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www.ildialogo.org SENZA "GIUSEPPE", LUISA MURARO CONTINUA A GIOCARE A "MARIA", MADRE DI DIO E DIO LEI STESSA. Una sua riflessione "natalizia" - con note,a c. di Federico La Sala

CATTOLICISMO PLATONICO-HEGELIANO: DELIRIO DI ONNIPOTENZA E SPIRITO DI MENZOGNA. "L'ordine simbolico della madre" (di "mammona" e "mammasantissima") al capolinea ...
SENZA "GIUSEPPE", LUISA MURARO CONTINUA A GIOCARE A "MARIA", MADRE DI DIO E DIO LEI STESSA. Una sua riflessione "natalizia" - con note

(...) Ecco che cosa io posso vedere e godere: il latte della Vergine. Cirillo, vescovo di Alessandria e padre della Chiesa, aveva altro in testa, indubbiamente, ma la umana testa, per quanto robusta, sarebbe limitata, la fa grande e libera che la teniamo aperta al soffio delle idee.


a c. di Federico La Sala

 

 

IPAZIA DI ALESSANDRIA: LA DONNA CHE OSO’ SFIDARE LA CHIESA IN DIFESA               DELLA SCIENZA. Sul tema, articoli (di Mariateresa Fumagalli e di Roberta De      Monticelli) e altre note (Federico La Sala)

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Il latte della Vergine, Madre di Dio e Dio lei stessa

 

di Luisa Muraro ("Alias”, 24 dicembre 2011)

Maria di Nazaret (Palestina) è tornata di moda. Dico tornata perché chi sa un po’ di storia religiosa la conosce come una figura che si è regolarmente prestata a interpretare esigenze del momento, provenienti dall’alto e dal basso, da destra e da sinistra.

La sua carriera comincia prestissimo, alle nozze di Cana, quando si accorge che manca il vino e chiede al figlio di provvedere. Il culmine lo raggiunge nel Concilio di Efeso, quinto secolo, quando i padri conciliari le danno il titolo di madre di Dio. Chi ha lottato per questo risultato?

Sorpresa, quel Cirillo di Alessandria al quale gli storici imputano una parte di responsabilità nell’uccisione della filosofa neoplatonica Ipazia. Cirillo era un politico spregiudicato,ma anche buon teologo. A lui interessava essenzialmente la dottrina su Gesù e la sua identità: doppia (uomo e dio) o una? Una, sosteneva Cirillo, quella divina; il titolo dato a Maria veniva di conseguenza. Non è finita lì, le peripezie continueranno, una storia in cui si trova di tutto, pensate soltanto alla Porta di Gaudí (la natività) nella Sagrada Familia di Barcellona, che fu concepita per recuperare alla religione le famiglie operaie.

La Maria di moda ai nostri giorni trionfa con il femminismo che combatte il patriarcato ancora annidato nella religione. Data la scarsa conoscenza del femminismo, dovuta più alla novità delle idee che all’ignoranza delle persone, vi capiterà di leggere che noi femministe eravamo contro la figura di Maria. No, non solo la mariologia fu un terreno di coltura del femminismo cattolico,ma anche le agnostiche si sono dedicate e strappare Maria alla devozione di tipo patriarcale. Penso al Magnificat di Rosetta Stella (Marietti), che ha convocato una schiera di amici a commentare il canto che Luca mette in bocca a Maria. Di Maria si è enfatizzato il protagonismo, la mobilità, l’autonomia. La sua verginità è stata interpretata in termini d’indipendenza simbolica dagli uomini.

Fondamentale è stato l’apporto di Luce Irigaray, che, dagli anni ’80, ha contribuito a diffondere un nuovo linguaggio religioso: memorabile quel numero della rivista “Inchiesta” (1989) da lei curato, Il divino concepito da noi, con numerosi testi mariani. Per i nostri giorni penso a Ivana Ceresa, fondatrice della Sororità, un ordine religioso posto sotto l’autorità di Maria, concepita come figura di donna potente. Riaffiora a questo punto il titolo esorbitante dato a Maria dai padri conciliari di Efeso: madre di Dio. E perché non Dio lei stessa? La donna che dà corpo a Dio, come non vedere Dio nel suo, di lei, corpo? Mi pare che ci sia una sentenza dell’ex Sant’Uffizio che vieta di pensarlo, ma come fermare le idee? Solo la mediocrità e la paura fermano le idee, altrimenti premono per svilupparsi.

Teresa di Lisieux (una femminista, qualcuno ha scritto di lei) va in quella direzione. In una sua poesia di meditazione sulla Vergine che allatta Gesù, dice: il serafino contempla Dio faccia a faccia, beato lui, io su questa terra che cosa posso vedere? un’ostia bianca come il latte... Ecco che cosa io posso vedere e godere: il latte della Vergine. Cirillo, vescovo di Alessandria e padre della Chiesa, aveva altro in testa, indubbiamente, ma la umana testa, per quanto robusta, sarebbe limitata, la fa grande e libera che la teniamo aperta al soffio delle idee.



Martedì 27 Dicembre,2011 Ore: 09:55
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/12/2011 10.32
Titolo:Il Messia è già venuto - ed è il figlio del Dio di Giuseppe e di Maria ....
ITALIA.

NATALE 2008 DOPO LA NASCITA DEL MESSIA... *

Per il generale e comune mondo accademico (laico e religioso), la parola "Cristo" (in greco) traduce la parola "Messia" (in ebraico), che viene fatta derivare dalla parola mashìach (משיח, "unto") ...

SEMBRA TUTTO CHIARO - COME L’ACQUA. Ma qui si parla di "unto" e, quindi, di "olio". E la cosa non è affatto chiara. E la "Vox populi", fosse anche la "voce" del popolo dotto e dei dottori, non è coincisa mai con la voce di Dio (Vox Dei). E’ stata sempre e solo uno strumento e uno slogan di manipolazione del popolo-massa da parte dei vari Signori della Terra e della Guerra.

IL MESSIA NON E’ AFFATTO UN "UNTO", UN MESSO DI DIO. A rigor di logica e di testi evangelici, la differenza è abissale, come tra il messaggio dell’Imperatore (ricordiamo la lezione di Kafka) portato da un com-messo - un funzionario, e il figlio dell’Imperatore, inviato dall’Imperatore stesso, che è uno con il Padre ed è il messaggio in persona - in carne ossa e spirito.

Per risalire la corrente e, come un pesce salomonico ("Ichthus"), ritrovare la sorgente d’acqua viva, dobbiamo quanto meno ripensare al "perch’io te sovra te corono e mitria" di Virgilio a Dante (Purg.; XXVII, 142) a Lutero (sacerdozio universale) e a don Milani (sovranità universale) e ricordarci di Melchisedech.

Il MESSIA è CHI sa CHI è, CHI sa CHI lo manda, e che sa CHE COSA vuole e CHE COSA viene a fare. Non è un servo - e non è "unto" (come un pesce morto, pronto da friggere)! Porta la "spada" come Salomone, e porta la "luce", il "fuoco" che non brucia, e illumina le tenebre! Egli sa da dove viene e dove va: al di qua e al di là di Mosè e di Elia, egli è il Principio e la Fine, l’Alfa e l’Omega.

IL MESSIA E’ IL FIGLIO DI DIO, E DEL DIO AMORE ("DEUS CHARITAS EST", 1 Gv., 4, 1-16). Con il Padre e insieme al Padre, lo Spirito Santo ("Deus charitas est"), Egli è il Messaggio e il Messaggero! La Verità, tutta intera, di fronte a Pilato: Gesù, "Dio salva". E’ la Persona che è la via la verità e la vita, per tutti gli esseri umani per procedere verso la Salvezza, la Terra Promessa - il Regno di Dio (Charitas - Amore).

QUESTO E’ IL MESSIA. E questo Messia è già venuto - ed è il figlio del Dio di Giuseppe e di Maria!!!. La luce splende nelle tenebre: è nato il Messia, è nato Gesù ("Dio salva") , oggi - e per l’eternità.

La tragedia è finita. Il buon-messaggio è arrivato sulla Terra: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli esseri umani di buona volontà...

ORA TUTTO CAMBIA ED E’ TUTTO CAMBIATO. "ORA", NOI, tutti gli esseri umani, SIAMO DIVENTATI PER NOI STESSI UN GRANDE PROBLEMA!!!

DA AGOSTINO, A ROUSSEAU, A NIETZSCHE, A WITTGENSTEIN, SEMPRE LO STESSO INTERROGATIVO. La questione antropologica antica ("che cosa è l’uomo?") diventa un’altra. Ora - dopo la venuta del Messia, dopo la venuta di "Cristo", siamo sollecitati e costretti a interrogarci diversamente, con più profondità e con più altezza: "CHI SIAMO NOI, IN REALTA’?"(Nietzsche). "L’Io, l’IO, è il mistero profondo - e non in senso psicologico"(Wittgenstein).

"QUI E ORA", TOCCA A NOI DECIDERE. Siamo noi, tutti gli esseri umani, il Messia che deve venire sulla Terra.... ed è "qui e ora" che siamo chiamati a svegliarci e a decidere. Continuare ad essere servi, olive da schiacciare e farne olio dei vari Signori di Mammona di turno (come il teologo della "Dominus Jesus" e della "Deus caritas est" dell’af-faraonismo vaticano) per ungere il loro inviato di turno o, diversamente, diventare fratelli e compagni di viaggio di Gesù e quindi figli e figlie dello Spirito del Dio (Charitas)dei nostri Padri e delle nostre Madri Costituenti.... decisi, finalmente, a vivere e a operare in Spirito di Giustizia e Pace?!

SAPERE AUDE! IL MOTTO DELL’ILLUMINISMO KANT LO RIPRENDE VIENE DAL LATINO DI ORAZIO E NON SIGNIFICA SOLO AVER IL CORAGGIO INTELLETTUALE DI SAPERE. Richiama l’esperienza e la sensibilità: significa anche avere il coraggio di as-saggiare.

Nella Lingua d’Amore (Charitas) della Buona Novella (Eu-angelo) e della Buona-Grazia (Eu-Charistia), significa accogliere l’invito alla tavola della Sapienza del Messia (e non di qualche Cannibale unto dal Signore del posto) ed essere accolti a nostra volta come Messia: Prendete, questo è il mio corpo... questo è il mio sangue....

E’ una rinascita e una risurrezione, non la morte e la devastazione senza fine. Amore è più forte di Morte (Ct., 8.6). E’ l’inizio di un’amicizia infinita - non di una guerra, e di un dialogo nuovo - nella Lingua d’Amore.

La tragedia è finita. Inizia la Commedia. E Dante è sempre qui a ricordarcelo...

Il Messia è nato.

Che il Messia che deve venire, venga finalmente...

AUGURI.

Moltissimi, moltissimi Auguri...

BUON NATALE

Federico La Sala (18.12.2008)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2011 15.02
Titolo:La prima attribuzione del titolo di Madre di Dio a Maria di Nàzaret ...
[...] La prima attribuzione del titolo di Madre di Dio a Maria di Nàzaret è di natura popolare ed è databile immediatamente tra il sec. I e il sec. II d.C., quando si consolida la figura di Maria nell’organizzazione della liturgia della chiesa delle origini. *

Il concilio di Efeso fu convocato dall’imperatore Teodosio II (401-450) l’11 ottobre 430 e si svolse nella chiesa di San Giovanni dal 22 giugno – 22 luglio 431. Papa a Roma era Celestino I (422-432) e patriarca di Costantinopoli Nestorio (ca. 381- ca. 451). Costui negava la divinità di Gesù e quindi anche la maternità divina di Maria: «Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi».

Gli rispose e gli si oppose Cirillo di Alessandria il più grande teologo del tempo che rifletteva la teologia del papa di Roma: «La Vergine è madre della divinità? Noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l'eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna». Gesù è il Figlio di Dio ed è nato da Maria. Il concilio di Efeso rifiutò l’eresia di Nestorio e approvò il testo di Cirillo ribadendo la dottrina del concilio di Nicea (325) che aveva affermato l’esistenza nella persona di Gesù delle due nature, divina e umana e dichiarando di conseguenza Maria di Nàzaret «Theotòkos-Madre di Dio»2. La fede già professata dal popolo fu sancita dal magistero della Chiesa.

In memoria della dichiarazione di Efeso del 431, Papa Sisto III (432-440) l’anno successivo, nel 432, fece edificare una basilica sull’Esquilino dedicata a Maria, Madre di Dio e conosciuta come S. Maria Maggiore. Essa fu la prima delle chiese erette in Occidente e dedicate alla Vergine. In questa chiesa si cominciò a celebrare il 1 gennaio una festa del Natale di Maria che fu la prima festa di Maria nella liturgia romana.

Papa Pio XI per celebrare il 1500 anniversario dell’indizione del concilio di Efeso con l’enciclica Lux Veritatis del 25 dicembre 1931 istituì la festa della Divina Maternità della Beata Vergine assegnandola in memoria all’11 ottobre. Paolo VI la riportò alla data primitiva del 1° gennaio di ogni anno3.

L’ottava di Natale coincide anche con l’inizio dell’anno civile che così è messo sotto la protezione della Donna di Nàzaret la quale per grazia di Dio fu scelta come Madre del Creatore e Redentore, Madre e Sorella nostra. L’anno inizia col genere femminile. Sul nuovo anno invochiamo lo Spirito di Dio.

*
da: Maria Madre di Dio – A – B - C / 1° Gennaio
di Paolo Farinella, prete

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/esegesi/esegesitxt_1325166821.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2011 15.17
Titolo:GIUSEPPE E\' ANCORA UN GOJ, UNO STRANERO. Quando sarà riconosciuto padre di Dio?...
PER LA CHIESA CATTOLICA, SAN GIUSEPPE E’ ANCORA UN "GOJ", UNO STRANIERO.

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO" E FA IL SANTO "PADRINO".... CON "MAMMONA" E "MAMMASANTISSIMA"!

GESU’, GIUSEPPE, SACRA FAMIGLIA?! RESTITUIRE L’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE... E ANNUNCIARE LA BUONA-NOVELLA!!!

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La ’buona’ novella cattolica e la grande \\\"risata\\\" di Luigi Pirandello:

Un “goj”

di Luigi Pirandello *

Il signor Daniele Catellani, mio amico, bella testa ricciuta e nasuta - capelli e naso di razza - ha un brutto vizio: ride nella gola in un certo modo così irritante, che a molti, tante volte, viene la tentazione di tirargli uno schiaffo.

Tanto più che, subito dopo, approva ciò che state a dirgli. Approva col capo; approva con precipitosi:
Già, già! già, già! Come se poc’anzi non fossero state le vostre parole a provocargli quella dispettosissima risata.

Naturalmente voi restate irritati e sconcertati. Ma badate che è poi certo che il signor Daniele Catellani farà come voi dite. Non c’è caso che s’opponga a un giudizio, a una proposta, a una considerazione degli altri.

Ma prima ride.

Forse perché, preso alla sprovvista, là, in un suo mondo astratto, così diverso da quello a cui voi d’improvviso lo richiamate, prova quella certa impressione per cui alle volte un cavallo arriccia le froge e nitrisce. Della remissione del signor Daniele Catellani e della sua buona volontà d’accostarsi senz’urti al mondo altrui, ci sono del resto non poche prove, della cui sincerità sarebbe, io credo, indizio di soverchia diffidenza dubitare.

Cominciamo che per non offendere col suo distintivo semitico, troppo apertamente palesato dal suo primo cognome (Levi), l’ha buttato via e ha invece assunto quello di Catellani.

Ma ha fatto anche di più. S’è imparentato con una famiglia cattolica, nera tra le più nere, contraendo un matrimonio cosiddetto misto, vale a dire a condizione che i figliuoli (e ne ha già cinque) fossero come la madre battezzati, e perciò perduti irremissibilmente per la sua fede. Dicono però che quella risata così irritante del mio amico signor Catellani ha la data appunto di questo suo matrimonio misto.

A quanto pare, non per colpa della moglie, però, bravissima signora, molto buona con lui, ma per colpa del suocero, che è il signor Pietro Ambrini, nipote del defunto cardinale Ambrini, e uomo d’intransigentissimi principii clericali.

Come mai, voi dite, il signor Daniele Catellani andò a cacciarsi in una famiglia munita d’un futuro suocero di quella forza? Mah!

Si vede che, concepita l’idea di contrarre un matrimonio misto, volle attuarla senza mezzi termini; e chi sa poi, fors’anche con l’illusione che la scelta stessa della sposa d’una famiglia così notoriamente divota alla santa Chiesa cattolica, dimostrasse a tutti che egli reputava come un accidente involontario, da non doversi tenere in alcun conto, l’esser nato semita.

Lotte acerrime ebbe a sostenere per questo matrimonio. Ma è un fatto che i maggiori stenti che ci avvenga di soffrire nella vita sono sempre quelli che affrontiamo per fabbricarci con le nostre stesse mani la forca. Forse però - almeno a quanto si dice non sarebbe riuscito a impiccarsi il mio amico Catellani, senza l’aiuto non del tutto disinteressato del giovine Millino Ambrini, fratello della signora, fuggito due anni dopo in America per ragioni delicatissime, di cui è meglio non far parola.

Il fatto è che il suocero, cedendo obtorto collo alle nozze, impose alla figlia come condizione imprescindibile di non derogare d’un punto alla sua santa fede e di rispettare col massimo zelo tutti i precetti di essa, senza mai venir meno a nessuna delle pratiche religiose. Pretese inoltre che gli fosse riconosciuto come sacrosanto il diritto di sorvegliare perché precetti e pratiche fossero tutti a uno a uno osservati scrupolosamente, non solo dalla nuova signora Catellani, ma anche e più dai figliuoli che sarebbero nati da lei.

Ancora, dopo nove anni, non ostante la remissione di cui il genero gli ha dato e seguita a dargli le più lampanti prove, il signor Pietro Ambrini non disarma. Freddo, incadaverito e imbellettato, con gli abiti che da anni e anni gli restano sempre nuovi addosso e quel certo odore ambiguo della cipria, che le donne si dànno dopo il bagno, sotto le ascelle e altrove, ha il coraggio d’arricciare il naso, vedendolo passare, come se per le sue nari ultracattoliche il genero non si sia per anche mondato del suo pestilenzialissimo foetor judaicus. Lo so perché spesso ne abbiamo parlato insieme.

Il signor Daniele Catellani ride in quel suo modo nella gola, non tanto perché gli sembri buffa questa vana ostinazione del fiero suocero a vedere in lui per forza un nemico della sua fede, quanto per ciò che avverte in sé da un pezzo a questa parte.

Possibile, via, che in un tempo come il nostro, in un paese come il nostro, debba sul serio esser fatto segno a una persecuzione religiosa uno come lui, sciolto fin dall’infanzia da ogni fede positiva e disposto a rispettar quella degli altri, cinese, indiana, luterana, maomettana?

Eppure, è proprio così. C’è poco da dire: il suocero lo perseguita. Sarà ridicola, ridicolissima, ma una vera e propria persecuzione religiosa, in casa sua, esiste. Sarà da una parte sola e contro un povero inerme, anzi venuto apposta senz’armi per arrendersi; ma una vera e propria guerra religiosa quel benedett’uomo del suocero gliela viene a rinnovare in casa ogni giorno, a tutti i costi, e con animo inflessibilmente e acerrimamente nemico.

Ora, lasciamo andare che - batti oggi e batti domani - a causa della bile che già comincia a muoverglisi dentro, l’homo judaeus prende a poco a poco a rinascere e a ricostituirsi in lui, senza ch’egli per altro voglia riconoscerlo. Lasciamo andare. Ma lo scadere ch’egli fa di giorno in giorno nella considerazione e nel rispetto della gente per tutto quell’eccesso di pratiche religiose della sua famiglia, così deliberatamente ostentato dal suocero, non per sentimento sincero, ma per un dispetto a lui e con l’intenzione manifesta di recare a lui una gratuita offesa, non può non essere avvertito dal mio amico signor Daniele Catellani.

E c’è di più. I figliuoli, quei poveri bambini così vessati dal nonno, cominciano anch’essi ad avvertir confusamente che la cagione di quella vessazione continua che il nonno infligge loro, dov’essere in lui, nel loro papà. Non sanno quale, ma in lui dov’essere di certo. Il buon Dio, il buon Gesù - (ecco, il buon Gesù specialmente!) - ma anche i Santi, oggi questo e domani quel Santo, ch’essi vanno a pregare in chiesa col nonno ogni giorno, è chiaro ormai che hanno bisogno di tutte quelle loro preghiere, perché lui, il papà, deve aver fatto loro, di certo, chi sa che grosso male! Al buon Gesù, specialmente!

E prima d’andare in chiesa, tirati per mano, si voltano, poveri piccini, ad allungargli certi sguardi così densi di perplessa angoscia e di dogliosa rimprovero, che il mio amico signor Daniele Catellani si metterebbe a urlare chi sa quali imprecazioni, se invece... se invece non preferisse buttare indietro la testa ricciuta e nasuta e prorompere in quella sua solita risata nella gola.

Ma sì, via! Dovrebbe ammettere altrimenti sul serio d’aver commesso un’inutile vigliaccheria a voltar le spalle alla fede dei suoi padri, a rinnegare nei suoi figliuoli il suo popolo eletto: ’am olam, come dice il signor Rabbino. E dovrebbe sul serio sentirsi in mezzo alla sua famiglia un goj, uno straniero; e sul serio infine prendere per il petto questo suo signor suocero cristianissimo e imbecille, e costringerlo ad aprir bene gli occhi e a considerare che, via, non è lecito persistere a vedere nel suo genero un deicida, quando in nome di questo Dio ucciso duemil’anni fa dagli ebrei, i cristiani che dovrebbero sentirsi in Cristo tutti quanti fratelli, per cinque anni si sono scannati tra loro allegramente in una guerra che, senza pregiudizio di quelle che verranno, non aveva avuto finora l’eguale nella storia.

No, no, via! Ridere, ridere. Son cose da pensare e da dir sul serio al giorno d’oggi?

Il mio amico signor Daniele Catellani sa bene come va il mondo. Gesù, sissignori. Tutti fratelli. Per poi scannarsi tra loro. E naturale. E tutto a fil di logica, con la ragione che sta da ogni parte: per modo che a mettersi di qua non si può fare a meno d’approvare ciò che s’è negato stando di là.

Approvare, approvare, approvar sempre. Magari, sì, farci sì prima, colti alla sprovvista, una bella risata. Ma poi approvare, approvar sempre, approvar tutto. Anche la guerra, sissignori.

Però (Dio, che risata interminabile, quella volta!) però, ecco, il signor Daniele Catellani volle fare, l’ultimo anno della grande guerra europea, uno scherzo al suo signor suocero Pietro Ambrini, uno scherzo di quelli che non si dimenticano più.

Perché bisogna sapere che, nonostante gran carneficina, con una magnifica faccia tosta il signor Pietro Ambrini, quell’anno, aveva pensato di festeggiare, per i cari nipotini, la ricorrenza del Santo Natale più pomposamente che mai. E s’era fatti fabbricare tanti e tanti pastorelli di terracotta: i pastorelli che portano le loro umili offerte alla grotta di Bethlehem, al Bambinello Gesù appena nato: fiscelle di candida ricotta panieri d’uova e cacio raviggiolo, e anche tanti Franchetti di Soffici pecorelle e somarelli carichi anch’essi d’altre più ricche offerte, seguiti da vecchi massari e da campieri. E sui cammelli, ammantati, incoronati e solenni, i tre re Magi, che vengono col loro seguito da lontano lontano dietro alla stella cometa che s’è fermata su la grotta di sughero, dove su un po’ di paglia vera è il roseo Bambinello di cera tra Maria e San Giuseppe; e San Giuseppe ha in mano il bàcolo fiorito, e dietro sono il bue e l’asinello.

Aveva voluto che fosse ben grande il presepe quell’anno, il caro nonno, e tutto bello in rilievo, con poggi e dirupi, agavi e palme, e sentieri di campagna per cui si dovevano veder venire tutti quei pastorelli ch’eran perciò di varie dimensioni, coi loro branchetti di pecorelle e gli asinelli e i re Magi.

Ci aveva lavorato di nascosto per più d’un mese, con l’aiuto di due manovali che avevan levato il palco in una stanza per sostener la plastica. E aveva voluto che fosse illuminato da lampadine azzurre in ghirlanda; e che venissero dalla Sabina, la notte di Natale, due zampognari a sonar l’acciarino e le ciaramelle. I nipotini non ne dovevano saper nulla.

A Natale, rientrando tutti imbacuccati e infreddoliti dalla messa notturna, avrebbero trovato in casa quella gran sorpresa: il suono delle ciaramelle, l’odore dell’incenso e della mirra, e il presepe là, come un sogno, illuminato da tutte quelle lampadine azzurre in ghirlanda. E tutti i casigliani sarebbero venuti a vedere, insieme coi parenti e gli amici invitati al cenone, questa gran maraviglia ch’era costata a nonno Pietro tante cure e tanti quattrini.

Il signor Daniele lo aveva veduto per casa tutto assorto in queste misteriose faccende, e aveva riso; aveva sentito le martellate dei due manovali che piantavano il palco di là, e aveva riso.

Il demonio, che gli s’è domiciliato da tanti anni nella gola, quell’anno, per Natale, non gli aveva voluto dar più requie: giù risate e risate senza fine. Invano, alzando le mani, gli aveva fatto cenno di calmarsi; invano lo avena ammonito di non esagerare, di non eccedere. - Non esagereremo, no! - gli aveva risposto dentro il demonio. - Sta’ pur sicuro che non eccederemo. Codesti pastorelli con le fiscelline di ricotta e i panierini d’uova e il cacio raviggiolo sono un caro scherzo, chi lo può negare? così in cammino tutti verso la grotta di Bethlehem! Ebbene, resteremo nello scherzo anche noi, non dubitare! Sarà uno scherzo anche il nostro, e non meno carino. Vedrai.

Così il signor Daniele s’era lasciato tentare dal suo demonio; vinto sopra tutto da questa capziosa considerazione: che cioè sarebbe restato nello scherzo anche lui.

Venuta la notte di Natale, appena il signor Pietro Ambrini con la figlia e i nipotini e tutta la servitù si recarono in chiesa per la messa di mezzanotte, il signor Daniele Catellani entrò tutto fremente d’una gioia quasi pazzesca nella stanza del presepe: tolse via in fretta e furia i re Magi e i cammelli, le pecorelle e i somarelli, i pastorelli del cacio raviggiolo e dei panieri d’uova e delle fiscelle di ricotta - personaggi e offerte al buon Gesù, che il suo demonio non aveva stimato convenienti al Natale d’un anno di guerra come quello - e al loro posto mise più propriamente, che cosa? niente, altri giocattoli: soldatini di stagno, ma tanti, ma tanti, eserciti di soldatini di stagno, d’ogni nazione, francesi e tedeschi, italiani e austriaci, russi e inglesi, serbi e rumeni, bulgari e turchi, belgi e americani e ungheresi e montenegrini, tutti coi fucili spianati contro la grotta di Bethlehem, e poi, e poi tanti cannoncini di piombo, intere batterie, d’ogni foggia, d’ogni dimensione, puntati anch’essi di sé, di giù, da ogni parte, tutti contro la grotta di Bethlehem, i quali avrebbero fatto veramente un nuovo e graziosissimo spettacolo.

Poi si nascose dietro il presepe.

Lascio immaginare a voi come rise là dietro, quando, alla fine della messa notturna, vennero incontro alla meravigliosa sorpresa il nonno Pietro coi nipotini e la figlia e tutta la folla degli invitati, mentre già l’incenso fumava e i zampognari davano fiato alle loro ciaramelle.

* LUIGI PIRANDELLO, UN «GOJ», Novelle per un anno, Mondadori.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/1/2012 16.09
Titolo:ED EMMA FATTORINI A FARE MURO INTORNO A RATZINGER ...
La spinta di Ratzinger

di Emma Fattorini (l\'Unità, 10 gennaio 2012)

Il senso dell’importante discorso tenuto ieri da Benedetto XVI è ben racchiuso nelle parole
conclusive quando il Pontefice afferma che occorre riandare al duplice insegnamento della
Gaudium et Spes. Secondo questo testo fondamentale del Concilio Vaticano II, di cui ricorre il 50˚
anniversario, nulla è più importante «della vocazione dell’uomo».
L’umano è valore assoluto al punto che racchiude la scintilla del divino. L’insegnamento che ne
deriva è quello di «offrire all’umanità una cooperazione sincera, che instauri quella fraternità
universale che corrisponde a tale vocazione».

Perché è contenuto qui lo spirito del messaggio di inizio anno di Papa Ratzinger? Perché c’è un
senso molto unitario, nel suo appello affinché l’umanità trovi le strade di una nuova cooperazione.
Unitario in quanto tutti gli aspetti dell’umano si integrano senza scissioni o preferenze tra chi pensa
sia più importante l’aspetto economico e chi quello morale. Unitario in quanto una comune umanità
implica la difesa materiale dei più poveri e non di meno condanna la selezione prenatale del sesso.

Il suo ragionare parte dai più deboli, che la crisi rende ancora più esposti e svantaggiati: dopo avere
sottolineato che la Santa Sede è finalmente membro a pieno titolo dell’Organizzazione
internazionale per le migrazioni, il Papa riflette sugli effetti devastanti che la crisi può avere sui
Paesi in via di sviluppo.


La crisi nella quale il mondo occidentale è ormai precipitato è etica prima che economica e può
essere «uno sprone» - sono le sue parole - per ridisegnare le priorità dell’esistenza umana nel nuovo
millennio, il cui destino non «finisce nel nulla e non è la corruzione». Per un cambiamento dei
meccanismi economici e delle risorse in quel quadro di «rispetto del creato» al quale tante volte ha
fatto riferimento in questi anni. È, il suo, un approccio che sembrava controcorrente fino a poco
tempo fa ma che ora molti sono costretti a condividere e che però contiene un significato specifico
preciso: sarebbe irrealistico prima che immorale, parlare di una nuova cooperazione se essa si
limitasse al solo piano economico-materiale. È irrealistico - dice Benedetto XVI - pensare ai bisogni
dei giovani, i più penalizzati dalla crisi, come pure opportunità di occupazione e di futuro se non si
investe sulle «istituzioni educative».

Non è uno stanco ripetere, è davvero così: non si potrà
ricostruire nulla se non si capisce che la formazione delle persone giovani, la loro cultura è
inscindibile dalla loro maturità interiore, dalle loro possibilità materiali mai scisse dalla forza
interiore di sperare e progettare, di essere onesti e generosi. E in questo grande disegno e progetto
formativo la famiglia è centrale.

Famiglia non come convenzione sociale, ma come nucleo di
affettività solidale al proprio interno e mai escludente l’esterno.

Quello della famiglia è il nodo da
cui occorrerà ripartire tutti. Per ridisegnarne il senso, per non appiattirla al familismo egoistico che
è la versione più ingannevole di quella degenerazione individualistica così lontana da una vera,
matura soggettività libera.

Quella sì ricca di capacità relazionali come l’esperienza delle donne non smette di insegnarci. Le
donne, il vero, grande “ponte” tra esperienza materiale e sapienza del cuore. E però proprio per
questo più sfruttate che aiutate. Eppure non si può parlare di famiglia senza ripartire da loro. E
dovrebbe capirlo molto bene la Chiesa quando nei Paesi più oppressi, quelli nei quali le religioni
sono causa principale della soppressione dei diritti, sono proprio le donne a convertirsi in maggior
numero al cristianesimo perché trovano lì, nel suo senso di eguaglianza e di giustizia, una superiore
occasione di affrancamento e di liberazione.

Insomma, quello del Papa è stato un discorso rivolto a tutti i Paesi del mondo con l’occhio fisso alla
singola persona nella sua unitarietà e interezza. Per ridisegnare un’idea di genere umano nella quale
davvero si possano ormai riconoscere credenti e non credenti, tutti gli uomini di buona volontà,
indispensabili, per i difficili tempi che ci aspettano.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/3/2012 10.06
Titolo:Muraro: "quando possiamo dire sì all´uso della forza"
La femminista e la violenza

Muraro: "quando possiamo dire sì all´uso della forza"

La provocazione della filosofa su "Via Dogana" rivista storica delle donne A cui replicano in tante, criticando una tesi mai condivisa: "Non esiste un modo di scontrarsi intelligente"

di Simonetta Fiori (la Repubblica, 07.03.2012)

"Violenza giusta": ma non è dissennato riproporla oggi? Nella redazione di Via Dogana devono averci pensato un po´ prima di dare alle stampe il centesimo numero, che non passerà inosservato. La storica rivista della Libreria delle donne di Milano s´apre infatti con una sorprendente riflessione di Luisa Muraro Al limite, la violenza, che non è certo un inno alla violenza ma non la «esclude a priori».

Un´apertura a «un uso della forza» adeguato alla violenza che è nelle cose e nei rapporti tra le persone. Esisterebbe in sostanza una «violenza giusta», distinta da quella «stupida» e «controproducente». E sarebbe sbagliato «separare la violenza dalla forza» perché «lo sconfinamento tra una e l´altra è inevitabile».

Accanto alla citazione de L´Iliade poema della forza di Simone Weil, ecco l´improvvido elogio della sassaiola contro i cattivi politici. Bisognava «mandarlo indietro a fischi e sassate, come si meritava, come si usava una volta, come chiedevano i loro morti, quelli uccisi dal crollo di edifici pubblici taroccati», scrive Muraro rievocando la passerella di Berlusconi all´Aquila dopo il terremoto. "A fischi e sassate", proprio così dice l´autrice.

Ma che succede nello storico laboratorio del pensiero della differenza, di cui Muraro è indiscussa e mite sacerdotessa? Non erano state proprio loro, le femministe della Libreria delle donne, a liquidare negli anni Settanta la violenza come rispecchiamento di bellicose logiche maschili? E dopo gli esiti luttuosi di quella stagione, non è sbagliato e pericoloso rilanciare ora una riflessione sulla «violenza giusta»?

Al momento Muraro non parla. Il suo articolo di Via Dogana è l´anticipazione di un saggio che sarà pubblicato a giugno da nottetempo - Dio è violent... - e l´autrice preferisce aspettare l´uscita del libro. Per capirne di più, bisogna risalire all´estate scorsa, all´epoca dei disordini nella Val Susa, quando sul sito della Libreria compare una voce femminile che invita "a rompere un tabù", il silenzio sulla «violenza nella realtà e nel discorso della politica».

Muraro condivide: «È un tema urgente, bisognoso di una nuova e spregiudicata riflessione», dove spregiudicata significa «pensarci senza dire automaticamente no alla violenza». E ancora: «Bisogna cominciare a fare la differenza tra la violenza stupida e quella che tale non è, di cui abbiamo smesso di pensare e di parlare, dimenticando che l´agire umano non si dà senza questa componente».

Violenza stupida? Violenza intelligente?

A sette mesi da quella riflessione, ecco il nuovo articolo su Via Dogana, in un numero dedicato alla "forza necessaria". «C´è una violenza nelle cose e tra i viventi che prelude a un ritorno alla legge del più forte: dobbiamo pensarci», invoca Muraro. Alla propria forza non si deve rinunciare, «si tratterà dunque di dosarla senza perderla».

Ma come? La studiosa rifiuta il confine indicato dalla «predicazione antiviolenza», ossia quello che distingue forza e violenza. «No, lo sconfinamento è inevitabile». E allora? E allora «la misura da cercare» è in «una violenza giusta» misurata non sul diritto ma sulle circostanze storiche. Due gli esempi indicati nel breve scritto.

Il primo risale agli eccidi di Srebrenica, che potevano essere evitati dai militari dell´Onu, «incapaci di percepire il mostro dell´odio davanti ai loro occhi».

Il secondo è invece preso dalle storie di casa nostra, quando «era nelle possibilità degli abitanti dell´Aquila impedire al capo del governo di fare della loro sventurata città la cornice massmediatica per la sua autopromozione».

Della contundente soluzione suggerita da Muraro abbiamo già detto: sarebbe questa la violenza "intelligente"?
«Muraro ha ragione, c´è una violenza stupida. Quello che però non riesco a concepire è la sassata intelligente, o la carica di polizia intelligente». Anna Bravo, storica dell´età contemporanea sensibile ai temi delle donne e della nonviolenza, appare piuttosto sorpresa. «Se Zizek sostiene che il pacifismo è facilmente assimilabile non mi turba molto. Muraro invece mi inquieta, perché è lei, e perché donna. Per noi donne, che abbiamo alle spalle una storia millenaria di disobbedienza e di manipolazione delle norme, è più semplice capire non solo che legge e giustizia sono due cose diverse, ma che si può agire di conseguenza senza inabissarsi nella distruttività. Per di più, il crescere della violenza e la militarizzazione dei movimenti - sia nella Resistenza che negli anni Settanta - ha sempre tolto respiro alle iniziative delle donne».

Nel suo bel saggio sul Sessantotto A colpi di cuore - titolo di per sé espressivo - Bravo rievoca il disagio delle donne di Lotta Continua quando portavano le molotov nel tascapane. La legittimità della violenza, annota la studiosa, è un tema estraneo alla tradizione femminista. E neppure nella letteratura di guerra e della resistenza l´argomento è centrale. «L´Italia è stata definita la patria del femminismo più forte e violento ma non è vero», dice ora Bravo. «Certo, i gruppi potevano risentire del clima di allora. C´era una pressione politica molto forte ed era acquisito il principio che si potessero fare cose illegali. Ma molte ragazze di Lotta Continua contestavano il servizio d´ordine e avevano paura di trovarsi in mezzo ai cortei più caldi. E quando Lc si sciolse, soprattutto per opera delle femministe, fu anche per una diversità di vedute sulla violenza».

Violenza legittima, uso della forza. Il pensiero corre a Carla Lonzi, la femminista che tra le prime liquidò la violenza dell´inconscio maschile, «ricettacolo di sangue e paura». La discussione sembra ora aperta all´interno della stessa Via Dogana, che ospita voci contrastanti.

«Alla sollecitazione della Muraro», scrive Annarosa Buttarelli, «fa obiezione la scelta storica di gran parte delle donne di lottare in modo non violento. La scelta di segno femminile è di custodire l´integrità dei corpi e dei luoghi». E Lia Cigarini chiude: «Schivare lo scontro guerresco è segno di forza, non di debolezza».

Al gioco del più forte, insiste ora Bravo, noi perdiamo sempre. «L´invito di Muraro a ripensare il nostro rapporto con la violenza si lega al giudizio sul presente, che prefigurerebbe un ritorno alla legge del più forte. Ammettiamo che sia così: ma spostarsi su questo livello di scontro, questo sì mi sembra un passo in sintonia con uno spirito militare. Voi usate la vostra forza? Noi siamo in grado di tenervi testa con la nostra. Mentre la potenza dell´oppositore nonviolento sta proprio nel sottrarsi a questo meccanismo». Un meccanismo, conclude la studiosa, che ha portato tanti movimenti alla sconfitta. Sconcertante, davvero, riconsiderarlo oggi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/3/2012 23.04
Titolo:LA MISURA PER SE' E LA MISURA IN GENERALE ....
Esiste il sesso delle parole

di Luisa Muraro (Metro, 28 marzo 2012*

Non m’interessa che si faccia una politica in favore delle donne. Quello che invece m’interessa, è che le donne che entrano in politica, sappiano farsi valere con tutta la loro esperienza e competenza. Perché lo dico? Perché troppe di loro, man mano che fanno carriera, rinunciano invece al nome di donna e si presentano come dei neutri. Mi riferisco a quelle che, parlando ai giornalisti, dicono: chiamatemi ministro, sindaco, segretario, professore… La trovo una cosa scandalosa e incomprensibile, tanto più che negli altri paesi europei non lo fanno. Angela Merkel era deputata ed è diventata cancelliera della Germania. Ma guardiamo anche da noi: la donna che lavora in fabbrica si chiama operaia; quella che lavora in campagna, contadina; quella che vende, commessa. È giusto, lo vuole la lingua che parliamo, lo insegnano i vocabolari. Nei vecchi vocabolari non troviamo il femminile di sindaco, di ministro, di deputato, ma solo perché erano vocabolari di una civiltà patriarcale che escludeva le donne dalla vita pubblica. Questo non succede più. Da qui viene per me lo scandalo: se quelle che entrano nei posti di comando vogliono chiamarsi al maschile, che messaggio danno? Che il femminile è buono per sgobbare ma non per dirigere? Buono per la scuola elementare ma non per l’università?

Che una donna ammiri un uomo, ammesso che abbia qualche merito, non ci sono obiezioni, l’ammirazione è un sentimento libero. Ma che lo prenda come una misura per sé, in generale, questa o è soggezione o trasformismo. E ha degli effetti deteriori, perché in un posto di responsabilità, grande o piccola, bisogna portare non solo le conoscenze ma anche le esperienze, non solo un titolo di studio ma anche il proprio essere.

* http://www.libreriadelledonne.it/news/articoli/Metro280312.htm

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