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www.ildialogo.org IL LABORATORIO DI FREUD E LA LEZIONE DI ELVIO FACHINELLI. "Su Freud", un'ottima introduzione a "La mente estatica". Una nota,di Federico La Sala

PSICOANALISI E FILOSOFIA: INDICAZIONI PER UNA SECONDA RIVOLUZIONE COPERNICANA. I soggetti sono due, e tutto è da ripensare...
IL LABORATORIO DI FREUD E LA LEZIONE DI ELVIO FACHINELLI. "Su Freud", un'ottima introduzione a "La mente estatica". Una nota

(...) alla fine del loro percorso, al di là della morte (l’uno sfuggito alla polizia del “Faraone”, l’altro vittorioso su Oloferne), Fachinelli ritrova Freud e Freud ritrova Fachinelli e , insieme, riprendono la “conversazione conoscitiva” nel loro laboratorio, e la navigazione nel "gran navilio” di Galilei.


di Federico La Sala

 

  • IL "LABORATORIO" DELLA "CONVERSAZIONE CONOSCITIVA". «Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti: siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca che sia posto a basso; e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza. [..] Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia mentre il vascello sta fermo non debbano succedere così: fate muovere la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur di moto uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti; né da alcuno di quelli potrete comprendere se la nave cammina, o pure sta ferma. » (Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi tolemaico e copernicano, 1632 - Salviati, giornata II)

 

Con Freud, probabilmente, nessuno (né del ‘mondo’ psicoanalitico, né tantomeno del ‘mondo’ filosofico) ha ‘dialogato’ con più libertà di giudizio e onestà intellettuale di Elvio Fachinelli (1928-1989). E, come si sa, “essere giusti con Freud” non è affatto facile!

Fin dall’inizio, egli ha colto con lucidità e precisione il cuore pulsante della “rivoluzione psicoanalitica” e, consapevole di tutta la sua portata epocale, fino alla fine ha fatto di tutto (pur tra totali incomprensioni) per assicurarne la vita.

Grandezza e limiti di Freud: “Su Freud” (a c. di Lamberto Boni, Adelphi, Milano 2012, e. 12, pp. 115) è un’ottima occasione per riconsiderare il percorso di Elvio Fachinelli e rendersi conto del suo lavoro (dal 1966 al 1989) per portare la psicoanalisi fuori dalla claudicanza e dalla cecità dell’orizzonte edipico.

Nel 1966, semplicemente, Fachinelli è già Fachinelli! Per dirla in breve, nella sua lettura di Freud (questo è il titolo del primo saggio, così articolato: Un Conquistador; L’archeologia del banale; Un modello vittoriano; Dickens, l’infanzia; Il frammento goethiano; Un giuramento materialista; Come lo spirito curerà se stesso; Resistenza, inconscio, sesso; L’autoanalisi; Edipo e suo padre; Mosè è un Egizio; Il mito e la civiltà), egli non solo si rende del fatto che “il conflitto di ambivalenza sull’esser ebreo [e povero, fls] che esisteva nel figlio di Jakob” (p. 16), ma anche di come e quanto il nodo edipico non risolto pesi su “i significati nuovi che emergono dal suo lavoro e ai quali non sa dare una definizione precisa” e come tutto, alla fine, possa finire nel vicolo cieco della tendenza alla distruzione, al “ritorno all’inorganico”, tra le braccia del cosiddetto istinto di morte: “La rivelazione di questa tendenza (...) avviene, in Al di là del principio di piacere, del 1920, attraverso il ritrovamento del mito di Eros e di Thanatos in lotta continua e incerta tra loro” (p. 60).

Fachinelli è ben consapevole che “l’ambiguità del mito” non risolve affatto il problema, ma come e con Freud non dispera, e con un colpo d’ala così ‘chiude’ il discorso su “Freud” e così comincia il suo cammino: “Un’indicazione ben tenue e fragile, disarmata; come se fra tante corazze e armature di ferro, egli ci desse un semplice filo da seguire; ma un filo ricorda Platone, che è duttile quanto il ferro è rigido, perché è un filo d’oro” (pp. 60-61). Il cammino sarà lungo, ma il linguaggio già annuncia la consapevolezza di “Sulla Spiaggia” (cfr. E. Fachinelli, La mente estatica, Adelphi, Milano 1989, pp. 13-25). Dal labirinto si può uscire!

Chi pensa (e sono in molti) che il “volo a grande altezza” di Freud, che fece dire a Breuer di guardare “a lui come la gallina il falco” (p. 41), sia in rapporto di opposizione con l’atterraggio di Fachinelli “sulla spiaggia”, credo che sia come uno scienziato aristotelico-tolemaico che viva dopo Copernico e dopo Galilei come dopo Newton, Kant e Einstein, e continui a misurare sul suo “letto di Procuste” le acquisizioni del lavoro di ricerca sia di Freud sia di Fachinelli! Non ha ancora e alcuna consapevolezza, per dirlo con le stesse parole di Fachinelli (1986), del fatto che “ciò che è radicalmente nuovo e diverso nell’esperienza analitica - e che per certi versi è anche arcaico -” è “un modo di conversazione conoscitiva che è probabilmente la più significativa innovazione introdotta nel discorso occidentale dopo la ‘nobile sofistica’ di Protagora e Socrate”(E. Fachinelli, Su Freud, cit., pp. 80-81).

FREUD E “LA MENTE ESTATICA”.

Nel testo del 1966, semplicemente, Fachinelli ha già conquistato ed evidenzia decisiva consapevolezza e chiarezza critica sull’epocale novità e inaudita portata della “situazione sperimentale escogitata da Freud per la cura dei nevrotici” (p. 43). Quella di Freud non è (come potrebbe apparire a uno sguardo superficiale) solo una geniale “innovazione tecnica” dell’intelligenza astuta della ragione tradizionale. C’è anche questo, “ma più profondamente” - a ben guardare - c’è ben altro: “se ripercorriamo - scrive Fachinelli - il lento cammino che va dalla suggestione ipnotica alla soggezione vigile, alla concentrazione attiva, vediamo emergere l’oggetto della cura, la nevrosi del catalogo naturalistico, come soggetto uomo, che ha in sé il suo significato e parallelamente, Freud rinuncia a ogni strumento di intervento diretto, apparentemente risolutore, si fa quasi passivo e distante, ascoltatore paziente” (pp. 41-42). E, ancor di più e meglio precisando, nota e commenta Fachinelli: “La ricerca freudiana è immediatamente antiaristocratica, spoglia di ogni privilegio o superiorità d’orgoglio. Egli tenta di farsi semplice ascoltatore di se stesso, lasciando riaffiorare, come nei suoi nevrotici, la parte calpestata, rifiutata”.

E’ la svolta decisiva: “Letteralmente, Freud - scrive Fachinelli - diventa il paziente di se stesso, con una lucidità che apparirà più tardi, e non senza ragione, persino disumana (“ Il malato che oggi più mi preoccupa sono io steso”). In questo modo si stabilisce uno scambio continuo tra ciò che impara dai suoi malati e ciò che ricava da se stesso”(p.46). L’Interpretazione dei sogni, che esce alla fine del ’99, è il testo fondamentale - prosegue Fachinelli, poco oltre (e si tenga presente che si è nel 1966) - della nuova scienza psicologica e, osiamo dire, della nuova ragione“.

Per Freud, "è finita una sorta di prolungata infanzia, l’indugio di fronte a se stesso” (p.54). Egli ha trovato la sua strada: messosi in gioco, coraggiosamente, e dato il via alla difficile e interminabile trasformazione di sé, si incammina fuori dell’orizzonte teorico del suo tempo: egli non tornerà mai più indietro. Troverà infiniti ostacoli esterni e interni, ma porterà avanti il suo lavoro fino alla fine.

Il viaggio appare interminabile, ma anch’egli - se pure tra e con grandi difficoltà - atterrerà “sulla spiaggia”, a Londra, a Maresfield Gardens. Non proprio come sogna sbarcando, come “un conquistador”, ma sicuramente come un uomo coraggioso, come un ebreo salvato dalle armate del Faraone del XX da quel Mosè che lo ha accompagnato per tutta la vita e che ora egli ha portato con sè anche in Inghilterra, non solo come materia per un libro (da finire - L’uomo Mosè e la religione monoteistica, 1934-1938) nelle casse dei suoi bagagli.

IL VOLO "A GRANDE ALTEZZA" DI FACHINELLI (1984-1988)

In “Psicoanalisi”, testo inedito del 1984 (cfr.: Su Freud, cit.), forte anche delle esperienze fatte all’interno della pratica terapeutica, Fachinelli riprende con chiarezza e determinazione il discorso già fatto nel 1966, e riafferma tutto il valore del metodo di lavoro e di ricerca di Freud: “Promozione piena degli Enfalle, ovvero “metodo delle libere associazioni”; rivelazione attraverso di esso dell’inconscio e dell’infantile; elaborazione della relazione analista-analizzato come rapporto che oltrepassa decisamente quello classico di osservatore-osservato: sono questi alcuni elementi fondamentali di un’esperienza ben distinta, nella quale compaiano e si sviluppano, tra il passato spesso dimenticato o distorto e il presente, concordanze, repliche, riprese".

E’ ciò che potremmo chiamare - precisa Fachinelli - "il nucleo solido o pesante della psicoanalisi, ciò che ha consentito all’esperienza freudiana di essere ripetuta, confermata e contraddetta alÌ’interno di uno specifico dispositivo o setting analitico che, pur nelle variazioni intervenute successivamente, manifesta la costanza e l’uniformità di uno specifico laboratorio scientifico”.

E, chiarito questo punto incontrovertibile, sollecita a prendere atto che “è dentro questo laboratorio che sono intervenuti i progressi più significativi della psicoanalisi”, a uscire dal dogmatismo e dalla minorità, a prendere le distanze da quel “luogo comune piuttosto diffuso, secondo il quale la psicoanalisi comincerebbe e finirebbe con Freud”(p.66). e a fare uso della propria intelligenza e della propria facoltà di giudizio, E invita anche a ben comprendere la natura della diffusione della psicoanalisi nel mondo: quanto è avvenuto dopo Freud “è un tipo di diffusione che ricorda l’espansione di un movimento ideologico, o anche di una religione in senso tradizionale”, non “la diffusione - eventualmente ritardata, ma poi rapida e universale - di una scoperta scientifica in senso stretto” (p. 64).

Per Fachinelli, questa è solo una premessa , ma è la premessa fondamentale: “Vi è dunque uno specifico psicoanalitico strettamente collegato all’instaurarsi di un quadro “sperimentale” determinato. Su questo non sembra esservi disaccordo”. La questione decisiva, a cui sollecita a pensare e che pone all’ordine del giorno, è quella di affrontare “il disaccordo” che esiste e sorge “non appena da questo piano di esperienza ripetibile, individuale-tipica, si passa a un tentativo di comprensione o spiegazione generale dell’esperienza stessa, dei suoi presupposti e delle sue implicazioni. Quando cioè ci si pone il problema del modello o dei modelli che organizzano l’esperienza stessa”(pp.67-68).

Detto diversamente e velocemente: per non diventare del tutto ciechi e zoppi all’interno del laboratorio psicoanalitico, è più che urgente andare avanti, oltre Freud, oltre l’orizzonte scientifico del suo tempo e anche della sua grande capacità di far leva su” modelli diversi (energetico, dinamico-conflittuale, topico), alquanto eterogenei tra loro”, per dare conto “dell’insieme complesso dell’esperienza analitica, evitando di scartarne sezioni importanti e irriducibili all’uno o all’altro di essi” (p.68).

In questa direzione e con questa consapevolezza Fachinelli muove e sollecita a muoversi, non altra: il suo desiderio non viene dalle stelle, ma nasce ed è nato all’interno stesso del laboratorio e, per certi aspetti, è la ripresa della stessa lotta di Freud con se stesso, per salvare la sua “creatura”, la stessa psicoanalisi, (dal quadro teorico e) dall’inesorabile avanzata della pulsione di morte.

Di fronte a “casi clinici” come quello dell’“uomo col magnetofono, dramma in un atto con grida d’aiuto di uno psicoanalista” (J.J. Abrahams, edizioni L’erba voglio, 1977), o quello presentato in “La freccia ferma. Tre tentativi di annullare il tempo” (E. Fachinelli, edizioni L’erba voglio, 1979), o quello presentato in “Claustrofilia. Saggio sull’orologia telepatico in psicoanalisi” (E. Fachinelli, Adelphi , Milano 1983), non si può né chiudere un occhiochiudere gli occhi; Fachinelli rompe gli indugi e decide di muoversi. Egli sa già dove andare, e già anticipa il suo tema.

Sempre nello stesso testo, “Psicoanalisi” del 1984, così scrive: “Dopo Freud, nell’esito trionfale della psicoanalisi, si è andato via via perdendo il senso di situazioni bloccate, impoverite, su cui Freud e gli psicoanalisti intervengono” e di pari passo è si andato riaffermando - egli ipotizza - il potere di quella cultura in cui “funga o fungesse ciò che è caratteristico di Freud, vale a dire la concezione di una continuità di fondo dello psichico, che ignora il discontinuo e il radicalmente diverso, ignora differenze di livello e il salto o la rottura che esse implicano come è evidente “nell’approccio difficoltoso e appunto nostalgico alle figure piene, mitizzate, del Rinascimento” da parte dello stesso Freud (pp.72-73). In questo senso, nelle sue esitazioni, “Freud precorre un’epoca in cui l’esperienza estetica svanisce come esperienza distinta, compatta, e soltanto affiora o balena qua e là, in contesti diversi. E ciò che vale per l’esperienza estetica si potrebbe ripetere per altri livelli dell’umano, in primo luogo per un livello immediatamente contiguo a quello estetico, quello che potremmo chiamare livello estatico. Il quale è certamente, nella nostra cultura, ai limiti del tabù e dell’impronunciabile”.

E proseguendo, ben consapevole del suo programma di ricerca, così conclude: “Proprio in queste direzioni si avvertono forse oggi segni di mutamento: ciò che non si poteva toccare o dire comincia forse a farsi via praticata o praticabile. Ed è a questo punto, crediamo, che si fa sempre più chiaro il limite antropologico e storico della psicoanalisi freudiana” (pp.73-74).

“Sulla spiaggia” è il testo del 1985 (“Lettera Internazionale”, n. 6, autunno 1985) con cui Fachinelli ‘ricorda’ a Freud (e a se stesso) i temi della lunga “conversazione conoscitiva” e spicca il suo “volo a grande altezza”. Negli anni successivi continua a lavorare sul tema: nel febbraio del 1989 è stampata e resa pubblica “La mente estatica” (Adelphi, Milano 1989). Un nuovo orizzonte si spalanca, ma le reazioni di psicoanalisti e filosofi sono timidissime e fredde.

Come sapeva e aveva già scritto nel 1984, l’estatico è, nella nostra cultura, ai limiti del tabù e dell’impronunciabile. Gli intellettuali istituzionalizzati (freudiani e non), alla fine prendono le distanze e tacciono. A vent’anni e più dalla sua morte stentano ancora a capire il senso del suo lavoro. Ma il fatto è un fatto e resta (ancora da pensare): il coraggio di servirsi della sua propria intelligenza e il frutto del lavoro di tutta la sua vita è di grande rilevanza teorica e culturale, in generale.

Contrariamente a quanto sì è ritenuto e detto, Fachinelli non ha mai abbandonato il programma di Freud: pensare non solo se stesso (il medico) come paziente, ma anche l’altro ( il paziente) come medico. Più di tutti, egli ha ben capito la portata radicale del pensare l’altro (anche se stesso!) come soggetto e l’ha fatto proprio da uomo, da psicoanalista, e da pensatore, fin dall’inizio.

Egli non si è mai sganciato dalla pratica clinica e dalla referenza teorica freudiana: anzi, più di tutti, ha difeso e lavorato a illuminare criticamente il “concreto della situazione a due”, per liberarla dalle esitazioni e cecità ereditate dallo stesso Freud, sia dal lato del soggetto-analista sia dal lato soggetto-paziente, non per mandarla in soffitta e andarsene a esplorare i territori dell’immaginario e le potenzialità della suggestione! Nell’aut-aut “Freud o Iung”, egli non ha mai creduto (o ceduto): già nel 1967, nella prefazione al lavoro di E. Glover con l’omonimo titolo, aveva chiarito la sua posizione e non ha mai sognato di proporsi (alla Jung) come “pastore di anime”!

Provare per credere! In “Su Freud”, sono ripresi due testi importanti e fondamentali, scritti dopo la pubblicazione di “La mente estatica”. Un consiglio: per non equivocare (o parlare a ruota libera) sul suo lavoro e sul suo orizzonte teorico ( il primo è del gennaio 1989 ed è intitolato “Freud, Rilke e la caducità”, il secondo è dell’inizio di aprile 1989 ed è intitolato “Il dono dell’imperatore”), vale la pena leggerli e rileggerli con attenzione. Sono stati scritti con i suoi “consiglieri segreti” di sempre: Walter Benjamin (“Angelus Novus”: “Tesi di filosofia della storia”) e Theodor W. Adorno (“Minima moralia”).

Nell’uno la riflessione è ancora e di nuovo sulla pulsione di morte e nell’altro si affronta il tema del potere sulla vita e sulla morte ("questa inquietante istanza centrale di autorità") e dell’analisi dei poveri, in connessione col tema del dono e della gratitudine in Freud, con tutte le sue implicazioni (rispetto al passato e rispetto al futuro non solo della psicoanalisi)!

Imprevisto e sorpresa in analisi”: alla fine del loro percorso, al di là della morte (l’uno sfuggito alla polizia del “Faraone”, l’altro vittorioso su Oloferne), Fachinelli ritrova Freud e Freud ritrova Fachinelli e , insieme, riprendono la “conversazione conoscitiva” nel loro laboratorio, e la navigazione nel "gran navilio” di Galilei. (Federico La Sala, 04.10.2012)

                      PER APPROFONDIMENTI, CFR.:

-  A FREUD (Freiberg, 6 maggio 1856 - Londra, 23 settembre 1939), GLORIA ETERNA!!! IN DIFESA DELLA PSICOANALISI.

-  Sulla spiaggia. Di fronte al mare...
-  CON KANT E FREUD, OLTRE. Un nuovo paradigma antropologico: la decisiva indicazione di ELVIO FACHINELLI

-  PSICOANALISI: LACAN INTERPRETA "KANT CON SADE" E SI AUTO-INTERPRETA CON "L’ORIGINE DEL MONDO" DI COURBET.

-  PERVERSIONI di Sergio Benvenuto. UN CORAGGIOSO PASSO AL DI LA’ DELL’EDIPO

-  VITA E FILOSOFIA. Per il ventennale della morte di Elvio Fachinelli ((1928-1989).
-  METTERSI IN GIOCO, CORAGGIOSAMENTE. PIER ALDO ROVATTI INCONTRA ELVIO FACHINELLI.

-   FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA.

Federico La Sala



Giovedì 04 Ottobre,2012 Ore: 09:57
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/10/2012 09.54
Titolo:NELLA "NAVE", ODIFREDDI STENTA ANCORA A VEDERE L'ALTRO ...
- Galileo, il più grande scrittore italiano
- La sua lezione: Poesia e conoscenza non si escludono a vicenda

- di Piergiorgio Odifreddi (il Fatto, 03.10.2012)

Anticipiamo parte della lectio magistralis con cui il matematico Piergiorgio Odifreddi inaugurerà domani l’Internet Festival di Pisa

Galileo è il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo. Affermazione perentoria, questa, che certamente farà sorridere di sufficienza il lettore umanista, pronto a consigliare al matematico di preoccuparsi degli argomenti di sua competenza. Peccato però che l’affermazione sia di uno dei nostri maggiori letterati: la fece infatti Italo Calvino sul Corriere della Sera il 24 dicembre 1967, non mancando di suscitare reazioni e proteste.

Carlo Cassola, ad esempio, saltò su a dire: “Ma come, credevo che fosse Dante! E poi, Galileo era scienziato e non scrittore”. Senza desistere, Calvino rispose precisando il suo pensiero su due piani. Il primo, interno, rilevava che “Galileo usa il linguaggio non come uno strumento neutro, ma con una coscienza letteraria, con una continua partecipazione espressiva, immaginativa, addirittura lirica”. Il secondo, esterno, notava che “Galileo ammirò e postillò quel poeta cosmico e lunare che fu Ariosto”, e che “Leopardi nello Zibaldone ammira la prosa di Galileo per la precisione e l’eleganza congiunte”.

In altre parole, Galileo sarebbe il medio proporzionale fra l’Ariosto e il Leopardi, e i tre identificherebbero un’ideale linea di forza della nostra letteratura. Inutile dire che Calvino stesso si considerava un punto di questa linea, caratterizzata da una concezione della letteratura come mappa del mondo e dello scibile, e da uno stile intermedio fra il fiabesco realista e il realismo fiabesco. E niente forse esibisce questa comunanza di stili, più delle parallele e quasi identiche metafore che Galileo e Calvino fanno della scrittura stessa, come di un’interminabile e ininterrotta linea creata dal movimento della penna. Leggiamo, infatti, nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo : “quei tratti tirati per tanti versi, di qua, di là, in su, in giù, innanzi, indietro, e intrecciati con centomila ritortole, non sono, in essenza e realissimamente, altro che pezzuoli di una linea sola tirata tutta per un verso medesimo’”.

La “scrittura rampante” del Dialogo sui massimi sistemi

Nelle ultime righe del Barone rampante si legge “Questo filo d’inchiostro, come l’ho lasciato correre per pagine e pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di macchie, di lacune, che a momenti si sgrana in grossi acini chiari, a momenti si infittisce in segni minuscoli come semi puntiformi, ora si ritorce su se stesso, ora si biforca, ora collega grumi di frasi con contorni di foglie o di nuvole, e poi s’intoppa, e poi ripiglia a attorcigliarsi, e corre e corre e si sdipana e avvolge un ultimo grappolo insensato di parole idee sogni ed è finito”.

E allora, perché avviciniamo Calvino e gli scrittori per il puro piacere di leggere, e Galileo e gli scienziati soltanto per il dovere di conoscere? Non avrebbe senso portare le pagine del Dialogo sulle pubbliche piazze, allo stesso modo in cui Benigni declama i versi della Commedia? Col vantaggio, fra l’altro, di non essere costretti a sorbirci gli anacronismi del povero padre Dante, che con i suoi angeli e demoni oggi ci appare più un precursore dei fumettoni alla Dan Brown, che il cantore di una moderna visione del mondo? In fondo, “a voler dir lo vero”, sono proprio le bassezze cosmologiche, teologiche, filosofiche e politiche della Commedia a renderla così adatta agli altissimi spettacoli del nostro maggior comico.

Ma non sempre e non tutti abbiamo voglia di ridere, e a volte qualcuno potrebbe desiderare la seria lettura di pagine che fossero nobili e alte anche per il pieno contenuto, e non soltanto per la vuota forma. E che quelle di Galileo lo siano.

La nave su cui Galileo naviga letterariamente costituisce uno dei laboratori in cui si eseguono gli ideali esperimenti scientifici del Dialogo, e il fatto che su di essa la vita si svolga nella stessa identica maniera che sulla Terra, ad esempio per quanto riguarda la caduta di una palla di piombo o il volo di un insetto, dimostra la relatività galileiana: il fatto, cioè, che le leggi della meccanica sono invarianti rispetto a sistemi in moto uniforme, che risultano dunque indistinguibili fra loro da questo punto di vista.

Sulla Luna prima di Leopardi. E sulle leggi dell’universo prima di Einstein

Tre secoli dopo Albert Einstein userà analogamente treni e ascensori per argomentare a favore, rispettivamente, delle relatività speciale e generale: il fatto, cioè, che anche le leggi dell’elettromagnetismo sono invarianti rispetto a sistemi in moto uniforme, e che gravitazione e accelerazione producono effetti indistinguibili fra loro. Ma niente dimostra meglio la differenza tra le metafore fini a se stesse della letteratura d’evasione, e quelle mirate a uno scopo della letteratura di divulgazione, dell’uso che Galileo fa della Luna. Prima di lui, e fino all’Ariosto, il viaggio sul nostro satellite e la sua geografia appartenevano infatti al genere fantasy, e i viaggi spaziali erano sorretti da inverosimili propulsioni: dalle trombe d’acqua della Storia vera di Luciano di Samosata all’ippogrifo dell’Orlando Furioso.

Portiamo pure a teatro Dante. Ma insieme a Newton e Galileo

Con la prima giornata del Dialogo la Luna invece cambia faccia. O meglio, mostra per la prima volta il suo vero volto, con i monti e le valli che il cannocchiale ha permesso di scoprire, e appare come la conosciamo oggi grazie alle foto dei telescopi, dei satelliti e degli astronauti. E anche meglio, perché né Galileo, né Keplero hanno avuto bisogno di andarci di persona per capire come si sarebbe vista la Terra dalla Luna, con variopinti risultati che superano ogni sbiadita invenzione poetica. I poeti dell’inconscio, invece, della Luna sanno soltanto una cosa: che c’`e. Ma anche quelli dilettanti di astronomia non sanno molto di più, visto che persino il Leopardi amante di Galileo continuava a scrivere nel 1819 che la Luna “da nessuno cader fu vista mai se non in sogno”, benché fin dal 1687 Isaac Newton avesse non solo composto il verso che “la Luna cade continuamente verso la Terra”, ma aveva anche calcolato esattamente di quando essa cade.

Che si leggano pure nelle aule e nelle piazze i versi di Dante e Leopardi. Ma che si aggiungano ai programmi di scuola e di teatro anche e soprattutto le prose di Galileo e di Newton, per far gioire la mente con quella che già Pitagora chiamava la Poesia dell’Universo: una poesia che “intender non la puo’ chi non la prova”, e che “non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritta”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/10/2012 17.16
Titolo:SULLA SPIAGGIA (1985). Il testo di Fachinelli ....
SULLA SPIAGGIA

di Elvio Fachinelli

- Lettera Internazionale, 2, n. 6, autunno 1985;
- E. Fachinelli, La mente estatica, Milano: Adelphi 1989, pp. 13-25.


San Lorenzo al mare. Pomeriggio ventoso di settembre, nuvole rapide sfilacciate. Dal limite della spiaggia dove mi trovo, con le spalle verso il paese, il mare è un nastro viola che si arrotola e si srotola senza fine. Sono fermo da più di un\'ora, forse. Nel punto in cui ho messo la sdraio, al riparo, non c\'è vento, soltanto una folata ogni tanto. Sono scivolato in uno stato di torpore. Invece vorrei essere lucido, attivo, produttivo... Riprendere le idee di questi mesi. Scavare gli appunti, i libri. Scavare l\'insoddisfazione. Mi ci vorrebbe qualcosa che vincesse questo stato d\'inerzia, qualcosa che facilitasse l\'attività intellettuale... Continuo a guardare affascinato il nastro del mare.

Dal fondo del torpore, quasi dal sonno, un pensiero solitario. Dopo lo squarcio iniziale, la psicanalisi ha finito per basarsi sul presupposto di una necessità: quella di difendersi, controllare, stare attenti, allontanare... Ma certo, questo è il suo limite: l\'idea di un uomo che sempre deve difendersi, sin dalla nascita, e forse anche prima, da un pericolo interno. Bardato, corazzato. E l\'essenziale, ovviamente, è che le armi siano ben fatte, adeguate. Se non sono tali in partenza, bisogna renderle adeguate: con la psicanalisi, appunto. Altrimenti disarcionamento, se non disastro.

Ma se questo è vero bisogna rovesciare la prospettiva, mettersi dall\'altro lato (della barricata, mi vien da scrivere: ma usando questa parola, resto nell\'àmbito dell\'arte militare). Non inibizione, rimozione, negazione, eccetera: i diversi stratagemmi, le difese parziali di un\'impostazione difensiva generale. Dalla foresta appuntita delle difese non si esce. Ma invece accoglimento, accettazione, fiducia intrepida verso ciò che si profila all\'orizzonte.

Nausicaa, Ulisse. Le regge di Creta aperte verso il mare, senza difese.

Quest\'idea del rovesciamento di prospettiva, necessario, di colpo mi ha svegliato. Sono lucido, ora, attento, pronto. Ma nello stesso tempo quella comunicazione del semisonno, quasi esterna, mi sembra esaurita. La ricerco volontariamente, invano.

Una ragazza ha sognato schifosi scarafaggi che si accoppiano, le salgono sui piedi. Di giorno, è ossessionata dai possibili \"nidi\" di scarafaggi in casa sua, disinfetta a tutto spiano. \"Che ci sia in me una forza sessuale come nelle bestie?\". Insomma, una strenua difesa, un lungo battagliare contro qualcosa che non riesce ad accogliere. Alla fine, i suoi impulsi sono stati trasformati in scarafaggi.

Qui, sulla spiaggia, mi succede qualcosa di insolito. Improvvisamente, vedo l\'affinità tra ciò che mi è affiorato in un lampo, semplice trovata, pensiero sintetico venuto da un\'altra parte, e il processo dell\'invenzione - scientifica o non scientifica. Perlomeno in alcuni casi.

È l\'improvvisa comparsa di un materiale organizzato, coerente, a partire da frammenti; a partire, spesso, dalla disperazione di riuscire in un compito consapevole.

Dunque non importa l\'àmbito della scoperta - scientifica, artistica, d\'altro tipo; né la sua ampiezza. Importa quel movimento chiaro, netto - sempre lo stesso? -, che mette a posto, ordina, dà forma, e insieme inonda di gioia e certezza.

Anche per la scoperta freudiana fu così? Un\'accettazione di qualcosa che veniva, in certo senso, dall\'esterno, dopo un estenuante brancolare? Bisognerebbe rileggere le origini della psicanalisi da questo punto e non soltanto dal rapporto con Fliess, che di sicuro viene dopo.

Poi, in Freud e soprattutto nei seguaci, slittamento verso una rinnovata apologia della difesa, tendenziale riduzione del cosiddetto inconscio - di ciò che voleva essere accettato - alle dimensioni delle barriere costruite contro di esso. Con l\'esclusione forse di Ferenczi.

Quest\'idea dell\'accettare e della sua importanza mi è venuta, in forma pura, astratta, nel momento in cui, assonnato, ho accettato e direi quasi ascoltato ciò che mi veniva da non so dove. Se l\'avessi cercata, inseguita consapevolmente, l\'avrei trovata? Forse. Anche se ne dubito. Ma in ogni caso non ci sarebbe stata questa gioia di risveglio che mi ha preso.

La coscienza come area ristretta, perimetro definito che tende a imporsi come misura di tutto lo psichico, anche in coloro che l\'hanno misurato e che ogni giorno sono costretti a osservarne i limiti, le coartazioni. O proprio per questo.

Come scrivere tutto questo? Vento sulla fronte, rombo del mare, luce, torpore, pensiero dell\'accettazione, gioia, gioia con senso di gratitudine, verso chi?

L\'immagine di un lungo prato di montagna, visto al tramonto dal limitare di un boschetto. Lo riconosco, è della mia infanzia. E mi è stato evocato per la prima volta, giorni fa, ascoltando la «canzone di ringraziamento» di un quartetto di Beethoven.

Necessario silenzio assoluto, solitudine. Come in una camera anecoica, dove si avverte solo il proprio respirare, pulsare.

Le persone che passano sulla spiaggia, vicine o lontane, m\'infastidiscono. Anche se gradevoli, interessanti. Introducono immediatamente un\'altra logica, la logica del desiderio, del contatto. Limito lo sguardo, allontano i viventi. Nello stesso tempo, mi sento più vivo.

Ora il mare è alternanza di lame di luce. Verità del detto di Ferenczi: non il mare è simbolo della madre, ma la madre del mare.

Non meditazione né raccoglimento. Accoglimento.

A occhi socchiusi, il mare è sottili lamine d\'argento che vibrano obliquamente. Righe di diverso splendore.

Si può variare questo sguardo, che oltrepassa la visione distinta. Prima mare, strisce viola; poi lame, poi righe di luce. A occhi chiusi, fuochi fatui. Riconoscere la necessità, non soltanto l\'esistenza, di queste diverse visioni.

Contemporaneamente, io come sguardo che impara non un paesaggio, o più paesaggi, ma se stesso paesaggio. Sguardo-mare.

Accettazione della posizione del corpo, del suo peso, di ogni singola giuntura. Avvengono aggiustamenti lievi, scricchiolii come nel legno di una barca.

Vivere a lungo in questi modi, mi sembra impossibile; probabilmente non auspicabile. Ma necessario imparare a disporne.

Ora desiderio di continuare questi appunti e insieme impazienza di smettere, andar via. Come se avessi già avuto abbastanza, come se mi allontanassi troppo dal resto. Tempo espanso. Non immobile ma come fluttuante in immobilità.

Riprendo. La difesa, spinta fino alla cancellazione vera e propria, è in rapporto con un certo stato di vigilanza, di senso del pericolo. È il privilegio dovuto o concesso alla vigilanza che conferisce un privilegio sovrano alla difesa. Problema dei limiti di tolleranza, oltre i quali la difesa scatta come una tagliola.

Una tagliola che taglia nel vivo. Uccelli, lepri catturate sull\'altopiano, quando bambino seguivo i miei parenti cacciatori. Altre immagini di taglio, recisione, strappo.
Diminuzione della vigilanza, allentamento della difesa. Allentamento nel sogno, nel fantasticare, nell\'inventare, nell\'usare droghe - insomma in quella phantastica umana dove, a tratti, passa un messaggio inatteso.

Il sogno osa generalmente più di quanto si permetta il sognatore da sveglio. Di qui, l\'idea di Freud di trasferire questo oltrepassamento alla coscienza vigile, nella cura dei nevrotici. Il sogno testimonia ciò che vuoi essere - ciò che puoi essere, allora.

Ma l\'accoglimento non è simmetrico alla difesa. C\'è un funzionamento diverso, un\'altra logica. L\'afasia non procede negli stessi modi della parola intatta - e proprio Freud ne ha trattato. Se l\'afasico torna a parlare, la sua parola potrà risultare simile, quasi indistinguibile, rispetto alla parola intatta. Ma non sarà mai questa parola.

Quindi non esiste difesa \'normale\'? Esistono altri modi di esistere e creare, che soltanto superficialmente possono essere accostati alla difesa.

Un\'analisi basata sistematicamente sullo smantellamento delle difese incontra ad ogni passo quel pericolo che le ha fatte erigere. Da ciò un rinnovato impulso a difendersene. Come un demolire e ricostruire di nuovo, continuamente, dighe, barriere. L\'analisi assume allora il senso di una decondizionamento ad infinitum. Interminabilità, eccetera.

E neppure si tratta di saltare oltre le barriere, di sorpresa, o astutamente. In questo modo, ancora una volta, le barriere sono all\'orizzonte dell\'agire. Piuttosto lasciar affluire, lasciar defluire, immergersi, nuotare nella corrente. I paletti della difesa finiranno, forse, per scendere alla deriva.

Rendere conscio può significare allora soltanto delineare, prima e dopo, il posto occupato dal sistema vigilanza-difesa. Non pretendere di far passare attraverso di esso ciò che non gli appartiene. Progetto infantile: svuotare il mare con un secchiello. O setacciarne tutta la sabbia. Anche il progetto di Freud - prosciugare l\'inconscio, come la civiltà ha prosciugato lo Zuiderzee - è infantile.

L\'insistenza sulle difese è sempre, implicitamente, insistenza sull\'offesa, sulla capacità di offendere. Collegamento del sistema vigilanza-difesa con la più affermata impostazione virile. E allora accogliere: femminile?

Il femminile sarebbe allora nel cuore, il cuore, di molte e diverse esperienze. E anche di questa mia esperienza.

Al momento di diventare sciamani, si dice, gli uomini cambiano sesso. È così posta in rilievo la profondità del mutamento necessario. Il femminile come atteggiamento recettivo non abolisce però il maschile, gli propone un mutamento parallelo.

Il maschile si delinea allora come un paziente, faticoso, a volte quasi cieco operare che precede e segue l\'atto creativo. Scegliere, disporre materiali, ispezionare, scrutare, scavare. Seminare. E più tardi raccogliere, sviluppare, trasformare. Alternanza ritmica del maschile e del femminile.

In questa prospettiva, difesa e offesa come distorsione o perversione del maschile. A volte necessaria; sempre secondaria.

In alcuni casi, delirio di difesa. Contro la minaccia del pericolo interno, costruzione di barriere, controbarriere, altre barriere, secondo formule e numeri che finiscono per essere magici. Somma vigilanza, somma inibizione. Dentro il suo castello dalle sette mura, la principessa non riesce più a muoversi.

La coscienza stessa sembra allora far parte per intero del sistema di fortificazioni. Sembra essere uno dei suoi bastioni più forti.

Eppure, a volte, in questo bastione, mentre si stabilisce una zona del tutto opaca, insensibile, altre si fanno straordinariamente chiare e vibranti. Come nella vita di certe antiche dame di corte giapponesi, attente più alla brina della notte che alla vita stessa, come la si intende comunemente. Ma quell\'attenzione alla brina è vita, vita di intensità prodigiosa.

Animali che, a poco a poco, vivendo nel buio, diventano ciechi. Ma in quel buio sviluppano altri organi di senso.

Chi può stabilire che cos\'è essenziale e non essenziale, importante e non importante? Chi può giurare: questo è il centro, e quella è la periferia?

Il tempo, mi sembra, non passa. Dilatazione e febbre insieme. Un tempo senza centro, vibrante.

Accogliere chi? Un ospite - interno. Accoglierlo prima di esaminarlo ed eventualmente respingerlo. Intrepidezza, atteggiamento infinitamente più ricco e alla fine forse più efficace della prudenza di chi edifica muraglie.

Di nuovo: Cnosso, Festo, le potenze aperte sull\'orizzonte marino. E anche qui, importanza del femminile: la dea dei serpenti, a seno nudo; la dea delle colombe. Le danze estatiche di primavera, ritorno della giovane Kore, dea della vegetazione.

Com\'è angusta, soffocata, a questo punto, la metafora freudiana del «salotto» separato dall\'«anticamera». Triste come la sua casa in Bergasse, con la finestra dello studio rivolta a un muro di cemento. Eppure, anche lì, anche davanti a quel cortile senz\'alberi, Freud sapeva che c\'era il mare.

Il concetto di difesa definiva all\'inizio le difficoltà e le impasses di un comportamento alterato; rapidamente è diventato normativo, capace di stabilire leggi e criteri, anche per il comportamento non alterato. E questo perché si è presupposta implicitamente una continuità tra l\'uno e l\'altro. L\'anormale è diventato, con qualche differenza quantitativa, il normale.

Ecco allora l\'impaccio, mai eliminato, di fronte a ciò che si potrebbe chiamare l\'ipernormale, il comportamento infrequente, talvolta raro, talvolta persino eccezionale, che però riempie e feconda il comportamento medio, statistico.

Miseria incurabile della teoria della sublimazione, che tenta di spiegare ciò che, se è sublime, è sublime sin dal principio. La psicanalisi dichiara: ecco un letterato chiaramente nevrotico; un filosofo ossessivo; un matematico quasi psicotico, un musicista autistico... Ma la legna da ardere non spiega di per sé il divampare del fuoco.

E oltre, il territorio della mistica. Non la religione istituita. Ma la mistica come zona irriducibile, inassimilabile, refrattaria alla religione stessa. Apex mentis. Mistica che è nello stesso tempo rapporto percettivo, percezione possibile ad alcuni, se non comune a tutti. Molte mistiche? evitare i codici che, invariabilmente, da sempre rifiutano o sequestrano questi tipi di esperienze.

Le cose che vengono da un\'altra parte: come un accenno imprevisto che muta, che sposta l\'intera figura. Da questo punto di vista, limiti ben evidenti della psicanalisi. E limiti ben evidenti dell\'antropologia fondata su di essa.

Ora il rombo del mare è un respiro calmo, profondo. Chiudo gli occhi. Non c\'è bisogno di vigilare. I suoni, scollegati dal loro aggancio visivo, hanno più spazio: diventano voci singole, con timbro e grana diversa. Di fronte a ciascuna, non attesa né timore. Soltanto meraviglia.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/10/2012 19.21
Titolo:GEOGRAFIE DELLA PSICOANALISI.
Stesi sul lettino nei Paesi dell’Islam

di Silvia Vegetti Finzi (Corriere della Sera, o5.10.2012)

Lo scorso 26 settembre, di fronte al numeroso corpo consolare insediato a Milano, Ferruccio de Bortoli, direttore del «Corriere della Sera», sottolineava l’urgenza di «progredire nella pace e nel dialogo in una società multietnica». Per una coincidenza tanto casuale quanto indicativa dell’attualità di questi propositi, domani si terrà all’Università di Pavia, nella storica sede del Collegio Ghislieri, un seminario internazionale dal titolo «Geografie della psicoanalisi». La metafora rinvia al confronto e al dialogo tra le molte psicoanalisi operanti oggi nel mondo. Una prospettiva coraggiosa per un sapere nato all’inizio del Novecento, nell’ambito della minoranza ebraica viennese in cerca d’identità e integrazione.

Come spesso accade nella storia del pensiero scientifico, dallo scandaglio del particolare sono emersi paradigmi ritenuti universali. Il primato dell’Inconscio, il complesso di Edipo, il disagio della civiltà e la pulsione di morte, insieme alle regole per lo svolgimento della cura, hanno costituito, sotto la tutela dell’IPA, la Società internazionale di Psicoanalisi, un corpus teorico e clinico sostanzialmente stabile e omogeneo. Ma ora l’intensificarsi di relazioni multietniche induce a chiedersi: «Che cosa sopravvive della psicoanalisi, una volta messa a dimora in culture estranee e lontane?

Dalla rivista «Psiche», cui il seminario s’ispira, sono state anticipate alcune questioni. Ad esempio, si può trasferire la prassi del lettino in contesti, come quello islamico, caratterizzati dalla intransigente affermazione della superiorità maschile? Per lo psicoanalista Gehad Mazarweh dell’Università di Teheran, intervistato da Daniela Scotto di Fasano, la posizione frontale è preferibile soprattutto per la paziente donna, che ne trae una conferma della sua emancipazione. A una conclusione analoga giunge la psicoanalista Gohar Homayounpour osservando che, in Iran, un uomo non si sdraierebbe mai dinnanzi a un’analista donna.

Anche il fine della terapia è diverso: nel mondo occidentale si tratta di ricomporre un individuo frammentato rimettendolo in contatto con le parti rimosse della sua identità e con i rapporti sociali spezzati dall’affermazione narcisistica di sé. In società ad alto indice di collettività si chiede invece alla psicoanalisi di sostenere l’emancipazione dai condizionamenti familiari e ambientali, l’acquisizione di spazi di libertà personale.

Nei nuovi rapporti culturali e professionali Lorena Preta teme possano emergere atteggiamenti neocolonialisti, improntati a una presunta superiorità della cultura occidentale. Una tentazione evitabile privilegiando la psicoanalisi della domanda, cogliendo le provocazioni dell’alterità, sopportando l’ansia del dubbio e la fatica della ricerca, accettando la reciprocità e il cambiamento.

Non dimentichiamo che l’esilio impronta la storia e la teoria della psicoanalisi, fondata sul decentramento dell’Io e l’interpretazione dell’Inconscio. Il seminario si svolgerà attraverso colloqui tra psicoanalisti italiani e stranieri che studiano e lavorano in paesi islamici, mentre Livio Boni, dell’Università di Tolosa, affronterà il contatto con l’India, un subcontinente che suscita in noi contrastanti fantasie di «origine assoluta e irriducibile alterità».

Perché questa straordinaria avventura di traduzioni e ibridazioni reciproche s’inaugura a Pavia? Perché in quell’ateneo gli studi psicoanalitici sono sempre stati aperti alla storia e al confronto con le altre discipline, tra cui una intensa collaborazione con la psichiatria e l’antropologia.

In linea generale, dalla geografia della psicoanalisi ci si attende un contributo alla comprensione di chi, proveniente da paesi lontani, pur vivendo accanto a noi, ci rimane estraneo.

E, in modo specifico, una riflessione su tecniche e saperi minacciati, come sempre accade, dall’irrigidimento delle tradizioni e dal conservatorismo delle istituzioni.

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- Stefano Bolognini "Ecco perché la psicanalisi scopre l’Oriente"

- Il cinese sul lettino

- Stefano Bolognini ora presidente di tutti i freudiani del mondo. "La nostra disciplina si diffonde ovunque"
- "A Pechino non solo ci tollerano, ma contano su di noi per creare una società armoniosa"
- "Ormai sono molto frequenti i casi di Shuttle-analysis Le terapie si fanno on line, via Skype"

- di Luciana Sica (la Repubblica, 30.06.2011)

Se un cinese sogna di mangiare un chow chow, vorrà mordere il suo analista che è un cane o cibarsi di una vera prelibatezza? Non si sottrae allo humour, Stefano Bolognini: «Li amo talmente i cani, io, che un sogno del genere mi metterebbe davvero in difficoltà. Sarei comunque un pessimo analista di un paziente del genere, altro che neutralità!». Poi, più serio: «Non esistono interpretazioni oggettive, formule precostituite e valide per tutti. Èil singolo sognatore che conta: per il paziente cinese, potrà darsi il primo caso, il secondo, o anche - in modo condensato - tutti e due. Andrebbe analizzato senza preconcetti, direi anzi senza pre-concezioni troppo legate alla sua tradizione culturale».

Paziente orientale, analista occidentale. Tutt’altro che un’ipotesi astratta, visto che a sorpresa la Cina comunista risulta estremamente interessata alla psicoanalisi. E a occuparsene sarà proprio Bolognini, da un paio d’anni alla guida della Società psicoanalitica e ora - ed è la prima volta per un italiano - neopresidente dell’International Psychoanalytical Association: l’Ipa, che fu fondata da Freud nel 1910 e oggi conta dodicimila iscritti. «Un gran riconoscimento per la creatività della psicoanalisi italiana», per dirla con la punta di enfasi di Bolognini, che sarà proclamato President Elect al congresso mondiale di Città del Messico in programma dal 3 al 6 agosto. Altra notizia: alla vicepresidenza del tempio dei freudiani ci sarà la svedese Alexandra Billinghurst - mai prima d’ora una donna aveva conquistato i vertici dell’Associazione.

"Non sanno che portiamo la peste", è la celebre frase - del 21 agosto del 1909 - pronunciata da Freud, salpando con Jung (e Ferenczi) alla volta di New York. Dopo un secolo, dottor Bolognini, la psicoanalisi ha "appestato" il mondo?

«Non potrebbe essere diversamente, visto che è il più serio strumento di conoscenza e di cura del mondo interno degli esseri umani che mai sia stato messo a punto. Con una sottolineatura: la psicoanalisi ha una complessità concettuale e tecnica molto maggiore di quella di una volta».

Quali sono i Paesi "nuovi" in cui si sta diffondendo?

«Fino a pochi anni fa erano la Turchia, il Libano, tutto l’Est europeo, in Asia la Corea e in America Latina il Paraguay. Oggi, oltre alla Cina, ci sono il Mozambico che per ragioni linguistiche conta sugli analisti brasiliani, l’Iran dove le classi colte sono affamate di psicoanalisi (a Teheran lavorano otto analisi formati a Parigi e negli Stati Uniti), l’Egitto e il Marocco anche lì con analisi di derivazione francese, il Sudafrica in cui già operano quattro analisti iscritti all’Ipa e la stessa Cuba che ha preso i primi contatti con gli analisti latinoamericani sempre dell’Ipa».

La novità assoluta è la Cina. Nessun problema politico?

«Sono le attività esplicitamente antigovernative ad essere sotto controllo. La psicoanalisi non solo è tollerata ma addirittura inserita in un progetto politico volto a creare una "harmonious society"».

Una società armoniosa, grazie agli epigoni di Freud?

«È così che la pensa la nomenklatura cinese, e a Pechino - lo scorso ottobre - si è svolta la prima conferenza asiatica dell’Ipa, con oltre cinquecento partecipanti. Nella capitale ci sono nove candidati in analisi dalla moglie dell’ambasciatore tedesco e altrettanti a Shangai, sempre da un analista tedesco che si è trasferito lì. Inoltre èstato riconosciuto un "Allied Center" composto da psichiatri e psicologi per così dire tifosi della psicoanalisi, una sorta di "testa di ponte" culturale favorevole all’arrivo di analisti didatti o alla possibilità che terapeuti locali vadano a formarsi all’estero per poi rientrare. Università e ospedali sostengono il progetto formativo di nuovi analisti... E ormai sono molto frequenti i casi di Shuttle-analysis, di terapie on line, via Skype».

Ammetterà una certa alterazione del setting. Non saràun addio al divano?

«Assolutamente no. Intanto il primo anno di analisi è quello "tradizionale", poi la Rete consente almeno il vis-à-vis, ma solo quando c’è un problema di distanza».

I pazienti quanti sono, e soprattutto chi sono?

«Di questo sappiamo pochissimo, non esistono statistiche né censimenti. E al momento ci sono soprattutto analisi di formazione, visto che stanno iniziando. Ma in linea generale, in un paese come la Cina, dove la concezione collettivista ha depersonalizzato gli individui, credo che il recupero della soggettività sarà uno degli elementi decisivi nella richiesta di analisi».

La qualità non verrà decisamente annacquata in Oriente come in Africa?

«Gli inizi in aree lontane dai grandi centri psicoanalitici sono sempre difficili, e così è stato anche nei Paesi ora evoluti quando la psicoanalisi era agli albori - compresa l’Italia, negli anni pioneristici prima della Seconda guerra mondiale».

Mettiamo la celebre riscrittura del "romanzo familiare" dei pazienti. In realtà antropologiche così differenti dalle nostre, dove le famiglie possono essere comunità anche estese, come lavorerà un analista?

«I riferimenti teorici sono comunque quelli classici, validi in tutte le culture perché tengono conto delle invarianti di base della mente umana. Naturalmente le specificità locali vengono rispettate: del resto, già il contesto socioculturale della Sicilia varia molto rispetto a quello dell’Alto Adige. E gli analisti lo sanno».

Ma la psicoanalisi innestata in culture diversissime da quella occidentale, non produrrà nuovi ibridi?

«No, al massimo delle "nuances" differenti. Le pulsioni, il narcisismo, i conflitti di dipendenza sono universali. La sessualità, l’ambivalenza, l’aggressività, le difese contro il dolore riguardano la natura di base di tutto il genere umano».

La psicoanalisi sembra comunque prendersi una rivincita, dopo i requiem intonati negli scorsi anni. Anche grazie ad alcuni studiosi geniali come i Nobel Edelman e Kandel?

«Il riconoscimento della compatibilità con le neuroscienze è stato senz’altro importante, ma è solo una delle ragioni per cui la psicoanalisi non è destinata a morire».

Tutte le scienze evolvono: oggi lei si farebbe operare con una tecnica chirurgica di cent’anni fa o con strumenti di ultima generazione? Nel mondo, la psicoanalisi guarda a Freud come al fondatore o come a un referente teorico ancora attuale?

«La psicoanalisi rischia di diventare una religione se pone le teorie in una posizione "teologica", come fossero verità assolute rivelate. Ma questa non era la posizione mentale di Freud. Certi cultori integralisti ne assumono le teorizzazioni come elementi sacri e indiscutibili, se non come un feticcio. E invece la psicoanalisi va "vista" come un grande albero: se le radici e il tronco sono la base freudiana, tutti i rami successivi sono di una ricchezza irrinunciabile. Lo sviluppo c’è stato, e anche molto grande, ma comunque "sulle spalle di Freud"».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/11/2012 13.20
Titolo:PSICOANALISI E ANALISI DEI POVERI. OLTRE LA CRISI ...
Psicoanalisi anti crisi

A Milano un Centro Musatti offre assistenza gratuita

Il presidente Giuseppe Pellizzari «In questa epoca di incertezza e smarrimento vogliamo fare la nostra parte e ritrovare la vocazione sociale del nostro lavoro»

di Stefania Scateni (l’Unità, 13.11.2012)

LA PSICOANALISI SI FA CARICO DELLA CRISI E RIVENDICA IL SUO IMPEGNO E LA SUA VOCAZIONE SOCIALE. NON SOLO SUL PIANO CLINICO MA ANCHE SU QUELLO DELLA VITA QUOTIDIANA. Così il Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare Musatti (Cmp) ha deciso di offrire assistenza gratuita ad adolescenti, bambini e adulti in difficoltà economiche. Gruppi di psicoanalisti si sono già messi a disposizione per consulenze «free» o a prezzi sociali nella sede di via Corridoni 38.

Succede in tempi come questi, precari e oscuri per l’animo e la carne, epoca «delle crisi»: economica, politica, spirituale... D’altronde la crisi è «il mestiere» della psicoanalisi: strada maestra verso il cambiamento, la crepa è un momento di verità che porta alla trasformazione, passaggio, attraversamento verso qualcosa di ignoto, nuovo. Oggi l’angoscia che permea il vissuto soggettivo è impalpabile e incombente, difficilmente identificabile, subita e imprendibile come le ombre scure dei film dell’orrore. L’angoscia che accompagna le vicissitudini del nostro mondo è senza prospettiva, è angoscia allo scoperto. Uno stato dell’anima ancora tutto da esplorare e conoscere radicalmente diverso dai disturbi del passato anche recente.

In mancanza di chiarezza analitica, di questa congiuntura odierna si fa la conta in percentuali di disagio: in Grecia, dal 2008 al 2011, le persone tra i 25 e i 34 anni con problemi di ansia o di depressione sono passati dal 3,8% al 13,6%. La psicoanalisi stessa soffre della crisi e registra, negli ultimi tre anni, un crollo dei pazienti del 20%. Ma persino questo «disfacimento» può essere letto come un’indicazione al cambiamento.

«Oggi viviamo la scomparsa dei grandi contenitori ideologici e simbolici, sperimentiamo una grande sfiducia nelle istituzioni e nei partiti, ci sentiamo derubati del futuro ci dice il presidente del Cmp Giuseppe Pellizzari -. La crisi ha acuito questo senso di smarrimento e incertezza. La decisione di proporre il nostro servizio clinico nasce dall’esigenza di fare la nostra parte: per la psicoanalisi questo è un ritorno alle origini, quando nel 1919 nacque, in un momento di grave crisi post bellica, l’Istituto Psicoanalitico di Berlino, con chiari intenti sociali. Per un decennio funzionò benissimo e nell’istituto lavorarono i migliori analisti di quegli anni». Il loro intento sociale era ispirato a ciò che Freud disse durante il Congresso di Budapest del 1918: la gente ha diritto di essere curata non solo per la tubercolosi, ma anche per le malattie nervose, e lo Stato dovrebbe andare incontro a queste esigenze.

L’iniziativa milanese non è solamente e semplicemente un andare incontro ai cittadini. «Le difficoltà contemporanee non sono soltanto economiche spiega Pellizzari -, la crisi interessa anche i valori, i fondamenti simbolici della vita delle persone. E questo ci interessa, interessa la psicoanalisi. Non possiamo guardare questo fenomeno dall’esterno, perché anch’essa vive una crisi dei suoi fondamenti. Ed è un momento di grande fecondità. Il servizio che vogliamo offrire al territorio ha anche uno scopo formativo per chi ci lavora e uno scopo di ricerca per noi. I “nuovi” pazienti hanno caratteristiche nuove e poco conosciute e per questo possono rappresentare un’occasione importante per imparare cose nuove e sollecitare la psicoanalisi a funzionare in modo nuovo rispetto ai canoni classici».

Oggi le nevrosi classiche, le sindromi ossessive, le isterie e le perversioni, non sono le più diffuse come lo erano un tempo; ad esse si sostituiscono sindromi narcisistiche, disagio, insoddisfazione, vuoto, apatia diffusa, disturbi difficili da trattare perché quasi incosistenti, senza un sintomo predominante e urgente. Quelle più profondamente mutate nel più breve tempo sono le problematiche adolescenziali: non ci sono più i ragazzi ribelli che si scontrano con la cultura dei genitori e vogliono cambiare il mondo. Moltissimi adolescenti oggi non sanno cosa piace loro, non sanno cosa fare, non sanno chi sono, non studiano e non lavorano, non fanno niente.

E infine, la domanda dalle cento pistole: ci avete sempre detto che pagare il trattamento è essenziale e indispensabile per la pulizia e l’efficacia della terapia. Come la mettiamo con il vostro trattamento gratuito?

«Ci sono sempre stati analisti che hanno trattato gratuitamente qualche paziente, ma questo ha sempre posto dei problemi nella conduzione tecnica dell’analisi, cioè nell’ambito del transfert e controtransfert, perché il paziente potrebbe sentirsi diverso, speciale, oppure un povero oggetto di elemosina. Ci siamo resi conto che è molto importante il fatto che la nostra è un’iniziativa istituzionale, del Centro Milanese di Psicoanalisi, non del singolo analista che è tanto buono. La mediazione istituzionale consente una gestione più libera». Miracoli della crisi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/12/2012 23.23
Titolo:La terapia creativa di Elvio Facchinelli
- La terapia creativa di Elvio Facchinelli

- “Su Freud”, una raccolta di scritti dell’analista italiano

- di Massimo Recalcati

(la Repubblica, 20.12.2012)

“Su Freud” di Elvio Fachinelli Adelphi pagg. 115 euro 12

Elvio Fachinelli è stato probabilmente, insieme a Franco Fornari, ma diversissimo per stile e vocazione teorica, lo psicoanalista italiano più originale e creativo degli anni Settanta-Ottanta. La sua opera non ha mai assunto quello spirito di sistema che ha invece caratterizzato il pensiero di Fornari e anche per questo ne costituisce, seppure nel solco comune della tradizione freudiana, una alternativa radicale.

Se Fornari diede luogo alla psicoanalisi come macchina interpretativa (teoria coinemica), Fachinelli non ha mai smesso di ricordare la centralità dell’imprevisto e della sorpresa nell’esperienza singolare dell’analisi. Se il primo si muoveva attraverso l’uso programmatico di codici simbolici immutabili, il secondo sospingeva la teoria della psicoanalisi al limite dell’indicibile, al confine con l’esperienza estatica rivendicandone il carattere anarchico e avverso ad ogni sistematizzazione che pretendeva di proporsi come definitiva.

Se il primo insisteva sul carattere trasmissibile della psicoanalisi, sulla possibilità di farne una disciplina universitaria, il secondo metteva in guardia sulla dimensione didattica della psicoanalisi che ai suoi occhi appariva come una truffa, una mistificazione intellettuale dell’autentica esperienza dell’inconscio come incontro con il non ancora visto, né saputo. Se il primo è stato un produttore infaticabile di scritti teorici sulla psicoanalisi ordinati in un sistema concettuale rigoroso, il secondo ha sempre scritto nella forma del frammento, dell’intervento breve, privilegiando la parola orale a quella scritta a partire dalla convinzione che lo spirito della psicoanalisi abbia a che fare con il dialogo vivente più che con il carattere immobile della scrittura.

Per tutte queste ragione, e per altre ancora, Jacques Lacan lo considerava il suo allievo prediletto in Italia, sebbene Fachinelli avesse sempre declinato garbatamente l’investitura ufficiale decidendo di non lasciare mai la sua società di appartenenza (la Società psicoanalitica italiana).

Ho incontrato di persona Elvio Fachinelli una sola volta nella mia vita. L’occasione fu quella di un convegno di psicoanalisi svoltosi verso la fine di novembre del 1988 alla Casa della Cultura di Milano. Intervenne tra gli ultimi e mi colpì come la sua parola si differenziasse nettamente da quella pesantemente erudita e scolastica di altri relatori.

Ora questo breve intervento è disponibile in una piccola raccolta di suoi scritti rari proposta da Adelphi col titolo Su Freud.

La mole anoressica di questo libretto conferma il carattere nomadico e anti-sistematico dell’opera di Fachinelli. Il lettore troverà la tesi che ha ispirato tutto il suo lavoro di analista: non si dà esperienza dell’analisi se non attraverso un effetto imprevisto con qualcosa che scompagina l’ordine costituito dei nostri pensieri. Questo significa che un’analisi non è una semplice acquisizione di sapere già dato attraverso la sua accumulazione progressiva. Il sapere analitico si incontra e si produce solo a partire da una sorpresa, da una sospensione del sapere dell’Io, da un suo vacillamento.

E’ questo il contributo decisivo di Freud che in queste pagine Fachinelli ci ricorda puntualmente: la psicoanalisi come nuova pratica della cura non si applica ad un paziente passivo, ma esige un movimento attivo di ricerca da parte dei soggetti (l’analista e il paziente) che vi sono impegnati. Fu questo il contributo più profondo di Freud: porsi lui stesso, nella sua carne e nelle sue ossa, come malato di inconscio.

Egli, ci ricorda Fachinelli, diverrà, con una lucidità che potrà apparire persino “disumana”, “paziente di se stesso” (“Il malato che più mi preoccupa sono io stesso”). E’ su questa base freudiana che egli propone di differenziare una “psicoanalisi della risposta” (quale è, per esempio, quella della teoria coinemica di Franco Fornari) da una “psicoanalisi della domanda” che anziché applicare un codice interpretativo alle parole del paziente dovrebbe essere in grado di sapersi rinnovare ogni volta proprio grazie a quelle parole.

Questo è il grande contributo di Freud: il sapere della psicoanalisi non si trova nelle biblioteche, non è sapere scritto, catalogato, codificato, ma è sapere sempre in movimento, vivente nella dimensione orale della parola di cui si nutre la pratica della psicoanalisi. Per questa ragione, sempre secondo Fachinelli, l’autentico spirito freudiano non va rintracciato nei paradigmi positivistici che riducono la malattia mentale ad una malattia del cervello, ma nell’aver dato valore al potere trasformativo della parola, nell’aver dato forma ad una “conversazione conoscitiva” la cui tradizione si inaugura con la “nobile sofistica” di Protagora e Socrate.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/1/2013 13.18
Titolo:CON FREUD, OLTRE. Freud secondo Fachinelli
Freud secondo Elvio Fachinelli

di Raoul Bruni (Alfabeta2, n. 25, 06.12.2012)

Sono molte le ragioni per cui vale la pena (ri)scoprire oggi la straordinaria figura di Elvio Fachinelli. Attivo nel campo della pedagogia antiautoritaria, lo psicoanalista trentino fondò l’importante rivista (e casa editrice) “L’erba voglio” e si impegnò in prima persona nell’esperienza dell’asilo autogestito di Porta Ticinese a Milano; pubblicò pochi ma fondamentali volumi, oggi inseriti nel catalogo Adelphi, ai quali però vanno aggiunti molti sorprendenti scritti estravaganti, come quelli raccolti, per l’appunto, in questo libretto Su Freud. Fachinelli, che ne tradusse varie opere, a incominciare da L’interpretazione dei sogni, instaurò col padre della psicoanalisi un dialogo ininterrotto, tra fedeltà e slanci eterodossi, condotto in sostanziale sintonia con quel “ritorno a Freud” propugnato da Jacques Lacan. Ma a qual era il Freud a cui tornare, secondo Fachinelli?

Nel denso ritratto di Freud, risalente al 1966, che inaugura il volumetto, si punta l’accento, prima ancora che sullo scienziato, sull’uomo e sullo scrittore: «Il rapporto tra il creatore e la sua opera è in questo caso [nel caso di Freud] assai vicino al legame di figliolanza carnale, per così dire, che si stabilisce fra lo scrittore e il suo libro, fra il pittore e il suo quadro, che non al riferimento indiretto dello scienziato con la sua scoperta. C’è qualcosa di irripetibile, che conferisce per sempre alla costruzione freudiana un carattere di unicum culturale e che genera la sempre risorgente difficoltà di ‘collocarla’ positivamente tra le altre scienze».

Del Freud “scrittore” Fachinelli prospetta (in un articolo apparso sul “Corriere della Sera” nel 1986, incluso in questo libretto) anche un suo proprio canone, inidcandone persuasivamente il vertice nei casi clinici, definiti «dei quasi racconti, dei nuclei narrativi ora più ora meno elaborati» (intuizione che prefigura la recente e felice iniziativa, di Mario Lavagetto, di ripubblicarli, nella collana einaudiana dei “Millenni”, sotto il titolo di Racconti clinici). Sotto questo aspetto, verrebbe da dire, Fachinelli fu perfettamente fedele a Freud, dato che molti dei suoi stessi scritti sono caratterizzati da un evidente afflato narrativo.

Le distanze tra l’autore e il suo nume titolare vengono invece in luce in un articolo in margine al celebre saggio del 1915 in cui Freud, dialogando con un poeta identificabile con Rilke, fornisce una giustificazione filosofica del dramma della caducità. Freud collega la questione della caducità al disastro bellico che allora incombeva sull’Europa, sostenendo che, una volta trascorsa questa terribile crisi, l’uomo avrebbe ricostruito «ciò che la guerra ha distrutto, forse su un fondamento più solido e duraturo di prima».

A differenza di tutti i precedenti commentatori, Fachinelli non sottoscrive la conclusione freudiana, ma anzi osserva: «Il mondo solido e duraturo che Freud si augurava sorgesse dalla catastrofe non sorse affatto. Al contrario. In Europa sorsero nazismo e fascismo e con essi scoppiò una guerra ancor più spaventosa della prima». In questa cogente confutazione della tesi freudiana, si intravede la tipica inquietudine del pensiero psicoanalitico fachinelliano, intrinsecamente riluttante ad ogni soluzione consolatoria dell’enigma dell’esistenza. Fachinelli respinge infatti la tendenza all’«onniesplicabilità, rovinosamente attiva sia dentro l’analisi stessa, sia all’esterno, nel comune gergo psicoanalitico» e auspica invece un’idea quasi zen dell’analisi, basata sull’«elemento sorpresa»: «tutto può essere attivo e fecondo [...] se nasce come sorpresa inaspettata».

L’articolo da cui sto citando (che chiude il volumetto) risale al 1989, l’anno della morte di Fachinelli, e mostra come questi abbia saputo coraggiosamente spingersi ben oltre Freud; d’altronde, in quel periodo, egli stava concludendo La mente estatica, la sua opera testamentaria, incentrata su un’area tematica estranea non solo al freudismo, ma a tutta la tradizione razionalistica occidentale.

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