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www.ildialogo.org CONTRO IL FEMMINICIDIO: «È UNA STRAGE, ORA BASTA!». NECESSARIA UNA RIVOLUZIONE CULTURALE. Ma bisogna fare in fretta. Subito. Note di Daniela Amenta e di Natalia Aspesi - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

PER UN'ANTROPOLOGIA (NON UNA "ANDROPO-LOGIA"!) E TEOLOGIA-POLITICA NUOVA. AL DI LA' DELL’ORDINE SIMBOLICO DI "MAMMASANTISSIMA", AL DI LA’ DELL’"EDIPO", L’ "AMORE CONOSCITIVO"....
CONTRO IL FEMMINICIDIO: «È UNA STRAGE, ORA BASTA!». NECESSARIA UNA RIVOLUZIONE CULTURALE. Ma bisogna fare in fretta. Subito. Note di Daniela Amenta e di Natalia Aspesi - con alcuni appunti

(...) certo che in tanti si aderisce all’appello affinché la strage finisca. Ma la domanda che per ora non ha risposta è: perché questa strage? Perché ancora è così difficile per un uomo, non necessariamente un criminale, sarebbero troppi, accettare la libertà della donna, l’integrità del suo corpo, la sua volontà, le sue scelte? Perché la sua difesa troppo spesso è solo la violenza? Perché? Ma se lo chiedono gli uomini, tutti quanti, anche i più irreprensibili, e generosi, e ahi! innamorati?


a c. di Federico La Sala

ARITMETICA E ANTROPOLOGIA. UNA DOMANDA AI MATEMATICI: COME MAI "UN UOMO PIU’ UNA DONNA HA PRODOTTO, PER SECOLI, UN UOMO?" (Franca Ongaro Basaglia). Non è il caso di ripensare i fondamenti?! 

DONNE, UOMINI, E INGIUSTIZIA EPISTEMICA:«CHANGING THE IDEOLOGY AND CULTURE OF PHILOSOPHY»! La “rabbia” di Sally Haslanger, filosofa del Mit. Una nota di Franca D’Agostini

 
 ALLE RADICI DELLA BELLICOSA POLITICA DEL VATICANO. LA GUERRA NELLA TESTA DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA E L’INDICAZIONE ’DIMENTICATA’ DI GIOVANNI PAOLO II
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RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI: LA SCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE. Sul tema, la prefazione di Fulvio Papi e parte della premesssa del lavoro di Federico La Sala

AL DI LA’ DELL’ "EDIPO", L’ "AMORE CONOSCITIVO". SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI. In memoria di Kurt H. Wolff. (Federico La Sala)

 


-   Contro il femminicidio migliaia di firme
-  «È una strage, ora basta»

-  All’appello delle donne risponde il web compatto. E moltissimi uomini ai quali si chiede di non essere complici della mattanza.
-  Aderiscono, tra gli altri, Camusso, Bersani, Finocchiaro, Saviano e il direttore dell’Unità Sardo

-  di Daniela Amenta (l’Unità, 29.04.2012)

Telefono Rosa. «Il volontariato non può sostenere da solo questa battaglia» I numeri dell’orrore. La violenza maschile in Italia è la prima causa di morte

Cinquantaquattro con Vanessa dall’inizio dell’anno. Una media aberrante, tragica. Un mattatoio. Il mattatoio delle donne in Italia. Cinquantaquattro in quattro mesi. Massacrate, stuprate, violate, uccise. Uccise da uomini che conoscevano. L’Orco difficilmente è lo sconosciuto incontrato per strada o in Rete. E’ in casa l’Orco, il Barbablù, l’assassino. È l’ex che non ci sta, è il fidanzato geloso, è il marito violento.

Sempre lo stesso rituale. Sempre le stesse vittime. Cambiano nomi, luoghi, situazioni, ma le vittime sono sempre le stesse. Hanno gli occhi scuri di Vanessa, 21 anni di Enna, i capelli chiari di Edyta massacrata il giorno di San Valentino a Modena, il sorriso di Stefania ammazzata dal fidanzato che «l’ amava più della sua stessa vita».

Le donne hanno detto basta mille volte, un milione di volte. Sono scese in piazza, hanno trovato la chiave di lettura per il femminismo del terzo millennio grazie alle mobilitazioni di Se non ora quando, alla denuncia di Lorella Zanardo attraverso Il corpo delle donne, alle inchieste, alle manifestazioni. Eppure, eppure sembra non bastare mai. Per questo, dopo la morte assurda di Vanessa, parte un nuovo appello che chiede agli uomini di non essere complici di questa strage, e alle donne di tenere altissima l’attenzione. Serve, in questo nostro Paese, una rivoluzione che rimetta le donne al centro della comunità, restituendo loro rispetto e dignità.

Un appello lanciato da Snoq, Zanardo, Loredana Lipperini e che potete firmare anche sul nostro sito, unita.it. Hanno già aderito in migliaia. Dalla leader Cgil Susanna Camusso al segretario Pd Pier Luigi Bersani che su Twitter scrive: «Si uccidono le donne. Le uccidono i maschi. È ora di dirlo, di vergognarcene, di fare qualcosa per stroncare la barbarie». Migliaia di firme: da Roberto Saviano a Renata Polverini, da Beppe Vacca ad Anna Finocchiaro, da Vendola all’Idv, dal direttore dell’Unità Claudio Sardo al presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, che spiega: «Come uomo penso sia necessario impegnarmi affinché questa violenza persecutoria possa arrestarsi».

Una sequenza di nomi: lo stesso , lo stesso sgomento per commentare il femminicidio. Un neologismo, coniato nel 2009 per la condanna del Messico alla Corte interamericana dei diritti umani dopo morte di 500 donne e la scomparsa di altrettante a Ciudad Juarez. Dallo scorso otto marzo questa parola lugubre e drammatica è stata usata anche per il nostro Paese da Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne. «È la prima causa di morte in Italia perledonnetrai16ei44anni».Il femminicidio indica «ogni forma di discriminazione e violenza rivolta contro la donna in quanto donna». Psicologica, sociale, fisica, fino alla morte: una violenza continua che in Italia continua a mietere vittime per «fattori culturali», quando si considera la donna come un oggetto di proprietà e chiunque «padre, marito e figli» decidono della sua vita. «Con dati statistici che vanno dal 70% all’87% la violenza domestica risulta essere la forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne italiane» ha detto Rashida Manjoo.

E intanto le donne continuano a morire. Solo il 10% ha la forza di denunciare molestie e abusi. Perché non è facile sfuggire allo stalking, alla violenza. Anzi, diventa un calvario se si hanno figli. Esistono, è vero, residenze protette ma sono poche, gestite con un residuo di fondi. Una piaga mostruosa lasciata in mano al volontariato, soprattutto. Per questo Maria Gabriella Moscatelli presidente di Telefono Rosa, la storica associazione contro la violenza sulle donne, ha scritto al premier «Chiediamo al governo di farsi carico di questa situazione intollerabile. Servono risorse economiche e una Commissione straordinaria per fronteggiare questa tragedia. Sono queste le due condizioni senza le quali nessuna azione può realmente portare a dei risultati». Per la presidente «è evidente che strumenti, risorse e azioni al momento in atto non siano sufficienti». Fondi, certo. E leggi. E impegno. Perché le donne non siano lasciate sole. Soprattutto serve una rivoluzione culturale. Ma bisogna fare in fretta. Subito.


I maschi padroni delle nostre vite

di Natalia Aspesi (la Repubblica, 29.04.2012)

E va bene, aderiamo all’appello; e poi? Siamo d’accordo, lo sono tutti, chissà, anche quell’uomo sconosciuto e adesso certo del suo equilibrio che magari tra mesi o anni strangolerà furibondo una moglie disubbidiente e in fuga. Ascoltate le donne di "Se non ora quando".

E su Twitter una valanga di femmine e maschi, il femminicidio riguarda la politica, è la politica che deve intervenire. Per impedire che in Italia le donne continuino a crepare per il solo fatto di essere donne: nel 2006 gli uomini ne hanno uccise 101, nel 2007 107, nel 2008 112, nel 2009 119, nel 2010 120, nel 2011 137; e nel 2012 le donne ammazzate sono già 54. Ammazzate soprattutto da mariti o ex mariti, da conviventi o ex conviventi, da innamorati respinti: il 70 % delle assassinate erano italiane, il 76 % degli assassini sono italiani.

Ma quanti articoli arrabbiati abbiamo scritto, quanti appelli sdegnati abbiamo firmato, ad ogni efferata, cieca, mortale vendetta di un uomo che ammazza la sua donna "per troppo amore", negli ultimi decenni? Quante volte il cronista, preso dall’idea che la passione giustifica tutto, ammanta le coltellate, le randellate, come sì certo era meglio che no, ma si sa, un uomo innamorato poverino, si acceca e chissà quanto era stato provocato. E giù il passato della morta, a scovarne, storie e possibili deviazioni, in più, meticolosa descrizione del povero cadavere, possibilmente con foto dei poveri resti.

C’è una misteriosa, segreta abitudine italiana di considerare le donne come gran brave persone certo, con gli stessi diritti certo, ma diverse, nel senso di un po’ ambigue, e sempre un po’ colpevoli: dall’aver lasciato scuocere la pasta a volersene andare, sfuggendo, meglio tentando di sfuggire a un ordine, a una consuetudine, a una sudditanza, in qualche modo disubbidendo a un uomo che, proprio perché sempre più fragile e insicuro, spaventato da quella persona che lo giudica e gli si oppone o addirittura non ne vuole più sapere, sente il bisogno di prevaricare, di essere riconosciuto come maschio, quindi come padrone.

Guai a dirlo, ma è così: del resto il famoso delitto d’onore, pare impossibile, è stato cancellato dalla nostra legislazione solo nel 1981. E la legge che condannava alla galera la traditrice (ma non il traditore), è stata abrogata del tutto nel 1969.

Quando, alla fine degli anni ’60, cominciarono i processi per stupro, perché finalmente le ragazze superando la vergogna personale e il disprezzo popolare, osavano denunciare il loro stupratore, bisognava sentire gli avvocati in difesa del ragazzone stupratore, come infierivano sulla "colpevole", chiedendo conto del passato della sua verginità, e che mutande portava, e perché non si era comportata come Maria Goretti, per non parlare delle mamme dei maschi "vittime" di quella sporcacciona, a lacrimare, a raccontarne l’indole pia e innocente.

Certo il paese è cambiato, la giustizia pure, ma gli uomini e la loro idea di potere legata al sesso, meno: in guerra lo stupro di massa fa parte del conflitto, in pace la donna continua ad essere una preda: la ventenne rapita e torturata da omacci l’altra sera a Voghera, gli episodi milanesi di una madre violentata in un parco in pieno giorno, di ragazze palpeggiate in metropolitana, continuano la storia del corpo della donna disponibile al desiderio di qualunque maschio, come un oggetto tra l’altro senza valore, usabile, deteriorabile.

Anche qui, siamo nella tradizione: da ragazze, noi vecchiette di oggi, sapevamo che in tram saremmo state palpate, pizzicate, che una mano, ed altro, si sarebbero appiccicati al nostro sedere. Si diventava rosse e si stava zitte, e ci si rassegnava all’odiosa imposizione. E quando adolescenti tornando in pieno giorno da scuola, c’era sempre in un angolo un signore con la patta aperta, tanto così per mostrare con orgoglio le sue virtù virili? Anche lì zitte, come se in qualche modo fosse colpa nostra.

Sono storie lontane, ormai ridicole, e fortunatamente oggi una palpata non richiesta viene denunciata, suscita l’indignazione di massa e uno stupratore rischia anni e anni di galera. A beccarlo naturalmente. Perché ciò che indigna di più della violenza misogina, e ovviamente ancor più della vita strappata a tante donne, è che troppo spesso non si trova il colpevole: il fidanzato? Forse. Il compagno? Potrebbe essere. L’ex marito? Chissà. Ci sono ammazzamenti di donne che rendono furibonda la televisione che mette in piedi a ogni ora dibattiti infuocati, presente anche il sospettato autore del delitto. Poi ci si stufa e non se ne parla più, né interessa sapere se poi il delinquente è stato trovato o se invece si è condannato un innocente.

Ai processi qualche volta ci si arriva, ma poi, come nel "delitto di via Poma", la condanna era ingiusta, il condannato innocente viene giustamente liberato, e intanto, ancora una volta resta impunito l’omicidio di una povera giovane bella ragazza di cui a fatica ormai ci ricordiamo il nome. Le donne ammazzate, diventando una notizia troppo frequente, finiscono col meritarsi ormai poche righe frettolose, oppure ne scrivono solo i giornali di provincia, a meno che la storia sia particolarmente efferata o se appunto qualcuno, donne, si stufa e si ribella. E propone un appello: certo che in tanti si aderisce all’appello affinché la strage finisca. Ma la domanda che per ora non ha risposta è: perché questa strage? Perché ancora è così difficile per un uomo, non necessariamente un criminale, sarebbero troppi, accettare la libertà della donna, l’integrità del suo corpo, la sua volontà, le sue scelte? Perché la sua difesa troppo spesso è solo la violenza? Perché? Ma se lo chiedono gli uomini, tutti quanti, anche i più irreprensibili, e generosi, e ahi! innamorati?



Domenica 29 Aprile,2012 Ore: 12:56
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/4/2012 13.53
Titolo:Le religioni dovrebbero andare in analisi ....
8 marzo 2012, ancora streghe



di Giancarla Codrignani (Adista - Segni Nuovi, - n. 10, 10 marzo 2012)

A Bologna, un islamico osservante ha sentito «impuro» il proprio rapporto con una donna cristianoortodossa e ha tentato di decapitarla «come Abramo fece con Isacco» (la donna, un’u-craina di 45 anni, se la scampa, rischia di ritrovarsi paraplegica).

Non è solo un caso di fondamentalismo maniacale. In questi giorni, si apre a Palmi un processo di stupro che testimonia il persistere italico della maledizione di Eva: a San Martino di Taurianova una bambina di 12 anni (che oggi ne ha 24 e vive sotto protezione perché alcuni dei persecutori che ha denunciato erano mafiosi) per anni è stata considerata da tutto il paese la colpevole degli stupri di gruppo, delle violenze e dei ricatti subiti e anche il parroco a cui aveva tentato di confidarsi giudicava peccatrice una dodicenne violata che solo la penitenza poteva redimere.

Sembra incredibile, ma nella santità delle religioni albergano tabù ancestrali che gli studi antropologici e le secolarizzazioni non sono riusciti a eliminare. Sono i tabù peggiori perché responsabili dei pregiudizi sessuofobici e misogini che, sacralizzati, hanno prodotto, nel nome di dio, discriminazioni e violenze.

Nel terzo millennio le religioni dovrebbero andare in analisi e domandarsi quanto la sessuofobia e la misoginia insidino nel profondo la loro possibilità di futuro. Il concetto di “purezza” che ha represso, nell’ipocrisia mercantile e proprietaria dei valori familiari, milioni di ragazze non è nato certo dalla scelta delle donne. Alla Lucy delle origini, mestruata e responsabile della riproduzione, non sarebbe mai venuto in mente di sentirsi sporca o colpevole. Forse percepiva già come colpa, certo non sua, la violenza che connotava la bassa qualità di molte prestazioni maschili. Tanto meno, quando si fosse inventato il diritto, avrebbe distinto i “suoi” figli in legittimi o illegittimi.

Eppure si continua a credere che la mestruata faccia ingiallire le foglie e inacidire il latte; in Africa, in “quei giorni”, è confinata in capanne speciali per non contaminare le case; a Roma Paolo la voleva velata e zittita, mentre i papi, forse senza sapere perché, le hanno vietato di consacrare. Siamo ancora qui, a fare conti sul puro e l’impuro e a ripetere il capro espiatorio nel corpo di qualche altro Isacco per volere di qualche Abramo che credeva di interpretare Dio, di qualche altra Ifigenia proprietà di Agamennone padrone della sua morte.

Noi donne non siamo certo migliori degli uomini, ma nelle società maschili permangono residui di paure che neppure Darwin ha fatto sparire. I responsabili delle religioni che intendono salvare la fede per le generazioni future debbono purificarle dalle ombre del sacro antropologico: il papa cattolico deve non condannare, bensì accogliere come servizio di verità nelle scuole un’educazione sessuale che dia valore all’affettività non solo biologica delle relazioni fra i generi e al rispetto delle diverse tendenze sessuali; l’islam che fa imparare a memoria fin da piccoli le sure del Corano, si deve rendere conto che i tabù violenti producono strani effetti se un uomo si sente un dio punitore davanti a donne-Isacco; i rabbini dovrebbero fare i conti con Levi Strauss e smettere di chiedere autobus separati per genere e di insultare le bambine non velate; in Cina e in India non si deve perpetuare l’insignificanza femminile trasferendo gli infanticidi delle neonate alla “scelta” ecografica, mortale solo per le bimbe. Sono tutte scelte di morte. Per ragioni di genere.

Ma, se la responsabilità delle religioni monoteiste è particolarmente grave per l’immagine anche non raffigurata di una divinità di fatto maschile, più precisa è quella dei cristiani. Si è detto infinite volte: perché il nostro clero, ancora così pronto a chiedere cerimonie riparatrici per spettacoli che non ha visto, non pensa ad evangelizzare i maschi invece di sospettare costantemente peccati di cui non può essere giudice, condannato com’è al masochismo celibatario per paura della purezza originaria della sessualità umana?

C’è un salto logico - certamente non illogico per le donne che stanno leggendo i pezzi sull’8 marzo ma anche la società civile persevera troppo nel negare rispetto al corpo delle donne: i tre caporali del 33esimo reggimento Acqui indagati per lo stupro di Pizzoli (L’Aquila) sono rientrati in servizio nei servizi di pattugliamento del centro storico nell’ambito dell’operazione “Strade Sicure”...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/4/2012 09.29
Titolo:Cresce la mobilitazione contro il femminicidio ...
Cresce la mobilitazione contro il femminicidio

«Ora una nuova legge»

Continuano ad arrivare firme all’appello lanciato dal movimento “Se non ora quando”.

L’ex ministro Pollastrini: «Subito un piano del governo»

Di Pietro: «La politica fermi questa barbarie». Ieri l’ultimo caso a Roma

di Maria Zanchi (l’Unità 30.04.2012)

Per un puro caso, o forse per disperazione, ieri un’altra donna non ha allungato la lunga lista delle vittime per mano di un uomo, spesso quello che si sceglie come marito o compagno. Il caso è molto simile a tanti altri. Una lite familiare. La città è Roma ma potrebbe essere ovunque visto che il femminicidio è la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni. Un marito, ubriaco, che si sfoga sulla propria moglie la colpisce ripetutamente fino a farla crollare a terra. Come aveva fatto altre volte, sostengono chi li conosceva. Solo che questa volta il finale è diverso. Per caso, ma più per disperazione, si diceva, il padre della ragazza, malato, ha cercato di intervenire per calmare gli animi e far terminare la violenta lite. Poi ha afferrato il coltello e ha colpito l’uomo, un 49enne peruviano, al petto provocandogli un’emorragia fatale.

L’epilogo diverso ma storia molto troppo simile a tante altre. E proprio contro questa mattanza che il movimento di «Se non ora quando» hanno lanciato un appello, che potete firmare anche sul nostro sito, unita.it. Hanno già aderito in migliaia e le firme aumentano di ora in ora. Dalla leader Cgil Susanna Camusso, a Roberto Saviano, al segretario Pd Pier Luigi Bersani che su Twitter ha scritto: «Si uccidono le donne. Le uccidono i maschi. È ora di dirlo, di vergognarcene, di fare qualcosa per stroncare la barbarie».

«È giusto gridare insieme basta. È salutare che si uniscano gli uomini di buona volontà e dicano» ha detto ieri l’ex ministra per le Pari opportunità Barbara Pollastrini, che ha aderito all’appello di Snoq. «Ma poi? Sono anni che riempiamo strade, piazze e convegni contro la violenza», prosegue l’esponente del Pd. «Chiediamo quindi subito al governo e alle ministre di presentare il piano d’azione contro molestie e violenza. Alle donne, sulle pensioni, è stato chiesto molto: l’esecutivo restituisca qualcosa almeno in termini di sicurezza e diritti umani. Servono risorse da stanziare per la prevenzione, per centri e case di accoglienza, per la tutela delle vittime. È indispensabile la celerità dei processi e la certezza della pena. E, certo, cultura, civismo e educazione al rispetto sono antidoti fondamentali».

«Aderisco all’appello di Se non ora quando per una mobilitazione che metta sotto gli occhi anche di chi non vuol vedere, la silenziosa strage di donne uccise da quelli che consideravano i loro uomini» ha fatto sapere Rosa Villecco Calipari, vicepresidente dei deputati Pd. « Credo che ognuna e ognuno per la nostra parte, oltre alla mobilitazione, possiamo fare qualcosa in più. Dal rendere noti i dati di femminicidi e violenze con rilevazioni oggettive, dal finanziare i centri che sostengono le donne, dal raccontare ogni giorno su tutti i media quel che succede tra le mura domestiche, dal legiferare perchè questi crimini siano puniti senza attenuanti di sorta».

«Dall’inizio dell’anno ha spiegato il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, in una nota 54 donne sono state uccise dai loro compagni, mariti o ex conviventi. Una vergogna nazionale, una mattanza inaccettabile. La violenza sulle donne è un atto criminale, indegno di qualsiasi Paese civile. Per questo, aderisco con convinzione all’appello Mai più complici: è tempo che la politica si impegni seriamente per fermare questa barbarie».

Serve una nuova legge e serve subito. Intanto le donne continuano a morire. Solo il 10% ha la forza di denunciare molestie e abusi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/4/2012 14.48
Titolo:"IN PERSONA CHRISTI": MA QUALE CRISTO?! Una analisi della teologa Lilia Sebasti...
"IN PERSONA CHRISTI": MA QUALE CRISTO?! Donne, uomini e ministeri.
Una analisi della teologa Lilia Sebastiani


(...) dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme (...)
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Donne e ministeri da segno dei tempi a indice di autenticità

di Lilia Sebastiani

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 10 marzo 2012

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) al n.22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23).

Ricordare l’enciclica è doveroso, per il valore storico di questo semplice e cauto riconoscimento: infatti è la prima volta che un documento magisteriale rileva la cosiddetta promozione della donna senza deplorarla - anzi come un fatto positivo. I segni dei tempi sono ancora al centro della nostra attenzione, ma per quanto riguarda le donne la questione cruciale e non ignorabile è ormai quella del loro accesso al ministero nella Chiesa, a tutti i ministeri.

Venerande esclusioni

Certo il problema dei ministeri non è l’unico connesso con lo status della donna nella Chiesa, ma senza dubbio è fondamentale; guardando al futuro, è decisivo. Non solo e non tanto in se stesso, ma per la sua natura di segno.

In questo momento nella Chiesa la donna è ancora esclusa dai ministeri ecclesialmente riconosciuti: non solo da quelli ordinati (l’Ordine sacro, cioè, nei suoi tre gradi: episcopato, presbiterato, diaconato) ma anche da quelli istituiti, il lettorato e l’accolitato. Questi ultimi, chiamati un tempo “ordini minori” e considerati solo tappe di passaggio obbligatorie per accedere all’ordinazione, furono reintrodotti nel 1972 da Paolo VI (Ministeria quaedam) come “ministeri istituiti” - per distinguerli da quelli ordinati, mantenendo però l’elemento della stabilità e del riconoscimento ecclesiale - e furono aperti anche a laici non incamminati verso l’Ordine; tuttavia si specificava chiaramente che tali ministeri erano riservati agli uomini, “secondo la veneranda tradizione della chiesa latina”.

Un po’ più recente l’istituzione dei “ministri straordinari dell’Eucaristia”: con prerogative non molto diverse da quelle degli accoliti, questi possono essere anche donne. E di fatto sono più spesso donne che uomini. Un passo avanti, forse? Certo però la dichiarata ‘straordinarietà’ sembra messa lì a ricordare che si tratta di un’eccezione, di una supplenza..., di qualcosa che normalmente non dovrebbe esserci.

A parte i servizi non liturgici ma fondamentali, come la catechesi dei fanciulli, quasi interamente femminile, e le varie attività organizzative e caritative della parrocchia, le letture nella Messa vengono proclamate più spesso da donne che da uomini; ma si tratta sempre e comunque di un ministero di fatto, che in teoria sarebbe da autorizzare caso per caso, anche se poi, di solito, l’autorizzazione viene presunta.

Il Concilio e l’incompiuta apertura

Il problema dell’accesso femminile ai ministeri è diventato di attualità nella Chiesa nell’immediato post-concilio, nel fervore di dibattito che caratterizzò quell’epoca feconda e rimpianta della storia della Chiesa. Il Vaticano II aveva mostrato una notevole apertura sulle questioni che maggiormente sembravano concernere il problema della donna in generale e della donna nella Chiesa in particolare. Sulle questioni più specifiche e sul problema dei ministeri i documenti conciliari erano generici fino alla reticenza, ma senza chiusure di principio. Ciò autorizzava a sperare nel superamento, non proprio immediato ma neppure troppo lontano, di certe innegabili contraddizioni che persistevano sul piano disciplinare. Inoltre altre chiese cristiane avevano cominciato da qualche anno, certo non senza resistenze anche aspre, a riconsiderare e a superare gradualmente il problema dell’esclusione (a nostra conoscenza, la chiesa luterana svedese fu la prima ad ammettere donne al pastorato, nel 1958).

Una chiusura fragile

Nel decennio che seguì il Concilio, il dibattito in proposito fu intenso. La Chiesa ufficiale mantenne però una posizione di cautela e di sostanziale chiusura sempre più netta, che culminò - volendo chiudere la questione una volta per sempre - nella dichiarazione vaticana Inter insigniores, che è della fine del 1976, ma resa pubblica nel 1977.

In questo documento l’esclusione delle donne dal ministero ordinato veniva ribadita con caratteri di definitività vagamente ‘infallibilista’, ma anche con un significativo mutamento di argomentazione, che ci sembra importante poiché dimostra che l’esclusione è un fatto storico-sociologico in divenire e non un fatto teologico-sacramentale.

Non si dice più, come affermava Tommaso d’Aquino, che la donna è per natura inferiore all’uomo e quindi esclusa per volere divino da ogni funzione implicante autorità; si richiama invece l’ininterrotta tradizione della Chiesa (che è evidente, ma è anche evidentissimo portato della storia e delle culture) e soprattutto la maschilità dell’uomo Gesù di Nazaret, da cui deriverebbe la congruenza simbolica della maschilità del prete che, presiedendo l’assemblea, agisce in persona Christi. Quest’ultimo argomento fragile e sconveniente è stato lasciato cadere, infatti, nei pronunciamenti successivi: questi si rifanno solo alla tradizione della Chiesa e a quella che viene indicata come l’esplicita volontà di Gesù manifestata dalla sua prassi.

Anche questo argomento non funziona. Gesù, che non mostra alcun interesse di tipo ‘istituzionale’, alle donne accorda, con naturalezza, una piena parità nel gruppo dei suoi seguaci. Sembra insieme scorretto e pleonastico dire che “non ha ordinato nessuna donna”, dal momento che, semplicemente, non ha ordinato nessuno. Non vi è sacerdozio nella sua comunità, ma servizio e testimonianza, diakonìa non formalizzata - eppure rispondente a una chiamata precisa - che, prima di essere attività, è opzione fondamentale, stile di vita, sull’esempio di Gesù stesso “venuto per servire”.

Nel Nuovo Testamento di sacerdozio si può parlare solo in riferimento al sacerdozio universale dei fedeli (cfr 1 Pt 2,9; Ap 1,6), negli ultimi decenni tanto rispettato a parole quanto sfuggente e ininfluente nel concreto del vissuto ecclesiale; oppure in riferimento all’unico sacerdote della Nuova Alleanza - sacerdote nel senso di mediatore fra Dio e gli esseri umani -, Gesù di Nazaret (cfr Ebr 9), il quale nella società religiosa era un laico, oltretutto in rapporti abbastanza conflittuali con il sacerdozio del suo tempo.

Un’esclusione che interpella tutti

Vi sono due fatti, molto modesti ma significativi, che aiutano a tenere viva la speranza. Il primo, che i pronunciamenti dell’autorità ecclesiastica volti a chiudere ‘definitivamente’ la questione sono diventati abbastanza ricorrenti, il che dimostra che non è poi tanto facile chiuderla. Il dibattito è aperto e procede. Il secondo, che l’argomentazione teologica sembra cambiata ancora: felicemente sepolto l’infelicissimo argomento della coerenza simbolica, già pilastro dell’Inter insigniores, si richiama solo la prassi ininterrotta della chiesa romana e sempre più spesso si sente riconoscere, anche dalle voci più autorevoli, che contro l’ordinazione delle donne non ci si può appellare a ragioni biblico-teologiche.

No, non si tratta di banali rivendicazioni. L’esclusione interpella tutti: nessuna/nessun credente adulto può disinteressarsi di questo problema chiave finché le donne nella chiesa non avranno di fatto le stesse possibilità degli uomini, la stessa dignità di rappresentanza.

E’ necessario ricordare che vi sono donne cattoliche di alto valore e seriamente impegnate - tra loro anche alcune teologhe - che a una domanda precisa sul problema dei ministeri istituiti rispondono o risponderebbero più o meno così: no grazie, il sacerdozio così com’è proprio non ci interessa. E’ un atteggiamento che merita rispetto: almeno in quanto manifesta il timore che insistere troppo sul tema dell’ordinazione induca ad accentuare l’importanza dei ministri ordinati nella Chiesa (mentre sarebbe urgente semmai ridurre quell’importanza, insomma ‘declericalizzare’).

Ma dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme.

Segno dei tempi, certo. Segno di trasformazione, segno contraddittorio, segno incompleto, proprio come il tempo in cui viviamo. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, però, non solo segno, ma indice di autenticità. Non temiamo di dire che sulla questione dei ministeri, che solo a uno sguardo superficiale o ideologico può apparire circoscritta, si gioca il futuro della chiesa.

Lilia Sebastiani

Teologa

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Filosofia

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