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www.ildialogo.org L'UMANITA'  E IL GRANDE CODICE (LA BIBBIA). Una nota  di Bruno Forte sul  convegno internazionale tenutosi in questi giorni a Gerusalemme su «Giovanni XXIII e il popolo ebraico» ,a c. di Federicvo La Sala

ANTROPOLOGIA, TEOLOGIA, ED ECUMENISMO. "[...] alla nascita di Cristo nella capanna semiaperta era subito presente il mondo intero, i pastori e i savi d’Oriente" (F. Kafka, Lettera a Helli Hermann, autunno 1921)  
L'UMANITA'  E IL GRANDE CODICE (LA BIBBIA). Una nota  di Bruno Forte sul  convegno internazionale tenutosi in questi giorni a Gerusalemme su «Giovanni XXIII e il popolo ebraico» 

UOMINI, DONNE, E RELIGIONI. "(...) finché non ci sarà riconoscimento e valorizzazione della dignità dell’altro e del diverso, non potranno esserci né giustizia, né crescita, né pace. II Grande Codice dell’ethos che ci unisce - la Bibbia - ne é il testimone assoluto, di cui possono fidarsi tanto gli ebrei, quanto i cristiani, quanto tutti gli uomini e le donne di buona volontà.


a c. di Federicvo La Sala

Il filo del rispetto che lega le grandi religioni

di Bruno Forte (Il Sole 24 Ore, 5 maggio 2013)

«Fra le più alte partecipazioni di pubblico mai registrate». Così commentava la riuscita dell’evento il responsabile della Konrad Adenauer Foundation in Israele, sponsor del convegno internazionale tenutosi in questi giorni a Gerusalemme su «Giovanni XXIII e il popolo ebraico» a cinquant’anni dalla morte del "Papa buono". Ciò che ha sorpreso non è stata tanto la presenza di studiosi di ogni parte del mondo, cui si aggiungeva quella dei membri della commissione congiunta della Santa Sede e del Gran Rabbinato d’Israele, quanto l’interesse che l’iniziativa ha riscosso in ambito ebraico. In realtà, è dal Venerdì Santo del 1959, quando Papa Giovanni da non molto eletto, sorprendendo tutti, aveva voluto che si eliminasse l’aggettivo "perfidi" davanti al termine "Giudei" nella preghiera per il popolo ebraico, che una nuova era ha avuto inizio nelle relazioni fra il popolo da cui è venuto Gesù, e di cui Egli fa parte per sempre, e la Chiesa da Lui voluta, affidata agli apostoli, in particolare a Pietro, il pescatore di Galilea, e ai loro successori.

Dall’insegnamento del disprezzo, che troppo a lungo aveva ispirato l’atteggiamento della maggioranza dei cristiani nei riguardi d’Israele, si è passati al rispetto e all’amicizia fra chi riconosce nell’alleanza mai revocata e nel popolo dei Patriarchi e dei Profeti la radice santa della Chiesa - come fa Paolo nella lettera ai Romani (capitolo 11) - e questo stesso popolo. L’Apostolo sottolinea, inoltre, che non è l’albero a portare la radice, ma questa a portare l’albero! Da una tale consapevolezza deriva un rapporto di coappartenenza e di fiducia tra cristiani ed ebrei, consacrato dal decreto Nostra Aetate del Concilio Vaticano II, di cui è stato da poco celebrato il cinquantesimo anniversario dall’apertura. Non si può essere discepoli di Gesù e amarlo se non si ama al contempo il popolo da cui è venuto!

Nel clima positivo e stimolante del Convegno anche i lavori ad esso seguiti della Commissione congiunta fra la Santa Sede e il Gran Rabbinato d’Israele si sono occupati dell’attualità del messaggio di Papa Giovanni e del Concilio. Se da una parte si è constatata la straordinaria crescita nella fiducia reciproca fra cristiani ed ebrei a livello ufficiale, grazie anche alla testimonianza dei Papi succedutisi a Roncalli e oggi in particolare ai rapporti che da sempre legano Papa Francesco alla comunità ebraica, molto numerosa a Buenos Aires, dall’altra si è osservato come ci sia ancora bisogno di grande impegno perché la stima reciproca e il rifiuto convinto di ogni antisemitismo pervadano mentalità e costumi.

La visita del Presidente Simon Peres al Papa - coincidente con l’incontro di Gerusalemme - e l’invito rivolto al Vescovo di Roma a visitare Israele, stimolano cristiani ed ebrei a un rinnovato sforzo volto a «educare le rispettive comunità riguardo alla natura, ai contenuti e al significato dei cambiamenti» intercorsi da cinquant’anni a questa parte, come afferma il Comunicato congiunto della riunione della commissione fra la Santa Sede e il Gran Rabbinato. «Il rispetto reciproco e l’amicizia che si è stabilita fra noi in questi anni - aggiunge il testo - implicano la responsabilità di difendere e promuovere reciprocamente il bene dell’altra comunità. Ciò richiede di reagire ai pregiudizi e al disprezzo, in particolare contro ebrei e cristiani. Specialmente là dove una comunità è maggioritaria e ispira l’ethos di una nazione, e l’altra è minoranza vulnerabile, la responsabilità della prima è ancora maggiore».

 

La speranza condivisa è che questo spirito di collaborazione, di rispetto e di comune servizio alla giustizia e alla pace possa estendersi a ogni relazione all’altro: da quella fra israeliani e palestinesi, a quella con lo straniero e il diverso da noi e in ogni parte del mondo, fino a quella - per chiudere con uno sguardo all’attualità italiana - fra avversari politici, abituati fino a ieri al reciproco rigetto e chiamati oggi dalle drammatiche urgenze della crisi economico - sociale, di cui ha saputo farsi voce autorevole il Capo dello Stato, a collaborare con onestà e disponibilità reciproca per il bene comune. A tutti i livelli, insomma, finché non ci sarà riconoscimento e valorizzazione della dignità dell’altro e del diverso, non potranno esserci né giustizia, né crescita, né pace. II Grande Codice dell’ethos che ci unisce - la Bibbia - ne é il testimone assoluto, di cui possono fidarsi tanto gli ebrei, quanto i cristiani, quanto tutti gli uomini e le donne di buona volontà.



Lunedì 06 Maggio,2013 Ore: 10:31
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/5/2013 13.12
Titolo:Donne uomini e religioni. Per una comunità di eguali
Disobbedendo agli uomini, obbediamo allo Spirito. L’omelia di una donna prete *

DOC-2517. ROMA-ADISTA. «Abbiamo sempre chiesto un sacerdozio rinnovato in una Chiesa riformata. Ciò comporta la creazione di una comunità di uguali in cui tutti, e non solo il prete, condividano ed esprimano i doni dello Spirito». È questo il senso delle ordinazioni delle donne prete realizzate, dal 2002, in seno alla Women Ordination Conference e all’organismo Roman Catholic Women Priests, movimenti che insistono sulla propria appartenenza alla Chiesa cattolica e sulla corretta e valida ordinazione originaria di sette donne - quattro austriache, due tedesche ed una statunitense - effettuata il 29 giugno 2002 da un vescovo in successione apostolica, l’argentino mons. Romulo Antonio Braschi, fondatore della “Chiesa cattolica apostolica carismatica di Gesù Re”, considerata però scismatica dal Vaticano. È evidente che Roma non considera né legittime né valide tali ordinazioni, provvedendo a scomunicare automaticamente le persone coinvolte. Ma le donne prete, attualmente più di 150 in tutto il mondo, non demordono, continuando a rivendicare il sacerdozio femminile come una questione di giustizia nella Chiesa. Il 12 marzo scorso, all’apertura del Conclave che avrebbe eletto papa Jorge Mario Bergoglio, Janice Sevre-Duszynka, ordinata nel 2008, ha celebrato una messa presso la Comunità di Base di San Paolo a Roma, rivisitando le motivazioni e i valori che supportano la richiesta dell’ordinazione sacerdotale per le donne. È stato proprio a causa della partecipazione alla sua ordinazione e dell’appoggio alla causa delle donne che il noto prete pacifista p. Roy Bourgeois, missionario di Maryknoll, è stato scomunicato e successivamente espulso dalla sua congregazione religiosa e dimesso dallo stato clericale (v. Adista Notizie nn. 69/11 e 43/12).
Di seguito pubblichiamo, in una nostra traduzione dall’inglese, l’omelia tenuta da Janice Sevre-Duszynka nel corso della celebrazione eucaristica svoltasi a Roma. (ludovica eugenio)




PER UNA COMUNITÀ DI EGUALI

di Janice Sevre-Duszynka

Il Cristo risorto apparve per primo a Maria di Magdala affidandole il compito di farsi apostola presso gli apostoli. Che cosa farebbe e direbbe oggi? Come Gesù, suo maestro, sfiderebbe le autorità religiose e civili schierandosi a favore degli emarginati, tra cui le donne, e facendo appello a relazioni di giustizia e di uguaglianza.

Mentre si riunisce il Conclave, dove sono le donne? Dove sono gli uomini sposati? Dove sono i poveri? Dove sono i bambini e i giovani? Dove sono gli emarginati? Il Vaticano regala fiori alle donne, ma ciò che esse vogliono è la piena uguaglianza. Le donne prete sono qui!

Gli uomini del Vaticano sono così vincolati da scegliere di ignorare - colpevolmente - il movimento dello Spirito nel popolo di Dio? Preghiamo per loro. Come può la Chiesa parlare di giustizia quando la gerarchia non mette in pratica ciò che predica? Diciamo ai nostri fratelli: non limitatevi ad aprire le finestre, come nel Vaticano II, ma spalancate le porte del Conclave e lasciate entrare il popolo di Dio. Lasciate entrare le vostre sorelle.

La voce di Dio esprime nel nostro tempo la piena uguaglianza delle donne e degli uomini nella Chiesa e nella società, nel nostro mondo in cerca di comunità, di un legame profondo con lo Spirito presente nell’altro!

I leader della nostra Chiesa, i cardinali, hanno avuto centinaia di anni per dire sì al sacerdozio delle donne e degli uomini sposati, riconoscendo il ruolo di tutti coloro che sono impegnati nella creazione di una Chiesa più inclusiva, di una comunità d’amore in cui tutti siano i benvenuti e ricevano i sacramenti. E la sentiamo, la voce dello Spirito che sorge dalla base del popolo di Dio! Le donne prete sono qui!

Le nostre prime donne vescovo sono state ordinate da un vescovo uomo in una linea di successione apostolica, per promuovere la giustizia nella nostra Chiesa. Quante di noi hanno lavorato per anni nel movimento per l’ordinazione femminile hanno sempre affermato che, una volta che le donne fossero state ordinate, come lo siamo ora, non si sarebbe trattato solo di preti che si aggiungevano a preti. Abbiamo sempre chiesto un sacerdozio rinnovato in una Chiesa riformata. Ciò comporta la creazione di una comunità di uguali dove tutti, e non solo il prete, condividano ed esprimano i doni dello Spirito. La nostra funzione di donne prete è il servizio, non l’esercizio di un potere maggiore. Sono passati più di dieci anni da quando sette donne sono state ordinate sul Danubio, nel 2002. Nel 2006, 12 donne sono state ordinate a Pittsburgh: si è trattato delle prime ordinazioni negli Stati Uniti. Ora sono circa 150 in Europa, Stati Uniti, Canada e America Latina.

Nel nostro modello di comunità di fede, tutti sono benvenuti, tutti hanno uguali diritti. Non costituiamo una gerarchia. Non vogliamo replicare il modello clericale. Ciononostante, è molto importante per noi ottenere giustizia per le donne prete, per le immagini femminili di Dio, per il modo in cui le donne esprimono il sacro, perché i vangeli siano interpretati a partire dalla nostra vita e dalla nostra morte in quanto donne, dalla vita e dalla morte degli uomini sposati, dei poveri e degli emarginati. Lo Spirito esige che le richieste delle persone siano ovunque ascoltate, soddisfatte e considerate pienamente giuste e sane.

Le donne prete come noi sono state ordinate in una fase di passaggio. Dobbiamo rivendicare l’ordinazione come una questione di giustizia, per i nostri diritti di donne. Lo facciamo contra legem. Trasgrediamo una legge ingiusta ma restiamo all’interno della Chiesa cattolica. Il sacramento dell’Ordine deriva dal nostro battesimo, non dal genere.

Consideriamo il nostro ruolo come servizio e guida, non come potere o esclusione. Nelle nostre comunità di donne prete pratichiamo una decisionalità condivisa in un “discepolato di uguali”. Celebriamo liturgie inclusive in cui tutti vengono accolti, tutti partecipano e tutti possono avvertire un senso di appartenenza. Vogliamo appartenere, in spirito di comunione, a comunità in cui poter esprimere i nostri più profondi bisogni, desideri e aspirazioni. Qui, il nostro modello di Chiesa si eleva nello Spirito.

Poiché siamo tutti corpo di Cristo, nelle nostre celebrazioni eucaristiche tutti consacrano l’Eucaristia, tutti pronunciano l’omelia, tutti si benedicono reciprocamente. Tutti scrivono liturgie inclusive, incorporando tanto le immagini femminili quanto quelle maschili di Dio. Le donne prete rendono visibile il fatto che anche le donne sono immagini di Dio e quindi degne di presiedere all’altare. Vivono l’obbedienza profetica allo Spirito disobbedendo al diritto canonico, ingiusto, stabilito dall’uomo e discriminante nei riguardi delle donne nella nostra Chiesa. Il sessismo, come il razzismo, costituisce un peccato. Come Rosa Parks, il cui rifiuto di sedersi in fondo all’autobus nella zona riservata ai neri contribuì a innescare il movimento dei diritti civili, le donne prete non abbandonano la Chiesa, ma la traghettano verso una nuova era di giustizia e uguaglianza. Nessuna punizione, neppure la scomunica, potrà fermare questo movimento dello Spirito.

In Austria, Germania, Irlanda, Spagna, Portogallo, Svizzera, Australia e Stati Uniti, preti, vescovi e teologi hanno manifestato il loro appoggio alle donne prete, ai preti sposati e alle comunità di fede inclusive. Seguono così le orme di p. Roy Bourgeois, il prete di Maryknoll recentemente scomunicato ed espulso dall’ordine, colpevole di aver profeticamente espresso la necessità di un dialogo sulle donne prete nella nostra Chiesa. Sostiene p. Bourgeois: «Il silenzio è la voce della complicità. Perciò chiedo a tutti i cattolici, ai preti, ai vescovi, al papa e a tutti i leader della Chiesa in Vaticano di esprimersi a voce alta in merito alla grave ingiustizia dell’esclusione delle donne dal sacerdozio». L’arcivescovo di San Salvador mons. Oscar Romero è stato assassinato per la sua difesa degli oppressi. «Lasciate - diceva - che coloro che hanno voce parlino per i senza voce».

Il nostro Dio che ci ama ci ha dato la voce. Parliamo in modo chiaro e coraggioso e camminiamo, come avrebbe fatto Gesù, nella solidarietà con le donne nella nostra Chiesa, chiamate da Dio al sacerdozio.

* Adista Documenti n. 14 del 13/04/2013

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