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www.ildialogo.org HAHNEMANN: OMEOPATIA E CONOSCENZA CRITICA. Alcune indicazioni per una rilettura dell’Organon dell’arte del guarire,di Federico La Sala

L'ILLUMINISMO KANTIANO, L’OMEOPATIA E IL CORAGGIO DI SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA ("SAPERE AUDE!": KANT, 1784 - "AUDE SAPERE" HAHNEMANN, 1819).
HAHNEMANN: OMEOPATIA E CONOSCENZA CRITICA. Alcune indicazioni per una rilettura dell’Organon dell’arte del guarire

(... ) come il cammino di Hahnemann incroci (per vie ancora non conosciute, tutte ancora da esplorare) l’orizzonte critico kantiano (...)


di Federico La Sala

 

      • "Chi bene incomincia è già a metà dell’opera; risolviti a diventare saggio: incomincia [dimidium facti, qui coepit, habet: sàpere aude, incipe]" (Orazio, Epistole, I, 2, v. 40)
      • "Sàpere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza - è dunque il motto dell’illuminismo" (Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?, 1784).

 

Quando, nel 1810, Christian  F. Samuel Hahnemann pubblica l’Organon della medicina razionale (tit. orig.: Organon der Rationellen Heilkunde), aveva fatto un lungo cammino sulla strada maestra della storia dell’umanità e di ogni avanzamento nel campo del sapere, era uscito dallo “stato di minorità”(1), ed era gìà pervenuto consapevolmente e coraggiosamente alla sua decisione più grande: non ingannare il prossimo come se stessi.(2). Da sano, aveva osato fare la sua discesa all’inferno  ed era riuscito a strappare al veleno il suo pungiglione e alla malattia il suo segreto. Nel 1796, nel “Saggio su un nuovo principio di individuazione dei poteri curativi dei farmaci”, mostra di aver finalmente capito che il metodo corretto di sperimentazione è la loro verifica sui soggetti sani e che “dovremmo imitare la natura che talvolta cura una malattia cronica con un’altra suplementare e usare nella cura delle malattie (di quelle croniche in particolare) quel rimedio che è in grado di provocare un’altra malattia, artificialmente prodotta, ma molto simile, e la prima sarà guarita: Similia similibus” (3).

 

In un articolo del 1797, dal titolo “Esistono ostacoli insormontabili a una pratica medica sicura e semplice?”, pubblicato sul giornale medico Journal der pratcticschen Arzneykunde un Wundarzneykunst, fondato da Christian Wilhelm Hufeland (medico e filosofo, autore di L’arte di prolungare la vita umana, Jena, 1797:  opera letta e commentata anche da Kant sul Journal nei primi mesi del 1798, con il breve saggio “Del potere dell’animo di dominare col solo proposito le proprie sensazioni morbose”) ( 4) - aveva scritto con chiarezza e determinazione: “Perché lamentarsi della complessità e della scarsa chiarezza della nostra scienza quando siamo noi stessi a produrle? In passato ero anch’io contagiato da questo morbo: le diverse scuole mediche mi avevano corrotto. Il virus si aggrappò a me, prima che con grande fatica riuscissi ad espellerlo, più tenacemente di quello di ogni altra malattia mentale. Pratichiamo seriamente la nostra arte?” ( 5).

 

Nella “Lettera a un insigne medico sulla riforma della medicina”, cioè al suo vechio e fedele amico Hufeland (che Hahnemann chiama il Nestore della medicina),  pubblicata sul Journal  il 14 luglio 1808,  nel ricapitolare la sua personale esperienza di medico, i motivi che l’hanno condotto a interrompere la pratica medica, gli sforzi compiuti per scoprire un metodo più sicuro ed affidabile di quelli conosciuti ai suoi tempi, così ricorda e scrive: “Era angosciante per me procedere sempre al buio, senz’altra luce se non quella che si poteva ricavare dai libri, quando dovevo guarire i malati [...] Non potevo curare coscienziosamente le nuove e ignote affezioni morbose dei miei fratelli malati con quei farmaci sconosciuti [...] Diventare in tal modo l’assassino o il torturatore dei miei fratelli era per me un’idea tanto terribile e opprimente che, subito dopo il mio matrimonio, rinunciai all’esercizio della professione medica e mi impegnai esclusivamente nella chimica e nelle attività letterarie. [...] Le mie preoccupazioni raddoppiarono quando mi accorsi di non poter offrire loro nessun sollievo" (6).  E con onestà, infine, svela e chiarisce anche il ‘segreto’ del suo percorso  e del suo lavoro (non solo passato, ma anche presente e futuro): “Che rimanga ai posteri solo l’immagine del mio io profondo, che facilmente può essere compreso dai miei scritti. La mia vanità non va oltre questo” (7)  

 

 Con l’avvio della circolazione dell’Organon, infatti, violente furono le ostilità contro di lui: “Egli aveva levato la mano contro antiche tradizioni, aveva dimostrato alla mente di molti che la comune pratica medica si basava solo su incertezza ed emprismo al massimo grado, aveva smascherato le falsità e le incoerenze della classe medica, gli errori e l’ignoranza di molti farmacisti. Contro il dubbio e la confusione aveva dimostrato con esauriente chiarezza che il sistema da lui chiamato legge dei simili o metodo positivo di guarigione, si basava su una legge fissa e immodificabile e che davvero i rimedi omeopatici avrebbero curato più facilemte e rapidamente di ogni altro farmaco fino ad allora scoperto”; “Hahnemann fu attaccato sulle riviste mediche del tempo e molti libri ed opuscoli furono scagliati contro di lui e le sue strane dottrine. Fu chiamato ciarlatano, imbroglione e ignorante. Le sue dosi infinitesimali furono dichiarate inverosimili e le sperimentazioni sui medicamenti semplicemente ridicole” ( 8).  

 

Senza alcun scoraggiamento, con determinazione e lucidità, Hahnemann continua a portare avanti il progetto della sua vita: la nascita di una medicina, degna del suo nome. Circa dieci anni dopo, nel 1819, dà alle stampe un Organon quasi del tutto nuovo, ricalibrato e profondamente  rinnovato nello spirito. Non è più l’Organon della medicina razionale, ma l’Organon dell’arte del guarire (titolo originale: Organon der Heilkunst). Non è una svolta vera e propria, ma è un piccolo segno di un grande mutamento e di una più generale e più consapevole messa a punto del lavoro precedente. E’ cambiato il titolo, è cambiata  l’epigrafe del frontespizio, e i paragrafi originari dell’opera da 271 sono diventati 318 - ne sono stati aggiunti ben altri 47. Su quanto importante sia stato questo salto di riorganizzazione dell’opera, inoltre, si tenga anche presente che nella terza edizione i paragrafi sono 320, nella quarta sono 292, nella quinta 294, e  nella sesta 291.

 

La grandezza di Hahnemann sta proprio in questo, nell’essere rimasto sempre fedele a stesso e non aver mai abbandonato la strada intrapresa e di sapersi orientare, pur tra le tempeste che dovette affrontare, con la bussola del suo “io profondo”. Nella prefazione Hahnemann scrive: “Quest’opera espone le conclusioni delle mie ricerche. Il futuro ci dirà se i medici che intendono agire onestamente secondo la loro coscienza  e nell’interesse dei loro fratelli, continueranno ad essere ancora legati a un intreccio pernicioso di congetture e idee arbitrarie o se essi saranno capaci di aprire gli occhi davanti alla benefica verità”; “E’ opportuno avvertire il lettore che l’indolenza, l’amore per la comodità e l’ostinazione impediscono di porsi al sacro servizio della verità e che solo l’assenza di pregiudizi e un intrepido entusiasmo ci rendono adatti alla più sacra di tutte le occupazioni dell’uomo: l’esercizio della vera Arte del guarire” (9)

Nel 1819, evidentemente, una più profonda consapevolezza teorica (metodologica ed epistemologica) è intervenuta a rendere urgenti questi interventi e a chiarire definitivamente il quadro filosofico e culturale entro cui collocare il suo lavoro. Il nuovo Organon esprime la coscienza di una rottura radicale con le illusioni metafisiche della “medicina razionale” (der Rationellen Heilkunde), e si precisa definitivamente come Organon “dell’arte del guarire” (der Heilkunst). E su cosa questo significhi e sul come procedere in questa direzione, è chiaramente indicato nella nuova epigrafe: “Aude Sapere” (10).

Come epigrafe, nella edizione dell’Organon del 1810, Hahnemann aveva posto questi versi (di forte sapore lessinghiano) del poeta tedesco Christian F. Gellert (1715-1769:  anch’egli aveva frequentato la Scuola di Sant’Afra a Meissen): “La Verità, di cui tutti abbiamo bisogno, / lei che fa la nostra felicità umana, / dalla mano saggia che ci ha riservata / è stata solo leggermente velata / e non profondamente celata”. Nella seconda edizione del 1819,  a epigrafe, ci sono solo queste due parole: “Aude Sapere”. Sono le parole famose di Orazio (Epistole, I, 2, v. 40: "Chi bene incomincia è già a metà dell’opera; risolviti a diventare saggio: incomincia [dimidium facti, qui coepit, habet: sàpere aude, incipe]" ), invertite di posizione. Perché?

Per un Hahnemann, che conosce molte lingue, ha studiato filologia per molti anni, ed è un grande esperto di traduzioni, l’uso di “aude sapere” in sostituzione dell’originale “sapere aude”, evidentemente e decisamente, non è (e non è stato) un lapsus (altrimenti nelle edizioni successive l’avrebbe ristabilito nella forma originale) né un furbesco atto di appropriazione di un motto famosissimo nella cultura europea della rivoluzione scientifica e nel secolo dei Lumi! Per chi ha frequentato a Meissen la Principesca Scuola di Grammatica di Sant’Afra, dove all’entrata spiccava un targa di marmo con su le parole  “sapere aude”, e in cui pochi anni prima aveva studiato anche Lessing, e, ancora, per chi è amico di Hufeland, amico a sua volta di Kant, evidentemente  è un indicatore fortissimo (epistemologico) per la comprensione della sua proposta e della sua metodologia di lavoro, fondata e da fondarsi  non più su un vecchio e superficiale “io” ma sull’”io profondo”, e sulla sua intelligenza per ben esaminare e giudicare quanto si ha il coraggio (aude) di as-saggiare (sàpere, lat.:  sàpio).

“Aude Sapere”. Nell’inversione dell’ordine delle parole di Orazio (“sapere aude”), già assunte a motto della Scuola Principesca di Grammatica di Sant’Afra a Meissen (la città natale di Heinemann)  e poi dell’illuminismo da Kant, è da leggersi, innanzitutto, la cifra  personale e specifica della vita  di Hahnemann e la chiave di accesso al suo lavoro e al suo progetto. Nella sua apparente semplicità,  il primo paragrafo del vecchio e nuovo Organon  sembra parlare a tutti, ma rivela il suo senso solo a chi ha “il coraggio di as-saggiarlo”: “Scopo principale ed unico del medico è di rendere sani i malati ossia, come si dice, di guarirli (11). Detto diversamente ed espressamente: il programma di Hahnemann si colloca con tutta consapevolezza, all’interno dell’orizzonte illuministico, dentro il programma  critico di Kant e, al contempo, sulla propria strada - uscire da interi millenni di labirinto, segnati da minorità e da  malattia.

 “Aude Sapere”. Senza la comprensione di questa cifra specifica, un’indicazione all’apparenza sorprendente e straniante, si corre il rischio (come è successo e succede ancora) di guardare il dito e non la luna  e di collocare Hahnemann (1755-1843) culturalmente e filosoficamente prima di Kant e della sua rivoluzione copernicana, all’interno della tradizione della “metafisica razionale”, “della medicina  razionale”,  come fanno Harris L. Coulter e Alfonso Masi-Elizalde, che - in una specie di alleanza atea e devota, rinchiudono l’uno nella Introduzione e l’altro nella Postfazione  dell’edizione italiana dello storico e pregevole lavoro di  Thomas Lindsey Brandford - riconducono   Hahnemann alla “ragione” pragmatista di un empirismo reinterpretato (12) e, al contempo, alla “fede” cattolica della  teologia  tomista (13)!  E non saper più distinguere chi è il saggio e chi l’imbecille!

Il Secolo dei Lumi, al contrario, non è passato invano, e ha gettato luce anche sul passato. Nell’“Aude sapere” riaffiora un’inaudita radicalità che lega insieme l’esperienza e  la saggezza dell’intera umanità e, in particolare, della tradizione critica dell’Occidente: si va alle spalle e alla radice del “prendi e leggi” agostiniano e si restituisce a ogni persona, oltre che al medico e al malato, la sua libertà e la sua piena autonomia di giudizio. Prendi e mangia (con virgolette e senza): “Abbi il coraggio di as-saggiare”, tu – in prima persona! Tu puoi (non - potrai o avresti potuto) liberarti dalla schiavitù e dalla malattia! Che il significato e la portata dell’ anomala versione del motto spinga in questa direzione - con tutte le sue ovvie implicazioni relative alle capacità di osservazione, di analisi e discernimento, e di giudizio di ogni soggetto e, in questo caso specifico, del medico prima e del paziente dopo – non è né vuole essere una forzatura (o, peggio, una provocazione): basta  rileggersi  un “frammento” brillantissimo, scritto da  Hahnehman nel 1825, sul tema “L’osservatore medico”(14)  e riflettere sulla determinante centralità del “proving”  e sul suo strutturale legame con l’“io profondo” del  medico.

Hahnemann mostra di essere assolutamente lucido e consapevole,  con nessuna ombra di dubbio: senza il coraggio dell’as-saggiare, da parte di un soggetto capace di intendere e volere e di  analizzare e valutare alla luce del proprio “io profondo”, non si va da nessuna parte e non si può far altro che ripetere solo e sempre dogmaticamente e autoritariamente il ritornello della “medicina razionale” e di tutte le altre scienze dell’albero della “metafisica razionale”. Nel  § 54 dell’ultima edizione dell’Organon  Hahnemann così scrive:

 “Il modo di cura allopatico che usava contro le malattie un po’ di tutto, ma sempre cose inadatte (alloia), era a ricordo d’uomo il metodo dominante, sotto le forme più svariate, denominate sistemi. Questi si susseguivano di quando in quando anche molto diversi tra loro e si onoravano del nome di “terapia razionale” [dem Namen: rationelle HeiIkunde”]. Ogni inventore di sistema aveva la presunzione di saper penetrare nell’intimità della vita sia nell’uomo sano che malato e di conoscerla chiaramente e di conseguenza faceva le prescrizioni per togliere la materia dannosa dall’organismo malato al fine di ridargli la salute. Tutto questo per vuote supposizioni e premesse indeterminate, senza interrogare rettamente la natura e senza dare ascolto, senza preconcetti, all’esperienza. Si ammetteva che le malattie fossero degli stati che comparissero sempre in modo abbastanza simile. La maggior parte dei sistemi stabilì quindi per i suoi quadri patologici dei nomi e ne fece delle classificazioni, ogni sistema in modo diverso. Al medicamento per semplice supposizione si attribuirono azioni (vedi le numerose materie mediche), che avrebbero dovuto togliere ossia guarire questi stati anormali”.

E a prendere definitivamente le distanze, appunto, dalla “medicina razionale” [rationelle HeiIkunde], in nota, Hahnemann ancora - e così - precisa: “Come se una scienza, che ha le sue fondamenta soltanto sulle osservazioni della natura e unicamente su ricerche pure e sull’esperienza, potesse essere fondata su oziose sofisticherie e su ciance scolastiche!” (15).  

Su questa base, è più che chiaro come il cammino di Hahnemann  incroci (per vie ancora non   conosciute, tutte ancora da esplorare) l’orizzonte critico kantiano e questo, in qualche modo, lo aiuta  a perfezionare  la propria rivoluzione copernicana in medicina. A ben vedere, egli ha condiviso con Kant - al di là dell’empirismo e del razionalismo come di ogni scetticismo, la persuasione fortissima che, sì, tutto proviene dall’esperienza, ma che non tutto si risolve nell’esperienza; e, sempre con Kant, che  è solo l’Io profondo (non l’io in senso psicologico!), con l’uso pieno e libero della sua facoltà di giudizio, a rendere possibile l’oltrepassamento del fondamentalismo di ogni cieco pragmatismo e di tutte le metafisiche razionali (idealistiche e spiritualistiche o materialistiche) e andare avanti sulla strada della “virtù e conoscenza” (Dante), senza naufragare (né personalmente né – possibilmente - collettivamente) nel grande oceano della complessità!  Con Kant, anche Hahnemann ha lavorato al progetto “per la pace perpetua”.  (Federico La Sala, 14.07.2011)

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NOTE:

 

1.  Immanuel Kant,  Risposta alla domanda: Che cosa è l’illuminismo, 1784

2. Hahnemann, come si sa, dopo anni di tribolato esercizio arriverà quasi ad abbandonare  la   professione di medico per mancanza di strumenti adeguati, appenderà fuori la porta di casa il cartello “Andatevene, giacché io non vi so curare”, scritto di suo pugno (cfr. Riccardo de Torrebruna – Luigi Turinese, Hahnemann. Vita del padre dell’omoepatia, Edizioni e/o, Roma 2007, pp. 56-57).

3. Cfr:Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita e lettere di Samuel Hahnemann, Perla Edizioni, Grosseto-Roma, 1994,  p. 85.

4. Il saggio di Kant costituirà  poi la terza parte de Il conflitto delle facoltà del 1798 (cfr. I. Kant, Il conflitto delle facoltà, Morcelliana, Brescia 1994). Sul rapporto di Kant con Hufeland, si cfr. anche I. Kant, Lettera a Christoph Wilhelm Hufeland, in I. Kant, Epistolario filosofico. 1761-1800, il melangolo, Genova 1990.

5. Cfr.Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita…cit., , p. 86.

6.  Cfr. Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita e …cit., p. 58.

7. Cfr.  Sergio Segantini - Maria A. Marchitiello, La medicina dell’esperienza ed altri scritti minori di Samuel Hahnemann, Editorium, Milano, 1993, p. 32.

8. Cfr. Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita e …cit., pp. 107-108.

9. Cfr. Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita e …cit., p. 106.

10. Cfr. C. F. Samuel Hahnemann, Organon dell’arte del guarire, Edizioni di Red./Studio redazionale, Como 1985. p. 8.

11. Cfr. C. F. Samuel Hahnemann, Organon dell’arte del guarire… cit., p. 15.

12. Cfr. Harris L. Coulter, Introduzione, in: Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita e lettere di Samuel Hahnemann, Perla Edizioni, Grosseto-Roma, 1994, pp. 13-30. Egli, pur facendo un accurato lavoro di analisi dell’importanza del “proving” nella lezione di Hahnemann e, pur avendo alle spalle un lavoro sullo sviluppo storico dell’Empirismo e del Razionalismo  colloca, con lo stesso “proving”, Hahnemann e il suo “Aude Sapere” sotto l’etichetta di una   “reinterpretazione dell’Empirismo”, arrivando così a mettere totalmente in parentesi e fuori contesto storico e teoretico il lavoro di Hehnemann, e a rendere invisibile ogni connessione con l’illuminismo e con la lezione critica di Immanuel Kant. Per la sua analisi relativa al “proving” e alla “reinterpretazione dell’Empirismo”,  si cfr. (qui di seguito) allegato A.  

13. Alfonso Masi-Elizalde, nella Postfazione, così avvia il suo discorso (altrettanto come Harris L. Coulter, mettendo in parentesi tutto l’orizzonte biografico e culturale di Hahnemann, e i suoi legami   con l’illuminismo tedesco, con l’attenzione alla riflessione di Lessing e Reimarus in particolare – documentati anche nelle lettere!): “La lettura de La vita e le lettere di Samuel Hahnemann, che oggi si offre ai lettori di lingua italiana, mi ha fornito nuovi e decisivi argomenti per difendere la mia tesi secondo la quale l’omeopatia non è altro che la visione tomistica della medicina […]”. E così conclude:  “Quindi in base a tutti gli elementi di giudizio che ho appena analizzato […]  Per tutte queste considerazioni, per le sue [di Hahnemann] note a piè di pagina (con cui, senza dubbio, provava a riparare all’ermetismo delle sue affermazioni nel testo delle sue opere, frutto della velocità e sintesi delle sue associazioni mentali) e per il suo [“stato di psora latente”]  aggravarsi in primavera io, sfacciatamente, avrei osato prescrivergli [a Hahnemann] per le sofferenze dei suoi ultimi giorni, Lachesis, a un’alta dinamizzazione. Alfonso Masi-Elizalde – Buenos Aires, settembre 1993” (cfr.: Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia…cit.,  pp. 407-412

14. C. F. Samuel Hahnemann, L’osservatore medico (frammento),  in: Sergio Segantini - Maria A. Marchitiello, La medicina dell’esperienza ed altri scritti minori di Samuel Hahnemann, Traduzione di Maria A. Marchitiello, Editorium, Milano, 1993, pp. 223-230.  Per il testo, si cfr. (qui di seguito) allegato B

15. Cfr. C. F. Samuel Hahnemann, Organon dell’arte del guarire, Edizioni di Red./Studio redazionale, Como 1985. pp. 45-46.

 

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                                                                   ALLEGATI:

 

ALLEGATO A.

La reinterpretazione dell'Empirismo

 

di Harris L. Coulter *

 

La filosofia della medicina omeopatica non è emersa tutta intera dalla testa di Hahnemann, come Venere dalla schiuma del mare. Si tratta, in realtà, della rielaborazione di una filosotia medica molto più antica e nota sin dall'epoca dei Greci e dei Romani come Empirismo, un termine che deriva da quello greco che sta per "esperienza".

 

L’:Empirismo (con l'iniziale maiuscola), vale a dire una dottrina terapeutica sistematica fondata

sull'esperienza, deve perciò essere distinto dall'empirismo (con l'iniziale minuscola) secondo l'accezione riportata nei dizionari di "dipendenza di una persona dalla propria esperienza ed osservazione che non tenga conto della teoria, del raziocinio e della scienza" o di "pratica della medicina priva di istruzione medica; e quindi campo d'azione di ciarlatani e imbroglioni".

 

In medicina la tradizione empirica deve essere poi distinta da quella razionalista, altrettanto antica, e di cui l'allopatia o la "medicina scientifica" rappresentano l'incarnazione nel ventesimo secolo.

 

L’originale contributo di Hahnemann a questo sviluppo creativo dell'Empirismo classico fu il proving, che fornì lo spunto in base al quale reinterpretare gli elementi della dottrina tradizionale.

 

Ci si accorse così che idee e procedimenti che erano stati ritenuti validi in passato soltanto sulla base dell'esperienza, combaciavano perfettamente, senza mostrare i punti di congiunzione, tanto che questa forma culminante di Medicina Empirica ha costituito per due secoli una sfida radicale ma praticabile all'ortodossia medica dominante (l'allopatia o la sedicente "medicina scientifica").

 

In primo luogo il proving offriva un'interpretazione nuova del tradizionale concetto empirico di cura attraverso "la similitudine". Questa antica concezione, che si ritrova nel Corpus ippocratico così come in tutti i sistemi di medicina popolare, era stata variamente interpretata nel corso dei secoli e, più specificatamente, era stata spesso confusa con la "dottrina delle signature". In ogni caso l'esatto significato di "similitudine" si chiarì con l'introduzione del proving e da allora in avanti per "similitudine" si intese quella fra i sintomi del paziente e i sintomi manifestatisi nel proving, quindi non similitudine di sostanza bensì di sintomi.

 

Un altro elemento della medicina empirica chiarito dal proving fu quello di "inconoscibilità" dei processi patologici interni o, usando toni meno forti, dell'inaffidabilità di tale conoscenza a fini terapeutici.

 

L'Empirismo ha sempre sostenuto che il medico non può ottenere informazioni affidabili relative agli invisibili processi o meccanismi interni e che perciò non può basare il proprio intervento terapeutico su tale presunta conoscenza: se la forza vitale del paziente reagisce sempre in maniera dinamica agli impulsi patogeni specifici che collidono con essa dall'esterno, è evidente che questi processi interni vivono uno stato di flusso continuo e che quindi non si può può ricavare da essi una conoscenza stabile o certa.

 

La conoscenza dei "processi" o "meccanismi" fisiologici e patologici deve essere per forza di cose generale o mediamente la forza vitale di ogni paziente agisce sempre secondo sue dinamiche peculiari, fronteggiando in maniera specifica l'impulso patogeno. La 'conoscenza" generale dei processi interni quindi non è mai sufficientemente affidabile come guida del medico nel caso specifico.

 

Così come il medico non può avere una conoscenza affidabile dei processi patologici che hanno luogo nel paziente, allo stesso modo egli non può ottenere una conoscenza profonda dell'azione dei medicamenti. Si può conoscere solo l'effetto visibile del farmaco sul corpo, vale a dire i sintomi. Tutte le informazioni dei proving omeopatici sono sintomatiche, percettibili visivamente o con altri organi di senso. Mai nessun medico omeopatico ha preteso di capire in che modo un rimedio produca sintomi o come esso curi i disturbi caratterizzati da quegli stessi sintomi.

 

Il proving, inoltre, dimostra la correttezza dell'ipotesi avanzata dall'Empirismo secondo cui i sintomi sono fenomeni benefici e rappresentativi dello sforzo di autoguarigione del corpo. Se la malattia del paziente viene curata con una sostanza che provoca esattamente la sua sintomatologia, allora i sintomi devono essere ipso facto manifestazioni curative. La tradizionale classificazione, operata dall' Empirismo, dei sintomi in "comuni" e "peculiari" venne rafforzala dai dati dei proving.

 

Nonostante l'Empirismo avesse sempre qualificato i sintomi "peculiari" come la base della terapia, fu sempre impossibile distinguere i sintomi "comuni" da quelli "peculiari" dal momento che i sintomi "comuni" in un'affezione possono essere "peculiari" in un'altra. Di conseguenza la distinzione fra le due categorie di sintomi dipendeva da quali sindromi erano accettate come "malattie" e quali non lo erano.

 

Per classificare i sintomi in "comuni" e "peculiari" era necessario un criterio esterno e, per la prima volta, il proving offrì tale criterio. I sintomi "comuni" erano quelli che si riscontravano nei proving della maggior parte dei medicamenti e sperimentati dalla maggioranza degli sperimentatori mentre i sintomi "peculiari" erano quelli specifici a un determinato medicamento. […]

 

Hahnemann cercò la "similitudine" fra la totalità dei sintomi del paziente e quelli del rimedio riferendosi non solo ai sintomi "comuni", ma soprattutto a quelli "peculiari" del paziente stesso. Infatti il rimedio simile solo alle caratteristiche più comuni della sintomatologia del paziente avrà un effetto curativo limitato o non lo avrà affatto.

 

L’insonnia, il mal di testa, la nausea, il capogiro, ecc., pur causando malessere nel paziente ed essendo spesso la ragione principale per cui egli si reca dal medico, sono di secondaria importanza perché si riscontrano in molti pazienti e in molti stati morbosi e, di conseguenza, sono "specifici" di nessun paziente.

 

Il rimedio più simile, il "simillimum", trae il suo potere curativo dalla sua profonda somiglianza ai sintomi peculiari, e quindi fortemente caratteristici, del paziente. come disse Hahnemann: "i segni  più singolari, quelli meno comuni ci forniscono le caratteristiche distintive e peculiari del paziente".

 

"Nella ricerca del rimedio omeopatico bisogna tenere presente in modo particolare e quasi esclusivo i tratti e i sintomi più straordinari, singolari, insoliti e peculiari (caratteristici)". Questi sintomi "peculiari"sono la garanzia certa dell'efficacia curativa del rimedio. In questo modo l’omeopatia rimuove ed abolisce completamente come concetto la categoria "malattia" o entità e giunge a formulare una dottrina terapeutica individualizzata. Nella misura in cui i sintomi peculiari diventano la chiave della diagnosi, le classi ed entità della malattia svaniscono e rimane solo il paziente singolo con i suoi sintomi peculiari. La "specificità" viene portata alle sue estreme e più logiche conseguenze. ogni paziente ha un suo disturbo "specifico" e nessun paziente è simile a un altro.

 

In tal modo mentre la stessa medicina allopatica (razionalista) sottolinea l'esigenza di "individualizzare" il trattamento affinché il paziente non venga più considerato soltanto come membro di una categoria di malattie, l'omeopatia ha scoperto un metodo rigoroso per realizzare proprio questo obiettivo.

 

* Harris L. Coulter, Introduzione, cfr.: Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita e lettere di Samuel Hahnemann, Perla Edizioni, Grosseto-Roma, 1994, pp. 20-23.

 

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ALLEGATO B

 

L'OSSERVATORE MEDICO (frammento)

 

di  C. F. Samuel Hahnemann *

 

 

Per essere in grado di osservare bene, il medico deve possedere, cosa che in genere non si riscontra

nemmeno in grado modesto, la capacità e l’abitudine di annotare scrupolosamente e correttamente i fenomeni che si verificano nelle malattie naturali e quelli che avvengono negli stati morbosi evocati artificialmente dai farmaci, quando essi vengano sperimentati sul corpo sano e l’abilità di descriverli con le espressioni più appropriate e naturali.

 

Per arrivare a percepire con esattezza quanto deve essere osservato nei pazienti, dobbiamo dirigere ogni nostro pensiero sull'argomento in questione, uscire da noi stessi e, per così dire, aderire con tutto il nostro potere di concentrazione ad esso, cosicché nienie di quanto si  verifica, che  abbia a che fare  con il soggetto e che sia rilevabile dai sensi, possa sfuggirci.

 

Bisogna per un po' sospendere voli pindarici, idee fantasiose e congetture, come anche è necessario abolire ogni ragionamento artificioso, le interpretazioni forzate e la tendenza a voler spiegare tutto. Il dovere di chi osserva è unicamente quello di annotare i fenomeni ed il loro andamento, la sua attenzione deve essere all'erta, niente di ciò che avviene deve sfuggire alla sua osservazione, anzi egli deve comprendere ciò che osserva esattamente com'è.

 

La capacità di osservare non è affatto una facoltà innata; deve essere acquisita principalmente con la pratica attraverso l’affinamento e la fine regolazione della percezione dei sensi e cioè, esercitando una critica severa delle impressioni rapide che ci vengono dagli organi esterni e, allo stesso tempo, è doveroso mantenere tranquilla sobrietà e fermezza di giudizio, unitamente ad un costante dubbio circa il nostro potere di comprensione.

 

L'importanza del compito deve orientare le energie del nostro corpo e della nostra mente verso l’ossevazione; una grande pazienza, sostenuta dal potere della volontà, ci deve sostenere in questa direzione fino a che l’osservazione non sia completata.

 

Per educarci ad acquisire questa facoltà, è utile familianzzarsi con i migliori scritti dei Greci e dei Latini, da cui ricevere un orientamento del pensiero e del sentire, come anche proprietà e semplicità   nell'espressione delle proprie sensazioni; l’arte di ritrane la natura è anch'essa utile perché  esercita ed affina il nostro sguardo e gli altri sensi, perché insegna a formarsi una vera concezione degli oggetti e a rappresentare ciò che osserviamo in modo vero e puro, senza aggiunta di fantasia. La conoscenza della matematica, inoltre, ci offre il necessario rigore nella formazione del giudizio.

 

Così attrezzato l’osservatore medico non può mancare di portare a compimento il suo scopo, specialmente se ha costantemente davanti agli occhi l’elevata dignità della sua  missione – in quanto rappresentante del Padre misericordioso e Protettore per dare aiuto alle Sue umane creature, attraverso il risanamento del loro organismo devastato dalla malattia.

 

Le sensazioni che così largamente differiscono tra loro e le innumerevoli varietà delle sofferenze dei diversi tipi di pazienti, sono molto lontane dall'essere state descritte secondo la loro divergenza e varietà, secondo la loro peculiarità, la complessità dei dolori costituita dai vari tipi di sensazioni, la loro intensità, la loro forma; così lontana è stata la descrizione dall'esser accurata e completa, che noi troviamo tutte queste infinite varietà di sofferenze affastellate insieme sotto pochi, scarni, insignificanti termini generali come sudorazione, calore, febbre,mal di testa, mal di gola, crampi, asma, tosse, malattia di petto, fitta net fianco, mal di pancia, dispepsia, mal di schiena, coxalgia, crisi emorroidaria, disordini urinari, dolori agli arti (definiti secondo la fantasia gottosi o reumatici), malattie della pelle, spasmi, convulsioni eccetera.

 

Con simili superficiali espressioni, I'innumerevole varietà delle sofferenze del paziente è stata annullate nelle  cosiddette osservazioni, in modo tale che - ad eccezione di qualche sintomo grave, straordinario, in questo o quel caso di malattia - quasi ogni affezione che si pretende descritta, assomiglia alle altre come i punti sulla faccia di un dado o come si rassomigliano l'un l’altro, per piattezza e mancanza di carattere, i vari dipinti di un imbrattatele.

 

La principale delle vocazioni umane, mi riferisco all'osservazione del malato e delle infinite varietà degli stati altersti della salute, è stata perseguita in tal modo, superficiale e trascurato da coloro che dispregiano il genere umanl, perché in questo modo non si pone il problema di distinguere le peculiarità degli stati morbosi, né quello di scegliere I'unico rimedio appropriato alla specifica circostanza del caso.

 

Il medico coscienzioso che con serietà si applica ad afferrare la malattia da curare nella sua peculiarità per essere capace di opporle il giusto rimedio, procederà molto più attentamente nel suo lavoro per discernere ciò che deve essere osservato; il linguaggio non avrà mai  parole adatte a descrivere l’innumerevole varietà dei sintomi di uno stato morboso; nessuna sensazione, per quanto peculiare sia, potrà sfuggirgli, dato che ha avuto l'opportunità di riconoscerla nelle sue sensazioni evocate ) dal farmaco sperimentato su se stesso; egli si sforzerà di esprimere a parole un'idea di questo con l’espressione più appropriata, per essere capace, nella sua pratica, di confrontare l'accurato ritratto del quadro morboso con il farmaco ad azione simile, con il quale, soltanto, come egli sa, può essere effettuata la cura.

 

E’ così in verità che soltanto l'osservatore scrupoloso può giungere a curare veramente le malattie.

 

Egli sa che l’osservazione, in campo medico deve essere condotta con spirito sincero e devoto, come al cospetto di Dio che tiitto vede. Giudice dei nostri pensieri segreti e che la registrazione deve essere effettuata con una coscienza retta così da poter essere comunicata al mondo, nella consapevolezza che nessun bene terreno è più degno del nostro zelo nell'applicarsi a preservare la vita e la salute dei nostri propri simili.

 

La migliore occasione per esercitare e perfezionare la nostra capacità di osservazione è fornita dall'istituire esperimenti con farmaci su noi stessi.

 

Evitando ogni altra influenza medicinale e impressioni mentali disturbanti in questa importante operazione, lo sperimentatore, dopo aver assunto il farmaco, deve tenderé tutta la sua attenzione verso ogni alterazione della sua salute che si verifica su di lui e dentro di lui, per osservarle e correttamente registrarle, con sentimenti sempre vigili ed i propri sensi sempre in allerta.

 

Perseverando in questa accurata indagine su tutti i cambiamenti che avvengono dentro e su di lui, 1o sperimentatore raggiunge la capacità di osservare ogni sensazione, per quanto complesse siano, che egli sperimenta dal farmaco che sta provando; tutto, persino le più sottili ombre di alterazioni della sua salute; egli deve registrare le distinte variazioni di esse in espressioni adatte ed adeguate.

 

Solo a questo punto è possibile per il principiante compiere osservazioni pure, corrette e ininfluenzate, in quanto egli sa che  non ingannerà se stesso, che non c'è nessuno che può raccontare nulla di falso ed è egli stesso che sente, vede e rileva ciò che accade dentro e su di lui. Così egli acquisirà la possibilità di essere in grado di compiere accurate osservazione sugli altri.

 

Per mezzo di queste pure ed accurate indagini, si diviene consapevoli del fatto che la sintomatologia nel sistema medico ordinario è descritta in modo molto superficiale e che la natura è solita alterare I'uomo nel suo stato di salute ed in tutte le sue sensazioni e funzioni (con le malattie o con i farmaci) secondo modalità infinitamente varie e dissimili, cosicché una singola parola o un'espressione generale sono totalmente inadeguate a descrivere le sensazioni morbose e i sintomi, spesso di carattere molto complesso, se vogliamo ritrarre realmente, veramente e perfettamente le alterazioni della salute che incontriamo.

 

Nessun ritrattista è mai stato così negligente da trascurare le spiccate peculiarità nelle fattezze di una persona di cui desideri effettuare un ritratto o da considerare sufficiente fare un paio di cerchi rotondi sotto la fronte a guisa di occhi, tracciare tra di loro una linea diretta dall'alto verso il basso, sempre nello stesso modo, a guisa di naso e, sotto, mettere una fessura di traverso alla faccia che dovrebbe stare per la bocca di questa persona o di qualsiasi altra: nessun ritrattista, lo affermo, è pervenuto a delineare il viso umano in un modo così rozzo e trascurato; nessun naturalista ha mai lavorato in questo modo nel descrivere le creazioni della natura, in tal modo mai hanno agito zoologi, botanici o geologi.

Soltanto la semiologia della medicina convenzionale è arrivata a lavorare in questo modo nel descrivere i fenomeni morbosi.

 

* Cfr. Sergio Segantini - Maria A. Marchitiello, La medicina dell’esperienza ed altri scritti minori di Samuel Hahnemann, Traduzione di Maria A. Marchitiello, Editorium, Milano, 1993, pp. 223-230.

 

  



Domenica 04 Settembre,2011 Ore: 15:45
 
 
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L’ILLUMINISMO. Adottò il motto oraziano «Sapere aude». Kant: «Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza»
IL PARLAMENTO. Luogo di una vera e propria rappresentazione che in quanto tale ha bisogno del pubblico

Il segreto della democrazia: non avere segreti

Una forma di governo che si fonda sulla piena visibilità del potere, incompatibile con l’esistenza degli arcana imperii cari agli assolutisti

Un intervento del 1988. Si intitola Democrazia e segreto il volume, in uscita da Einaudi (pp. XIX-53, 9), che raccoglie alcuni interventi di Norberto Bobbio (1909-2004), tra i quali una relazione tenuta nel marzo del 1988 a Sassari, nell’ambito di un convegno di studi gius-internazionalistici sul tema «Il trattato segreto». Di questo testo proponiamo qui uno stralcio. Pubblicato la prima volta in edizione fuori commercio come plaquette einaudiana alla fine del 2009, il libro è ora disponibile per tutti, con la prefazione ampliata di Marco Revelli.

di Norberto Bobbio (La Stampa, 16.10.2011)

In un articolo del 1981, intitolato L’alto e il basso. Il tema della conoscenza proibita nel ’500 e ’600 , Carlo Ginzburg prese lo spunto dal passo paolino ( Lettera ai Romani , 11, 20), che nella vulgata suona «Noli autem sapere, sed time», interpretato via via sempre più nel senso di un invito alla rinunzia alla superbia intellettuale e quindi come un ammonimento contro la eccessiva curiosità del sapiente, per fare qualche riflessione sui limiti assegnati alla nostra conoscenza dalla presenza di tre sfere invalicabili: gli arcana Dei , gli arcana naturae e gli arcana imperii , strettamente connessi tra di loro. Chi aveva trasgredito quei limiti era stato punito: esempi classici, Prometeo e Icaro. Ma potremmo aggiungere, forse il più familiare, almeno alla tradizione culturale italiana, l’Ulisse dantesco.

Le grandi scoperte astronomiche del Cinquecento rappresentarono una prima trasgressione del divieto di penetrare gli arcana naturae. Quali ripercussioni avrebbe avuto questa prima trasgressione della prescrizione di arrestarsi di fronte a una delle tre terre proibite, rispetto alla analoga prescrizione nelle altre due? Alla metà del Seicento, racconta Ginzburg, il cardinale Sforza Pallavicino acconsentì a riconoscere che era lecito penetrare i segreti della natura perché le leggi naturali sono poche, semplici e inviolabili. Ma non ammise che ciò che valeva per i segreti della natura valesse anche per i segreti di Dio e per quelli del potere, ritenendo che fosse un atto di temerità violare l’imperscrutabilità della volontà del sovrano non altrimenti che quella di Dio. Negli stessi anni Virgilio Malvezzi ripeté analogo concetto dicendo che «chi per isciogliere i fisici avvenimenti adduce Iddio per ragione è poco filosofo, e chi non lo adduce per iscioglimento di politici, è poco cristiano».

Per contrasto, il pensiero illuministico adottò come suo motto l’oraziano «Sapere aude». Alcuni anni or sono si svolse sulla Rivista storica italiana un dotto dibattito sull’origine del motto (di cui io avevo trovato un altro esempio nel saggio in difesa della codificazione scritto da Thibaut nel 1814) tra Luigi Firpo e Franco Venturi. Firpo risalì a Gassendi, citato dal Sorbière nel suo Diario.

Com’è noto, il motto campeggia nello scritto sull’illuminismo di Kant, che Kant traduce così «Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza». È in questo saggio che Kant afferma che l’illuminismo consiste nell’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso e che alla base dell’illuminismo sta la più semplice di tutte le libertà, la libertà di far uso pubblico della propria ragione. «Il pubblico uso della propria ragione deve essere libero, ed esso solo può attuare l’illuminismo fra gli uomini». Conducendo alle logiche conseguenze questa affermazione, si scopre che vengono a cadere i divieti tradizionali posti a guardia degli arcana imperii . Per l’uomo uscito di minorità, il potere non ha, non deve più avere, segreti. Perché l’uomo diventato maggiorenne possa fare pubblico uso della propria ragione è necessario che egli abbia una conoscenza piena degli affari di Stato. Perché egli possa avere una piena conoscenza degli affari di Stato, è necessario che il potere agisca in pubblico. Cade una delle ragioni del segreto di Stato: l’ignoranza del volgo che faceva dire dal Tasso a Torrismondo: «I segreti di Stato al folle volgo ben commessi non sono».

Spetta a Kant il merito di aver posto con la massima chiarezza il problema della pubblicità del potere e di averne dato una giustificazione etica. [...] Affinché questo principio della pubblicità possa essere non solo dichiarato dal filosofo ma attuato dal politico, in modo che, per esprimerci ancora una volta con Kant, non si dia ragione al detto comune «Questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica», occorre che il potere pubblico sia controllabile. Ma in quale forma di governo questo controllo può avvenire se non in quella in cui il popolo ha il diritto di prendere parte attiva alla vita politica?

Kant certamente non è uno scrittore democratico nel senso che per «popolo» intende non tutti i cittadini ma solo i cittadini indipendenti, ma quale sia il valore che egli attribuisce al controllo popolare sugli atti del governo risulta ancora una volta in tema di diritto internazionale là dove, affermando che la pace perpetua può essere assicurata soltanto da una confederazione di Stati che abbiano la stessa forma di governo repubblicana, ne dà la ragione col celebre argomento che solo con il controllo popolare la guerra cesserà di essere un capriccio dei principi, o, con l’espressione kantiana, una «partita di piacere».

Sino a che il potere del re era considerato come derivante dal potere di Dio, gli arcana imperii erano una diretta conseguenza degli arcana Dei . In uno dei suoi discorsi Giacomo I, principe assoluto e teorico dell’assolutismo, definì la prerogativa, cioè il potere regio non sottoposto al potere del parlamento, come un «mistero di Stato» comprensibile solo ai principi, ai re-sacerdoti che, come dèi in terra, amministrano il mistero del governo. Un linguaggio come questo in cui l’appello al mistero svolge un ruolo essenziale, e si sottrae ad ogni richiesta di spiegazione razionale sul fondamento del potere e del conseguente obbligo di obbedienza, è destinato a scomparire via via che il discorso del governo si sposta dall’alto al basso, e, per restare in Inghilterra, dalla prerogativa del re ai diritti del parlamento.

Il linguaggio esoterico e misterico non si addice all’assemblea di rappresentanti eletti periodicamente dal popolo, e quindi responsabili di fronte agli elettori, pochi o molti che siano, ma non si addiceva del resto neppure alla democrazia degli antichi, quando il popolo si riuniva in piazza ad ascoltare gli oratori e quindi a deliberare. Il parlamento è il luogo dove il potere viene rappresentato nel duplice senso che esso è il luogo dove si riuniscono i rappresentanti e dove, nello stesso tempo, avviene una vera e propria rappresentazione, che in quanto rappresentazione ha bisogno del pubblico e deve quindi svolgersi in pubblico. Coglie bene questo nesso tra rappresentanza e rappresentazione Carl Schmitt quando scrive: «La rappresentanza può aver luogo soltanto nella sfera della pubblicità. Non c’è alcuna rappresentanza se si svolga in segreto e a quattr’occhi [...]. Un parlamento ha carattere rappresentativo solo in quanto crede che la sua attività sia pubblica. Sedute segrete, accordi e decisioni segrete di qualsivoglia comitato possono essere molto significative ed importanti, ma non possono avere mai un carattere rappresentativo».

Con ciò non si vuol dire che ogni forma di segretezza debba essere esclusa: il voto segreto può essere in certi casi opportuno; la pubblicità delle Commissioni parlamentari non è riconosciuta. C’è anche chi, come Giovanni Sartori, nella nuova edizione, aggiornata ed arricchita, della sua teoria della democrazia, condanna la richiesta di una politica sempre più visibile, come poco consapevole delle conseguenze che la maggiore visibilità comporta. Ma non si può non riconoscere con Schmitt che «rappresentare» significa anche «rendere visibile e rendere presente un essere invisibile mediante un essere pubblicamente presente».

Possiamo concludere questa riflessione con Richard Sennett che nel suo aureo libretto sull’autorità, pubblicato nel 1980 (tradotto in italiano nel 1981) afferma: «Tutte le idee di democrazia che abbiamo ereditato dal XVIII secolo sono basate sulla nozione di un’autorità visibile». E cita il detto di Jefferson: «Il dirigente deve agire con discrezione ma non gli deve essere concesso di tenere per sé le sue intenzioni».

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