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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org MA DOVE STAI?! ALLE TEOLOGHE E AI TEOLOGI, UNA LETTERA DI ALCUNI PRETI E ALCUNI TEOLOGI (Alessandro Santoro, Antonietta Potente, Andrea Bigalli, Pasquale Gentili, Benito Fusco, Pier Luigi Di Piazza, Paolo Tofani) - con alcune note,a c. di Federico La Sala

TEOLOGIA E FILOSOFIA. LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE "GIUSEPPE" E DELLO STESSO "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PRE-EVANGELICO PREFERITO, "IL PADRINO"!!!
MA DOVE STAI?! ALLE TEOLOGHE E AI TEOLOGI, UNA LETTERA DI ALCUNI PRETI E ALCUNI TEOLOGI (Alessandro Santoro, Antonietta Potente, Andrea Bigalli, Pasquale Gentili, Benito Fusco, Pier Luigi Di Piazza, Paolo Tofani) - con alcune note

Quando il profeta Gioele (3,1-2) dice che tutti diventeranno profeti e gli anziani faranno sogni e igiovani avranno visioni, a chi si rivolge? Forse non parla a tutti gli uomini e le donne del nostrotempo?


a c. di Federico La Sala

Note sul tema: 

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

RATZINGER ’A SCUOLA’ DEL VISIONARIO SWEDENBORG. Una nota di Leonard Boff e una di Immanuel Kant

KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI").

 

AI CERCATORI DEL MESSAGGIO EVANGELICO. Una nota sulla "lettera" perduta. (Federico La Sala)

_______________________________________________________________

Lettera alle teologhe e ai teologi italiani di alcuni presbiteri e teologi

-in “Adista” n. 1 del 7 gennaio 2012 *


«Dove stai tu quando si soffrono cambiamenti climatici e cambiamenti di umore? Dove stai tu mentre il nostro pianeta va al collasso e le multinazionali e le banche, vendute al dio profitto e al dio denaro, governano il mondo?
Dove stai tu quando si deve decidere se intervenire per sostenere un intervento armato della Nato nella terra degli altri?
Dove stai tu quando si riducono tutte le spese per il sociale, la sanità e la scuola, mentre continuano ad aumentare i bilanci della difesa e si spendono cifre folli per le armi?
Dove stai tu quando la gente dei Sud del mondo si sospinge fino alle spiagge di Lampedusa e viene ricacciata indietro o chiusa nei Cie, colpevoli soltanto di immigrazione?
Dove stai tu quando qualcuno dice che l’ex primo ministro è meglio che un politico dichiarato gay, perché il primo è “secondo natura”?
Dove stai tu quando il bilancio familiare è insufficiente e si vive una precarietà che riduce a brandelli sogni e progetti?
Dove stai tu quando gli indignados scendono in piazza o fanno rete virtuale su internet?

E ancora... perché accettiamo solamente che qualcuno tenga le chiavi del Regno e decida chi farci entrare? Forse tu ci sei? E se ci sei, ci sei clandestinamente perché la tua teologia non appartiene a questi ambiti?

Quando il profeta Gioele (3,1-2) dice che tutti diventeranno profeti e gli anziani faranno sogni e i giovani avranno visioni, a chi si rivolge? Forse non parla a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo? E allora, se fare sogni e interpretarli e diventare profeti è proprio della teologia, non è forse vero che tutti i credenti sono teologi? E perché non glielo diciamo più?».

-Alessandro Santoro (prete della Comunità delle Piagge di Firenze), 
-Antonietta Potente (teologa domenicana),
-Andrea Bigalli (prete di S. Andrea in Percussina, Firenze), 
-Pasquale Gentili (parroco di Sorrivoli, Cesena), 
-Benito Fusco (frate dei Servi di Maria), 
-Pier Luigi Di Piazza del Centro Balducci di Zugliano (Udine),
-Paolo Tofani (parroco di Agliana, Pistoia) 


Sabato 31 Dicembre,2011 Ore: 14:48
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/12/2011 14.53
Titolo:Riprendete la parola, senza paura e senza reticenze....
Teologi italiani, riprendete la parola, senza paura e senza reticenze.
Appello di preti e religiosi

di Luca Kocci

in “Adista” n. 1 del 7 gennaio 2012



Il “dio denaro” governa il mondo, la guerra è tornata ad essere «continuazione della politica», i cambiamenti climatici sconvolgono il pianeta, i poveri aumentano, eppure i teologi tacciono, forse perché sono convinti che la teologia viva fuori dal mondo e non debba avere rapporti con la storia.

Ma non è così, anzi è compito della teologia e dei teologi «fare sogni» incarnati nella realtà e «diventare profeti» nel nostro tempo. Lo dicono, con forza e passione, in una “lettera aperta” a tutti
i teologi e le teologhe italiane, alcuni parroci, preti e religiosi:

Alessandro Santoro (prete della Comunità delle Piagge di Firenze), la teologa domenicana Antonietta Potente, Andrea Bigalli (prete di S. Andrea in Percussina, Firenze), Pasquale Gentili (parroco di Sorrivoli, Cesena), Benito Fusco (frate dei Servi di Maria), Pier Luigi Di Piazza del Centro Balducci di Zugliano (Udine) e Paolo Tofani (parroco di Agliana, Pistoia).

Chiedono loro di riprendere la parola e li invitano il prossimo 20 gennaio (dalle 17.30) alla Comunità delle Piagge di Firenze, per un «incontro aperto» su tali questioni. Occasione forse unica – e comunque la prima da diversi anni a questa parte – per rompere il silenzio, per riscoprire la «Bibbia e il giornale», come affermava il teologo evangelico Karl Barth («È necessario che tra la Bibbia e il giornale, come tra due poli di un arco elettrico, comincino ad accendersi lampi di luce per rischiarare la terra») o la lezione della Teologia della liberazione capace di coniugare Parola di Dio e realtà sociale di oppressione. Di seguito Il testo integrale della lettera.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/1/2012 00.56
Titolo:FINE DEL "ROMANZO FAMILIARE" EDIPICO DELLA CULTURA CATTOLICO-ROMANA.
DAL DISAGIO ALLA CRISI DELLA CIVILTA’: FINE DEL "ROMANZO FAMILIARE" EDIPICO DELLA CULTURA CATTOLICO-ROMANA.

TU SEI IL FIGLIO MIO, L’AMATO: IN TE HO POSTO IL MIO COMPIACIMENTO (Mc 1,7-11).

Chi parla? Quale Dio? Certamente non un Super-uomo, ma lo Spirito Santo ("Charitas"), il "Padre nostro"...

CONTRO LA LEZIONE EVANGELICA E GIOVANNEA CHE DIO E’ SPIRITO ("CHARITAS"): "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4. 1-16),

LA CHIESA CATTOLICO-ROMANA CONTINUA A PENSARE e a concepire MARIA come MADRE DI DIO, "SECONDO NATURA":
"Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio"(dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, la Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35).

E a mettere da parte o, meglio, a sfruttare, come uno straniero (Un "goj") Giuseppe e, così, fare del papa e di ogni sacerdote il funzionario di un "Padrone Gesù" ("Dominus Iesus", alla Ratzinger maniera!) e di un Dio Padrone, Imperatore del Cielo e della Terra!!!

DOPO DUEMILA ANNI E PIU’ DALLA NASCITA DI CRISTO, NON E’ FORSE ORA DI CAMBIARE REGISTRO E RESTITUIRE ALLO SPIRITO CIO’ CHE E’ DELLO SPIRITO ("CHARITAS") E A MARIA E GIUSEPPE CIO’ CHE E’ DI MARIA E GIUSEPPE, IL LORO "sì" ALL’ACCOGLIERE IL FIGLIO DELL’AMORE ("CHARITAS"), GESU’!?

BASTA CON LA "MALA-EDUCAZIONE"!!! RESTITUIRE L’ANELLO DEL "PESCATORE" A GIUSEPPE!!! E RICORDIAMO CHE "ICHTHUS" ("Pesce" = "Gesù figlio di Dio Salvatore") SI SCRIVE CON LE "H", se no è solo e sempre un "pesce" (morto, colpito da "ictus")!!! Cosi come, che "charitas" (l’Amore pieno di Grazia dello Spirito Santo) si scrive con la "H", se no diventa "caritas" (nel senso del "caro" della ricchezza e del tesoro) COME è AVVENUTO ed è "Spirito di Mammona"!!!

In principio era il Logos ... "Deus charitas est"!!! e L’Amore ("charitas") non è lo zimbello del tempo!

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/1/2012 22.43
Titolo:L’appello pressante di un teologo
Joseph Moingt, l’appello pressante di un teologo

di Claire Lesegretain

in “La Croix” del 14 gennaio 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Con le debite proporzioni, il successo incontrato dall’ultimo libro di Joseph Moingt assomiglia a quello del famoso Indignatevi! di Stéphane Hessel. In entrambi i casi, si tratta di un vecchio signore che non ha più nulla da temere né da dimostrare e che può permettersi, con la legittimità che gli conferiscono i decenni di lavoro e di impegno coraggioso, di dire a voce alta ciò che molti pensano soltanto o dicono a bassa voce. Tuttavia, questo gesuita di 96 anni intende dire non tanto Indignatevi! quanto Restate! ai suoi lettori, talvolta tentati di lasciare la Chiesa.

Di Croire quand même, pubblicato alla fine del 2010 (1) sono state vendute più di 8000 copie ed è in corso la seconda edizione. “Ho ricevuto molte lettere di ringraziamento da laici e da preti, ma curiosamente nessuna eco dall’episcopato”, dice divertito padre Moingt socchiudendo i maliziosi occhi azzurri. I lettori “sentono confusamente che l’opzione scelta da Roma di un ritorno al passato non è il modo migliore di preparare il futuro del cristianesimo. Dopo avermi letto, si dicono fortificati nella loro fede e incoraggiati a restare nella Chiesa.” Da un anno, Croire quand même suscita anche molti gruppi di lettura in tutta la Francia ed è motivo di molti inviti per conferenze.

Un sabato, eccolo con la sua figura minuta all’abbazia di Saint-Jacut-de-la-Mer (Côtes-d’Armor) per una giornata aperta al grande pubblico. Davanti a 150 persone, la maggior parte coi capelli grigi, comincia a ripercorrere il suo lavoro di teologo, segnato dai “due grandi choc”, quello del Vaticano II e quello del Maggio ’68. “Da allora i teologi non si rivolgono più solo a futuri preti, ma sono convocati tra i fedeli per far luce sui loro problemi”, sottolinea, prima di esporre la sua analisi della crisi della Chiesa. Una crisi che, secondo lui, è “la più grave” che il cristianesimo abbia conosciuto da due millenni, perché si tratta di una crisi di civiltà.

“Il nostro mondo è sul punto di rifiutare Dio”, riassume, citando Dietrich Bonhoeffer che, prima di morire nella prigione nazista, percepiva che il mondo “si stava liberando dell’idea di Dio”. Ed è attraverso questa griglia di lettura che Moingt parla della “primavera araba”, segno non della “distruzione dell’islam, ma della disgregazione di uno spazio sociale che era stato cementato dalla legge religiosa”. Perché, ricorda, “la volontà di Dio è che l’uomo si liberi dai suoi legacci, compresi quelli posti in nome di Dio”, Padre Moingt non sfugge alle domande che vengono poste, perché sono anche le sue domande. Con pedagogia, permette ai suoi interlocutori di beneficiare della sua visione storica sul lungo periodo per relativizzare le tensioni attuali all’interno della Chiesa.

Alcune settimane più tardi, nella sua camera-ufficio di rue Monsieur, nel 7° arrondissement di Parigi, prosegue le sue riflessioni sul futuro della Chiesa. “Temo fortemente che un numero crescente di fedeli voglia solo delle risposte con un sì o con un no e non riescano ad entrare nelle sottigliezze teologiche”, riassume. Come esprimere l’umanità di Cristo se è nato da una donna vergine? Come spiegare la Trinità? Come parlare della Rivelazione, dell’Incarnazione, della Redenzione se si considera che i testi dell’Antico Testamento sono solo racconti inventati? Come pronunciare ad ogni Eucaristia: “Questo è il mio corpo”, se si tratta di una metafora? Su che cosa fondare il sacerdozio, mentre nessuno degli Apostoli è stato fatto prete o vescovo da Gesù?... Sono tutte domande complesse che richiedono effettivamente delle risposte approfondite e che occupano la mente del teologo da più di sessant’anni.

Aveva 23 anni, alla fine del 1938, quando è entrato nella Compagnia di Gesù. Non avendo avuto il tempo, prima della mobilitazione, di terminare i dodici mesi di noviziato, dovrà rifare un anno completo a Laval (Mayenne) nel grande noviziato dell’epoca.

Durante la guerra, l’apprendista gesuita è prigioniero in diversi “stalags” per sottufficiali che si rifiutano di lavorare per il III Reich. Riesce ad evadere da un campo in Svevia, viene poi inviato a Kobierczyn, vicino a Cracovia, poi in un altro campo da cui sarà liberato nel 1945 dall’esercito del generale Patton... Ma improvvisamente Padre Moingt interrompe il racconto dei ricordi: “Non ho l’abitudine di dilungarmi sulla mia biografia, non interessa a nessuno”, sorride con quellagentilezza divertita che lo caratterizza. Prima di aggiungere che, “dal ritorno dalla prigionia, per principio non ritorno sul passato.”

Riusciremo solo a sapere che dopo due anni di filosofia a Villefranche-sur-Saône. poi quattro di teologia a Fourvière, sulla collina lionese dove la Compagna di Gesù aveva la facoltà fino al 1974, è stato nominato professore di teologia. Viene allora mandato alla Cattolica di Parigi a preparare una tesi su “La teologia trinitaria in Tertulliano”, che sostiene, tre anni dopo, sotto la direzione del gesuita e futuro cardinale Jean Daniélou. “Tra i gesuiti di quell’epoca, sono stato segnato soprattutto da Henri de Lubac che insegnava alla Cattolica di Lione e con cui ho lavorato su Clemente d’Alessandria”, precisa, prima di aggiungere a questa lista di grandi figure i nomi di Gaston Fessard, Henri Bouillard, Xavier Léon-Dufour e Donatien Mollat...

Dopo dodici anni di insegnamento a Fourvière, padre Moingt chiede un anno sabbatico nella Parigi sessantottina, per “mettersi al corrente nelle novità in teologia, filosofia e scienze umane”. Ma la Cattolica di Parigi, che inizia nel 1969 il suo Ciclo C, un corso serale di formazione per laici, gli dà l’incarico di insegnare cristologia. Insegna anche al Centro Sèvres a partire dal 1974, e a Chantilly (Oise), tradizionale luogo di formazione della Compagnia di Gesù. Questo gli permette di affermare che “tutti i gesuiti entrati nella Compagna dopo il 1960 e anche molti vescovi attuali” sono passati tra le sue mani. Negli stessi anni, padre Moingt prende la direzione della prestigiosa rivista Recherche de science religieuse (RSR), che ha festeggiato i suoi cento anni nel 2010. A partire dal 1980, lasciata la Cattolica per la pensione a 65 anni, il gesuita continua ad insegnare al Centro Sèvres e prosegue le sue ricerche teologiche e la pubblicazione di importanti opere.

“Ne ho un’altra in cantiere, ma non sarà un libro per il grande pubblico”, precisa, sapendo che non avrà il tempo per volgarizzare il suo lavoro: “Se ne incaricheranno altri dopo la mia morte!”.

Oggi resta in rapporto con le “comunità di base” che ha frequentato, sia nell’ambito del catecumenato sia durante le sue esperienze parrocchiali a Châtenay-Malabry (Hauts-de-Seine) per dodici anni, poi a Poissy (Yvelines) e a Sarcelles (Val-d’Oise) rispettivamente per tre anni. Si tratta di “laici che frequentano l’Eucaristia ma che hanno bisogno di ritrovarsi al di fuori della loro parrocchia per condividere il Vangelo o delle riletture di vita”; laici sempre più preparati che “sentono che essere cristiani non è altro che essere uomini, e che prendono la responsabilità del loro essere-cristiani assumendo la responsabilità del destino dell’umanità”.

Perché, per Joseph Moingt, non è focalizzandosi sull’istituzione ecclesiale che si potrà realizzare una riforma radicale del cattolicesimo, ma tornando al Vangelo. “C’è urgenza di ripensare tutta la fede cristiana per dire ’Gesù Cristo vero Dio e vero uomo’ nel linguaggio di oggi e in continuità con la Tradizione”, ripete basandosi sulla sua immensa cultura teologica e biblica per confermare che la Chiesa non potrà più cavarsela con risposte dogmatiche e che occorre che al suo interno dei teologi “facciano cose nuove senza essere minacciati di scomunica”. Per quanto lo riguarda, la sua prudenza non è mai stata motivata dalla paura di una sanzione ecclesiale, ma piuttosto dal desiderio di scrivere conformemente alla sua fede. E poi, “alla mia età, non si rischia granché!”.

(1) Joseph Moingt, Croire quand même, Libres entretiens sur le présent et le futur du catholicisme, con Karim Mahmoud-Vintam e Lucienne Gouguenheim, Éd. Temps Présent, coll. « Semeurs d’avenir »
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/3/2012 13.01
Titolo:La Chiesa ripensi se stessa ...
La Chiesa ripensi se stessa

di Mauro Pizzighini

in “Settimana” (Attualità pastorale) n. 11 del 18 marzo 2012

«Abbiamo sempre pensato che questo fosse vero; abbiamo sempre pensato che la nostra condizione di donne e di uomini credenti ci rendesse concittadini nella storia di tutti e familiari con il mistero. Abbiamo sempre pensato che la nostra fede ci facesse responsabili nei confronti della vita di ogni creatura e dei difficili parti storici, sociali, economici, culturali e spirituali che la comunità umana vive da sempre. Abbiamo sempre pensato anche che, proprio perché siamo familiari di Dio, non siamo esenti dal vivere sulla nostra pelle le fatiche che ogni popolo fa per poter essere popolo degno e libero. Ma oramai da molto tempo ci sembra che questo non sia tanto vero, e soprattutto, con tristezza diciamo che forse nessuno ci chiede ed esige questa familiarità con il mistero e questa solidarietà con la storia. La struttura ecclesiale infatti sembra più preoccupata a guidarci che a farci partecipare e soprattutto a farci crescere».

Questa affermazione provocatoria è contenuta nella lettera "aperta", pubblicata su Adista e rivolta alla Chiesa italiana, scaturita dopo l’incontro tra alcuni teologi e teologhe che si è tenuto svolto nella comunità delle Piagge di Firenze, lo scorso 20 gennaio.

ripensare le strutture ecclesiali

Il testo della missiva parte e si fonda sul versetto della Lettera agli Efesini (2,19): «Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» La lettera è sottoscritta da sette persone: la teologa domenicana Antonietta Potente, Benito Fusco, frate dei Servi di Maria, e i sacerdoti Alessandro Santoro, Pasquale Gentili, Pier Luigi Piazza, Paolo Tofani, Andrea Bigalli. Essi espongono alla Chiesa italiana, con la passione forte che li caratterizza, il loro stato d’inquietudine, i desideri e le aspettative. Con una nota di amarezza: «Ci sentiamo trattati come persone immature, come se non fossimo responsabili delle nostre comunità, ma solo destinatari chiamati ad obbedire a ciò che pochi decidono ed esprimono per noi».

Il gruppo dei sette accusa la Chiesa nel contesto culturale e sociale di oggi di essere «lontana da questa fatica quotidiana dell’umanità. E che, quando si fa presente, lo fa solo attraverso analisi, sentenze e a volte giudizi, che non ascoltano e non rispettano le ricerche e i tentativi che comunque la società fa per essere più autentica e giusta». Rincarano ancora di più la dose, quando fanno notare che «l’esempio che abbiamo dalla Chiesa ufficiale è, la maggior parte delle volte, quello di pretendere riconoscimenti e di difendere propri interessi, immischiandosi in politica solo per salvaguardare i propri privilegi».

I firmatari vorrebbero che «la Chiesa ripensasse le sue strutture di comunità, e soprattutto la propria struttura gerarchica e i suoi rapporti con la società» e che «si rifiutasse ogni privilegio economico», in modo tale che «l’economia delle strutture ecclesiali non fosse complice della finanza e delle banche che speculano con il denaro a scapito del sudore e del sangue di individui e intere comunità, praticando un indebito sfruttamento, non solo delle risorse umane, ma anche di quelle naturali». Domanda finale: «Perché ci viene chiesto di essere credenti che devono obbedire e difendere la verità e non ci dicono invece che la Verità è più grande di noi e per questo va ricercata costantemente, ovunque e con tutti?».

un nuovo “credo” ecclesiale?

Questa lettera richiama quella che, sempre alla Chiesa italiana, avevano inviato alcuni preti del Triveneto, in occasione del Natale 2011 in forma di "Credo", nella quale si invocavano "cambiamenti radicali" all’interno della stessa Chiesa: dal celibato facoltativo al ministero ordinato per le donne, dalla povertà della Chiesa alla prassi democratica del confronto, dalla revisione dell’insegnamento della religione a scuola a un’opzione etica di fondo piuttosto che ai "valori non negoziabili". Al di là delle forme estreme contenute in queste richieste, non si possono ignorarealcune "sfide" che dal basso questi presbiteri lanciano alla gerarchia per una "riforma radicale" nella Chiesa.

Il punto di partenza dei preti firmatari rimane il Vangelo: quando la Chiesa «da esso si allontana al punto di smentirlo o tradirlo in maniera sistematica, diventa un’istituzione di potere fra le altre, con l’aggravante e la copertura di pretendere il suggello divino di custode della verità». In particolare, «quando la Chiesa riceve dal potere - economico, politico e militare - finanziamenti, vantaggi, privilegi e onori perde la forza profetica di denunciare con libertà la corruzione, l’illegalità, l’ingiustizia, l’immoralità, le guerre, il razzismo», con la drammatica conseguenza che «il potere si sente in questo modo legittimato, difeso, compiaciuto, incoraggiato e sostenuto».

Anche il rapporto tra magistero e teologia, secondo i firmatari, va "rivisitato". Se il magistero «svolge il servizio di custodire e annunciare la fede», la teologia deve favorire «l’approfondimento delle grandi questioni», approfondimento che diventa "significativo" solo «quando è libero nell’elaborazione e nella proposta». L’esempio "eloquente" è quello della teologia della liberazione: in questo contesto essi avvertono «con particolare urgenza la necessità di privilegiare la testimonianza e la coerenza rispetto all’ortodossia e alla disciplina: sempre e prima di tutto obbedienti al Vangelo». C’è la necessità di una maggiore "democrazia" nella Chiesa, la cui rinuncia «riduce e spesso vanifica la comunione». Il testo propone il "metodo del dialogo" soprattutto in riferimento ai «valori non negoziabili», ovvero «famiglia, matrimonio, concepimento, conclusione della vita». Se tali questioni non devono «mai diventare oggetto di trattativa ideologico-politica», occorre però riaffermare «l’opzione etica di fondo, che accoglie le sofferenze e le speranze di tutti, che si lascia provocare dalla complessità della vita, con il fine costante di contribuire all’accoglienza, al sostegno, all’incoraggiamento, alla serenità e al bene delle persone».

Oltre alla proposta "forte" che il ministero presbiterale «possa essere svolto con pari dignità da uomini celibi e sposati e da donne prete», i preti del Nord-Est auspicano la convocazione di un sinodo mondiale su tali questioni e incontri nelle comunità parrocchiali e nelle diocesi «per ricostruire una vera e propria teologia dell’affettività e della sessualità, esaminando serenamente alla luce del Vangelo, e con il contributo delle donne e degli uomini di scienza e di esperienza, le diverse situazioni e implicanze».

Infine, i firmatari auspicano che la Chiesa sia «povera, umile, sobria, essenziale, libera da ogni avidità riguardo al possesso dei beni», utilizzando «sempre con trasparenza il denaro, i beni, le strutture, rendendo conto pubblicamente di tutto». Essi si dicono convinti che la Chiesa si debba «aprire all’incontro, al dialogo, alla conoscenza, alla preghiera» e condividere «con uomini e donne di altre fedi religiose e con tutti gli uomini di buona volontà, la responsabilità per la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato». Infine, chiedono una Chiesa «che può ispirare l’impegno politico, ma mai compromessa con il potere», tutelando la "laicità dello stato".

Due lettere "dal basso" che vengono da uomini e donne di Chiesa; "sogni" lanciati dentro un confronto ecclesiale da parte di persone che non sentono solo l’esigenza dell’annuncio del Vangelo. Modalità che in Italia è sostanzialmente marginale, ma che altrove (Germania, Austria, Belgio ecc...) ha assunto misure e consensi assai maggiori. Suggerimenti e riflessioni certo discutibili e radicali, finalizzati tuttavia a rendere la Chiesa più credibile.

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