che accoglie la sua parola, lo segue, condivide il suo cammino, diventa la sua famiglia, e con questa comunità Egli prepara e costruisce la sua Chiesa", ha detto ancora il Pontefice ricordando che "la Chiesa è famiglia in cui si ama e si è amati". "Domandiamoci oggi: quanto amo io la Chiesa? Prego per lei? Mi sento parte della famiglia della Chiesa? Che cosa faccio perché sia una comunità in cui ognuno si senta accolto e compreso, senta la misericordia e l'amore di Dio che rinnova la vita?", ha suggerito. "La fede - ha poi concluso - è un dono e un atto che ci riguarda personalmente, ma Dio ci chiama a vivere insieme la nostra fede, come famiglia, come Chiesa".

"Non abbiate paura di essere genitori". "La paternità è un dono di Dio e una grande responsabilità per dare una nuova vita, la quale è un'irripetibile immagine di Dio. Non abbiate paura di essere genitori. Molti di voi certamente diventeranno padri!", ha aggiunto Papa Francesco, rivolgendosi ai giovani presenti oggi all'Udienza generale. "Siate anche aperti alla paternità spirituale, un grande tesoro della nostra fede. Dio vi doni la ricchezza e la irradiazione della sua paternità e vi colmi della sua gioia", ha chiesto loro. "Ricordate - ha aggiunto - che Dio è padre di ciascuno di noi. È modello di ogni paternità, anche di quella terrena. Non dimenticate di rendere grazie a Dio per il vostro genitore". "Ciascuno di noi - ha detto ancora - deve tanto al padre eterno che ci ha trasmesso la vita".

"Dio dà quello che chiediamo, ma a modo divino". Bergogno ha ricordato, durante la messa a Santa Marta, che "il Signore sempre ci dà quello che chiediamo, ma al suo modo divino". "Io ricordo una volta, - ha raccontato Francesco - ero in un momento buio della mia vita spirituale e chiedevo una grazia dal signore. Poi sono andato a predicare gli esercizi alle suore e l'ultimo giorno si confessano. È venuta a confessarsi una suora anziana, più di 80 anni, ma con gli occhi chiari, proprio luminosi: era una donna di Dio. Poi alla fine l'ho vista tanto donna di Dio che le ho detto: 'Ma suora, come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia, eh? Se lei la chiede al Signore, me la darà sicurò. Lei si è fermata un attimo, come se pregasse, e mi ha detto questo: 'Sicuro che il signore le darà la grazia ma, non si sbagli: al suo modo divino'. Questo mi ha fatto tanto bene. Sentire che il Signore sempre ci dà quello che chiediamo, ma al suo modo divino. E il modo divino è questo fino alla fine". "Il modo divino - ha spiegato Francesco - coinvolge la croce, non per masochismo: no, no! Per amore. Per amore fino alla fine".

Il tweet. "La Chiesa nasce dal gesto supremo di amore della Croce, dal costato aperto di Gesù. La Chiesa è una famiglia in cui si ama e si è amati", è il nuovo tweet di Papa Francesco

* LA REPUBBLICA, 29 maggio 2013

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La chiesa di Papa Francesco

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