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www.ildialogo.org VIAGGIO IN ITALIA: ALLA RICERCA DELL'IDENTITA' PERDUTA. «Il tribalismo e i difficili conti con il passato». Un estratto del saggio dell’antropologo Marco Aime, dall'ebook curato da Giulia Cogoli e Vittorio Meloni - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

TRIBALISMO. Uno spettro si aggira per l’Europa e soprattutto per l’Italia...
VIAGGIO IN ITALIA: ALLA RICERCA DELL'IDENTITA' PERDUTA. «Il tribalismo e i difficili conti con il passato». Un estratto del saggio dell’antropologo Marco Aime, dall'ebook curato da Giulia Cogoli e Vittorio Meloni - con alcuni appunti

Uno spettro si aggira per l’Europa e soprattutto per l’Italia: quello del tribalismo. Negli ultimi tre decenni si č assistito al progressivo emergere di gruppi e movimenti politici che alle grandi narrazioni dei secoli precedenti, su cui si fondavano le ideologie classiche, tanto liberale quanto socialista, hanno sostituito una nuova proposta: quella etnica. Nuova e in realtŕ vecchia (...)


a c. di Federico La Sala

MATERIALI SUL TEMA:

GLI APPRENDISTI STREGONI E L’EFFETTO "ITALIA". LA CLASSE DIRIGENTE (INCLUSI I GRANDI INTELLETTUALI) CEDE (1994) IL "NOME" DEL PAESE AL PARTITO DI UN PRIVATO. Che male c’è?!

UNITA’ D’ITALIA E FOLLIA: EMERGENZA LOGICO-MATEMATICA EPOCALE. PER UN CONVEGNO E UNA RIFLESSIONE SUL CONCETTO DI ’UNITA’ E DI SOVRANITA’ (SOVRA-UNITA’). Materiali sul tema

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. (fls)

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Non ci restano che le tribù

di Marco Aime (La Stampa, 13 febbraio 2012)

 

      • Un ebook scaricabile gratis. Si intitola Viaggio in Italia. Alla ricerca dell’identità perduta un libro, curato da Giulia Cogoli e Vittorio Meloni, che raccoglie le riflessioni di sette studiosi con differenti approcci e modalità di analisi, riuniti da IntesaSanpaolo attorno al progetto «perFiducia». Il volume sarà presentato presso la sala convegni di Intesa Sanpaolo, in piazza Belgioioso a Milano, lunedì 20 febbraio, e a partire dallo stesso giorno sarà scaricabile gratuitamente in formato ebook dal sito www.perfiducia.com. Anticipiamo in questa pagina un estratto del saggio dell’antropologo Marco Aime sul tema «Il tribalismo e i difficili conti con il passato»

 

Uno spettro si aggira per l’Europa e soprattutto per l’Italia: quello del tribalismo. Negli ultimi tre decenni si è assistito al progressivo emergere di gruppi e movimenti politici che alle grandi narrazioni dei secoli precedenti, su cui si fondavano le ideologie classiche, tanto liberale quanto socialista, hanno sostituito una nuova proposta: quella etnica. Nuova e in realtà vecchia: ma una proposta politica che si affaccia sul mercato deve presentarsi con una buona dose di consolidamento storico e con un’altrettanto buona dose di potenzialità innovative. Ecco che, se da un lato si strizza l’occhio alla storia, dall’altro si lanciano idee nuove, o in grado di apparire tali.

Puntando su valori come identità, radici, autoctonia e proponendo l’immagine di popoli nuovi, fasulli per la storia ma antichi e reali nelle retoriche adottate, tali movimenti, come la Lega in Italia, hanno arricchito il panorama politico con categorie inedite, che spesso sfuggono all’analisi tradizionale.

Per questo può risultare utile impiegare gli strumenti dell’antropologia culturale per tentare di leggere il fenomeno leghista, che evoca, a volte volutamente, inconsciamente in altre occasioni, richiami a forme di fondamentalismo culturale e identitario. Quella che Francesco Remotti ha chiamato «ossessione identitaria» sta alla base delle politiche localistiche che non di rado si traducono in forme di esclusione, di xenofobia, e talvolta sfociano in un vero e proprio razzismo, sfruttando il fertile terreno del debole senso di appartenenza nazionale di gran parte degli italiani e le paure nei confronti degli stranieri, per lo più indotte da campagne mediatiche strumentali.

Se si ripercorre il cammino di costruzione dell’immaginario leghista, delle retoriche che lo accompagnano, ci si trova a fare i conti con un continuo oscillare tra concezioni vecchie presentate come novità e, viceversa, elementi nuovi presentati come tradizionali. L’attacco alla nazione, creatura e vanto dell’Occidente «civilizzato», forse non è un ritorno al passato, ma una cifra della nostra modernità. Una situazione di progressiva etnicizzazione delle società, che per certi versi produce un ritorno a forme di tribalismo.

Nonostante abbia subito alcune critiche, il termine tribalismo si è rivelato adatto anche a definire forme moderne di relazione, in cui vengono privilegiati i parenti o i membri dello stesso gruppo. Tale definizione può essere inoltre impiegata per riferirsi all’idea di forte identità culturale o etnica, e di contrapposizione dei «simili» ai «diversi». Se lo si intende in senso sufficientemente ampio, si può sostenere che forme di tribalismo esistano e stiano emergendo in modo vistoso in tutta l’Europa.

Le vittorie di partiti xenofobi, dal movimento di Geert Wilders in Olanda, al Perussuomolaisset (i «veri finlandesi») in Finlandia, ai gruppi politici affini in Ungheria, Austria, Danimarca o Svizzera, che hanno fatto dell’etnicità la loro chiave retorica principale, dimostrano come il concetto di Statonazione democratico e pluralista non sia più la cifra caratteristica dell’Europa contemporanea.

L’emergere di localismi sempre più estremi e di istanze di tipo etnico, che spesso sfociano, come si diceva, nel razzismo, coincide con il declino del sociale. Le aggregazioni orizzontali classiche, su base sociale, ideologica, di classe, vengono sostituite da tagli verticali, che classificano sulla base del legame tra terra e sangue, sul principio dell’autoctonia o della cultura. Il venir meno delle grandi narrazioni e la frammentazione dell’economia hanno reso apparentemente obsolete le rivendicazioni tradizionali.

Le identità frammentarie, liberate dagli ideali universalisti, sono divenute nicchie di difesa. L’identità individuale, icona della nostra postmodernità, necessita a sua volta dell’installazione di un apparato logistico, di una serie di punti di riferimento teorici e pratici, che ne supportino la costruzione e il mantenimento in vita. Nascono così nuovi attori, incaricati di sostenere individui resi fragili dalla scomparsa delle strutture collettive di aggregazione.

Individuo, cultura e ritorno all’origine sono le parole d’ordine nella postmodernità globalizzata. Poiché la sorte degli abitanti del pianeta non può più essere migliorata con la ridistribuzione dei proventi della crescita, occorre trovare nuove ideologie che facciano leva sulle risorse identitarie, culturali, psichiche dell’individuo, il modo di sostituire la defunta narrazione della società dell’abbondanza. Sono queste le caratteristiche della «new age» tribalizzata e primitivizzata che ci viene offerta.

Ma le tribù di cui stiamo parlando sono raccolte di individui che hanno ben poco a che vedere con quelle descritte dall’antropologia tradizionale. La cultura di questi gruppi non si fonda, infatti, su una vera tradizione condivisa, ma è il prodotto di scelte individuali di identificazione, radunate in insiemi collettivi temporanei e costruiti allo scopo di soddisfare interessi specifici.

Nelle retoriche politiche dei movimenti, che fanno dell’identità il loro fulcro, possiamo facilmente notare come quell’identità sia spesso contornata di termini tra il romantico e il nostalgico, ad esempio popolo, tradizione, e il possessivo «nostro» la faccia da padrone in ogni frase. Basti pensare a certe richieste della Lega Nord sul diritto ad avere maestri, magistrati, funzionari autoctoni.

Queste retoriche sono il segno dell’ostentazione di un diritto di primato, che induce a pensare che le caratteristiche di un presunto popolo derivino dalla sua geografia e non dalla storia. È una tendenza propria dei gruppi ristretti, i quali privilegiano la prossimità simbolica e spaziale piuttosto che la memoria storica. E il legame fra terra e gentes viene sbandierato senza nemmeno il bisogno di una narrazione epica che lo sostenga.

La tendenza a «naturalizzare» è sempre più forte e sempre più spesso si mette in atto quella finzione che trasforma la nascita in nazione o in comunità. Da elemento socialmente e storicamente costruito, la cultura finisce per essere invece concepita come un dato «biologico». Si dice cultura, ma si pensa razza, e una concezione razziale della cultura può portare anche a una sorta di razzismo senza razza.

Il nostro è un paese che ha sempre avuto difficoltà a fare i conti con il proprio passato, con l’esperienza coloniale, con il fascismo e di conseguenza anche con il razzismo. Ci siamo crogiolati per decenni nell’immagine, appunto, della «brava gente», non razzista come lo erano invece inglesi, francesi, tedeschi. Il razzismo sembra non appartenerci, sebbene nel 1938 un italianissimo governo approvasse delle ignobili leggi razziali. Dimenticato. Ha forse ragione Marcel Detienne a dire che: «L’Italia è una comunità nazionale che prova, di fronte al suo recente passato, un sentimento di estraneità».



Lunedě 13 Febbraio,2012 Ore: 19:05
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/2/2012 17.57
Titolo:Non sapevamo chi siamo, e adesso?
Non sapevamo chi siamo, e adesso?

La scomparsa del «capo» e l’«italianità» perduta. In un libro ebook sette studiosi si confrontano sul tema urgente dell’identità nazionale e sui cambiamenti profondi del nostro Paese, la crisi e la forza dell’Italia

Orfani di un «patriarca» che ha dato mille facce al Sistema Paese
La sfida. Uscire dall’eternità magica e entrare nella storia, collettivamente

-***Viaggio in Italia. Alla ricerca dell’identità perduta, Aa.Vv. , A cura di Giulia Cogoli e Vittorio Meloni pagine 144


Il volume da oggi scaricabile gratuitamente


Oggi si presenta «Viaggio in Italia. Alla ricerca dell’identità perduta» (perFiducia, Intesa Sanpaolo), un libro che raccoglie le riflessioni di Aime, Dalla Zuanna, De Biase, Diamanti, Natoli, Pozzi e Zoja: sette studiosi si confrontano sull’identità degli italiani, i cambiamenti profondi del nostro paese, la crisi e la forza dell’Italia dei nostri giorni. Scarcabile gratis su www.perfiducia.com

di Enrico Pozzi, psicologo (l’Unità, 20.02.2012)

Esistono due problemi diversi collegati all’identità. Il primo è il paradosso costitutivo dell’identità quando essa si applica ad attori dinamici, e soprattutto a soggetti viventi. Il secondo è: cosa sta avvenendo alla identità italiana in questo momento e quale rapporto intercorre tra le difficoltà identitarie percepite dai soggetti collettivi e individuali nel nostro paese e la crisi della leadership carismatica che stiamo vivendo? (...)

Dalla fine degli anni Ottanta, per una serie di motivi, la società italiana è entrata in una crisi anomica accentuata, in una perdita crescente di elementi vitali della sua coesione sociale che hanno prodotto un’angoscia talvolta evidente in alcuni segnali statistici, talvolta più incerta e sfuggente. Il nostro sistema sociale è entrato in un panico anomico, prima strisciante poi esplosivo, che si è tradotto in una domanda altrettanto panica di coesione magica del Sistema Paese.

Qui il richiamo è a Max Weber: l’anelito al ripristino della coesione si è espresso in una domanda diffusa di leadership carismatica. Le pagine straordinarie di Weber sul carisma e sul potere carismatico stanno in parti diverse del postumo Economia e società. Occorre leggerle tutte per capire la ricchezza multidimensionale del tipo ideale che propone. Un aspetto le accomuna: la indifferenza di Weber per la dimensione psicologica. Salvo che in un punto: caratteristica del capo carismatico è il possedere qualità straordinarie, ma come mai la gente pensa che un determinato individuo abbia effettivamente delle qualità straordinarie?

Questa frasetta pone il problema cruciale del consenso al carisma. La principale risposta è da ricercare, secondo me, nel panico anomico, e nella sofferenza psichica che l’anomia grave genera nell’io e nella identità dei membri di un gruppo sociale (nazione, organizzazione, famiglia ecc.).

Ma cosa c’entra il carisma con la coesione sociale? In che senso può agire come una «cura» per l’anomia? Osserviamo il frontespizio della prima edizione del Leviatano di Hobbes. Si tratta di una straordinaria visualizzazione della funzione coesiva della leadership carismatica o del corpo del sovrano.

Riportando questa immagine al momento in cui è stato scritto il testo una guerra civie, il massimo dell’anomia e dell’homo homini lupus -, abbiamo il Re a mezzobusto nella pienezza dei suoi regalia (spada, globo ecc.) collocato sullo sfondo di un paesaggio che condensa il suo regno fisico. Ma il corpo de Re è fatto dalle teste dei suoi sudditi. Corpo metonimico, al tempo stesso individuale e collettivo, che contiene nel suo Body Natural il suo Body Politic, secondo il modello classico di Ernst Kantorowicz.

Nel corpo fisico/ politico del Re, necessariamente tutt’uno come ogni corpo vivente, si ricompone magicamente il corpo lacerato del sociale. Nella persona mixta del sovrano si ripristina la coesione sociale perduta o minacciata, si placa l’angoscia anomica e trova risposta la domanda sociale di coesione del Noi, che è anche domanda di coesione dell’io e della identità individuale. In Hobbes sta la risposta alla domandina di Weber, cioè il modello di base del consenso al potere carismatico.

L’analisi freudiana del rapporto capo-folla traduce tutto questo in una dinamica direttamente psicologica. Nella sua ipotesi, il capo diventa il modello interiorizzato comune a ciascuno dei membri del gruppo: nella folla, ognuno si mette dentro, come parte della propria identità, il pezzetto di immagine di capo che è conforme ai suoi bisogni, aspettative o terrori. Lo stesso individuo il Capo è uno, nessuno e centomila, e raccoglie in sé quei seguaci che, ciascuno a proprio modo, si rispecchiano in lui. Il Capo come collante coesivo psichico del Noi, denominatore comune condiviso dagli individui del gruppo che lo riconosce come capo.

Il Berlusconi trionfante l’imprenditore, il presidente operaio, lo sportivo, il cabarettista, il ricco, Priapo, il presunto vincitore del Certamen capitolinum, il guaritore ecc. tra il ’94 e il ’96 si è presentato come le mille facce del Sistema Paese in cui ognuno poteva riconoscersi, identificarsi e sentirsi compreso, ma nel senso fisico: compreso nel corpo del sovrano, nel corpo metaforico di Berlusconi. Quel Berlusconi ha rappresentato la risposta transitoriamente adeguata, da un lato a un panico sociale duraturo, alla domanda angosciata di una coesione sociale antianomica; dall’altro, a una domanda di semplificazione cognitiva di una realtà percepita come eccessivamente complessa.

Il capo carismatico come un riduttore di complessità: invece del caos locale e globale, il riordinamento del mondo nella semplicità cognitivamente accessibile di un individuo. Una persona come mediatore e traduttore delle troppe cose che accadono intorno a me, la complessità riassunta e sussunta in lui, in una dimensione personale che io pover’uomo sento di poter ancora capire. Ma da anni ormai il Body Natural del leader carismatico sta chiedendo il conto al suo Body Politic. Le virtù straordinarie del carisma non trovano più nelle cose e nella sua persona quella continua prova di verità e verifica alla quale il capo carismatico è tenuto.

La funzione coesiva si è progressivamente indebolita, la terapia antinomica di tipo magico che il capo carismatico incarnava perde efficacia, il panico anomico collettivo e individuale riprende lentamente, poi sempre più in fretta, il sopravvento.

Non senza contraccolpi, il consenso si sfalda, e l’angoscia sociale cerca nuove risposte: talvolta, poveramente, nuovi capi; talaltra, in modo più maturo ma pur sempre incerto, nuove procedure e modalità di esercizio della sovranità.

Gabriel García Márquez ha scritto, con L’autunno del patriarca, una delle più potenti rappresentazioni narrative delle logiche, delle grandezze e delle molte miserie del potere carismatico in salsa sudamericana. Poi un giorno il dittatore muore, e c’è la chiusa bellissima del libro: ... perché noi sapevamo chi eravamo mentre lui restò senza saperlo per sempre col dolce sibilo della sua ernia di morto vecchio, troncato di netto dalla stangata della morte, (...) estraneo ai clamori delle folle frenetiche che scendevano nelle strade cantando gli inni di gaudio della notizia gaudiosa della sua morte ed estraneo per sempre alle musiche di liberazione e ai razzi di gioia e alle campane di giubilo che annunciarono al mondo la buona novella che il tempo incalcolabile dell’eternità era finalmente terminato.

La società italiana, in tutte le sue articolazioni, trova adesso davanti a sé l’opportunità di uscire dalla eternità magica del sole carismatico e di entrare di nuovo nella storia, nella collaborazione, nel compromesso, nel difficile negoziato tra le diversità: in altri termini, nella realtà e nel progetto di una identità collettiva tornata a essere dinamica, forse. La stessa opportunità si offre parallelamente alle identità individuali, sottratte allo «io sono come sono» della paura di vivere. Nessuno può dirsi certo che questa doppia opportunità venga colta, e che non si preferisca invece tornare nei porti tranquilli e mortiferi della regressione, del pensiero paranoico e delle aspettative magiche.

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