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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org SIGMUND FREUD E LA LEGGE DELL'"UNO", DEL "PADRE NOSTRO". IL ‘LUPO’ HOBBESIANO, L’ ‘AGNELLO’ CATTOLICO, E “L’UOMO MOSE’ E LA RELIGIONE MONOTEISTICA”. Indicazioni per una rilettura,di Federico La Sala

"DEUS-TRINITAS": AMORE ("CHARITAS") O RICCHEZZA ("CARITAS")?! PER LA CRITICA DELL'ANTROPOLOGIA E DELLA TEOLOGIA MAMMONICA E FARAONICA. E PER L’USCITA DA INTERI MILLENNI DI "PREISTORIA" E DI "LABIRINTO" ...
SIGMUND FREUD E LA LEGGE DELL'"UNO", DEL "PADRE NOSTRO". IL ‘LUPO’ HOBBESIANO, L’ ‘AGNELLO’ CATTOLICO, E “L’UOMO MOSE’ E LA RELIGIONE MONOTEISTICA”. Indicazioni per una rilettura

(...) una bella e soddisfacente conclusione della sua vita: ha dato alla luce una bambina che cammina da sola e sta imparando già a ballare! Con l’aiuto di Edipo ha gettato una grande luce su Mosè e con l’aiuto di Mosè ha gettato una grande luce su Edipo. Con questo doppio movimento, egli ha liberato il cielo (...)


di Federico La Sala

Fino a quando zoppicheremo con i due piedi?” (Elia. 1 Re: 18.21).

"L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità" (I. Kant - definito da Holderlin, il "Mosè della nazione tedesca"). 

                                                                                              
PREMESSA
 
'Giuseppe', i suoi ‘fratelli’, e “l’interpretazione dei sogni” e della realtà
 
A FREUD, GLORIA ETERNA!!!
 
"anche se il futuro riplasmerà o modificherà questo o quel risultato delle sue ricerche, mai più potranno essere messi a tacere gli interrogativi che Sigmund Freud ha posto all’umanità; le sue scoperte scientifiche non si possono né negare, né occultare (...) e se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticabile, questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud" (Thomas Mann)
 
DEUS CLARITAS EST !!! Freud era ‘zoppo’ e ‘cieco’ e lo sapeva (auto-analisi!) e coraggiosamente ha cercato di risolvere il suo (e nostro - di tutti e di tutte) problema edipico, ma tantissimi (e soprattutto i filosofi e i teologi ‘cattolici’ - fideisti o razionalisti, laici e non) lo sono e insegnano che la loro ‘condizione’ è la condizione ‘normale’ di tutti gli esseri umani, e continuano a fare i detrattori del suo “interminato” e “interminabile” lavoro.
 
Non sapendo e negando addirittura la loro (e nostra - di tutti e di tutte) ignoranza su “chi siamo noi, in realtà?”(Nietzsche!), come possono riconoscere o capire “l’interpretazione dei sogni” del giovane ‘Giuseppe’, del giovane Freud?! Come possono “essere giusti con Freud” (J. Derrida)?, con i loro ‘fratelli’ e con le loro ‘sorelle’, se non sanno essere giusti innanzitutto con il loro stesso ‘padre’ in carne e ossa - ‘Giuseppe’ (e con la loro stessa ‘madre’ in carne ed ossa - ‘Maria’)?!
 
Ognuno sputa ‘sentenze’ contro la ‘sua creatura’ - la psicoanalisi, ma nessuno sa quello che fa e quello che dice. Continuano a ripetere il loro ritornello, e non sanno nemmeno ‘ascoltar-si’. Non vogliono né ‘crescere’ né tantomeno abbandonare le loro ‘stampelle’: non solo non hanno letto Kant, ma nemmeno ascoltato Gesù! Anzi, tutti (e tutte) in lotta e, al contempo, tutti (e tutte) uguali tra di loro: ognuno per essere riconosciuto l’unico ‘figlio di Dio’ e prendere il posto del ‘Dio-Padre’, e ognuna per diventare l’unica ‘figlia di Dio’ e prendere il posto della sposa del ‘Dio-Padre’ e madre del ‘Dio-Figlio’ !!!
 
Come in terra così in cielo (e viceversa): ciò che a e per loro importa è mantenere o prendere il ‘potere’ e difendere la ‘proprietà’, perciò non sanno né vogliono “aprire gli occhi” (Freud), saper amare il ‘padre’ e la ‘madre’ - ‘Maria’ e ’Giuseppe’, e “camminare eretti”(E. Bloch, Karl Marx). Per loro è “naturale” e “divino”: la donna è “simile” all’ uomo, Mosè è uguale al Faraone, Gesù è uguale ad Edipo, e Dio è uguale a Mammona!!! E, così, continuano ostinatamente a vivere “con una sola gamba” (Bonhoeffer) e a “sputare contro il vento” (Nietzsche) - a 150 anni dalla nascita di Freud, e a duemila e più anni dalla diffusione della “buona notizia”!!! (10.02.2006)
 
 
INTRODUZIONE
 
VIAGGIO DI “LAIO”, DEL “SANTO PADRE” A MALTA SULLE ORME DI   PAOLO DI TARSO: 2010 d. C. “A Malta, al momento di pregare per il Papa, sull’altare è salita una bambina di nove anni, sembrava una rappresentazione concreta del concetto cristiano di “angelo”. Ha pregato, a nome di tutti, perché Benedetto XVI «continui ad ascoltare la Parola di Dio con devozione, a meditarla in santità e a testimoniarla con coraggio». Un Papa, una bambina e una preghiera sincera: per immaginare un futuro diverso, basta e avanza”. Così, don Filippo Di Giacomo chiude il suo articolo: La congiura del silenzio. La vicenda dei preti pedofili sta portando alla luce le coperture messe in atto da alti personaggi della Chiesa. E in Vaticano parte lo scaricabarile (l’Unità, 21.04.2010).
 
Nel baratro dell’inferno che si è spalancato davanti a tutta la gerarchia vaticana sulla vicenda dei pastori che mangiano le pecore e gli agnelli, si può ben capire il suo entusiamo di fronte a questa “patetica” scena del “Pastore” della Chiesa cattolica (“universale”!),  mediaticamente composta e volta a tranquillizzare gli animi  dei “fedeli”! Ma di fronte a una Istituzione come la Chiesa cattolico-romana, la sua dichiarazione è senza futuro: è “l’avvenire di una illusione” (Sigmund Freud, 1927).
 
Se non ci si interroga su “il disagio della civiltà” (Sigmund Freud, 1929), e su “Perché la guerra?” (Sigmund Freud - Albert Einstein, 1932), che cosa vogliamo capire di Mosè, di Gesù, di san Paolo, di Hitler, di Pio XII, e di Benedetto XVI e del cattolicesimo romano, e di noi stessi e di noi stesse?! Freud aveva ben capito che il contenuto principale del cristianesimo "fu sì la riconciliazione con Dio Padre, l’espiazione del delitto commesso contro di lui, ma l’altro lato della relazione emotiva compariva nel fatto che il figlio, che aveva preso su di sé l’espiazione divenne egli stesso dio accanto al padre e propriamente al posto del padre" (L’uomo Mosè e la religione monoteistica). Detto in modo veloce e semplice : Edipo, il papa-re è in Vaticano - ancora,oggi !!! C’è un gran lavoro da fare, un intero mondo da ripensare e da ricostruire - e non nella direzione dei vecchi e nuovi “sacerdoti di Ammone”!!! 
 
  
I. “L’UOMO MOSE’ E LA RELIGIONE MONOTEISTICA”.
 
VIAGGIO DI FREUD A LONDRA, 1938. Arrivato a Londra, trovata “la più amichevole accoglienza”, tira “un sospiro di sollievo”: “posso nuovamente parlare e scrivere – quasi dicevo: pensare – come voglio e devo”. E si decide: osa   portare “davanti al pubblico l’ultima parte “ del suo lavoro, “L’uomo Mosè e la religione monoteista”.  Nel pubblicare l’opera completa (nei suoi tre saggi), nella seconda avvertenza (giugno 1938), Sigmund Freud, sebbene si senta “insicuro” di fronte al suo stesso lavoro, alla fine scrive: “Al mio spirito critico questo lavoro [...] pare una ballerina che cerca di tenersi in equilibrio sulla punta di un solo piede [...] Comunque sia, il dado è tratto” (S. Freud, Opere 11, Bollati Boringhieri, Torino 1992, pp. 381-382). Il Rubicone è stato oltrepassato, in direzione opposta e in modo ben diverso da quello di Cesare (Roma)!
 
Ciò di cui Freud si rende conto ora – “nella bella, libera, magnanima Inghilterra” - e ancor meglio e di più, è che la strada dell’interpretazione dei sogni (1900) è una strada che porta (e lo ha portato) lontano e che, con l’aiuto della scoperta dell’edipo e della comprensione dell’”edipo completo”, è possibile comprendere cosa ci sia dietro ogni “Totem e Tabù”(Sigmund Freud, 1912), ricomprendere meglio il nucleo di verità storica e l’eredità della religione monoteista (e delle tre religioni monoteistiche) e incamminarsi sulla strada di un futuro nuovo per tutta l’umanità. Questa la stella fissa di tutto il suo cammino, non dimentichiamola e non dimentichiamolo.
 
Nel 1902, in una lettera del 28 settembre, Freud scrive a Theodor Herzl (l’autore di Lo Stato ebraico, 1896), per chiedergli una recensione del suo lavoro. Egli dice "di avere chiesto all’editore di mandargli una copia dell’Interpretazione dei sogni" e aggiunge, chiarendo il senso del suo invio - e del suo stesso lavoro: “La prego di conservare la copia come testimonianza dell’alta stima in cui ormai da anni, così come molti altri, tengo lo scrittore e il combattente per i diritti umani del nostro popolo” (cfr.: Yosef H. Yerushalmi, Il Mosè di Freud, Einaudi 1996, pp. 18-19)! 
 
Sulla questione del sionismo, Freud è stato sempre fermo e chiaro. Il 26.02.1930, al dottor Chaim Koffler, che lo sollecitava a un intervento a favore, egli risponde con tutta la sua sincerità e  tutta la sua determinazione:
 
 "Non posso fare ciò che mi chiede. Non riesco a superare l’avversione per l’idea di imporre al pubblico il mio nome; neppure l’attuale momento critico mi sembra motivo sufficiente per farlo. Chiunque voglia influenzare le masse deve dar loro qualcosa di eccitante: la mia opinione moderata sul sionismo non consente nulla di simile. Approvo sicuramente i suoi scopi, sono fiero della nostra università di Gerusalemme, mi fa immenso piacere la prosperità del nostro insediamento. D’altro canto, però,  non penso che la Palestina possa mai diventare uno stato ebraico, né che il mondo cristiano e il mondo islamico sarebbero disposti a vedere i loro luoghi sacri in mano agli ebrei. A mio avviso sarebbe stato più sensato fondare una patria ebrea in una terra con meno gravami storici. So però che questa opinione razionale non avrebbe mai suscitato l’entusiasmo delle masse né ottenuto l’appoggio finanziario dei ricchi. Devo tristemente riconoscere che l’infondato fanatismo della nostra gente è in parte colpevole di aver suscitato la diffidenza araba. Non provo alcuna simpatia per una religiosità mal diretta che trasforma un pezzo di mura erodiane in cimelio nazionale, offendendo così i sentimenti della gente del luogo. Giudichi dunque lei se, avendo opinioni così critiche, io sia la persona giusta per farsi avanti e confortare un popolo deluso da speranze ingiustificate" (Yosef H. Yerushalmi, op. cit., pp. 19-20).
  
 
 PSICOANALISI, DIRITTI UMANI, EBRAISMO. Da sempre sottovalutato, questo di Freud è un nodo e un punto di vista complessocarico di passato, di futuro, e di teoria
 
Nel 1918, in uno scambio epistolare amichevole e scherzoso con Oskar Pfister, ecclesiastico svizzero che faceva anche lo psicoanalista, suo amico e seguace (cfr.: Yerushalmi, op. cit., p. 13), Freud  scrive: “Detto per inciso, perché fra tanti uomini pii nessuno ha creato la psicoanalisi, perché si è dovuto aspettare che fosse un ebreo affatto ateo?”.  E Pfister, senza scomporsi, risponde: “Ebbene, perché pietà non vuol ancora dire genio scopritore (…) E poi, in primo luogo, lei non è ebreo, cosa che mi spiace assai data la mia immensa ammirazione per Amos, Isaia, Geremia, il poeta di Giobbe e dell’Ecclesiastico, e in secondo luogo non è ateo, perché chi vive per la verità vive in Dio”. E, sicuro che Freud non equivocherà, Pfister sempre scherzosamente risponde: “Non c’è mai stato miglior cristiano”, citandogli testualmente una frase dall’opera di Lessing, “Nathan il saggio” (1769), dalla favola dei tre anelli (vale a dire, della riflessione sul rapporto tra le religioni abramiche: ebraismo, cristianesimo, e islamismo). Da ricordare: il nome della madre di Freud era Amalia, e il cognome Nathanson: morì nel 1930.
 
Nella Motivazione del "Premio Goethe" conferitogli il 28 agosto 1930, in un passaggio, così è detto: "Sigmund Freud ha posto le basi per una rinnovata collaborazione tra le discipline scientifiche e per una migliore comprensione tra i popoli" (S. Freud, Opere 11, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 5). E, dentro questa scia, nel 1931, è interpellato e sollecitato a partecipare a un dibattito epistolare promosso dall’”Istituto internazionale per la cooperazione intellettuale”, per conto della Società delle Nazioni Nell’estate del 1932, Einstein scrive a Freud e Freud replica alle sue argomentazioni (come aveva già espressamente richiesto e precisato) adottando “il punto di vista psicoanalitico” (S. Freud, op. cit., p. 287). Nasce così, “Perché la guerra?”.  Nel 1933, il carteggio viene pubblicato a Parigi, in opuscoli in lingua tedesca, inglese e francese, col titolo rispettivamente: Warum Krieg?, Why War? e Pourquoi la guerre?, e inizia il suo viaggio. In Germania, dove le opere di Freud erano già state messe al bando,  la circolazione dell’opuscolo fu vietata. 
 
LA GUERRA, LA PACE, E IL PROBLEMA DELL’ “UNO”. Freud, nel chiudere la sua lettera di risposta a Einstein,  scrive: “Le chiedo scusa se le mie osservazioni L’hanno delusa” (S. Freud, op. cit. p. 303).  Freud è “triste”.  Di che cosa, Freud chiede scusa – prima di tutto a se stesso? Non è affatto contento della risposta che ha dato.  Ha risposto secondo il punto di vista dell’ateo (materialistico e biologistico), ma ha ‘dimenticato’ (e negato) il punto di vista dell’ebreo (diritti umani). Il discorso su quale strada “condusse dalla violenza al diritto” (cit., 294) gli appare evidentemente e consapevolmente “zoppo” e “cieco”, ancora costretto nelle maglie edipiche. Troppo hobbesiano (“Homo homini lupus”) da una parte e troppo platonico (idealistico e utopistico) dall’altro,  esso non fa altro riproporre il sogno e l’utopia della tradizionale “dittatura della ragione” ('cattolico'-hegeliana): “L’ideale – egli scrive – sarebbe naturalmente una comunità umana che avesse assoggettato la sua vita pulsionale alla dittatura della ragione. Nient’altro potrebbe produrre un’unione altrettanto perfetta e tenace, capace di resistere perfino alla rinunzia di vicendevoli legami emotivi. Ma, con ogni probabilità, questa è una speranza utopistica. Le altre vie per impedire indirettamente la guerra sono certo più praticabili, ma non danno garanzie di un rapido successo. E’ triste pensare a mulini che macinano talmente adagio che la gente muore di fame prima di ricevere la farina” (S. Freud, op. cit., p. 301).
 
 
UNA COINCIDENZA E UNA SOMIGLIANZA PERTURBANTE. Ma Freud è Freud. E “il combattente Sigmund Freud” (Motivazione del “Premio Goethe”, cit., p. 5)  non si arrende.  Continua a cercare la via per uscire dall’inferno e dalla guerra, e ripensa al lavoro e al percorso fatto. Ora – nel 1932, ritorna ancora sull’opera dell’ingegnere, filantropo, e scrittore Josef Popper-Lynkeus (1838-1921), in particolare sulle “Fantasie di un realista”, libro pubblicato a Vienna nel 1899, contemporaneamente a L’interpretazione dei sogni! Freud vi aveva già riflettuto nel 1909 e nel 1923, ma ora – nel decimo anniversario della sua morte  e in coincidenza con la riflessione sul “Perché la guerra?” -  vi torna di nuovo su e scrive il breve testo, “I miei rapporti con Josef Popper-Lynkeus”. L’esposizione è felice, limpida. Freud riannoda in modo brillante le sue idee e sembra aver ritrovato pace, serenità …  per proseguire la sua opera e la sua  interpretazione dei sogni. la sua  auto-analisi.
 
Nel libro di Popper-Lynkeus, uno dei racconti in esso contenuti, “Traumen wie Wachen” (“Sogno come veglia”)  aveva toccato il “più vivo interesse” di Freud,  perché vi è descritto un uomo, un personaggio che vive consapevolmente e in modo non conflittuale (senza rimozione e deformazione onirica) il rapporto sogno-veglia: “Io sono uno e indiviso, gli altri sono divisi e le due parti in cui si dividono – il vegliare e il dormire – sono fra loro quasi perennemente in guerra”.
 
Freud interpreta tale ‘particolarità’, come caratteristica della personalità dello stesso Popper-Lynkeus: “All’uomo che non sognava diversamente da come pensava quand’era sveglio, Popper aveva attribuito la medesima interiore armonia che egli, in quanto riformatore sociale, sperava di infondere nello Stato. E se la scienza ci diceva che un tale uomo alieno da qualsiasi nequizia e falsità non s’era mai visto, né comunque avrebbe potuto sopravvivere, si poteva tuttavia arguire che un’eventuale approssimazione a tale ideale Popper l’aveva trovato in sé stesso” (op. cit., pp.313-314).    
 
La ‘sfida’ - sia sul piano teorico sia personale - è grande, ma Freud ‘preferisce’ non raccoglierla. Alla fine scrive:  “Colpito profondamente dalla coincidenza fra il mio sapere e il suo cominciai a leggere tutti i suoi scritti (….)  finché l’immagine di questo uomo semplice e grande, che fu un pensatore e un critico, ma al tempo stesso un uomo affabile e cordiale, e un riformatore, si delineo chiaramente davanti a me. Meditai a lungo sui diritti dell’uomo per i quali egli si era battuto, e di cui volentieri mi sarei fatto paladino anch’io, né mi lasciai distogliere dal pensiero che l’organizzazione della natura da una parte, e le finalità della società umana dall’altra, non giustificavano appieno tali rivendicazioni. Una particolare simpatia mi spingeva verso di lui, perché anch’egli aveva evidentemente provato l’amarezza dell’essere ebrei ed era stato dolorosamente colpito dalla vacuità degli ideali culturali di questa nostra epoca” (op. cit., p. 314).
 
Il nodo edipico stringe sempre di più. Di Josef Popper-Lynkeus,  Freud  ha doppiamente paura, sia perché  lo mette di fronte a se stesso, sia perché  gli indica anche il cammino da fare – come il padre Jakob! Per ora (1932),  ancora una volta  nega, rimuove,   e ammette: “Ma non cercai di conoscerlo (…) Dopo tutto Josef Popper veniva dalla fisica: era stato un amico di Ernst Mach. Non volevo assolutamente che venisse guastata la lieta impressione suscitata dalla coincidenza delle nostre posizioni sul problema della deformazione onirica”. E così, in-credibilmente, mette una pietra tombale sul discorso: “ Continuai dunque a rimandare un incontro con lui, finché fu troppo tardi e mi dovetti accontentare di salutare il suo busto situato nel parco che sta di fronte al nostro palazzo municipale” (op. cit., p. 314). Per Freud sembra negata ogni via d’uscita: il complesso edipico gli appare insuperabile.  Nella suafantasia di un realista” e, nel suo mondo di “sogno come veglia”, tra il padre e  il figlio la guerra continua ad apparire  interminabile e ineliminabile - e la morte (come insegna la fisica di Mach e di Popper) è più forte della vita e dell’amore. L’ateo vince sull’ebreo – il figlio uccide il padre e si consegna allo stesso destino del  padre ...    
 
1933: L’ORA DELLA DECISIONE PER HEIDEGGER.
 
 A fine gennaio del 1933, Adolf Hitler giunge al potere. Nello stesso anno, Martin Heidegger diventa rettore dell’Università di Friburgo ed esprime pieno ed inequivocabile appoggio al regime nazista, con il suo famoso discorso su “L’autoaffermazione dell’università tedesca”. Per Heidegger non c’è alcun dubbio che Hitler sia il Messia del popolo tedesco, come ripeterà   in uno  scritto sul giornale degli studenti dell’Università,  il 3 novembre del 1933: “Il Fuhrer stesso e lui soltanto è la realtà tedesca e la sua legge, oggi e da oggi in poi. Rendetevene conto sempre di più: da ora ogni cosa richiede decisione, e ogni azione responsabilità”. La notte scende sulla Germania, e su tutta l’Europa: in un’intervista del 1966, Heidegger,  pur mai pentendosi dei suoi trascorsi nazionalsocialisti, dichiarerà che “Solo un Dio ci può salvare”.   
 
1933: L’ORA DEL PERICOLO PER FREUD. IL CAPPELLO NEL FANGO E LA RIPETIZIONE COME RIPRESA 
 
Così, una volta, [mio padre]  mi fece questo racconto per dimostrarmi quanto migliore del suo fosse il tempo in cui ero venuto al mondo io. “ Quand’ero giovanotto – mi disse- un sabato andai a passeggio per le vie del paese dove sei nato. Ero ben visto, e avevo in testa un berretto di pelliccia, nuovo. Passa un cristiano e con un colpo mi butta il berretto nel fango urlando: “Giù dal marciapiede, ebreo!” “E tu cosa facesti?- domandai io. “Andai in mezzo la via e raccolsi il berretto”, fu la sua pacata risposta. Ciò non mi sembrò eroico da parte di quell’uomo grande e robusto che mi teneva per mano” (S. Freud, L’interpretazione dei sogni)..
 
VIENNA, BERGGASSE 19. Nel 1933, il padre di una paziente italiana, amico di Mussolini, chiede a Freud un libro da offrire al Duce. Per i tempi che corrono, la richiesta è ‘oscena’: Freud è sollecitato a ‘scappellarsi’ di fronte al Duce! E’ in trappola, sia in quanto ebreo sia in quanto ateo. Che fare?!  Da ateo non ci sarebbe nessun problema: si tratterebbe di fare un omaggio al Lupo, al figlio della Lupa (Roma), e di gridare – come e con i tutti i fratelli della ‘eterna’ tradizione faraonica e hobbesiana – “Viva il Lupo”! Da ebreo e semita (si cfr. L’interpretazione dei sogni, a proposito di Annibale Barca) togliersi il cappello e  mettere la testa nella bocca del Lupo, sarebbe peggio del berretto gettato nel fango (come nel racconto dell’esperienza del padre, riportata nella Interpretazione dei sogni) - un' ultima e definitiva umiliazione: Freud ha 77 anni ed è malato di tumore alla mascella da tempo.
 
Una risposta di fuoco! Con calma, Freud prende il libretto di Perché la guerra?, da poco uscito,e glielo dà, con la dedica: “Da parte di un vecchio che saluta nel Legislatore l’Eroe della cultura”. Una risposta e due messaggi: uno a Mussolini e uno a Mosè!!! Nello stesso tempo ha reso l’ultimo omaggio al Lupo e  finalmente al Legislatore e al Liberatore di tutto il suo popolo.
 
La comunicazione non oppositiva con l’amato padre Jakob e con Mosè è stata ristabilita!  Freud si è svegliato dal sonno dogmatico e, in modo brillantissimo, ha vinto la paura della morte, non ha offeso il Lupo, il Duce di Roma (che forse – insieme alla diplomazia americana e inglese – diede un contributo alla liberazione di Freud dalle mani della Gestapo nel 1938),  ha salvato se stesso,  e “la capra e i cavoli”. Non è che l’inizio – un nuovo inizio!
 
Non tutto è chiaro ovviamente, ma Freud riprende coraggiosamente  il discorso già fatto su quale sia la strada che “condusse dalla violenza al diritto” (da Totem e tabù a Perché la guerra?)  e comincia a lavorare (1934) su “L’uomo Mosè e la religione monoteistica”, senza sosta -  non finirà  più se non nel 1938, poco prima di morire, il 23 settembre 1939..
    
 
“Fino a quando zoppicheremo con i due piedi?” (Elia. 1 Re: 18.21). Freud, benché consapevole che il suo lavoro e il suo contributo si portino dietro (ancora non sciolti) elementi della trama edipica, a conclusione della sua vita è contento di quanto ha realizzato, sia per quello che ha fatto nel suo percorso di ricerca sia per quello che è riuscito a dire e a scrivere in L’uomo Mosè e la religione monoteistica.
 
E’ soddisfatto: quest’ultimo lavoro lo ritiene una bella e soddisfacente conclusione della sua vita: ha dato alla luce una bambina che cammina da sola e sta imparando già a ballare! Con l’aiuto di Edipo ha gettato una grande luce su Mosè e con l’aiuto di Mosè ha gettato una grande luce su Edipo. Con questo doppio movimento, egli ha liberato il cielo - e la terra. Detto diversamente: contrariamente a quanto ancora si ripete, anche dopo Auschwitz, con Freud non è più possibile né pensare né confondere l’Uno del Legis-latore Mosé con l’Uno del Sapere e del Potere del Faraone, di Platone, e dei Grandi Sacerdoti delle religioni tradizionali (e, in particolare, dell’ebraismo, del cattolicesimo, e dell’islamismo).   L’Uno di “l’uomo Mosè e della religione monoteistica” non ha niente a che fare con l’Uno dei vari imperialismi e fondamentalismi, atei e devoti!
 
 MEMORIA DELLA LINGUA (E DELLA LEGGE) DELL’ UNO “MOSAICO”. Dei limiti e dei pregi del lavoro di Freud, Albert Einstein (l’ amico, che viene “dalla fisica”)   ha detto e capito forse meglio e di più di molti altri (filosofi, teologi, e psicoanalisti). In modo forte, sottile, e fulminante -  così gli scrisse il 4 maggio 1939: “Ammiro particolarmente il Suo Mosè, come del resto tutti i Suoi scritti, da un punto di vista letterario. Non conosco.alcun contemporaneo che abbia presentato le sue argomentazioni in lingua tedesca  in modo così magistrale” (S. Freud, Opere 11, cit., p. 333). Non poteva ricordare meglio a Freud sia  il “Premio Goethe” e lo stesso Goethe, sia l’amico di Ernst Mach, Josef Popper-Lynkeus, sia la Lingua e la Legge del  Liberatore e Legis-latore Mosè!
   
LONDRA, 20 MARESFIELD GARDENS. Nella sua nuova casa, Sigmund Freud vive i suoi ultimi giorni, con la moglie, Martha Bernays,  e la figlia, Anna Freud  – Martha morirà nel 1951 e Anna nel 1982. Non siamo di fronte ad Edipo e Mosè non gli ha lanciato alcuna maledizione (si cfr. Jakob Hessing, La maledizione del profeta. Tre saggi su Freud, Editrice La Giuntina, Firenze 1991)!   Agli inglesi  preoccupati - come alla Direttrice del “Time and Tide” – che  gli parlano di un  “certo aumento dell’antisemitismo anche” in Inghilterra,  il 16 novembre 1938, alla fine di una breve lettera (S. Freud, op.cit., pp. 656-657), egli scrive: “Le attuali ondate di persecuzioni non dovrebbero suscitare un’ondata di compassione in questo paese?”.
 
VARSAVIA 2008. La risposta di Freud del 1938  non è molto diversa (cum grano salis!) da quella data - nel maggio del 2008 - dall’eroe del ghetto di Varsavia, Marek Edelmann, a Gad Lerner, che gli chiese “il perché dell’ostinazione con cui era rimasto a fare il guardiano delle tombe del suo popolo”: «Perché qualcuno provi dispiacere quando lo guardo negli occhi. Voglio dispiacere a quelli che sono contenti che gli ebrei siano morti in Polonia. Hanno vergogna di guardarmi negli occhi, hanno paura di me. E questo mi fa piacere perché non hanno paura di me, ma della democrazia» (Gad Lerner, Varsavia. Nel ghetto di Edelmann, la Repubblica, 19.04.2010).
 
 
 
LA LEZIONE DI FREUD: NEGARE AL FARAONE LA VITTORIA POSTUMA. Se si vuole, e senza nessuna forzatura, si può ben dire che L’uomo Mosè e la religione monoteistica sia e sia stato di Freud il più prezioso contributo, a pensare meglio la lotta contro l’antisemitismo e contro il nazismo. Nel 1970, Emil Fackenheim istituisce la 614ma norma del canone ebraico: “È fatto divieto agli ebrei di concedere a Hitler vittorie postume” (Emil L. Fackenheim, La presenza di Dio nella storia. Saggio di teologia ebraica, Brescia, Queriniana, 1977, pp. 97-99 e 111-112). Nel 1982 pubblica "TIQQUN. Riparare il mondo. I fondamenti del pensiero ebraico dopo la Shoah" (Medusa, Milano 2010): in questo, in particolare, di Sigmund Freud nemmeno una parola. Questo modo di comportarsi non mi sembra che sia un modo corretto  per "essere giusti con Freud" (Jacques Derrida, 1992), né  una buona premessa per trasformare o riparare il mondo!
 
Federico La Sala (21.04.2010/01.05.2010)

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Sul tema, in rete, si cfr.:

CON KANT E FREUD, OLTRE. Un nuovo paradigma antropologico: la decisiva indicazione di ELVIO FACHINELLI.

L’ILLUMINISMO, OGGI. LIBERARE IL CIELO. Cristianesimo, democrazia e necessità di "una seconda rivoluzione copernicana"

 



Domenica 02 Maggio,2010 Ore: 12:27
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/5/2010 08.11
Titolo:Ma quante sciocchezze scrive il «filosofo» Michel Onfray ...
Onfray: un bigotto anti Freud

di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, 05.05.2010)

Ma quante sciocchezze scrive il «filosofo» Michel Onfray nel suo ultimo saggio su Freud! Se non fosse che Onfray è ben noto per la sua «specialità» scandalismo pruriginoso e distruttivo si potrebbe parlare di un vero e proprio Malleus maleficarum contro la psicoanalisi, di caccia alle streghe.

Ma siamo in tempi di esibizionismo narcisistico e nessuno si scandalizza più di certe scomuniche, specie se vibrate da uno Sgarbi francese come Onfray, tardo epigono dell’antipsicoanalismo transalpino sulla scia del Libro nero della psicoanalisi. Però le bestialità vanno rettificate. Ad esempio ne Il crepuscolo di un idolo. L’affabulazione freudiana (tra poco per Ponte alle Grazie) ci sono affermazioni assurde.

Tipo: Freud nascose il suo debito con Nietzsche. È falso. Freud confessò il suo debito, scrivendo che non voleva leggere troppo Nietzsche, per non restarne influenzato!

Falso che Freud teorizzasse la rinuncia alla sessualità... per sublimarla nella psicoanalisi. Vero è invece che «sublimazione» significa canalizzazione e investimento (parziale) della sessualità in oggetti d’amore o in creatività. Così come è falso che Freud pensasse che «non si guarisce mai» perché non ci si può sottrarre alle «pulsioni». Non si guarisce se si negano e rimuovono le pulsioni.

Falso che Freud appoggiasse i fascismi.Credeva di poter salvare il salvabile agli inizi, e per salvare la psicoanalisi in Italia fa una innocua dedica a Mussolini in Perché la guerra. Grottesca poi l’accusa di aver inventato «l’attenzione intermittente»... per potersi appisolare in seduta. È una cosa che come è noto ha a che fare con l’immedesimazione emotiva col paziente e che richiede un certo fluttuare della mente dell’analista.

Folle infine l’accusa di antisemitismo, sol perché il Mosè di Freud non era ebreo ma egiziano. Era solo un’ipotesi. Ma conta in Mosè e il Monoteismo l’esaltazione del Dio ebraico, vera roccia dell’Autorità e della Civiltà per Freud, un gigante che la puerilità bigotta di certe accuse come quelle di Onfray ci fanno apprezzare ancora di più.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/5/2010 21.10
Titolo:QUANDO IL LUPO DIVENTO' L' "AGNELLO" COSTANTINIANO-CATTOLICO....
La violenza rituale del «melting pot» romano

Un nuovo volume della Fondazione Valla presenta i testi che celebrano la nascita di Roma e le sue mitologie, a cominciare dal ratto delle Sabine

DI ROSITA COPIOLI (Avvenire, 08.05.2010)

Violenza e rapimento, trasgressione e violazione, sono i primi atti compiuti per mutare un ordine e stabilirne uno nuovo. Dopo la fondazione di Roma, Romolo, ispirato dal padre Marte, decide di prendere con la forza le donne che i popoli del Lazio gli negano, perché disprezzano il suo popolo di pastori.Organizza giochi in onore di Posidone, ai quali invita gli abitanti delle città vicine. Il ratto delle donne sabine avviene con l’inganno durante il rito.

La violenza ha uno scopo matrimoniale. I Romani vogliono che sia sancito il loro diritto al connubio e alla fusione dei popoli. Alla guerra che segue, al tradimento di Tarpeia in favore dei Sabini, punito con la morte, subentra la riconciliazione tra i popoli: la vogliono le stesse donne rapite.Dietro lo schema del ratto rituale (affine ai riti di passaggio), diffuso in tutto il mondo, benché più raro in forma collettiva, si celano concezioni del mondo estremamente complesse.

I Romani assimilano Greci, Etruschi, Italici, Orientali, sacralizzano ogni atto e concetto con la stessa concreta mania distintiva degli antichi Vedici. Nei luoghi consacrati della fondazione della «Roma quadrata» a partire dalla metà del IX secolo a.C. e della sua estensione territoriale, ogni costruzione, distruzione, ricostruzione, prevedeva sacrifici, uccisioni rituali, la città dei vivi si sosteneva sui morti, passati violentemente nell’aldilà.

Questo rapporto ctonio, e celeste, per l’osservazione degli astri e del Tempo nel calendario (lunare e di dieci mesi fino ad età regia), indica la struttura che regola uomini e donne sulla terra.

Quando Augusto si instaurò come nuovo Romolo, nella sua domus inglobò la «Roma quadrata» del fondatore, vi restaurò il Lupercale, il «presepe» di Romolo e Remo nel proprio santuario, definì il calendario solare riformato da Cesare. Singolarmente, la cappella palatina di Santa Anastasia di età costantiniana, che si affiancò alla domus , iniziò a celebrare lì il Natale cristiano, il presepe nuovo rispetto all’antico.

E le donne? Le donne sono la terra. Che viene presa e posseduta. Le donne diedero allora i nomi alle curie. Una consolazione, rispetto al principio del ratto? No. L’interpretazione simbolica rispetta la violenza reale. Nemmeno sant’Agostino è immune dall’idea del possesso - legittimo, attraverso la violenza: «il vincitore avrebbe conquistato per diritto di guerra le donne che gli erano state negate ingiustamente; invece le rapì contro ogni diritto di pace e fece una guerra ingiusta contro i loro genitori giustamente sdegnati» ( La città di Dio, II, 17).

Si crede che Roma sia conosciuta. Eppure le infinite denominazioni di Giove, Giunone, Venere, di figure come Conso, Pico, Bona Dea, Acca Larentia, Tacita Muta, Anna Perenna, riti come i Matralia, sono ancora nascosti nelle viscere della città. Penso al ritrovamento straordinario (1999) del deposito di Anna Perenna, che presiedeva all’anno, al cibo, alla magia. Questo libro dimostra fino a che punto sia possibile rivedere la realtà antica di Roma, attraverso l’analisi comparata di fonti mitiche, etnografiche, letterarie, artistiche, epigrafiche, giuridiche, di tutti gli studi storici nel loro complesso, alla luce delle più recenti indagini archeologiche stratigrafiche: condotte fino a raggiungere la terra vergine.

*

A cura di Andrea Carandini

LA LEGGENDA DI ROMA

Dal ratto delle donne al regno di Romolo e Tito Tazio

Fondazione Valla/ Mondadori Pagine 452. Euro 30
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/5/2010 10.52
Titolo:I PASTORI SI MANGIANO LE PECORE?! e' UN FENOMENO RIDOTTO ...
INTERVISTA

Il «pm» vaticano: «Chiesa rigorosa sulla pedofilia»

Monsignor Charles J. Scicluna è il «promotore di giustizia» della Congregazione per la Dottrina della fede.

di Gianni Cardinale (Avvenire, 13 Marzo 2010)

In pratica si tratta del pubblico ministero del tribunale dell’ex sant’Uffizio, che ha il compito di indagare sui cosiddetti delicta graviora i delitti che la Chiesa cattolica considera i più gravi in assoluto: e cioè quelli contro l’Eucaristia, quelli contro la santità del sacramento della penitenza e il delitto contro il sesto comandamento («non commettere atti impuri») di un chierico con un minore di diciotto anni. Delitti che un motu proprio del 2001, Sacramentorum sanctitatis tutela, ha riservato, come competenza, alla Congregazione per la dottrina della fede.

Di fatto è il «promotore di giustizia» ad avere a che fare, tra l’altro, con la terribile questione dei sacerdoti accusati di pedofilia periodicamente alla ribalta sui mass media. E monsignor Scicluna, un maltese affabile e gentile nei modi, ha la fama di adempiere il compito affidatogli con il massimo scrupolo, senza guardare in faccia a nessuno.

Monsignore, lei ha la fama di essere un "duro", eppure la Chiesa cattolica viene sistematicamente accusata di essere accomodante nei confronti dei cosiddetti "preti pedofili".

Può essere che in passato, forse anche per un malinteso senso di difesa del buon nome dell’istituzione, alcuni vescovi, nella prassi, siano stati troppo indulgenti verso questi tristissimi fenomeni. Nella prassi dico, perché sul piano dei principi la condanna per questa tipologia di delitti è stata sempre ferma e inequivocabile. Per rimanere al secolo scorso basta ricordare l’ormai celebre istruzione Crimen Sollicitationis del 1922...

Ma non era del 1962?

No, la prima edizione risale al pontificato di Pio XI. Poi con il beato Giovanni XXIII il Sant’Uffizio ne curò una nuova edizione per i Padri conciliari, ma ne vennero fatte solo duemila copie e non bastarono per la distribuzione che fu rinviata sine die. Si trattava comunque di norme procedurali da seguire nei casi di sollecitazione in confessione e di altri delitti più gravi a sfondo sessuale come l’abuso sessuale di minori ...

Norme che raccomandavano però il segreto...

Una cattiva traduzione in inglese di questo testo ha fatto pensare che la Santa Sede imponesse il segreto per occultare i fatti. Ma non era così. Il segreto istruttorio serviva per proteggere la buona fama di tutte le persone coinvolte, prima di tutto le stesse vittime, e poi i chierici accusati, che hanno diritto - come chiunque - alla presunzione di innocenza fino a prova contraria. Alla Chiesa non piace la giustizia spettacolo. La normativa sugli abusi sessuali non è stata mai intesa come divieto di denuncia alle autorità civili.

Quel documento però viene periodicamente rievocato per accusare l’attuale Pontefice di essere stato - in qualità di prefetto dell’ex Sant’Uffizio - il responsabile oggettivo di una politica di occultamento dei fatti da parte della Santa Sede...

Si tratta di un’accusa falsa e calunniosa. A questo proposito mi permetto di segnalare alcuni fatti. Tra il 1975 e il 1985 mi risulta che nessuna segnalazione di casi di pedofilia da parte di chierici sia arrivata all’attenzione della nostra Congregazione. Comunque dopo la promulgazione del Codice di diritto canonico del 1983 c’è stato un periodo di incertezza sull’elenco dei delicta graviora riservati alla competenza di questo dicastero. Solo col motu proprio del 2001 il delitto di pedofilia è ritornato alla nostra competenza esclusiva. E da quel momento il cardinale Ratzinger ha mostrato saggezza e fermezza nel gestire questi casi. Di più. Ha mostrato anche grande coraggio nell’affrontare alcuni casi molto difficili e spinosi, sine acceptione personarum (cioé senza riguardi per nessuno ndr). Quindi accusare l’attuale Pontefice di occultamento è, ripeto, falso e calunnioso.

Nel caso che un sacerdote sia accusato di un delictum gravius, cosa succede?

Se l’accusa è verosimile il vescovo ha l’obbligo di investigare sia l’attendibilità della denuncia che l’oggetto stesso della medesima. E se l’esito di questa indagine previa è attendibile non ha più potere di disporre della materia e deve riferire il caso alla nostra Congregazione, dove viene trattato dall’ufficio disciplinare.

Da chi è composto questo ufficio?

Oltre al sottoscritto, che essendo uno dei superiori del dicastero, si occupa anche di altre questioni, c’è un capo ufficio, padre Pedro Miguel Funes Diaz, sette ecclesiastici ed un penalista laico che seguono queste pratiche. Altri officiali della Congregazione prestano il loro prezioso contributo secondo le esigenze di lingua e di competenza.

Questo ufficio è stato accusato di lavorare poco e con lentezza...

Si tratta di rilievi ingiusti. Nel 2003 e 2004 c’è stata una valanga di casi che ha investito le nostre scrivanie. Molti dei quali venivano dagli Stati Uniti e riguardavano il passato. Negli ultimi anni, grazie a Dio, il fenomeno si è di gran lunga ridotto. E quindi adesso cerchiamo di trattare i casi nuovi in tempo reale.

Quanti ne avete trattato finora?

Complessivamente in questi ultimi nove anni (2001-2010) abbiamo valutato le accuse riguardanti circa tremila casi di sacerdoti diocesani e religiosi che si riferiscono a delitti commessi negli ultimi cinquanta anni.

Quindi di tremila casi di preti pedofili?

Non è corretto dire così. Possiamo dire che grosso modo nel 60% di questi casi si tratta più che altro di atti di efebofilia, cioè dovuti ad attrazione sessuale per adolescenti dello stesso sesso, in un altro 30% di rapporti eterosessuali e nel 10% di atti di vera e propria pedofilia, cioè determinati da una attrazione sessuale per bambini impuberi. I casi di preti accusati di pedofilia vera e propria sono quindi circa trecento in nove anni. Si tratta sempre di troppi casi - per carità! - ma bisogna riconoscere che il fenomeno non è così esteso come si vorrebbe far credere.

Tremila quindi gli accusati. Quanti i processati e condannati?

Intanto si può dire che un processo vero e proprio, penale o amministrativo, si è svolto nel 20% dei casi e normalmente è stato celebrato nelle diocesi di provenienza - sempre sotto la nostra supervisione - e solo rarissimamente qui a Roma. Facciamo così anche per una maggiore speditezza dell’iter. Nel 60% dei casi poi, soprattutto a motivo dell’età avanzata degli accusati, non c’è stato processo, ma, nei loro confronti, sono stati emanati dei provvedimenti amministrativi e disciplinari, come l’obbligo a non celebrare Messa coi fedeli, a non confessare, a condurre una vita ritirata e di preghiera. È bene ribadire che in questi casi, tra i quali ce ne sono alcuni particolarmente eclatanti di cui si sono occupati i media, non si tratta di assoluzioni. Certo non c’è stata una condanna formale, ma se si è obbligati al silenzio e alla preghiera qualche motivo ci sarà...

All’appello manca ancora il 20% dei casi...

Diciamo che in un 10% di casi, quelli particolarmente gravi e con prove schiaccianti, il Santo Padre si è assunto la dolorosa responsabilità di autorizzare un decreto di dimissione dallo stato clericale. Un provvedimento gravissimo, preso per via amministrativa, ma inevitabile. Nell’altro 10% dei casi poi, sono stati gli stessi chierici accusati a chiedere la dispensa dagli obblighi derivati dal sacerdozio. Che è stata prontamente accettata. Coinvolti in questi ultimi casi ci sono stati sacerdoti trovati in possesso di materiale pedopornografico e che per questo sono stati condannati dall’autorità civile.

Da dove vengono questi tremila casi?

Soprattutto dagli Stati Uniti che per gli anni 2003-2004 rappresentavano circa l’80% del totale di casi. Per il 2009 la percentuale statunitense è scesa a circa il 25% dei 223 nuovi casi segnalati da tutto il mondo. Negli ultimi anni (2007-2009), infatti, la media annuale dei casi segnalati alla Congregazione dal mondo è stata proprio di 250 casi. Molti paesi segnalano solo uno o due casi. Cresce quindi la diversità ed il numero dei paesi di provenienza dei casi ma il fenomeno è assai ridotto. Bisogna ricordare infatti che il numero complessivo di sacerdoti diocesani e religiosi nel mondo è di 400mila. Questo dato statistico non corrisponde alla percezione che si crea quando questi casi così tristi occupano le prime pagine dei giornali.

E dall’Italia?

Finora il fenomeno non sembra abbia dimensioni drammatiche, anche se ciò che mi preoccupa è una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa nella Penisola. La Conferenza episcopale italiana (Cei) offre un ottimo servizio di consulenza tecnico-giuridica per i vescovi che devono trattare questi casi. Noto con grande soddisfazione un impegno sempre maggiore da parte dei vescovi italiani di fare chiarezza sui casi segnalati loro.

Lei diceva che i processi veri e propri riguardano circa il 20% dei circa tremila casi che avete esaminato negli ultimi nove anni. Sono finiti tutti con la condanna degli accusati?

Molti dei processi ormai celebrati sono finiti con una condanna dell’accusato. Ma non sono mancati quelli dove il sacerdote è stato dichiarato innocente o dove le accuse non sono state ritenute sufficientemente provate. In tutti i casi comunque si fa non solo lo studio sulla colpevolezza o meno del chierico accusato, ma anche il discernimento sull’idoneità dello stesso al ministero pubblico.

Un’accusa ricorrente fatta alle gerarchie ecclesiastiche è quella di non denunciare anche alle autorità civili i reati di pedofilia di cui vengono a conoscenza.

In alcuni Paesi di cultura giuridica anglosassone, ma anche in Francia, i vescovi, se vengono a conoscenza di reati commessi dai propri sacerdoti al di fuori del sigillo sacramentale della confessione, sono obbligati a denunciarli all’autorità giudiziaria. Si tratta di un dovere gravoso perché questi vescovi sono costretti a compiere un gesto paragonabile a quello compiuto da un genitore che denuncia un proprio figlio. Ciononostante, la nostra indicazione in questi casi è di rispettare la legge.

E nei casi in cui i vescovi non hanno questo obbligo per legge?

In questi casi noi non imponiamo ai vescovi di denunciare i propri sacerdoti, ma li incoraggiamo a rivolgersi alle vittime per invitarle a denunciare quei sacerdoti di cui sono state vittime. Inoltre li invitiamo a dare tutta l’assistenza spirituale, ma non solo spirituale, a queste vittime. In un recente caso riguardante un sacerdote condannato da un tribunale civile italiano, è stata proprio questa Congregazione a suggerire ai denunciatori, che si erano rivolti a noi per un processo canonico, di adire anche alle autorità civili nell’interesse delle vittime e per evitare altri reati.

Un’ultima domanda: è prevista la prescrizione per i delicta graviora?

Lei tocca un punto - a mio avviso - dolente. In passato, cioè prima del 1898, quello della prescrizione dell’azione penale era un istituto estraneo al diritto canonico. E per i delitti più gravi solo con il motu proprio del 2001 è stata introdotta una prescrizione di dieci anni. In base a queste norme nei casi di abuso sessuale il decennio incomincia a decorrere dal giorno in cui il minore compie i diciotto anni.

È sufficiente?

La prassi indica che il termine di dieci anni non è adeguato a questo tipo di casi e sarebbe auspicabile un ritorno al sistema precedente dell’imprescrittibilità dei delicta graviora. Il 7 novembre 2002, comunque, il Servo di Dio Venerabile Giovanni Paolo II ha concesso a questo dicastero la facoltà di derogare dalla prescrizione caso per caso su motivata domanda dei singoli vescovi. E la deroga viene normalmente concessa.

Gianni Cardinale

*IL DOCUMENTO

Nel 2001 il motu proprio di Wojtyla

Il motu proprio «Sacramentorum sanctitatis tutela» è stato firmato da Giovanni Paolo II il 30 aprile 2001 e pubblicato nel fascicolo degli Acta Apostolicae Sedis, del 5 novembre successivo. Il documento pontificio dà delle indicazioni «per definire più dettagliatamente sia i delitti più gravi (delicta graviora) commessi contro la morale e nella celebrazione dei sacramenti, per i quali la competenza rimane esclusiva della Congregazione per la dottrina della fede, sia anche le Norme processuali speciali per dichiarare o infliggere le sanzioni canoniche». In pratica si tratta di un motu proprio di promulgazione delle «Norme circa i delitti più gravi riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, distinte in due parti: la prima contiene le Norme sostanziali, e la seconda le Norme processuali».

Norme che sono state annunciate e sintetizzate con una Lettera (Epistula) a tutti i vescovi della Chiesa cattolica «sui delitti più gravi» (de delictis gravioribus) della Congregazione per la dottrina della fede del 18 maggio 2001, firmata dall’allora prefetto cardinale Joseph Ratzinger e dall’allora arcivescovo segretario Tarcisio Bertone.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/5/2010 11.19
Titolo:IL "PADREE NOSTRO", IL "SANTO PADRE", E LO SDOPPIAMENTO PARANOICO ...
Il cardinale attacca Sodano, ma l’obiettivo è il futuro conclave

Le parole di Schönborn si rivolgono al “dopo Ratzinger”

Da Vienna inizia la guerra ai “reazionari” e la difesa dell’azione del Papa contro gli abusi nel clero

di Marco Politi (il Fatto, 11.05.2010)

L’attacco al cardinale Sodano apre il tavolo del futuro Conclave. Con la sua mossa Schönborn pone il problema dell’organizzazione del potere ai vertici della Chiesa e sottolinea l’urgenza di una riforma.

La sortita straordinaria dell’arcivescovo di Vienna non è una rissa tra porporati. Triplice è la sua traiettoria: sostenere l’operazione pulizia di Benedetto XVI, salvaguardare la memoria di Wojtyla, porre le basi per il dopo-Ratzinger. Il cardinale di Vienna Schönborn, sollevando il caso del suo predecessore Groër costretto alle dimissioni per pedofilia, mira in realtà allo scandalo del fondatore dei Legionari di Cristo, Maciel, la cui condotta ignominiosa è stata certificata da un recente documento della Santa Sede.

Mai nella storia della Chiesa si è assistito a un tale cinico, lurido, paranoico sdoppiamento tra la pretesa di porsi come Grande Padre di un movimento per il Regno di Cristo e una pratica di vita immorale con un potere spirituale totalitario usato a fini predatori. Chi tocca i fili di una vicenda del genere, muore.

E le accuse di Schönborn al cardinale Sodano sono implacabili. Se l’ex segretario di Stato viene catalogato fra coloro che hanno impedito l’indagine sui crimini di Maciel, la sua credibilità crolla. In gioco viene messa automaticamente la posizione di Sodano quale decano del Sacro Collegio, cui tocca in caso di Conclave la presidenza delle riunioni preparatorie dei cardinali-elettori. Papa Wojtyla, benché malato di Parkinson, rimase lucido sino alla fine nel tracciare la sua strategia geopolitica. Ma per il resto ha sempre lasciato ai suoi più stretti collaboratori la gestione della macchina curiale, la nomina dei vescovi, gli affari correnti. Sodano - con il segretario papale Dziwisz e lo stesso Ratzinger - rappresentava la cerchia interna degli intimi collaboratori di Wojtyla.

Indicandolo tra gli oppositori delle inchieste volute da Ratzinger, Schönborn solleva una questione cruciale: come è stato informato o disinformato Giovanni Paolo II su Groër, Maciel e altri casi similari? Che tipo di disinformazione gli è stata fornita su altre vicende ecclesiali? Domanda esplosiva. Che rimanda all’uso del potere nelle stanze segrete della Curia. C’è anche un aspetto di allarme attuale.

Sotto la pressione degli eventi, che hanno toccato le sue convinzioni morali, Benedetto XVI è stato costretto negli ultimi mesi ad una perestrojka accelerata all’interno della Chiesa: decapitazioni di vescovi, pubbliche autocritiche, ammissione della necessità di affidare ai tribunali statali i preti colpevoli (in controtendenza alla pratica secolare di mantenere all’interno della propria giurisdizione i casi sporchi), sconfessione delle pratiche secolari di omertà, accettazione di responsabilità dinanzi alle vittime e all’opinione pubblica.

Non tutti nei ranghi ecclesiali sono d’accordo con questa eclatante tolleranza zero. La rivolta clamorosa del cardinale Castrillon Hoyos che a Murcia, in Spagna, poche settimane fa ha esibito tra tonanti applausi una sua lettera del 2001 al vescovo francese Pican, lodato perché non aveva “consegnato” alle autorità statali un prete pedofilo, ha rivelato in modo allarmante questa opposizione sotterranea. Specie perché tra gli entusiasti sostenitor i di Castr illon Hoyos, fattosi forte di un’autorizzazione di papa Wojtyla, c’era anche il cardinale di Curia Antonio Canizares, da poco chiamato a Roma dallo stesso Benedetto XVI per guidare la Congregazione per il Culto. L’intervento pasquale del cardinal Sodano, che ha derubricato a “chiacchiericcio” la documentazione dei mass media sugli abusi del clero, ha aggravato la situazione.

L’intervento del cardinale Schönborn mira a bloccare il sabotaggio anti-Ratzinger. Però con la sua mossa audace il cardinale di Vienna guarda - oltre lo scandalo pedofilia - al futuro della Chiesa. Il porporato, grande elettore di Ratzinger al conclave del 2005, sa che l’elezione di Benedetto XVI è avvenuta in uno “stato di emergenza”. Dinanzi alla necessità di riempire rapidamente il vuoto enorme lasciato dalla scomparsa del carismatico Wojtyla (e in assenza del candidato rifor matore Martini, fuori gioco per malattia) venne scelto Joseph Ratzinger come unica personalità di alto livello intellettuale e spirituale, dotata di prestigio internazionale. Fu portato da una maggioranza moderata e conservatrice, desiderosa di un pontificato “di pausa” e di garanzia dottrinale.

Ma all’interno di questo schieramento esiste un blocco reazionario, supercentralista, ottusamente anti-moderno, che Schönborn con la sua sortita senza precedenti vuole portare alla luce e isolare per impedirgli di pesare sul futuro Conclave. Perché quello che nel pensiero ratzingeriano è pessimistica meditazione di un monaco, che vede l’Europa cristiana desertificata dall’arrivo di nuovi barbari, nella visione del blocco reazionario è soltanto desiderio ossessivo di una rivincita sul moder no.

Schönborn , e con lui molti vescovi nei vari continenti, sono invece convinti che la Chiesa abbia bisogno di riforme e che dopo l’intervallo del pontificato ratzingeriano sia inevitabile sciogliere molti nodi. Nel 2005, per responsabilità di Ratzinger allora decano del Sacro Collegio, fu impedito ai cardinali elettori - nelle settimane antecedenti al Conclave - di discutere apertamente in interviste e riunioni pubbliche l’agenda dei problemi della Chiesa. Come invece era avvenuto nel 1978.

Questa volta Schönborn , e non è il solo, ritiene che vadano affrontate le sfide sul tappeto. A partire dall’organizzazione del potere nella Curia e dalla collaborazione tra papa ed episcopato mondiale. Non a caso, conversando con i giornalisti austriaci, ha definito “urgente” la riforma della Curia, ha evocato “considerazione” per le coppie omosessuali stabili, ha riparlato dei divorziati risposati. Di recente aveva anche proposto un riesame del celibato del clero. Come il cardinale Martini, del resto. La partita è appena iniziata. Sarà di lungo respiro e riserverà colpi di scena.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/5/2010 16.51
Titolo:FREUD E MUSSOLINI. Un episodio inedito ...
Psicoanalisi e fascismo: un episodio inedito

"All’ eroe della cultura Mussolini
Con rispetto, Sigmund Freud"

di Massimo Ammaniti (Corriere della Sera, 03.04.1995)

Nel libro Freud e la ricerca psicologica (a cura di R. Canestrari e P. Ricci Bitti, ed. il Mulino), c’ e’ da segnalare un episodio poco noto raccontato nel capitolo scritto dallo psicoanalista Glauco Carloni, che ripropone, in una luce probabilmente diversa, il rapporto fra psicoanalisi e fascismo. Lo scenario del racconto e’ Vienna, anche se l’ antefatto e la conclusione sono ambientati in Italia. E’ il 1933, a Vienna serpeggia un clima di allarme, perche’ si avverte anche in Austria il pericolo di una svolta autoritaria e antisemita, come da poco e’ successo in Germania con l’ avvento di Hitler. La comunita’ ebraica e’ in allarme, anche se non tutti condividono queste preoccupazioni confidando nell’ intervento della Societa’ delle Nazioni.

Ma torniamo allo scenario viennese. Tre persone provenienti dall’ Italia giungono a un indirizzo divenuto storico, Berggasse 19. E’ un grigio e austero edificio asburgico dove abita con la sua famiglia Sigmund Freud, l’ eminente psicoanalista ebreo. Freud, molto avanti negli anni e consumato da un tumore con cui sta combattendo da tempo, e’ ancora molto attivo, svolge la sua attivita’ clinica e di ricerca e scrive saggi scientifici con cui allarga la conoscenza del mondo psichico. Dei tre uno e’ un quarantenne allievo di Freud di origine triestina, Edoardo Weiss, con cui il maestro intrattiene da tempo un fitto scambio epistolare.

Insieme a lui c’ e’ un personaggio che non ha nulla a che fare con la psicoanalisi, e’ Giovacchino Forzano, uomo di teatro molto legato al regime fascista, che ha scritto addirittura delle opere teatrali in collaborazione con Mussolini. Con loro c’ e’ una giovane donna che e’ la figlia di Forzano. Che cosa fanno tutti e tre davanti al portone dello studio di Freud? La soluzione la possiamo trovare in una lettera che Freud aveva inviato a Weiss il 12 aprile, in risposta a una lettera del suo allievo che faceva riferimento a "una malata isterica grave, figlia di un importante personaggio politico". Weiss aggiungeva che la paziente, nonostante avesse gia’ raggiunto importanti miglioramenti, aveva manifestato reazioni cosi’ negative verso di lui da allarmare il padre, che aveva sollecitato un consulto con Freud.

A questa richiesta Freud rispondeva nella lettera del 12 aprile: "Per quanto riguarda la sua paziente sono pronto a fare qualsiasi cosa per giovare alla cura della signorina. Ma lei sa che questo giovamento ci si puo’ aspettare sempre solo se la paziente stessa desidera ardentemente l’ incontro. Se si lascia solo accompagnare e poi mi tratta come fa con lei, non possiamo che fare del danno". Non sappiamo che cosa si dissero durante il consulto e se soprattutto fu proprio la figlia di Forzano a volere l’ incontro, o se intervenne con insistenza l’ autorevole padre. Quello che sicuramente sappiamo e’ che al termine dell’ incontro Forzano, probabilmente affascinato dall’ autorevolezza del vecchio maestro, gli chiese un suo libro per portarlo a Mussolini con una dedica indirizzata al Capo del Governo Italiano.

Freud prese dalla sua grande libreria un libro che aveva pubblicato l’ anno precedente "Warum Krieg?" (Perche’ la guerra?) e di suo pugno scrisse la dedica, naturalmente in tedesco: "A Benito Mussolini coi rispettosi saluti di un vecchio che nel Governante riconosce l’ eroe della cultura". E’ difficile dare un’ adeguata interpretazione della dedica di Freud cosi’ apertamente encomiastica nei confronti di Mussolini. Weiss ritornando su questo argomento molti anni dopo riferi’ che lui si era sentito "imbarazzatissimo", perche’ sapeva che Freud non l’ avrebbe rifiutata "per amor mio e della Societa’ Psicoanalitica Italiana". Ma la versione di Weiss era di parte, la sua preoccupazione era quella di dimostrare che "Freud non aveva simpatia per Mussolini" e che lui era sempre stato un antifascista.

Quello che rimane e’ la dedica sicuramente calorosa su un libro molto particolare come e’ "Perche’ la guerra?". Il libro, pubblicato proprio nel 1933, e’ un carteggio fra Einstein e Freud sul pericolo della guerra, stampato per conto della Societa’ delle Nazioni, in un momento storico in cui si cominciano ad addensare i pericoli di una nuova guerra mondiale. Probabilmente Freud confermo’ con il suo comportamento le sue teorie sulla contraddittorieta’ della psiche umana. Infatti con la mano destra scriveva una dedica particolarmente positiva, mentre con la sinistra porgeva al dittatore un libro che richiamava i pericoli della violenza e dell’ ostilita’ nei rapporti fra i popoli.

Purtroppo dopo qualche anno anche Freud fu vittima della violenza nazista, quando la Germania invase l’ Austria. Nel 1938, ormai ottantaduenne e allo stremo delle sue forze, dovette assistere alla perquisizione della sua casa da parte della Gestapo e due suoi figli furono arrestati. Il clima di Vienna era diventato irrespirabile e Freud prese la decisione di abbandonare l’ Austria. Ma il suo espatrio fu ostacolato dal nuovo governo nazista e fu necessaria una mobilitazione internazionale di uomini di stato, fra cui Roosevelt, ambasciatori e uomini di cultura per ottenere l’ autorizzazione a partire. E’ qui che in modo inatteso ricompare Forzano.

Forse memore dell’ incontro e forse ancora riconoscente per l’ interessamento di Freud, o forse anche per l’ intervento della figlia, Forzano si decide a scrivere a Mussolini una lettera in cui ne sollecitava l’ intervento: "Raccomando a Vostra Eccellenza un vecchio glorioso di 82 anni che tanta ammirazione ha per l’ Eccellenza Vostra: e’ Freud, ebreo". Ancora una volta ci manca il riscontro se la lettera di Forzano ebbe un esito positivo.

Molti anni dopo Weiss escluse un intervento diretto di Mussolini, mentre Ernst Jones, il biografo ufficiale di Freud, sembrava convinto che Mussolini in persona si fosse dato da fare per salvare il grande maestro viennese. Secondo quest’ ultima versione i rapporti fra psicoanalisi e fascismo verrebbero ad assumere sfaccettature piu’ complesse di quelle che siamo abituati a riconoscere, ulteriore riprova dell’ assunto di Freud che la natura umana e’ profondamente contraddittoria e forse per questo imprevedibile.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/5/2010 22.23
Titolo:TRA FREUD E FASCISMO INCONTRO IMPOSSIBILE ....
Mussolini e la psicoanalisi

Tra Freud e fascismo incontro impossibile

considerazioni sull’ intervento del Duce, rivelato da
Vittorio Mussolini, in difesa di Sigmund Freud, vittima
delle leggi razziali di Hitler: accostare il nome di
Freud a quello di Mussolini e’ improprio, come dimostra
l’esame dei testi del fondatore della psicanalisi

di Giuliano Gramigna (Corriwere della Sera, 11.04.1993)

Niente potrebbe mettere piu’ in imbarazzo che vedere congiunto il nome di Sigmund Freud, inventore della psicoanalisi, a quello di Benito Mussolini. Ieri sul "Corriere della sera", un articolo di Matteo Collura, partendo da dichiarazioni di Vittorio Mussolini e Maurizio Chierici, accennava a un intervento del duce presso Hitler in favore di Freud, caduto sotto la minaccia diretta del nazismo dopo l’ annessione dell’ Austria alla Germania.

Non e’ una rivelazione vera e propria. Gia’ nelle pagine della biografia fondamentale di Ernest Jones, pubblicata in Italia dal Saggiatore, si fa cenno, con qualche cautela, a una de’ marche di Benito Mussolini, "o direttamente con Hitler o tramite il proprio ambasciatore a Vienna", per ottenere che non venisse rifiutato al grande psicoanalista il permesso di uscita dal Paese (come poi avvenne). Quale fonte dell’ informazione, e’ indicato Edoardo Weiss, il primo e il piu’ ardente dei freudiani d’Italia. "Probabilmente" aggiunge Jones "Mussolini si ricordò del complimento rivoltogli da Freud quattro anni prima..".

Nessuno, a quanto pare, e’ in grado di dire se l’intercessione sia stata veramente attuata, e se abbia avuto qualche influenza decisiva. In ogni caso, il 4 giugno 1938, Freud e la famiglia lasciarono finalmente Vienna, per scampare in Inghilterra. Ma vale la pena di guardare un po’ meglio dentro la natura di quel "complimento" che, a detta di Ernest Jones, avrebbe stimolato la vanita’ di Mussolini.

Nel 1933, sempre secondo il racconto della biografia, Weiss condusse a Vienna da Freud "una difficile paziente che aveva in cura: li accompagnava il padre di costei, un amico intimo di Mussolini.." (Giovacchino Forzano, pare). Il padre chiese a Freud di fare dono a Mussolini di uno dei suoi libri, con dedica. Anche per favorire Weiss, Freud consenti’: prese una copia di Perche’ la guerra? e sul frontespizio "alludendo agli scavi archeologici che Mussolini andava incrementando, scrisse: "Da un vecchio che saluta nel legislatore l’ eroe della cultura". Non si commette abuso leggendo infrascritta a quella dedica ufficialmente retorica, una sorta di personalissima ironia, appunto una riserva freudiana. E’ lecito pensare che per Freud non fosse piu’ che un gesto, sostanzialmente insignificante, di cortesia convenzionale . per cosi’ dire al servizio di un amico. Strologarci sopra come espressione spontanea di un feeling ammirativo, sembra andare oltre la lettera.

Viene da pensare a quell’ altra chiosa, questa davvero di umorismo nero, che alcuni anni dopo Freud oppose alla dichiarazione liberatoria estirpatagli dai nazisti prima di lasciarlo partire, in cui diceva di avere avuto il migliore dei trattamenti; chiosa cosi’ concepita: "Posso vivamente raccomandare la Gestapo a chicchessia".

Circa la reale disposizione di Freud nei confronti di ogni dittatura, e in particolare degli stravolgimenti cui mette capo il culto del Grande Uomo Salvatore, basta andare a rileggersi Psicologia delle masse e analisi dell’ io che, anticipatamente (1921), analizza i meccanismi eterni di quella che Gadda chiamera’ , con furore, la "funeraria priapata". In una lettera del 1927, partendo da un riferimento all’ uomo politico francese Clemenceau, Freud ammetteva: "Mi sono accorto con stupore che potrei nutrire una profonda simpatia per questo odiato nemico, e che non mi sarebbe difficile immedesimarmi in lui, cio’ che invece non mi riesce assolutamente per altri despoti, come Lenin e Mussolini...". E’ anche vero che, all’ epoca della dedica famigerata, Freud poteva illudersi che il fascismo, meglio il suo capo, servisse di difesa (anche per il destino della psicoanalisi) contro la minaccia nazista.

Ancora si puo’ pescare in Jones: "Quando Mussolini sali’ al potere, accusarono Freud di non essere ne’ nero, ne’ fascista ne’ socialista; rispose: "Bisognerebbe essere del colore della carne"...". Come la voce della ragione, la voce di Freud, anche in materia politica, puo’ sembrare fioca, "ma non ha pace finche’ non ottiene udienza". Nel secolo, che e’ stato il nostro, la grande figura simbolica di Sigmund Freud, e’ venuta al proscenio mentre cominciavano a scatenarsi altre figure tragiche, efferate, di delirio collettivo. La psicoanalisi poteva andare a scandagliare la radice di quei deliri. Ma che cosa sapeva ascoltare nella sua presunzione sgangherata di porsi come "prassi e pensiero", il fascismo? Ecco perche’ certo accostamento di nomi, piu’ ancora che imbarazzante, finisce per essere incongruo.

In un discorso indirizzato da Freud ai membri dell’ Associazione ebraica B’ nai B’ rit, si puo’ trovare, oltre che una rivendicazione orgogliosa della propria origine, un’ autoidentificazione etica, che ha valore anche politico, nel senso piu’ limpido del termine: "Soltanto alla mia natura di ebreo io dovevo le due qualita’ che mi erano diventate indispensabili nel lungo e difficile cammino della mia esistenza. Poiche’ ero ebreo mi ritrovai immune dai molti pregiudizi che limitavano gli altri nell’ uso del loro intelletto, e in quanto ebreo, fui sempre pronto a passare all’ opposizione e a rinunciare all’ accordo con la "maggioranza compatta".."

Gramigna Giuliano

* Fonte: Archivio storico del Corriere della Sera

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