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www.ildialogo.org UNA CAPPELLA SISTINA, CON IL PRIMO E L’ULTIMO PROFETA E 12 SIBILLE A CONTURSI TERME (SA) NELLA CHIESA DI MARIA SS. DEL CARMINE L'ULTIMO MESSAGGIO RINASCIMENTALE.,di Federico La Sala

UNA CAPPELLA SISTINA, CON IL PRIMO E L’ULTIMO PROFETA E 12 SIBILLE A CONTURSI TERME (SA) NELLA CHIESA DI MARIA SS. DEL CARMINE L'ULTIMO MESSAGGIO RINASCIMENTALE.

L'amore č piů forte di morte: tracce per un nuovo ecumenismo*.


di Federico La Sala


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UNA CAPPELLA SISTINA, CON IL PRIMO E L’ULTIMO PROFETA E 12 SIBILLE A CONTURSI TERME (SA) NELLA CHIESA DI MARIA SS. DEL CARMINE L'ULTIMO MESSAGGIO RINASCIMENTALE.



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Sabato 21 Gennaio,2012 Ore: 15:02
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/3/2012 21.21
Titolo:RELIGIONI IN ANALISI. Le donne ancora streghe ...
Per un 8 marzo nella Chiesa

di Comité de la Jupe

in "www.comitedelajupe.fr" del 7 marzo 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Buona festa a voi, donne della Chiesa, in questo 8 marzo 2012, giornata internazionale delle donne! Attraverso una serie di contributi diversi, il Comité de la Jupe denuncia fermamente la dominazione maschile in una istituzione che costantemente umilia la metà dell'umanità. "Il Comité de la Jupe ha già ampiamente denunciato, da un lato la discriminazione fobica di cui sono vittime le ragazze e le donne nella liturgia - anche per la predicazione e per l'accesso al ministero ordinato - dall'altro il tentativo di dominio sul corpo delle donne che l'istituzione perpetua giudicando l'esercizio della sessualità e demonizzando la teoria del genere.

È urgente proseguire, denunciando, ad esempio:
un linguaggio che, in buona coscienza, impone il maschile come definizione di tutto l'umano;
l'uso ricorrente del singolare "la donna" come se esistesse un modello unico;
l'esaltazione di una figura mariana eterea, vergine e condiscendente a tutto ciò che viene dal modello paterno clericale;
il quasi generale dominio degli ordini religiosi monastici maschili sulle branche femminili.
Sì, la Chiesa non fa meglio degli altri: ha le sue proletarie, quelle "manine laboriose", quelle domestiche per tutti i servizi, quel corpo che non vuole vedere. Il suo corpo che offende ogni giorno.
Allora, donne e uomini, apriamo gli occhi, curiamo la nostra Chiesa denunciando quello che le fa male. La nostra parola - la sua - non le fa che bene." (Anne Soupa)

"Un giorno un vescovo mi confidava quanto le donne nella vita politica avessero difficoltà nel conquistarsi uno spazio. Lo deplorava sinceramente. Maliziosamente, gli ho fatto notare che, almeno, anche se è difficile, nella società civile le donne potevano essere ministri! La mia riflessione lo ha lasciato senza parole! La Chiesa cattolica romana si priva così di tesori di fede, di energia, di competenza, escludendo le donne dai ministeri ordinati. Essa giustifica così una visione del femminile che non può che essere in posizione di ricezione e non di iniziativa, una visione del femminile che non può rappresentare l'iniziativa di Dio. Così facendo, e benché il discorso ufficiale lo neghi, essa giustifica, nei fatti, un posto di second'ordine per le donne. Quando usciremo da questo immobilismo?" (Sr. Michèle Jeunet, rc)

"Padre Moingt, in un articolo su Etudes, esprimeva la preoccupazione per la disaffezione delle donne rispetto alla Chiesa, allontanate dagli altari e umiliate. È ancora peggio. Tristezza fondamentale nel constatare che il dominio maschile è onnipresente e che è peggiore nella religione, perché viene fondato su giustificazioni teologiche che fanno passare le discriminazioni per volontà divina. La tendenza recente di affidare ai soli uomini o ragazzi maschi le letture liturgiche mi sembra un provvedimento inverosimile: ingiustizia enorme nei confronti delle donne e cieca di fronte al modo di funzionare delle società moderne. Oggi, la pratica religiosa si accompagna troppo spesso per me ad un sentimento di alienazione. Esperienza quanto mai dolorosa!" (Sylvie)

"Trent'anni fa, infastidita dai singolari su "La" Donna e la sua vocazione, avevo scritto un articolo"Donne e Chiesa: un amore difficile!". A distanza di trent'anni, dopo che molte mie contemporanee hanno lasciato la Chiesa in punta di piedi, dovrei scrivere: "Donne e Chiesa: un disamore consumato." Emorragia annunciata, proposta fatta di istituzionalizzare i servizi delle donne nella Chiesa: donne cappellane, diaconesse, e perché no, preti. Un sistema obsoleto, unito ad un discorso unisex sulla sessualità, è tuttavia continuato. Delle teologhe come France Quéré hanno allora spalancato la porta di una parola sul ruolo decisivo delle donne bibliche nella Rivelazione, non guardiane di un Tempio intoccabile, ma vettori irrinunciabili della Speranza cristiana in un mondo in trasformazione. Al fiat di Maria "celestificata" ad vitam, successe la valorizzazione di Maria radicata, contestatrice dell'ordine stabilito maschile, che ha visto la miseria di un popolo maltrattato dai superbi. Le nuove tecnologie dell'informazione svolgeranno un ruolo per il riconoscimento della dignità delle donne nella Chiesa cattolica, importante quanto quello svolto nelle recenti primavere di popoli asserviti." (Blandine)

"Parlare dell'ordinazione delle donne resta un tabù nella Chiesa cattolica, e il prendere ufficialmente posizione a suo favore viene minacciato di scomunica. Per la Chiesa cattolica, il prete è un "altro Cristo". Riflettiamo un po' su questo...
Non siamo tutti chiamati ad essere "configurati a Cristo" secondo l'espressione di Paolo?
Noi confessiamo, seguendo gli apostoli, che Dio si è fatto "uomo". Ma la parola usata è "umano" e non "maschio"... Incarnandosi, Dio ha optato per il maschile, piegandosi alle convenienze del suo tempo per poter essere ascoltato.
Non è lo Spirito Santo che consacra il pane e il vino delle nostre tavole eucaristiche?
La donna resterà sempre quell'essere incompleto, inferiore, tentatore ed impuro?" (Claude)

"Nella mia vita professionale, familiare, cittadina, posso far sentire la mia voce e pesare sulle decisioni. Nella Chiesa, sono doppiamente muta ed impotente poiché laica e donna. Eppure si può essere cattolica e femminista. Ma perché restare in questa Chiesa il cui discorso ufficiale mi glorifica per meglio togliermi la parola?

Perché, come la Samaritana, voglio avvicinarmi il più possibile e bere alla sorgente che disseta per sempre. Perché essere vicini a Cristo è possibile, senza la mediazione delle pompe, dell'organo, dell'incenso e del latino, dei riti e dei divieti, ma attraverso la preghiera e l'incontro dei miei fratelli e delle mie sorelle nella Chiesa.
Ecco quello che fa paura al clero: perdere il potere che conferisce loro lo statuto che si sono concessi (malgrado l'insegnamento di Cristo) di mediatori, soli atti a veicolare il "sacro" nei due sensi...
L'intrusione delle donne - del femminile - nell'edificio lo farà andare in frantumi. Da Maria Maddalena a santa Teresa di Lisieux, in tutta la storia della Chiesa, delle donne - e degli uomini come san Francesco d'Assisi! - hanno fatto sentire la loro musica delicata: un incontro è possibile e questo incontro passa dal cuore." (Françoise)

"Il magistero cattolico maschile, quasi muto sugli uomini (maschi), affronta la "differenza dei sessi" solo attraverso le donne. Questo non è estraneo al fatto che sono degli uomini a definire la natura delle donne. Loro sono i soggetti della dottrina, e le donne gli oggetti. Della loro natura maschile non parlano. Senza dubbio la identificano alla natura umana. Gli uomini (vir) si identificano agli uomini (homo), all'universale, al neutro, al prototipo, mentre assegnano le donne alla particolarità, alla specificità, alla differenza.

Che cos'è il genere? I documenti romani lo manifestano: uomini investiti dell'autorità dicono alle donne chi esse sono e quali rapporti devono intrattenere con gli uomini. Il genere quindi è un rapporto di potere che si costruisce nello stesso tempo in cui costruisce i suoi due termini." (Gonzague JD)

"La frase infelice del cardinal Vingt-Trois che ha provocato la nascita del Comité de la Jupe non era un increscioso incidente. Era, nel senso psicanalitico del termine, una parola involontaria. Svela non la misoginia dell'uomo, ma quella di un'istituzione che è in una fase di ripiegamento. Nel fenomeno di "restaurazione" al quale assistiamo oggi nella Chiesa cattolica, le donne sono le prime vittime: le si rimette "al loro posto", quello "di ausiliaria di vita" della solo metà dell'umanità che conta, la metà maschile che si prende per il tutto.

In questo 8 marzo, noi donne cattoliche possiamo dare l'allarme. Quando delle società o delle istituzioni sono in crisi, le donne ci rimettono per prime. L'emancipazione delle donne nelle nostre società occidentali è un bene prezioso ma ancora fragile; il rischio di "restaurazione patriarcale" è reale per l'insieme della società. Queste circostanze invitano alla vigilanza e alla solidarietà di tutte le donne e anche degli uomini che considerano come un ottimo bene che le donne siano loro contemporanee sulla base di parità." (Christine Pedotti)

"Buona festa a voi, sì, a voi, donne della Chiesa. Quelle che hanno seguito gli stessi incontri di catechismo di tutti gli altri bambini. Quelle che hanno detto sì, a un uomo o a una vita consacrata a Dio. Quelle che hanno portato un figlio o una figlia al fonte battesimale, come madre o come madrina. Buona festa a voi che tornate ogni giorno, ogni settimana, ogni domenica, per accompagnare, studiare, condividere, organizzare, informare, pulire, benedire, ornare di fiori, insegnare, cantare, preparare, lodare, predicare, pregare, meditare, tenere per mano, sollevare la testa... Buona festa a voi tutte, che siete Chiesa, che fate la Chiesa..." (Estelle Roure)

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8 marzo 2012, ancora streghe

di Giancarla Codrignani (Adista - Segni Nuovi, - n. 10, 10 marzo 2012)

A Bologna, un islamico osservante ha sentito «impuro» il proprio rapporto con una donna cristianoortodossa e ha tentato di decapitarla «come Abramo fece con Isacco» (la donna, un'u-craina di 45 anni, se la scampa, rischia di ritrovarsi paraplegica). Non è solo un caso di fondamentalismo maniacale. In questi giorni, si apre a Palmi un processo di stupro che testimonia il persistere italico della maledizione di Eva: a San Martino di Taurianova una bambina di 12 anni (che oggi ne ha 24 e vive sotto protezione perché alcuni dei persecutori che ha denunciato erano mafiosi) per anni è stata considerata da tutto il paese la colpevole degli stupri di gruppo, delle violenze e dei ricatti subiti e anche il parroco a cui aveva tentato di confidarsi giudicava peccatrice una dodicenne violata che solo la penitenza poteva redimere.

Sembra incredibile, ma nella santità delle religioni albergano tabù ancestrali che gli studi antropologici e le secolarizzazioni non sono riusciti a eliminare. Sono i tabù peggiori perché responsabili dei pregiudizi sessuofobici e misogini che, sacralizzati, hanno prodotto, nel nome di dio, discriminazioni e violenze.

Nel terzo millennio le religioni dovrebbero andare in analisi e domandarsi quanto la sessuofobia e la misoginia insidino nel profondo la loro possibilità di futuro. Il concetto di "purezza" che ha represso, nell'ipocrisia mercantile e proprietaria dei valori familiari, milioni di ragazze non è nato certo dalla scelta delle donne. Alla Lucy delle origini, mestruata e responsabile della riproduzione, non sarebbe mai venuto in mente di sentirsi sporca o colpevole. Forse percepiva già come colpa, certo non sua, la violenza che connotava la bassa qualità di molte prestazioni maschili. Tanto meno, quando si fosse inventato il diritto, avrebbe distinto i "suoi" figli in legittimi o illegittimi.

Eppure si continua a credere che la mestruata faccia ingiallire le foglie e inacidire il latte; in Africa, in "quei giorni", è confinata in capanne speciali per non contaminare le case; a Roma Paolo la voleva velata e zittita, mentre i papi, forse senza sapere perché, le hanno vietato di consacrare. Siamo ancora qui, a fare conti sul puro e l'impuro e a ripetere il capro espiatorio nel corpo di qualche altro Isacco per volere di qualche Abramo che credeva di interpretare Dio, di qualche altra Ifigenia proprietà di Agamennone padrone della sua morte.

Noi donne non siamo certo migliori degli uomini, ma nelle società maschili permangono residui di paure che neppure Darwin ha fatto sparire. I responsabili delle religioni che intendono salvare la fede per le generazioni future debbono purificarle dalle ombre del sacro antropologico: il papa cattolico deve non condannare, bensì accogliere come servizio di verità nelle scuole un'educazione sessuale che dia valore all'affettività non solo biologica delle relazioni fra i generi e al rispetto delle diverse tendenze sessuali; l'islam che fa imparare a memoria fin da piccoli le sure del Corano, si deve rendere conto che i tabù violenti producono strani effetti se un uomo si sente un dio punitore davanti a donne-Isacco; i rabbini dovrebbero fare i conti con Levi Strauss e smettere di chiedere autobus separati per genere e di insultare le bambine non velate; in Cina e in India non si deve perpetuare l'insignificanza femminile trasferendo gli infanticidi delle neonate alla "scelta" ecografica, mortale solo per le bimbe. Sono tutte scelte di morte. Per ragioni di genere.

Ma, se la responsabilità delle religioni monoteiste è particolarmente grave per l'immagine anche non raffigurata di una divinità di fatto maschile, più precisa è quella dei cristiani. Si è detto infinite volte: perché il nostro clero, ancora così pronto a chiedere cerimonie riparatrici per spettacoli che non ha visto, non pensa ad evangelizzare i maschi invece di sospettare costantemente peccati di cui non può essere giudice, condannato com'è al masochismo celibatario per paura della purezza originaria della sessualità umana?

C'è un salto logico - certamente non illogico per le donne che stanno leggendo i pezzi sull'8 marzo ma anche la società civile persevera troppo nel negare rispetto al corpo delle donne: i tre caporali del 33esimo reggimento Acqui indagati per lo stupro di Pizzoli (L'Aquila) sono rientrati in servizio nei servizi di pattugliamento del centro storico nell'ambito dell'operazione "Strade Sicure"...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/3/2012 19.43
Titolo:Gesù, il Figlio della "Sacra Unione di fatto" ...
La Sacra Unione di fatto

di Enzo Mazzi *

«Sacra Unione di Fatto», questa è la giusta definizione del modello cristianamente perfetto di ogni famiglia, incarnato da quella che tradizionalmente viene chiamata "Sacra Famiglia". Potrebbe sembrare una battuta spiritosa e dissacrante. È invece una reale contraddizione teologica irrisolta che il cristianesimo si porta dietro da quando è divenuto religione dell'Impero. Costantino si convertì al cristianesimo ma al tempo stesso il cristianesimo si convertì a Costantino. La nuova religione dovette cioè farsi carico della stabilità dell'Impero accettando di sacralizzarne alcuni capisaldi e fra questi proprio la famiglia. Fu un compromesso fatale.

Il cristianesimo non era nato per difendere la famiglia. Anzi all'inizio fu un movimento di superamento del concetto patriarcale di famiglia. La cultura e la teologia predominanti nella esperienza da cui sono nati i Vangeli è di un "radicalismo etico", quasi una rivoluzione, che si propone di oltrepassare la cultura e la teologia tradizionali: «Vi è stato detto..., io invece vi dico... » afferma Gesù in contraddittorio con sacerdoti, scribi, farisei. «Si trattò all'inizio di un movimento di contestazione culturale e di abbandono delle strutture della società» (G. Theissen, La religione dei primi cristiani, Claudiana, 2004).

Basta pensare alla reazione di Gesù, in un episodio del Vangelo di Matteo: «Ecco là fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti. Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: "E chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?". Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: "Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre"».

Un orizzonte nuovo di valori universali si apre in realtà nel Vangelo col superamento del concetto patriarcale di famiglia: da tale oltrepassamento nasce la comunità cristiana, la nuova famiglia, "senza padre" o meglio con un solo padre «quello che è nei cieli». «Nessuno sia tra voi né padre né maestro... » dice infatti Gesù. Se è vero che «la realizzazione pratica dell'ethos del diritto naturale non è possibile senza la vita della grazia», come ha sostenuto di recente il teologo della Casa pontificia, Wojciech Giertych al Congresso internazionale sul diritto naturale promosso dall'Università del papa, la Lateranense, se cioè bisogna rivolgersi alle scelte della grazia di Dio per sapere che cos'è la natura, allora bisogna concludere che Dio privilegia "l'unione di fatto" e non la famiglia.

Insomma per dirla con parole semplici prima viene l'amore, l'unione, la solidarietà e poi viene il patto, la legge, il codice. Questa sembra l'essenza più profonda della natura umana. Lo dice plasticamente il Vangelo: «Il sabato (cioè la norma) è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato». Il compromesso con l'Impero portò alla attenuazione se non al fatale capovolgimento di un tale etos evangelico.

È questa una intrigante contraddizione per le gerarchie ecclesiastiche del "Non possumus" e della rigida Nota anti-Dico, per i preti, i cattolici e i laici del Family-day.

Una traccia vistosa e significativa di tale contraddizione si trova ancora oggi nel celibato dei preti, religiosi e religiose. Il dogma cattolico mentre considera biblicamente il matrimonio come «segno sacro dell'Alleanza nuova compiuta dal Figlio di Dio, Gesù Cristo, con la sua sposa, la Chiesa», d'altro lato ha bisogno di un segno opposto e cioè la verginità e il celibato per significare «l'assoluto primato dell'amore di Cristo» (cf. Compendio del Catechismo 340-342).

Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 338 pone la domanda: «Per quali fini Dio ha istituito il Matrimonio?». La risposta è questa: «L'unione matrimoniale dell'uomo e della donna, fondata e strutturata con leggi proprie dal Creatore, per sua natura è ordinata alla comunione e al bene dei coniugi e alla generazione ed educazione dei figli». Il fine della "generazione/procreazione" fa parte strutturale della natura del matrimonio. Se esclude il fine della procreazione il patto matrimoniale è nullo.

Al n. 344 e 345 lo stesso Catechismo dice: «Che cosa è il consenso matrimoniale? Il consenso matrimoniale è la volontà, espressa da un uomo e da una donna, di donarsi mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere un'alleanza di amore fedele e fecondo... In ogni caso, è essenziale che i coniugi non escludano l'accettazione dei fini e delle proprietà essenziali del Matrimonio».

Addirittura al n. 347, il rifiuto della fecondità viene additato come peccato gravemente contrario al Sacramento del matrimonio: «Quali sono i peccati gravemente contrari al Sacramento del Matrimonio? Essi sono: l'adulterio; la poligamia, in quanto contraddice la pari dignità tra l'uomo e la donna, l'unicità e l'esclusività dell'amore coniugale; il rifiuto della fecondità, che priva la vita coniugale del dono dei figli; e il divorzio, che contravviene all'indissolubilità».

La contraddizione si avviluppa su se stessa e si incattivisce: Maria e Giuseppe escludendo dal loro matrimonio la fecondità naturale, per amore della verginità di Maria, secondo il Catechismo cattolico compiono un grave peccato.

Il Diritto Canonico conferma il dogma in modo apodottico in vari canoni. Specialmente il canone 1101 sancisce che è nullo il matrimonio di chi nel contrarlo «esclude con un positivo atto di volontà» la procreazione.

È in base a queste enunciazioni dogmatiche e normative che il Tribunale della Sacra Rota emette quasi ogni giorno dichiarazioni di nullità del matrimonio, perché anche uno solo degli sposi può provare di aver escluso per sempre la procreazione al momento del consenso matrimoniale.

I cattolici che si battono per la difesa e la valorizzazione della "famiglia naturale" e si preparano addirittura a scendere in piazza per scongiurare il riconoscimento delle unioni di fatto e l'approvazione dei Dico molto probabilmente non hanno mai riflettuto su queste contraddizioni, non le conoscono o le allontanano dalla loro coscienza e dall'orizzonte della loro fede. Esse invece sono invece parte integrante della stessa fede. Vediamo meglio perché.

Il Vangelo di Matteo racconta che «Giuseppe, come gli aveva ordinato l'angelo del Signore, prese in sposa Maria che era incinta ed ella, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù». Il dogma cattolico aggiunge che Maria aveva consacrato in perpetuo la sua verginità al Signore e quindi nello sposare Giuseppe aveva escluso in maniera assoluta la procreazione, essendo Giuseppe pienamente consenziente con tale esclusione. "Maria sempre vergine", nell'intenzione e nei fatti.

Così dice il dogma. Chi lo nega è eretico. Ma con questa esclusione positiva ed assoluta della prole, per lo stesso dogma cattolico e per il Diritto Canonico il matrimonio di Maria con Giuseppe è invalido.

Maria e Giuseppe erano una coppia di fatto che oggi il Diritto Canonico non può riconoscere come vero matrimonio. Dio nel momento in cui decide di farsi uomo sceglie di crescere e di essere educato da una coppia, Maria e Giuseppe, che per il dogma e per il Diritto cattolico era unita di fatto in un matrimonio non valido e quindi non era vera famiglia: era appunto una Sacra Unione di fatto.

Dietro una spinta così forte proveniente del Vangelo, da anni ci siamo impegnati, come tanti altri, e con forti conflitti, a immedesimarsi nelle discariche umane prodotte nella "città delle famiglie normali". E lì abbiamo trovato bambini abbandonati per l'onore del sangue, ragazze madri demonizzate e lasciate nella solitudine più nera, handicappati rifiutati, carcerati privati della parentela, gay senza speranza, coppie prive di dignità perché fuori della norma, minori violentati dai genitori, mogli stuprate dietro il paravento del "debito coniugale".

La "misericordia" del Vangelo ci ha imposto di non demonizzare anzi di accogliere la ricerca di forme di convivenza meno distruttive. Per purificare lo stesso matrimonio, non certo per distruggerlo. Quei bambini abbandonati, quelle ragazze madri, quegli handicappati, quei carcerati, quei gay, quelle vittime di violenze intrafamiliari, hanno avuto bisogno di "unioni di fatto", magari cosiddette "case famiglia", che se ne facessero carico. Poi anche le famiglie si sono aperte alle adozioni e agli affidamenti. Ma la breccia è stata aperta da "unioni di fatto".

Fine della famiglia tribale e delle sue discariche? Macché. Nuove emergenze incombono. La competizione globale, questa guerra di tutti contro tutti, riporta a galla il bisogno di mura. Il mondo del privilegio non accetta la condivisione e non ne conosce le strade se non nella forma antica della elemosina che oggi è confusa impropriamente con la solidarietà; conosce molto bene però l'arte dell'arroccamento. E di questo bisogno di blindatura approfittano i crociati della famiglia.

Guardando bene al fondo, in nome di che si ricacciano in mare gli extra-comunitari? Sono estranei alla nostra famiglia e alla nostra famiglia di famiglie. La difesa a oltranza della famiglia canonica oggi è fonte di esclusione verso i dannati della terra. L'opposizione al riconoscimento delle nuove forme di solidarietà è nel profondo radice di violenza verso gli esclusi. La crociata contro le famiglie di fatto oggettivamente è egoista, oltre i bei gesti e le belle parole e oltre le stesse intenzioni, al di là delle apparenze. Non basta difendere la famiglia naturale. Bisogna ancora una volta guarirla.

È necessario riscoprire il primato dell'amore e della solidarietà oltre i confini di razza, etnia, famiglia, quell'amore responsabile e quella solidarietà piena che sono sacre in radice e rendono sacro ogni rapporto in cui si incarnano. Bisogna ritrovare le strade dell'apertura planetaria della famiglia, di una famiglia purificata e guarita, già annunciate dal Vangelo, nelle attuali esperienze delle giovani generazione e dei nuovi soggetti, con prudenza creativa, senza nascondersi limiti e pericoli, ma anche senza distruttive demonizzazioni.

* l'Unità, Pubblicato il: 12.04.07, Modificato il: 13.04.07 alle ore 14.11
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/3/2012 19.51
Titolo:IL VIAGGIO DI OGNUNO E DI OGNUNA - IL VIAGGIO DI "ADAMO" ....
IL VIAGGIO DI OGNUNO E DI OGNUNA - IL VIAGGIO DI "ADAMO": DANTE.



La Commedia di ognuno di noi

di Carlo Ossola (Il Sole -24 Ore, 18 marzo 2012)

Siamo stati formati dalla critica a pensare alla Divina Commedia come «viaggio a Beatrice» (così suona il titolo del celebre saggio di Charles S. Singleton, Journey to Beatrice, 1958). Il fedele d'Amore mantiene la promessa che chiudeva la Vita nova: «Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei». Beatrice appare nel Paradiso Terrestre, al sommo della montagna del Purgatorio, ivi trionfa e ivi nomina, per la prima volta nella Commedia, Dante: «Quando mi volsi al suon del nome mio, / che di necessità qui si registra» (Purg., XXX, 62-63). La teoria romantica che da Rossetti a Gourmont ha ispirato la lettura del poema trova qui il suo sigillo.

Ma molti ostacoli presenta tuttavia una lettura siffatta: il primo ed evidente è che Dante si fa lì nominare per essere aspramente rimproverato da Beatrice: «Dante, perché Virgilio se ne vada, / non pianger anco, non piangere ancora; / ché pianger ti conven per altra spada» (Purg., XXX, 55-57). Anche a voler ammettere che Dante si pieghi a un gesto di umiltà, e poi ascenda gloriosamente con Beatrice al Paradiso, sul più bello - come si dice in maniera colorita ma calzante - Dante si fa poi abbandonare da Beatrice: «Uno intendëa, e altro mi rispuose: / credea veder Beatrice e vidi un sene / vestito con le genti glorïose» (Par., XXXI, 58-60).

La guida al mistero e alla visione finale sarà san Bernardo: su questo "transito" Jorge Luis Borges ha scritto pagine finissime e non resta che rinviare ai suoi Nove saggi danteschi. L'ipotesi romantica rimane monca e toglie anzi grandezza al «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» (Par., XXV, 1-2), toglie spessore alla lettura allegorica del testo che Dante difende spiegando, nell'Epistola a Cangrande, e citando nel poema il salmo In exitu Isräel de Aegypto (Purg., II, 46).

Occorre prendere sul serio il testo e ritornare a una ipotesi già avanzata dal Boccaccio e dai primi commentatori e ripresa nel Novecento da Ezra Pound: «In un senso ulteriore è il viaggio dell'intelletto di Dante attraverso quegli stati d'animo in cui gli uomini, di ogni sorta e condizione, permangono prima della loro morte; inoltre Dante, o intelletto di Dante, può significare "Ognuno", cioè "Umanità", per cui il suo viaggio diviene il simbolo della lotta dell'umanità nell'ascesa fuor dall'ignoranza verso la chiara luce della filosofia» (E. Pound, Dante, in Lo spirito romanzo, 1910). Se il protagonista del viaggio è «Everyman», non è più necessario attribuire a Dante viator l'esperienza eccezionale di una visione mistica, ma di riconoscere in lui il volto di Ognuno: per questo «la Commedia di Dante è, di fatto, una grande sacra rappresentazione, o meglio, un intero ciclo di sacre rappresentazioni» (ivi).

La lettura di Pound incontra, dicevamo, la chiosa che il Boccaccio propone sin dall'apertura delle sue Esposizioni sopra la Comedia di Dante, estrema opera della sua vita, suggerendo che non solo da Beatrice Dante si faccia nominare, ma soprattutto da Adamo al sommo del Paradiso: «L'altra persona, alla quale nominar si fa, è Adamo, nostro primo padre, al quale fu conceduto da Dio di nominare tutte le cose create; e perché si crede lui averle degnamente nominate, volle Dante, essendo da lui nominato, mostrare che degnamente quel nome imposto gli fosse, con la testimonianza di Adamo; la qual cosa fa nel canto XXVI del Paradiso, là dove Adamo gli dice: "Dante, la voglia tua discerno meglio", eccetera».

Ora precisamente Boccaccio adotta una lezione, per Par., XXVI, 104, trádita dai più antichi codici (il Landiano, 1336, il Trivulziano, 1337, e molti altri) e confermata dagli antichi commentatori, da Pietro Alighieri, alle Chiose ambrosiane, a Francesco da Buti; lezione che cambia profondamente il senso del poema, poiché ora - nominato da Adamo - Dante non è più solo il fedele d'Amore, ma è il «novello Adamo» di un'umanità redenta, come riassume, nel suo commento, Pietro Alighieri e, con raffinata pertinenza, ribadiscono le «Chiose ambrosiane» (da situare intorno al 1355; traduco dal bel latino): «Dante - Qui il poeta si fa nominare dal primo uomo che impose il nome a tutte le cose e senza quella excusatio alla quale ebbe a ricorrere nel Purgatorio ove disse: "Che de necessità qui se registra". Nota quindi che il poeta mai volle essere nominato nell'Inferno, e neppure nel Purgatorio nei luoghi ove si purgano i vizi, ma concesse di farsi nominare fuori dalle cornici dei vizi, sebbene dovendosi scusare (tamen cum excusatione). Ma in Paradiso senza doversi scusare, come appunto qui - essendo l'opera ormai quasi compiuta - e dopo che, esaminato, aveva fatto professione delle virtù teologali».

Quando parallelamente si osservi il comportamento di Boccaccio copista, in particolare nell'esemplare «Chigiano L VI 213 (= Chig), di mano del Boccaccio, che lo trascrisse non molto avanti la nomina a lettore di Dante, nell'agosto del 1373» (G. Petrocchi, I testi del Boccaccio, in La Commedia secondo l'antica vulgata), si dovrà concludere che anche lì un codice Chig «il quale si impone sugli altri con la qualifica di edizione ultima e definitiva del testo dantesco» (Petrocchi) mantiene la lezione «Dante, la tua voglia discerno meglio» (nel ms. a p. 330; ringrazio di cuore Rudy Abardo per il prezioso riscontro filologico e Marisa Boschi Rotiroti per la sollecitudine) con perfetta coerenza alle ragioni enunciate nelle contigue Esposizioni.

Si tratta dunque di ritornare alle origini, non solo agli autorevolissimi manoscritti che inscrivono: «Dante» o «da- te» e non «da te» (lezione minoritaria), come ha adottato il Petrocchi e con lui - snervando il vigore del testo - le edizioni moderne della Commedia («Indi spirò: "Sanz'essermi proferta / da te, la voglia tua discerno meglio"»); e di riconoscere che - nell'eliminare Dante nominato da Adamo - non si è fatta solo una "rimozione" a favore di una lettura meramente amorosa del poema, ma si è privato il testo stesso di quella grandiosa e universale coralità che Dante voleva conferire al proprio viaggio. Poiché, qui, Dante non è più il poeta della Vita nova, ma l'autore del «poema sacro»; egli è ormai, e per sempre, Everyman, il "novello Adamo" dell'umanità redenta, sì che dal «padre antico» (Par., XXVI, 92) possa ricevere la più alta consacrazione.

Occorre insomma pensare alla Commedia, come a «l'albero che vive de la cima» (Par., XVIII, 29); che si compie nella "nuova Genesi" del Paradiso di Gloria, come ben vide Giovanni Getto, sin dal 1947, sottolineando «cotesto epos della vita interiore come esultanza delle spirito elevato verso le cime vertiginose della partecipazione al Dio della gloria e dell'eterno» (Poesia e teologia nel «Paradiso» di Dante, in Aspetti della poesia di Dante); ma anche come partecipazione dell'umanità tutta alla speranza della Resurrezione della carne della storia e dei corpi, che ansiosamente i beati in Paradiso attendono («Come la carne glorïosa e santa / fia rivestita, la nostra persona / più grata fia per esser tutta quanta», Par., XIV, 43-45).

Così dunque, in questa quotidiana coralità di Everyman, è da proporre al XXI secolo la Divina Commedia, bene comune non dell'Italia soltanto, ma dell'umanità intera; e sempre così è stata intesa, dai primi commentatori al Boccaccio, come il poema al quale bussare e attingere per avere accoglienza, ospitalità, conforto. Lo testimonia ancora, al portale di un palazzo di Cannaregio il battente dantesco, e i tanti uomini che in nome di Dante, e leggendo il suo poema, hanno sfidato la barbarie, da Osip Mandel'štam a Primo Levi. Ogni giorno, Dante è davvero tutti noi.

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