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www.ildialogo.org Che senso ha oggi tenere in vita due apparati curiali arcivescovili a distanza di 4 km?,di fra' Calvino

La posta di fra' Calvino
Che senso ha oggi tenere in vita due apparati curiali arcivescovili a distanza di 4 km?

di fra' Calvino

Caro fra’ Calvino, intervengo dopo che Augusto Cavadi su Adista del 10 dicembre u.s., in occasione dell’ingresso del nuovo arcivescovo di Palermo, ha rimesso sul tappeto questioni riguardanti alcuni tra i cardinali predecessori e non solo. Cavadi pare convinto che per capire “lo stato” della primaziale chiesa siciliana e, di conseguenza per segnalare la necessità di “fare pulizia a casa propria” e “scegliersi i collaboratori a cominciare dal vicario generale” basti sfogliare appena l’album dei predecessori a partire dal cardinale Ruffini senza scendere nel dettaglio. E invece mi sembra giusto ed utile ripensare anzi rivalutare personaggi che hanno determinato nel bene e nel male la vita della Chiesa a Palermo e in Sicilia. E come nelle grandi storie c’è da ricordare aneddoti che hanno visto l’intrecciarsi, talvolta poco felice per la Chiesa, delle vite dei personaggi cui accenna il guardingo Cavadi.

Non si può capire quei personaggi se non rivisitando quanto accadeva a Palermo e dintorni negli anni ‘50/61

Erano gli anni della prima crisi politica siciliana: il milazzismo. Se a Palermo “regnava” duro il cardinale Ruffini il quale inneggiava alla inesistenza della mafia, i fili della “politica” li tirava dal “colle”, con leggiadra pazienza, il mons. Francesco Carpino (fructum affert in patientia, il suo motto) da poco succeduto a mons. Filippi come arcivescovo di Monreale. Sta qui una prima chiave di lettura di tutto il seguito.

Il fatto è che se fino a tutti gli anni ‘50 le due archidiocesi (Palermo - Monreale) erano state governate in una sorta di aureo isolamento, con il pontificato di Papa Giovanni affiorarono problemi e nodi che tutt’ora restano da sciogliere: che senso ha oggi tenere in vita due apparati curiali arcivescovili a distanza di 4 km?

Ma allora, se Monreale con mons. Filippi aveva primeggiato nella gestione e amara soluzione della crisi del banditismo (il bandito Giuliano nativo di Montelepre che ricadeva nella giurisdizione ecclesiastica di Monreale) il cardinale Ruffini si rifaceva accogliendo a Palermo un nutrito gruppo di giovani preti “intellettuali” cui era divenuta troppo stretta la nativa archidiocesi di Monreale. E tuttavia la questione che aveva reso sempre più tesi i rapporti tra le due archidiocesi con le monumentali cattedrali distanti appena 4 km., era stata la gestione della Eparchia di Piana degli Albanesi (già territorio di Monreale), a partire dal 1947 affidata proprio al cardinale Ruffini come amministratore apostolico.

Ora la “vexata quaestio” che aveva fatto traboccare il vaso era stata la lungimiranza di San Giovanni 23°, il quale, avendo esperienza di oriente cristiano, ritenne opportuno dare “segnali” all’ortodossia: intervenne su l’eparchia di Piana degli Albanesi consolidandola con l’attribuzione anche delle parrocchie latine insistenti nello stesso comune (Contessa Entellina, Mezzojuso, Palazzo Adriano) che, nella riforma del 1947 erano rimaste attribuite alla giurisdizione monrealese.

La dura presa di posizione di mons. Carpino arcivescovo di Monreale ne rivelò non solo il grande canonista ma soprattutto pericolosi limiti quando mostrò di voler intraprendere una forma di resistenza alla decisione papale: a quanto si disse, Papa Giovanni informato sui movimenti di Carpino, se ne uscì in un significativo monito: “dite all’arcivescovo di Monreale che il Papa desidera che egli la smetta”. E da qui “il promoveatur ut amoveatur”: su intervento del cardinale Tardini che era stato suo maestro, l’Arcivescovo Carpino lasciò Monreale per tornare a Roma ma come segretario dell’allora “congregazione Concistoriale”.

I segnali di potenza non tardarono: Monreale rimase sede vacante per circa un anno fino a quando, trasferito da Trapani, non venne “imposto” l’amico e quasi compaesano mons. Corrado Mingo forse pensato come “fedelissimo esecutore”. Risultò subito chiaro che mons. Carpino a Roma non era personaggio di seconda grandezza e perciò il suo attivismo dovette generare qualche allarme: non solo sono ascritti a lui le nomine a Vescovo di un paio di “monrealesi” ma se pur non volentieri, egli riuscì a far passare la nomina a Vescovo di Agrigento di mons. Giuseppe Petralia, la punta di diamante della cultura cattolica a Palermo e in Sicilia. Nel contempo alla morte di papa Giovanni, tutti si aspettavano che Carpino, segretario del conclave ne uscisse cardinale e invece sembrò che Papa Montini rifugisse dall’idea tanto che aspettò ben 4 concistori. E tuttavia fu chiaro che appena cardinale Carpino per taluni concorrenti divenne ancor più ingombrante. Gli fu proposta l’arcidiocesi di Napoli: rifiutò dichiarando che la sua diocesi restava Monreale. Ma alla morte del Cardinale Ruffini si riaprì il pericolo di essere allontanato da Roma: si disse che il suo dicastero faceva gola a un lombardo. Ci furono tra quelli che venivano considerati amici, febbrili consultazioni: venne fuori l’idea che il vescovo Petralia fosse l’uomo giusto per Palermo. Il cardinale Carpino non volle giocare la carta che gli si offriva. E quando Paolo 6° gli disse: “mi dicono che lei desidera tornare a Palermo” invece di sfoderare che “già il Vescovo giusto per Palermo c’era ed era il vescovo di Agrigento apprezzato e amato a Palermo soprattutto per la sua levatura culturale e umana, Carpino tacque la verità del duro contenzioso che l’aveva visto protagonista come arcivescovo di Monreale: “tamen coactus, volui”, accettò cosciente che andava incontro a un sicuro fallimento e quindi con la riserva di dimettersi dopo tre anni. Molto spesso succede che gli ecclesiastici di un certo stampo (in questo caso, stampo Pacelliano) tendono a “volatilizzarsi” pur di non favorire l’ascesa al proprio livello di uno che era stato suo competitor negli studi romani: questi era proprio quel mons. Giuseppe Petralia che appena vescovo, era stato il solo a contraddire il cardinale Ruffini: la mafia esiste!

Una nota di merito per Carpino che arrivò a Palermo con il chiaro proposito di cancellare l’immagine di sé come “nemico” della Eparchia: volle di persona (in un vero solo grande trionfo) portare a Piana degli Albanesi la bolla di riconoscimento della totale autonomia della diocesi.

Non riuscì invece a superare le vecchie ruggini con i potenti curiali di Palermo e quindi le dimissioni e il confino al suo paese.

Ma… rieccolo! Pochi ebbero a notare che con Giovanni Paolo 1° il Cardinale ebbe offerta la possibilità di un nuovo inizio. Ma pare che egli non resse quando il nuovo papa (che non era così sprovveduto come si vorrebbe) lo volle coinvolgere con altri sei cardinali in una operazione che, se non ci fosse stata la talpa, avrebbe stravolto la curia romana e probabilmente permesso un pontificato molto più lungo.

Del cardinale Pappalardo posso solo riferire le parole sintesi del Vescovo Petralia ormai a riposo: “vedi, questo è oggi si, si; domani no, no”. Il che la dice lunga sulle effettive capacità di governo di quel presule.

Oggi per fortuna abbiamo papa Francesco che non va a cercare i vescovi presso le “apposite” accademie pontificie!

Caro fra’ Calvino, so quanto tu ami in particolare la Chiesa siciliana, perciò invoco il tuo intervento che induca ad intervenire la saggezza dei molti che sanno,

tuo nel Signore, don Onofrio.

 Caro don Onofrio, in effetti la mole di notizie che tu tiri in ballo mi trova impreparato a fare un commento dignitoso. Perciò faccio mia la tua richiesta di coinvolgere “la saggezza dei molti che sanno”, pubblicando così come è la tua lettera.




Venerdì 22 Gennaio,2016 Ore: 20:29
 
 
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