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www.ildialogo.org LE "ZITELLE", GLI "ZITELLI", E LA CHIESA (ANCORA!) DEL "DOMINUS IESUS" RATZINGERIANO. Il modello offerto da papa Bergoglio alle suore. Una nota di Gian Guido Vecchi  ,a c. di Federico La Sala

MESSAGGIO EVANGELICO E IMMAGINAZIONE CATTOLICO-COSTANTINIANA. L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE, L’ALLEANZA DEL FIGLIO (COSTANTINO) CON LA MADRE (ELENA), REGNA ANCORA COME IN TERRA COSI’ IN CIELO ....
LE "ZITELLE", GLI "ZITELLI", E LA CHIESA (ANCORA!) DEL "DOMINUS IESUS" RATZINGERIANO. Il modello offerto da papa Bergoglio alle suore. Una nota di Gian Guido Vecchi  

Bergoglio parla alle 802 superiori delle suore di tutto il mondo, riunite a Roma, con il suo stile insieme ironico e diretto. Come quando dice che la castità dev’essere «feconda» e generare «figli spirituali della Chiesa» e aggiunge, fra risate e applausi: «La consacrata è madre, dev’essere madre e non zitella! Scusatemi, parlo un po’ così...».


a c. di Federico La Sala

UOMINI E DONNE, FIGLI E FIGLIE DEL "PADRE NOSTRO", DELL'AMORE DI DIO ("CHARITAS"): SACERDOZIO UNIVERSALE E SOVRANITA’ UNIVERSALE, MA NELLA CHIESA NON SOLO "ZITELLE", MA ANCHE QUANTI "ZITELLI"! Il modello offerto dal Papa alle suore è ancora e sempre dentro l’orizzonte cattolico-costantiniano ("edipico"!):

COSTANTINO, SANT’ELENA, E NAPOLEONE. L’immaginario del cattolicesimo romano.

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS". Il disegno di Ratzinger - Benedetto XVI. Due testi a confronto, con alcune note

RIPENSARE IL "PRESEPE".

Al di là della Trinità edipica!!!... "NUOVA ALLEANZA’"?! A CONDIZIONE CHE VICINO A "MARIA" CI SIA "GIUSEPPE"!!! (fls)

 

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«Madri, non zitelle». Il modello offerto dal Papa alle suore

di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 9 maggio 2013)

«È una dicotomia assurda pensare di vivere con Gesù senza la Chiesa». Francesco cita Paolo VI ma nelle parole del Papa gesuita si avverte l’eco d’una celebre affermazione di sant’Ignazio di Loyola («quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica») negli Esercizi Spirituali . Nel discorso del Papa c’è anche un riferimento sottotraccia alle suore (cosiddette) ribelli degli Usa, ma il richiamo di Francesco ai fondamentali - il Vangelo, il senso della Chiesa - vale per tutti, «uomini e donne».

Bergoglio parla alle 802 superiori delle suore di tutto il mondo, riunite a Roma, con il suo stile insieme ironico e diretto. Come quando dice che la castità dev’essere «feconda» e generare «figli spirituali della Chiesa» e aggiunge, fra risate e applausi: «La consacrata è madre, dev’essere madre e non zitella! Scusatemi, parlo un po’ così...».

Ma dei tre voti è l’obbedienza, la questione principale. Le suore chiedono il loro spazio («il ruolo della donna nella Chiesa deve cambiare, così come nella società», diceva la carmelitana Josune Arregui), talvolta non mancano tensioni coi vescovi. Così Francesco parla dell’obbedienza all’autorità e, d’altra parte, dell’autorità come «servizio» in senso evangelico, le parole di Gesù: «Chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo».

E torna a uno dei temi fondanti del pontificato, il primato della misericordia contro il fariseismo ipocrita: «Pensiamo al danno che arrecano al Popolo di Dio gli uomini e le donne di Chiesa che sono carrieristi, arrampicatori, che usano il popolo, la Chiesa, i fratelli e le sorelle - quelli che dovrebbero servire -, come trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali. Questi fanno un danno grande alla Chiesa...».

Nella messa a Santa Marta il Papa ha ricordato che «Gesù ha parlato con tutti», come san Paolo: «Il cristiano che vuol portare il Vangelo deve sentire tutti!». Francesco allude al Concilio, «questi ultimi 50 anni, 60 anni sono un bel tempo». Perché invece, quand’era bambino, «si sentiva nelle famiglie cattoliche, nella mia: "No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa, eh!". Oppure perché socialisti, o atei...». Era «come un’esclusione». Però «adesso, grazie a Dio, non si dice». Allora «c’era una difesa della fede con i muri» ma «Gesù ha costruito ponti».

Le superiori rappresentano le 721.935 religiose del mondo, più di sacerdoti e religiosi messi assieme. Tra loro anche quelle della «Leadership Conference of Women Religious», l’associazione che rappresenta l’80 per cento delle 57 mila religiose Usa ed è stata «commissariata» dal Vaticano un anno fa perché accusata d’essere riottosa e liberal sui temi etici.

L’ex Sant’Uffizio ha detto che anche Francesco ha approvato il rapporto; il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della vita religiosa, ha parlato del suo «dolore» per una decisione saputa all’ultimo, il Vaticano ha negato contrasti fra dicasteri. Di certo si lavora a comporre il dissidio, l’udienza di Francesco è il primo passo.

Altro che zitelle: «Che cosa sarebbe la Chiesa senza di voi? Le mancherebbe maternità, affetto, tenerezza! Intuizione di Madre...».



Venerdì 10 Maggio,2013 Ore: 16:52
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/5/2013 18.13
Titolo:PER UNA COMUNITÀ DI EGUALI di Janice Sevre-Duszynka
Disobbedendo agli uomini, obbediamo allo Spirito. L’omelia di una donna prete *

DOC-2517. ROMA-ADISTA. «Abbiamo sempre chiesto un sacerdozio rinnovato in una Chiesa riformata. Ciò comporta la creazione di una comunità di uguali in cui tutti, e non solo il prete, condividano ed esprimano i doni dello Spirito». È questo il senso delle ordinazioni delle donne prete realizzate, dal 2002, in seno alla Women Ordination Conference e all’organismo Roman Catholic Women Priests, movimenti che insistono sulla propria appartenenza alla Chiesa cattolica e sulla corretta e valida ordinazione originaria di sette donne - quattro austriache, due tedesche ed una statunitense - effettuata il 29 giugno 2002 da un vescovo in successione apostolica, l’argentino mons. Romulo Antonio Braschi, fondatore della “Chiesa cattolica apostolica carismatica di Gesù Re”, considerata però scismatica dal Vaticano. È evidente che Roma non considera né legittime né valide tali ordinazioni, provvedendo a scomunicare automaticamente le persone coinvolte.
Ma le donne prete, attualmente più di 150 in tutto il mondo, non demordono, continuando a rivendicare il sacerdozio femminile come una questione di giustizia nella Chiesa. Il 12 marzo scorso, all’apertura del Conclave che avrebbe eletto papa Jorge Mario Bergoglio, Janice Sevre-Duszynka, ordinata nel 2008, ha celebrato una messa presso la Comunità di Base di San Paolo a Roma, rivisitando le motivazioni e i valori che supportano la richiesta dell’ordinazione sacerdotale per le donne.
È stato proprio a causa della partecipazione alla sua ordinazione e dell’appoggio alla causa delle donne che il noto prete pacifista p. Roy Bourgeois, missionario di Maryknoll, è stato scomunicato e successivamente espulso dalla sua congregazione religiosa e dimesso dallo stato clericale (v. Adista Notizie nn. 69/11 e 43/12).

Di seguito pubblichiamo, in una nostra traduzione dall’inglese, l’omelia tenuta da Janice Sevre-Duszynka nel corso della celebrazione eucaristica svoltasi a Roma. (ludovica eugenio)

_________

PER UNA COMUNITÀ DI EGUALI

di Janice Sevre-Duszynka

Il Cristo risorto apparve per primo a Maria di Magdala affidandole il compito di farsi apostola presso gli apostoli. Che cosa farebbe e direbbe oggi? Come Gesù, suo maestro, sfiderebbe le autorità religiose e civili schierandosi a favore degli emarginati, tra cui le donne, e facendo appello a relazioni di giustizia e di uguaglianza.

Mentre si riunisce il Conclave, dove sono le donne? Dove sono gli uomini sposati? Dove sono i poveri? Dove sono i bambini e i giovani? Dove sono gli emarginati? Il Vaticano regala fiori alle donne, ma ciò che esse vogliono è la piena uguaglianza. Le donne prete sono qui!

Gli uomini del Vaticano sono così vincolati da scegliere di ignorare - colpevolmente - il movimento dello Spirito nel popolo di Dio? Preghiamo per loro. Come può la Chiesa parlare di giustizia quando la gerarchia non mette in pratica ciò che predica? Diciamo ai nostri fratelli: non limitatevi ad aprire le finestre, come nel Vaticano II, ma spalancate le porte del Conclave e lasciate entrare il popolo di Dio. Lasciate entrare le vostre sorelle.

La voce di Dio esprime nel nostro tempo la piena uguaglianza delle donne e degli uomini nella Chiesa e nella società, nel nostro mondo in cerca di comunità, di un legame profondo con lo Spirito presente nell’altro!

I leader della nostra Chiesa, i cardinali, hanno avuto centinaia di anni per dire sì al sacerdozio delle donne e degli uomini sposati, riconoscendo il ruolo di tutti coloro che sono impegnati nella creazione di una Chiesa più inclusiva, di una comunità d’amore in cui tutti siano i benvenuti e ricevano i sacramenti. E la sentiamo, la voce dello Spirito che sorge dalla base del popolo di Dio! Le donne prete sono qui!

Le nostre prime donne vescovo sono state ordinate da un vescovo uomo in una linea di successione apostolica, per promuovere la giustizia nella nostra Chiesa. Quante di noi hanno lavorato per anni nel movimento per l’ordinazione femminile hanno sempre affermato che, una volta che le donne fossero state ordinate, come lo siamo ora, non si sarebbe trattato solo di preti che si aggiungevano a preti. Abbiamo sempre chiesto un sacerdozio rinnovato in una Chiesa riformata. Ciò comporta la creazione di una comunità di uguali dove tutti, e non solo il prete, condividano ed esprimano i doni dello Spirito. La nostra funzione di donne prete è il servizio, non l’esercizio di un potere maggiore. Sono passati più di dieci anni da quando sette donne sono state ordinate sul Danubio, nel 2002. Nel 2006, 12 donne sono state ordinate a Pittsburgh: si è trattato delle prime ordinazioni negli Stati Uniti. Ora sono circa 150 in Europa, Stati Uniti, Canada e America Latina.

Nel nostro modello di comunità di fede, tutti sono benvenuti, tutti hanno uguali diritti. Non costituiamo una gerarchia. Non vogliamo replicare il modello clericale. Ciononostante, è molto importante per noi ottenere giustizia per le donne prete, per le immagini femminili di Dio, per il modo in cui le donne esprimono il sacro, perché i vangeli siano interpretati a partire dalla nostra vita e dalla nostra morte in quanto donne, dalla vita e dalla morte degli uomini sposati, dei poveri e degli emarginati. Lo Spirito esige che le richieste delle persone siano ovunque ascoltate, soddisfatte e considerate pienamente giuste e sane.

Le donne prete come noi sono state ordinate in una fase di passaggio. Dobbiamo rivendicare l’ordinazione come una questione di giustizia, per i nostri diritti di donne. Lo facciamo contra legem. Trasgrediamo una legge ingiusta ma restiamo all’interno della Chiesa cattolica. Il sacramento dell’Ordine deriva dal nostro battesimo, non dal genere.

Consideriamo il nostro ruolo come servizio e guida, non come potere o esclusione. Nelle nostre comunità di donne prete pratichiamo una decisionalità condivisa in un “discepolato di uguali”. Celebriamo liturgie inclusive in cui tutti vengono accolti, tutti partecipano e tutti possono avvertire un senso di appartenenza. Vogliamo appartenere, in spirito di comunione, a comunità in cui poter esprimere i nostri più profondi bisogni, desideri e aspirazioni. Qui, il nostro modello di Chiesa si eleva nello Spirito.

Poiché siamo tutti corpo di Cristo, nelle nostre celebrazioni eucaristiche tutti consacrano l’Eucaristia, tutti pronunciano l’omelia, tutti si benedicono reciprocamente. Tutti scrivono liturgie inclusive, incorporando tanto le immagini femminili quanto quelle maschili di Dio. Le donne prete rendono visibile il fatto che anche le donne sono immagini di Dio e quindi degne di presiedere all’altare. Vivono l’obbedienza profetica allo Spirito disobbedendo al diritto canonico, ingiusto, stabilito dall’uomo e discriminante nei riguardi delle donne nella nostra Chiesa. Il sessismo, come il razzismo, costituisce un peccato. Come Rosa Parks, il cui rifiuto di sedersi in fondo all’autobus nella zona riservata ai neri contribuì a innescare il movimento dei diritti civili, le donne prete non abbandonano la Chiesa, ma la traghettano verso una nuova era di giustizia e uguaglianza. Nessuna punizione, neppure la scomunica, potrà fermare questo movimento dello Spirito.

In Austria, Germania, Irlanda, Spagna, Portogallo, Svizzera, Australia e Stati Uniti, preti, vescovi e teologi hanno manifestato il loro appoggio alle donne prete, ai preti sposati e alle comunità di fede inclusive. Seguono così le orme di p. Roy Bourgeois, il prete di Maryknoll recentemente scomunicato ed espulso dall’ordine, colpevole di aver profeticamente espresso la necessità di un dialogo sulle donne prete nella nostra Chiesa. Sostiene p. Bourgeois: «Il silenzio è la voce della complicità. Perciò chiedo a tutti i cattolici, ai preti, ai vescovi, al papa e a tutti i leader della Chiesa in Vaticano di esprimersi a voce alta in merito alla grave ingiustizia dell’esclusione delle donne dal sacerdozio». L’arcivescovo di San Salvador mons. Oscar Romero è stato assassinato per la sua difesa degli oppressi. «Lasciate - diceva - che coloro che hanno voce parlino per i senza voce».

Il nostro Dio che ci ama ci ha dato la voce. Parliamo in modo chiaro e coraggioso e camminiamo, come avrebbe fatto Gesù, nella solidarietà con le donne nella nostra Chiesa, chiamate da Dio al sacerdozio.

* Adista Documenti n. 14 del 13/04/2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/5/2013 12.46
Titolo:gli uomini, le donne, e la preghiera al "Muro del pianto" .....
Vincono le donne del Muro: preghiere sotto scorta

di U.D.G. (l’Unità, 11.05.2013)

Donne contro al «Muro della discordia». Diverse centinaia di donne ebree «haredi» (timorate) hanno manifestato ieri davanti al Muro del Pianto per impedire alle «Donne del Muro» di pregare come gli uomini, così come previsto da una decisione di una Corte di Gerusalemme. Secondo i media, le fedeli ortodosse che hanno risposto all’appello diffuso dai rabbini della congregazione come Ovadia Yosefa e altri hanno lanciato spazzatura e acqua contro le donne emancipate intenzionate ad avvicinarsi al Muro per pregare indossando indumenti sacri riservati dalla tradizione ai maschi. È intervenuta la polizia per dividere i due gruppi e si sono verificati alcuni scontri. I rabbini del movimento riformato, del quale fanno parte «Le Donne del Muro» hanno sostenuto che i rabbini ortodossi nonostante questi avessero chiesto una protesta senza alcuna violenza con i fatti avvenuti ieri hanno «dissacrato la santità del posto».

SFIDA LAICA

Le femministe hanno cercato di avvicinarsi al luogo più sacro dell’ebraismo: chiedono di poter pregare come gli uomini, indossando i tallit (lo scialle da preghiera), i tefillin (scatolette di cuoio legate con le cinghie, contengono versetti sacri) e di poter recitare la Torah ad alta voce (t’fila in ebraico vuol dire preghiera). Sono le quattro «T» simbolo della protesta che gli haredim leggono come una sola parola: tradimento dell’ortodossia.

Secondo il portavoce della polizia Micky Rosenfeld, mille ultraortodossi sono stati allontanati dalla manifestazione delle «Women of the Wall», che ogni mese si danno appuntamento al Kotel (Muro del Pianto o Muro occidentale) per la rituale preghiera, ma questa volta legalmente. Gli ultraortodossi hanno tentato di forzare il passaggio, alcuni insultando i poliziotti, altri attaccando le attiviste. I dimostranti hanno lanciato bottiglie d’acqua, sacchi di immondizia, sedie di plastica o uova, sia sugli agenti, che sulle donne. La polizia ha arrestato cinque ultraortodossi con l’accusa di aver creato «disordine pubblico».

Ad aprile, un tribunale ha concesso alle donne di pregare davanti al Muro e di indossare il talled, uno scialle riservato agli uomini. Circa 400 le attiviste che si sono presentate ieri: «Siamo orgogliose e felici di avere pregato in tutta libertà e in pace», ha spiegato una responsabile, ringraziando la polizia per l’aiuto.

«È un momento storico», afferma una portavoce delle Donne del Muro, Shira Pruce, aggiungendo che «la polizia ha fatto un lavoro meraviglioso proteggendo le donne per permettere loro di pregare liberamente al Muro occidentale. Questa è la giustizia». La polizia, ha riferito la portavoce, ha poi accompagnato le donne in autobus, i quali sono stati colpiti con pietre da manifestanti mentre stavano lasciando la Città vecchia di Gerusalemme.

Shmuel Rabinowitz, un rabbino che in passato aveva definito le iniziative delle donne come «una provocazione», ha cercato di allentare le tensioni. «Nessuno in Israele vuole che ci sia una disputa al Muro occidentale», ha detto in un’intervista alla radio dell’esercito.

Il Muro, il luogo più sacro dell’ebraismo, è attualmente diviso in sezioni separate per uomini e donne. Ad aprile le autorità israeliane avevano proposto di creare una nuova sezione, in cui uomini e donne potrebbero pregare insieme. La proposta dovrà essere approvata dal governo.

Dietro lo scontro culturale la lotta fra due idee di Israele

I “fondamentalisti della Torah” fuori dal governo per la prima volta da 30 anni

di Francesca Paci (La Stampa, 11.05.2013)

Il ruolo della donna è regolato dalla «Tzanua» il concetto di modestia nei costumi
- Il gruppo delle «Donne del Muro» durante la preghiera al Muro del Pianto
- Si ispirano a un ebraismo «liberal» che si è sviluppano specie negli Stati Uniti
- Gli ortodossi sono solo il 10% ma vorrebbero imporre norme come i posti separati sui bus

Farà prima Natan Sharansky a sintonizzare le preghiere delle Women of the Wall sulle frequenze dei rabbini ultraortodossi o Tzipi Livni a rilanciare il dialogo con i palestinesi? I bookmakers israeliani puntano sulla ministra della giustizia, perché delle due mission impossible del premier Netanyahu quella assegnata al presidente dell’Agenzia ebraica tira in ballo equilibri precari assai precedenti al 1948.

La battaglia per il Muro del Pianto racconta lo scontro più ampio in corso tra la Start Up Nation proiettata verso il futuro e gli haredim, i fondamentalisti della Torah, che pur rappresentando solo il 10% della popolazione partecipano da trent’anni alle coalizioni di governo assicurandosi una buona fetta del budget tra esonero dalla leva e scuole religiose. Ma se la maggioranza degli israeliani affronta il ruolo politico di Dio al momento del voto, che quest’anno si è risolto in una disfatta per i rabbini massimalisti rimasti fuori dal gabinetto, le Women of the Wall preferiscono la prima linea, il mitico Tempio di Gerusalemme, quella porta del cielo così angusta per loro nonostante l’ebraismo sia una religione che si trasmette di madre in figlio.

La bestia nera dell’emancipazione femminile si chiama Tzanua (che in ebraico sta per modestia), un dogma più che un’auspicata virtù muliebre impresso sui cartelli intimidatori agli incroci di Mea Shearim, enclave ultraortodossa di Gerusalemme. Regola numero uno vestire di scuro, bandire i pantaloni (fascianti) e le maglie col collo a V (rivelatrici di sinuose profondità), indicare il proprio status di maritata coprendo i capelli (con cappello, foulard o parrucca) indossare calze spesse e, a voler strafare, privilegiare le scarpe chiuse. E pazienza se il lungo mare dell’iper liberale Tel Aviv pullula di bikini essenziali come neppure Copacabana: anche lì, dove coppie di militari omosessuali si abbracciano tenendo il mitra in spalla, s’è fatta spazio una spiaggia per religiosi doc con una staccionata protettiva intorno e le bagnanti rilassate nei loro austeri costumi-abiti, castigati al pari dei burqini islamici ma realizzati in sottili tessuti high tech a prova di annegamento.

Anche i rabbini più oltranzisti ammettono che alcuni divieti sono presi forse un po’ troppo alla lettera, specialmente in un paese futurista al punto che non riesce più a chiamare un taxi senza l’applicazione iPhone. L’integerrimo Moshe Feinstein per esempio, ha sempre esecrato ogni promiscuità tra i sessi (compresa la stretta di mano) facendo eccezione però per i luoghi di lavoro, i treni o l’affollatissima metropolitana di New York, situazioni limite perché considerate «contatto fisico non intenzionale».

Ciò non ha impedito che una decina di anni fa una compagnia di trasporti privata di Tel Aviv inaugurasse gli autobus con i posti separati nel sobborgo ultraortodosso di B’nai Brak mettendo il governo di fronte al fatto compiuto e le donne ribelli come la soldatessa diciottenne Doron Matalon alla stregua di una Rosa Parks israeliana costretta ad appellarsi alla Corte Suprema. Da allora si sono moltiplicate le proteste ma anche i pullman della discordia e i marciapiedi per soli uomini.

Il problema, come provano le ambizioni «ecclesiastiche» delle Women of the Wall (che vorrebbero pregare più devotamente), non è la religione di per se ma le consuetudini religiose. Soprattutto quando il brand «modestia», come qualsiasi brand identitario nell’indistinta era global, può diventare un business. «Gli autobus separati sono una grandiosa opportunità di fare soldi con gli haredim» racconta la scrittrice ebrea ortodossa Naomi Ragen, riferendo proprio la riflessione di un haredim. Basta vedere la quantità di siti che commercializzano casti abiti femminili khoser ( o quelli per single osservanti).

L’ultima parola? La sfida è donna, al Muro del Pianto come nelle cabine del Ye’elat Chen Salon, dove, in un sottoscala a dir poco nascosto, le gerosolimitane più ortodosse (e le musulmane che discretamente arrivano dalla zona araba della città) si fanno belle per il marito ma soprattutto per loro stesse.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/5/2013 23.30
Titolo:Popolo di Dio. «Ma dov’è qui l’altra metà del genere umano?»
Popolo di Dio, genere femminile

di Carmelina Chiara Canta

Adista Segni Nuovi n. 15 del 20/04/2013

Nelle ultime settimane molti si sono cimentati con le analisi e i consigli sui problemi urgenti nella Chiesa di oggi. Le indicazioni sono diventate più precise e varie: il ritorno allo spirito delle prime comunità cristiane, la scelta di povertà, la riforma della Curia, l’abolizione dello Ior, la scelta evangelica, la necessità del dialogo ecumenico e interreligioso.
Uno dei problemi più urgenti è il confronto con la postmodernità con cui la Chiesa si deve misurare se vuole annunciare il Vangelo alle donne e agli uomini di oggi; è la necessità di leggere i «segni dei tempi», come aveva intuito Giovanni XXIII quando convocò il Concilio Vaticano II. Nonostante i decenni trascorsi, la Chiesa si ritrova a confrontarsi con problemi con i quali lo stesso Concilio aveva iniziato un dialogo, interrotto negli anni successivi.
Il riferimento è al ruolo della donna nella Chiesa, tema vivo nel Concilio e presente nella Chiesa di oggi. Ci sono segnali che evidenziano come la partecipazione della donna nella società sia carente; in molte parti del mondo e in vari campi si riscontrano situazioni di disuguaglianze, ingiustizie, di disconoscimento dei diritti delle donne. È un problema che coinvolge il mondo nella sua globalità, ma nella Chiesa lo si vive con maggiore difficoltà per la sua lentezza ad adeguarsi ai cambiamenti culturali esigiti dalla postmodernità.

Ma le donne ci sono nella Chiesa cattolica? Eccome! Sono presenti in maniera rilevante rispetto agli uomini: le suore e le donne consacrate; le catechiste, le mamme che educano i figli alla fede; tutte coloro, laiche e non, che svolgono il lavoro di cura in istituzioni di solidarietà; le donne teologhe. In breve, anche le donne oggi sono Chiesa.

Eppure sono “invisibili” nei momenti più importanti e decisivi della vita della Chiesa. Dove erano le donne quando il Conclave decideva l’elezione del nuovo pontefice? Che cosa pensano le donne delle necessità della Chiesa? Dove erano (e dove sono) nei dibattiti pubblici del pre e post Conclave? Chi ha chiesto (e chiede) la loro opinione? Nei mass media, dove si celebrano tutte le liturgie della comunicazione, solo qualche donna è stata interpellata e, naturalmente, sempre in posizione ancillare. Come sarebbe la Chiesa se non ci fossero le donne? È facile rispondere che sono essenziali e che senza di loro molte attività non potrebbero continuare, come per esempio in America Latina dove tante parrocchie non potrebbero sopravvivere.

«Ma dov’è qui l’altra metà del genere umano?», chiese il cardinale Suenens il 22 ottobre 1963, a Concilio iniziato, manifestando il suo disappunto per la mancata presenza femminile. «Sono invitate anche le donne?», domandò provocatoriamente J. Teresa Münch alla conferenza stampa dei giornalisti tedeschi alla vigilia dell’ apertura del Concilio Vaticano II. Domande che gettarono un seme e lanciarono segnali forti di partecipazione.
Già in quegli anni, erano molte le donne rappresentanti di associazioni e movimenti femminili cattolici nazionali e internazionali in grado di parlare nella Chiesa. Erano donne attive, impegnate nel sociale, studiose ed esperte delle “cose di Dio”. Ma sono state soprattutto le donne tedesche, come Josefa Teresia Münch e Gertrude Heinzelmann, le più attive e desiderose di far parte a pieno titolo del popolo di Dio. Le medesime che nel 1964 scrivono un libro, Wir schweigen nicht länger (Noi non taceremo più a lungo).

A Concilio iniziato, nel settembre del 1964, Paolo VI, chiamò a partecipare 23 “uditrici” (10 religiose e 13 laiche). Esse potevano “ascoltare”, ma dovevano “tacere”. E fu così che le donne, come da sempiterna abitudine, inventarono modi per “parlare tacendo”, dentro e fuori le aule conciliari. Dentro, per citarne alcune, Rosemary Goldie, Alda Miceli, Pilar Bellosillo, Luz Maria Alvarez Icaza, suor Costantina Baldinucci, Cristina Estrada, ed altre. Fuori, ma ugualmente dentro, per citarne altre, Adriana Zarri, Maria Vingiani, Mary Daly, Elisabeth Shussler Fiorenza, Redford Ruether, ed altre. Furono “uditrici, ma non silenziose”. Da quel momento il femminile è entrato come categoria nella Chiesa e non può essere più ignorato.
È maturo il tempo che le donne, oggi competenti nella teologia, nella pastorale, nella fede, rivendichino e continuino questo cammino, che in forma mite e soft hanno proseguito, ricordando ai fratres che sono anch’esse popolo di Dio ed esprimendo a papa Francesco il desiderio di essere accolte e riconosciute come sorores. Se non ora quando?

* Università Roma Tre
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/5/2013 13.09
Titolo:UN FUOCO GRANDE: MEMORIA DI CHIARA E FRANCESCO DI ASSISI.
Come santa Chiara mangiò con santo Francesco e co’ suoi compagni frati in Santa Maria degli Agnoli. *

Santo Francesco, quando stava a Sciesi [Assisi], ispesse volte visitava Santa Chiara dandole santi ammaestramenti. Ed avendo ella grandissimi desideri di mangiare una volta con lui, e di ciò pregandolo molte volte, egli non le volle mai fare questa consolazione.

Onde vedendo li suoi compagni il desiderio di santa Chiara, dissono a santo Francesco: «Padre, a noi non pare che questa rigidità sia secondo la carità divina, che suora Chiara, vergine così santa, a Dio diletta tu non esaudisca in così piccola cosa, come è mangiare teco e spezialmente considerando ch’ella per le tue predicazioni abbandonò le ricchezze e le pompe del mondo. E di vero, s’ella ti domandasse maggiore grazia che questa non è, sì la doveresti fare alla tua pianta spirituale».

Allora santo Francesco rispuose: «Pare a voi ch’io la debba esaudire?».

Rispondono li compagni: «Padre, si degna cosa è che tu le faccia questa grazia e consolazione».

Disse allora santo Francesco: «Da poi che pare a voi, pare anche a me. Ma acciò ch’ella sia più consolata, io voglio che questo mangiare si faccia in Santa Maria degli Agnoli, imperò ch’ella è stata lungo tempo rinchiusa in santo Damiano, sicché le gioverà di vedere il luogo di santa Maria, dov’ella fu tonduta e fatta isposa di Gesù Cristo; ed ivi mangeremo insieme al nome di Dio».

Venendo adunque il dì ordinato a ciò, santa Chiara escì del monistero con una compagna, accompagnata di compagni di santo Francesco, e venne a Santa Maria degli Agnoli. E salutata divotamente la Vergine Maria dinanzi al suo altare, dov’ella era stata tonduta e velata, sì la menorono vedendo il luogo, infino a tanto che fu ora da desinare.

E in questo mezzo santo Francesco fece apparecchiare la mensa in sulla piana terra, siccome era usato di fare. E fatta l’ora di desinare si pongono a sedere insieme santo Francesco e santa Chiara, e uno delli compagni di santo Francesco e la compagna di santa Chiara, e poi tutti gli altri compagni s’acconciarono alla mensa umilmente.

E per la prima vivanda santo Francesco cominciò a parlare di Dio sì soavemente, sì altamente, maravigliosamente, che discendendo sopra di loro l’abbondanza della divina grazia, tutti furono in Dio ratti.

E stando così ratti con gli occhi e con le mani levate in cielo, gli uomini da Sciesi e da Bettona e que’ della contrada dintorno, vedeano che Santa Maria degli Agnoli e tutto il luogo e la selva ch’era allora allato al luogo, ardeano fortemente, e parea che fosse un fuoco grande che occupava la chiesa e ’l luogo e la selva insieme.

Per la qual cosa gli Ascesani con gran fretta corsono laggiù per ispegnere il fuoco, credendo veramente ch’ogni cosa ardesse. Ma giugnendo al luogo e non trovando ardere nulla, entrarono dentro e trovarono santo Francesco con santa Chiara con tutta la loro compagnia ratti in Dio per contemplazione e sedere intorno a quella mensa umile. Di che essi certamente compresono che, quello era stato fuoco divino e non materiale, il quale Iddio avea fatto apparire miracolosamente, a dimostrare e significare il fuoco de divino amore, del quale ardeano le anime di questi santi frati e sante monache; onde si partirono con grande consolazione nel cuore loro e con santa edificazione.

Poi, dopo grande spazio tornando in sé santo Francesco e santa Chiara insieme con li altri, e sentendosi bene confortati del cibo spirituale, poco si curarono del cibo corporale.

E così compiuto quel benedetto disinare, santa Chiara bene accompagnata si ritornò a Santo Damiano.

Di che le suore veggendola ebbono grande allegrezza; però ch’elle temeano che santo Francesco non l’avesse mandata a reggere qualche altro monisterio, siccome egli avea già mandata suora Agnese, santa sua sirocchia, abbadessa a reggere il monisterio di Monticelli di Firenze; e santo Francesco alcuna volta avea detto a santa Chiara: «Apparecchiati, se bisognasse ch’io ti mandassi in alcuno luogo»; ed ella come figliuola di santa obbidienza avea risposto: «Padre, io sono sempre apparecchiata ad andare dovunque voi mi manderete». E però le suore sì si rallegrarono fortemente, quando la riebbono; e santa Chiara rimase d’allora innanzi molto consolata.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

* Fonte: I fioretti di San Francesco (Capitolo quindicesimo). Anonimo XIV secolo (Wikisource)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/5/2013 10.58
Titolo:Un falso amore porta alla violenza
Un falso amore porta alla violenza

di Dacia Maraini (Corriere della Sera, 14 maggio 2013)

Il femminicidio è, nel suo simbolismo profondo, un atto culturale e quindi di responsabilità collettiva. Viviamo in un sistema di formazione che esalta la violenza sui deboli, che coltiva l’odio di genere e abolisce il rispetto dell’altro. La cultura di mercato sta sostituendo la cultura dei diritti e dei doveri e nel grande mercato internazionale una delle merci più richieste è il corpo femminile.

La cosa peggiore è che le donne stesse hanno talmente bene introiettato il concetto di merce da comportarsi spesso e con molta naturalezza come tale. Non che sentirsi merce porti felicità, ma può dare una inebriante sensazione di essere al centro del desiderio e dell’avidità mercantile, di smuovere un turbine di denaro. Senza rendersi conto che ogni mercificazione comporta servitù e dipendenza, umiliazione e degrado.

Se partiamo da questa constatazione ci rendiamo conto che il femminicidio non si può risolvere solo con le manette e leggi piu severe, anche se manette e leggi piu severe servono. Per cambiare veramente ci vuole una educazione dal basso, che imponga un nuovo concetto di integrità della persona, che esiga rispetto verso la libertà dell’altro. Nonostante le tante dichiarazione di emancipazione infatti la distinzione dei ruoli è ancora molto forte.

L’Italia poi, come dice l’Onu, è uno degli ultimi Paesi europei in fatto di partecipazione maschile ai lavori domestici e di accudimento. Provate ad andare in un negozio di giocattoli. Ancora oggi la divisione è netta: bambole, cucinette, piccola sartoria per le bambine; fucilini, trenini, camion, e guerra in miniatura per i bambini.

Da tempi lontanissimi si è radicata l’idea che il diritto più naturale e intoccabile del maschio umano sia la proprietà della famiglia. Proprietà che dà diritto al controllo maritale, all’impronta del proprio sangue, del proprio nome, di una propria idea di educazione. Toccare tale principio crea spesso risentimenti viscerali e selvaggi. Da quando, in un famoso processo divino, descritto così bene da Eschilo, Apollo ha stabilito che il vero motore della vita è il padre e la madre è solo il vaso che contiene il seme maschile, gli uomini si sono appropriati storicamente di un potere intimo e immutabile che costituisce, ancora per troppi, la base dell’identità virile.

Tutti i casi di violenza di questi ultimi anni mostrano una stessa struttura: una coppia che si sceglie e si ama. A un certo punto la donna decide di andare via o di rompere il rapporto. E l’uomo, che ha puntato tutto su quella proprietà, entra in crisi, diventa intollerante e violento, fino ad arrivare all’omicidio. Seguito spesso dal suicidio, segno che si tratta di una vera e propria tragedia per chi non sa accettare i cambiamenti, la perdita dei privilegi, la soppressione del concetto di proprietà.

Se vogliamo che questa violenza cessi, dobbiamo lavorare su quel sentimento di proprietà: «Io ti amo e quindi sei mia», dato troppo spesso come naturale e assecondato da troppe retoriche sentimentali.

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