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www.ildialogo.org L'EMPATIA AL POTERE: NOTE PER UNA CRITICA DELLA RAGIONE EMOTIVA. Un contributo di Roberto Esposito e un'analisi di David Brooks,a c. di Federico La Sala

LA RAGIONE EMOTIVA: UN ALTRO MODO PER PORTARE AVANTI IL LAVORO DI NEUTRALIZZAZIONE DELLA FACOLTA' DI GIUDIZIO DI OGNI ESSERE UMANO E DI DISTRUZIONE DELLA LEZIONE ILLUMINISTICO-KANTIANA ....
L'EMPATIA AL POTERE: NOTE PER UNA CRITICA DELLA RAGIONE EMOTIVA. Un contributo di Roberto Esposito e un'analisi di David Brooks

Di questi tempi lŽempatia è diventata una scorciatoia. È diventata un modo per provare lŽillusione di un progresso morale senza dover fare il lavoro sporco di emettere giudizi morali. In una cultura che non riesce a formulare categorie morali e che cerca in tutti i modi di non offendere, insegnare lŽempatia è un modo sicuro per sembrare virtuosi senza rischiare polemiche e senza urtare i sentimenti di qualcuno.


a c. di Federico La Sala


Critica della ragione emotiva


In alcuni saggi quel che comincia a emergere è che esiste un elemento di ambivalenza e di opacità nel fare ricorso al "cuore"


In questi anni abbiamo assistito a una rivalutazione delle passioni e del loro ruolo. Non solo dal punto di vista della sensibilità ma anche da quello politico e intellettivo. Ora però c´è chi ne mette in discussione il reale potere di emancipazione

Lo stesso Obama che ha costruito la sua campagna elettorale su parole chiave di questo tipo sta assumendo toni più realistici


di Roberto Esposito (la  Repubblica, 11.12.2011)


Life. Motions, Motives, Emotions è il titolo, accattivante, di un convegno che c´è stato a novembre nell´Università di Los Angeles. Dedicato in larga parte al pensiero italiano – da sempre radicato nella falda vitale delle passioni –, esso ha messo in risalto il ruolo crescente assunto dalle emozioni nelle dinamiche contemporanee. Lungi dal circoscriversi alla sfera individuale, o agli ambiti dell´arte e della psicologia, il linguaggio delle emozioni irrompe sempre più negli scenari sociali, invadendo i territori della politica e dell´economia. Mentre le piazze di tutto il mondo, dal Nord Africa all´Europa, agli Stati Uniti, ribollono di passioni calde – ira, entusiasmo, speranza –, le borse oscillano secondo le ansie e gli sbalzi di umore degli operatori. Tutt´altro che soggetta all´algida legge dei numeri, o conformata alla razionalità di procedure tecniche, insomma, la vita collettiva appare esposta ad ondate emotive dall´andamento imprevedibile.


Ciò è tanto più rilevante perché appare in controtendenza con il movimento di razionalizzazione della civiltà moderna. Come è noto, la secolarizzazione ha avuto un effetto di raffreddamento nei confronti dei conflitti, e anche della passionalità sfrenata, che caratterizzavano l´epoca precedente. Rispetto ad essi la modernità, nel suo complesso, ha attivato un generale dispositivo immunitario, teso a raffrenare istinti e forze emotive che, se abbandonate alla loro spinta naturale, avrebbero potuto avere effetti potenzialmente dissolutivi. Naturalmente i filosofi moderni – da Cartesio a Kant – trattano delle passioni, ma dal punto di vista di una razionalità destinata ad imbrigliarle e governarle. È vero che, già a partire da Rousseau e per tutta la fase romantica, le mozioni del cuore sembrano di nuovo prevalere su quelle della ragione – ma più nell´orizzonte individuale che in quello degli orientamenti collettivi. 

Perfino l´homo democraticus – come è profilato da Tocqueville – è caratterizzato da un´atrofia passionale, dominato da un conformismo che lo rende simile a tutti gli altri, senza però unirlo ad essi in un progetto comune. Apatia ed indifferenza sono il sintomo di questa perdita di emotività che può arrivare fino alla sottomissione al dispotismo. Anche il progressivo rattrappimento del desiderio, sostituito dalla ricerca del godimento immediato, che connota le nostre società, può essere interpretato come un esito non voluto dell´individualismo moderno. L´onda di riflusso che ha seguito, atrofizzandone la spinta energetica, i movimenti giovanili degli anni Sessanta e Settanta, sembra riconsegnare il mondo occidentale ad una carenza emotiva sempre più marcata, fino a determinare un generale ripiegamento nella sfera privata.


Poi, con una di quelle svolte di cui non è facile rintracciare la radice, il pendolo tra le passioni e gli interessi – per riprendere la classica endiadi di Hirschman – è tornato a battere nella direzione contraria. Il motore delle emozioni collettive ha ripreso a girare, ridando fiato a passioni che sembravano estinte. All´origine di questo passaggio si può, forse, situare la caduta del muro di Berlino, con l´accelerazione che ne è seguita nel processo di globalizzazione. Nel momento in cui si sono sbriciolate barriere, ambientali e psicologiche, prima ermeticamente chiuse, anche attraverso la contemporanea diffusione della rete, un sentimento di empatia sembra di nuovo subentrare a quello di apatia.

Da allora il contagio delle passioni – ma anche delle ansie e delle paure – sembra divenire inarrestabile. Basti pensare alla risonanza mondiale dell´attentato alle Torri Gemelle. L´immagine dello schianto, ripetuta infinite volte sui teleschermi di un pubblico ormai globale, ha determinato una comunanza di sensazioni più forte di qualsiasi differenza culturale, etnica, generazionale. Da quel momento è bastato che una scintilla scoccasse in una metropoli perché lo stesso fuoco si accendesse in quella vicina e, da lì, in tutta l´area circostante. Come già la rivolta nordafricana, anche i fenomeni, non lontani tra loro, dei movimenti no global, degli indignados e di OccupyWallStreet si sono diffusi in un lampo da un paese all´altro su un´onda di emozioni inimmaginabile appena qualche decennio addietro.

E allora, tutto bene? Possiamo abbandonarci senza esitazione al flusso di questa emotività collettiva, riconoscendo in essa la soglia di una nuova sensibilità democratica o addirittura antropologica? Possiamo dare alla semiotica delle passioni – come l´ha felicemente definita Paolo Fabbri – una rilevanza politica di carattere emancipativo?

Credo che, prima di dare una risposta compiutamente affermativa a tali domande, occorra un attimo di riflessione e di discernimento. Perfino Martha Nussbaum – in un libro come L´intelligenza delle emozioni (il Mulino 2009), che pure ne valorizza il significato etico e politico – invita a selezionarle in ordine a consapevoli progetti di vita. Per non dire di Judith Siegel, impegnata nell´elaborazione di una vera e propria strategia di controllo capace di metterci a riparo da un surplus emotivo di esito incerto (Stop Overreacting: Effective Strategies for Calming Yours Emotions, New Harbinger 2010). È una cautela più che motivata. Intanto perché, come si è appena visto, il pendolo tra passioni calde e passioni fredde è certamente soggetto ad ulteriori spostamenti, anche in rapporto al continuo mutamento degli scenari politici. Non è un caso se, come ha rilevato più volte la columnist del New York Times Maureen Dowd, lo stesso Obama, eletto anche sulla scia delle emozioni positive che è stato capace di suscitare, abbia dovuto ripiegare su un registro più realistico, ispirato al riconoscimento dei limiti del proprio potere.


Ciò che comincia a trapelare è la consapevolezza di un elemento di opacità interno alla sensibilità passionale. Si pensi all´effetto ambivalente dei media, in particolare televisivi. Da qualche tempo la differenza, sul piano delle immagini e del lessico, tra la fiction, le trasmissioni di inchiesta e perfino alcuni telegiornali si va assottigliando. A prevalere sono sempre più contenuti, colori, toni, destinati a potenziare le sensazioni forti, a sollecitare una partecipazione diretta dello spettatore alla vicende dei protagonisti. Allo stesso modo, nei programmi strappalacrime, il pianto di mariti abbandonati dalle mogli o di figli in lite con i padri tende a riprodursi senza soluzione di continuità negli occhi degli spettatori. Il risultato è insieme un eccesso, ma anche una sorta di trasferimento della nostra emotività, "delegata" a coloro che artificialmente la stimolano, con un risultato di smarrimento di ogni distanza critica rispetto all´evento rappresentato. 


Trascinati su questo piano del contagio emotivo, così come qualsiasi delitto in famiglia ci pare alla fine uguale a tutti gli altri, anche ogni piazza – da quella di giovani democratici che chiedono libertà a quella di integralisti islamici che inneggiano alla guerra santa – finisce per equivalersi, senza darci la possibilità di comprendere ciò che realmente sta accadendo. Non solo, ma può generarsi anche un effetto inflattivo. Come ha ben spiegato Odo Marquard (in Estetica e anestetica, il Mulino 1994) una proliferazione di elementi estetici può produrre un risultato anestetico – un blocco emotivo per eccesso di emozioni. Se ci immergiamo nel mare delle emozioni senza il salvagente della ragione critica, rischieremo, prima o poi, di annegare.


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Così l’empatia è stata trasformata in una scorciatoia

Questo tipo di sentimento è importante ma non sufficiente

Il progresso morale si ottiene emettendo dei giudizi


di David Brooks (la 
Repubblica, 11.12.2011)

Siamo circondati da persone che cercano di fare del mondo un posto migliore: militanti pacifisti che spingono i nemici a dialogare perché possano conoscersi a vicenda e compenetrarsi nella sofferenza del loro interlocutore; dirigenti scolastici che cercano di creare gruppi di studenti variegati, perché ognuno possa capire come ci si sente nei panni di un altro; gruppi religiosi e comunitari che cercano di coltivare l´empatia.


Come scrive Steven Pinker nel suo nuovo e sconvolgente libro intitolato The Better Angels of Our Nature, viviamo in mezzo a una "smania di empatia". Gli scaffali delle librerie abbondano di saggi sull´argomento: L´età dell´empatia, Il divario di empatia, La civiltà empatica, Insegnare l´empatia. C´è perfino una teoria neurologica che sostiene che nel nostro cervello ci sono dei neuroni-specchio che ci consentono di percepire quello che c´è nella testa delle altre persone, e che questi neuroni sono all´origine dei sentimenti di empatia verso il prossimo e dell´azione morale.


C´è molto di vero in tutto questo. Questi neuroni-specchio ci sono veramente. Le persone empatiche sono più sensibili al punto di vista e alle sofferenze degli altri e sono più inclini a esprimere giudizi morali compassionevoli. Il problema insorge quando cerchiamo di trasformare i sentimenti in azione. L´empatia rende maggiormente consapevoli delle sofferenze altrui, ma non è chiaro se spinga effettivamente ad agire in modo morale o se trattenga effettivamente dall´agire in modo immorale. Nei primi giorni dell´Olocausto, i carcerieri nazisti a volte scoppiavano in lacrime mentre falciavano donne e bambini ebrei, ma continuavano a farlo comunque. 


L´empatia spinge ad agire in modo morale, ma non sembra influire molto quando quell´agire comporta un costo personale. Magari avvertite una stretta al cuore quando vedete un mendicante sul marciapiede opposto, ma probabilmente non attraversate la strada per andare a dargli un dollaro. Ci sono pile intere di saggi che indagano sul legame tra empatia e azione morale. Studiosi differenti sono giunti a conclusioni differenti, ma in un recente studio Jesse Prinz, un filosofo della City University di New York, ha riassunto così le ricerche sull´argomento: «Questi studi suggeriscono che l´empatia non rappresenta un fattore importante per quanto concerne la motivazione morale». Altri studiosi hanno definito l´empatia un "fragile fiore", facilmente schiacciato dall´interesse personale.


Nessuno è contro l´empatia, ma sta di fatto che non è sufficiente. Di questi tempi l´empatia è diventata una scorciatoia. È diventata un modo per provare l´illusione di un progresso morale senza dover fare il lavoro sporco di emettere giudizi morali. In una cultura che non riesce a formulare categorie morali e che cerca in tutti i modi di non offendere, insegnare l´empatia è un modo sicuro per sembrare virtuosi senza rischiare polemiche e senza urtare i sentimenti di qualcuno.


Le persone che effettivamente si danno da fare nel sociale non provano solo un sentimento di empatia per coloro che soffrono, si sentono spinte ad agire da un senso del dovere. La loro vita è strutturata da codici sacri. Pensate a qualcuno che ammirate. Probabilmente questo individuo ha una certa inclinazione alla solidarietà, ma più di questa inclinazione conta il senso del dovere nei confronti di qualche codice di comportamento religioso, militare, sociale o filosofico. Proverebbe un senso di colpa o di vergogna se non si attenesse alle regole prescritte dal codice. Il codice gli dice quando merita l´ammirazione degli altri o il disonore. Il codice lo aiuta a valutare i sentimenti degli altri, non semplicemente a condividerli. Il codice gli dice che un adultero o uno spacciatore di droga possono provare un piacere immenso, ma che il loro comportamento è comunque da disprezzare.

Il codice non è solo un insieme di regole. È una fonte di identità. È qualcosa che viene perseguito con gioia. È qualcosa che suscita le emozioni e i legami più forti. L´empatia è un evento secondario. Se volete rendere il mondo un posto migliore, aiutate le persone a discutere, comprendere, riformare, onorare e mettere in pratica i loro codici. Accettate che i codici siano in conflitto tra loro.


(Traduzione di Fabio Galimberti)  © 2011 New York Times News Service



Domenica 11 Dicembre,2011 Ore: 15:22
 
 
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