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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org FREUD E LE SORELLE "DIMENTICATE" A VIENNA E "IMMOLATE" AL NAZISMO. Una nota di Leonetta Bentivoglio sul lavoro di Goce Smilevski, "La sorella di Freud" - con appunti,a c. di Federico La Sala

LA PSICOANALISI E LA BANALITA’ DEL MALE. CHIUDERE GLI OCCHI, CHIUDERE UN OCCHIO, E APRIRE GLI OCCHI ...
FREUD E LE SORELLE "DIMENTICATE" A VIENNA E "IMMOLATE" AL NAZISMO. Una nota di Leonetta Bentivoglio sul lavoro di Goce Smilevski, "La sorella di Freud" - con appunti

(...) lasciando Vienna, Freud aveva avuto la possibilità di portare con sé i propri cari, e nell’elenco che stilò per l’occasione figuravano la moglie, i figli, la cognata, le due assistenti, il medico personale con famiglia al seguito e persino il cane. Ma non le quattro povere sorelle (...)


a c. di Federico La Sala

NOTA SUL TEMA: 

Negata la lezione del “Tu devi” di Kant, Freud riesce a liberarsi a stento dal “Super-Io” Faraonico - Per Freud non c’è più alcuna distinzione tra Mosè e il Faraone e la Legge di Mosè diventa la “diretta erede” della Legge dell’edipico Faraone!!! Questo chiarisce come non sia affatto né un lapsus né una battuta di spirito assimilare Mussolini a Mosè, come fa nella dedica al Duce sulla copia del “Perché la guerra?”, in cui scrive: “da un vecchio che saluta nel Liberatore l’Eroe della cultura” (1933)!!!

CON KANT E FREUD, OLTRE. Un nuovo paradigma antropologico: la decisiva indicazione di ELVIO FACHINELLI.

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA.

(Federico La Sala).

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-  
Goce Smilevski fa una finta autobiografia tratta da una storia rimossa 
-  La protagonista è Adolfine che ripercorre la sua vicenda dal lager

-  Il destino segreto delle sorelle di Freud dimenticate a Vienna

-  di Leonetta Bentivoglio (la Repubblica, 09.10.2011)

Rosa, Marie, Adolfine e Pauline furono le sorelle immolate al nazismo da Sigmund Freud. Le condannò per ignavia, trascuratezza, egoismo o per chissà quali segreti rancori familiari. Soltanto Anna, la maggiore, evitò i lager, emigrando in America nel 1889. Le altre quattro perirono in modo tragico e umiliante, in campo di concentramento, tra il 1942 e il 1943, mentre il loro celebre fratello si era spento nella quiete della sua bella casa inglese nel 1939, un mese dopo l’inizio della guerra. Semplicemente Sigmund aveva deciso di abbandonarle alla sventura. Già molto infragilito dal cancro, lo scienziato, dopo l’Anschluss, aveva ceduto alle pressioni della sua cerchia di devoti, che lo spingevano a lasciare l’Austria.

In principio aveva fatto resistenza, sentendosi troppo debole e anziano per andarsene da Vienna; poi convenne che era la cosa giusta. Per un personaggio tanto noto internazionalmente, non fu difficile trovare, in un paese come l’Inghilterra, la disposizione ad accoglierlo, e affinché i nazisti gli consentissero di partire vennero sollecitate molte prestigiose intercessioni, tra cui quella di Roosevelt. Ci fu tra l’altro il benevolo intervento di Mussolini, grande ammiratore di Freud. Quest’ultimo riuscì a salvaguardare la fetta più sostanziosa del suo patrimonio, incluse le amate collezioni di antiche statuette, che approdarono intatte a Londra, e si permise l’acquisto di Maresfeld Garden, l’abitazione oggi divenuta un museo, che in suo onore guadagnò un accessorio prezioso come l’ascensore.

L’aspetto incredibile di questa storia è che, lasciando Vienna, Freud aveva avuto la possibilità di portare con sé i propri cari, e nell’elenco che stilò per l’occasione figuravano la moglie, i figli, la cognata, le due assistenti, il medico personale con famiglia al seguito e persino il cane. Ma non le quattro povere sorelle.

Pur nel continuo proliferare di omaggi ad un eroe che non passa mai di moda (l’ultimo è il film, fastidiosamente iconografico, A Dangerous Method, di David Cronenberg, dedicato al suo incontro-scontro con Jung), è mancata sempre un’indagine seria riguardo alle cause di quest’inspiegabile episodio, sul quale le biografie tendono a sorvolare. Il principale agiografo del fondatore della psicoanalisi, Ernest Jones, scrisse, a proposito dell’orrenda fine delle quattro donne: «Freud, per fortuna, non avrebbe mai saputo nulla di ciò che sarebbe accaduto loro». D’altra parte Sigmund, commentava con ipocrisia lo stesso Jones, «non aveva alcun motivo di preoccuparsi delle sorelle, visto che all’epoca del suo trasferimento a Londra la persecuzione degli ebrei era appena cominciata».

Il giovane scrittore macedone Goce Smilevski (è nato nel 1975) si è ispirato a questa strana e rimossa vicenda per un romanzo di evidente asprezza, votato all’esplorazione della sorte di Adolfine. È alla sua voce che si affida l’intero racconto, plasmato come una finta autobiografia, e oscillante tra verità documentate e liberissime invenzioni. Pubblicato nel 2007, La sorella di Freud è stato subito un successo, e nel 2010 un suo estratto è apparso nell’antologia "Best European Fiction 2010", con un’introduzione di Zadie Smith. L’hanno comprato vari paesi, tra cui Inghilterra, Francia, Spagna e Stati Uniti, e ora sta per uscire in Italia per Guanda.

Nel lager di Terezin, dov’è rinchiusa in un assoluto stato d’infelicità e rimpianti, e dove si prepara con stoicismo alla morte (che sopraggiunge, nell’ultimo capitolo, come un tuffo finalmente lieve nell’oblio), Adolfine ripercorre la sua vita. Scorrono gli anni dell’infanzia, le tensioni all’interno della famiglia e lo speciale rapporto instaurato con Sigmund, poi sfociato in un allontanamento nell’adolescenza, quando tra loro si frappose un "qualcosa" che aveva molto a che vedere con la differenza di genere sessuale.

C’è l’amore disperato di Adolfine per Rajner, un ragazzo malinconico fino al torpore e con tendenze autodistruttive, e l’ansia martellante di una maternità mai realizzata. C’è la lunga amicizia con Klara Klimt, sorella del pittore Gustav, protesa in modo agguerritissimo e totalizzante, fino al martirio o al fanatismo, verso l’obiettivo di un mondo diverso per le donne, più paritario e giusto.

C’è soprattutto il legame di Adolfine con sua madre, presenza angosciosa e punitiva al massimo, vera fonte del dolore esistenziale della figlia, perché in ogni vita ci sono ferite che scompaiono e altre che restano, ed è questo, forse, il tema-cardine del libro: l’idea di un danno primario, da considerare come il più autentico. Gli altri, andando avanti, ci colpiscono per suo tramite, e ogni seguente sofferenza trova la sua forza fin tanto che gli si avvicina. Il dolore di Adolfine aveva un nome, quello della madre, siglato nella sua memoria più profonda, e intimamente connesso ai tormenti successivi, come sgorgati da un’unica radice.

La sorella di Freud non è un romanzo "d’ambiente". Sprazzi della Vienna di quel periodo affiorano nelle dissertazioni sulla sessualità, sull’ebraismo e sul nascente femminismo, così come negli accenni all’opera freudiana. Ma Freud e Vienna sono soltanto un’occasione per un viaggio lungo il male oscuro di una donna schiacciata da un destino di passività. Ce lo restituisce una scrittura ruvida, insidiosa, ossessiva. E sempre consapevolmente disattenta alle ripetizioni. Un po’ come nello stile di autori quali Saramago, che sembrano voler abbattere i più gentili criteri della forma per dimostrare che è importante la sostanza.



Domenica 09 Ottobre,2011 Ore: 18:52
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/10/2011 13.01
Titolo:Parla Goce Smilevski ...
«Ho dato una vita ad Adolfine Freud»

Il mistero delle quattro sorelle di Sigmund: dimenticate a Vienna e deportate

Parla Goce Smilevski, lo scrittore macedone, autore del romanzo La sorella di Freud, uscito in Macedonia nel 2007, acquistato da editori di trenta Paesi (fra cui ci sono l’America, l’Inghilterra, la Francia, la Spagna e la Germania) che ora appare in Italia, nella prima traduzione, di Davide Fanciullo, dall’editore Guanda (pp. 334, 18).
Un successo molto festeggiato in Macedonia, una consacrazione simile a quella che toccò al regista Milcho Manchevski, Leone d’oro a Venezia nel 1994 con Prima della pioggia.

di Ranieri Polese (Corriere della Sera, 16.10.2011)

FRANCOFORTE - Il 10 aprile del 1938, con un plebiscito, i cittadini austriaci approvavano l’unificazione con il Reich tedesco. Meno di due mesi dopo, il 4 giugno, per sfuggire alla persecuzione antisemita, Sigmund Freud partiva da Vienna portando con sé sedici persone (la moglie, la figlia Anna, la cognata Mina, il suo medico con la moglie, la cameriera e altri ancora), ma lasciava a Vienna quattro sorelle: Rosa, Marie, Adolfine e Pauline, tutte oltre la settantina. Sei anni dopo, tra giugno e agosto del 1942, verranno deportate e dopo poco moriranno. «Leggendo le biografie di Freud, avevo notato che i due fatti - la partenza di Freud da Vienna con sedici persone, e le quattro sorelle che invece non possono andare con lui - non vengono mai messi insieme. Ai biografi del padre della psicoanalisi non scatta mai la domanda: perché Freud le ha abbandonate alla fine certa in un campo di sterminio?».

Goce Smilevski ha trentasei anni. Ha studiato letteratura a Skopje, Praga e Budapest; si è laureato con una tesi su Milan Kundera; ha pubblicato due romanzi, Il pianeta dell’inesperienza e Conversazione con Spinoza (uscirà l’anno prossimo, sempre da Guanda). Grazie a un capitolo de La sorella di Freud apparso nell’antologia Best European Fiction 2010 curata da Aleksandar Hermon e Zadie Smith, vince l’European Prize for Literature (l’anno prima, 2009, l’aveva vinto Daniele Del Giudice con Orizzonte mobile). Ora è a Francoforte per incontrare gli editori del suo fortunato La sorella di Freud.

Allora, perché Freud abbandona le sorelle? «La domanda rimane senza risposta. Nonostante le lunghe ricerche che ho fatto, non ci sono lettere o documenti in grado di darci una spiegazione. Ma da qui mi è venuto l’impulso di scrivere un romanzo, lavorando di immaginazione, prendendo come protagonista Adolfine, la penultima, l’unica che non si era sposata. Quella che il figlio di Freud, Martin, nei ricordi di famiglia definisce "poco intelligente". Di lei ci resta solo qualche lettera, in una dà notizie dei genitori al fratello che si trovava a Roma con la moglie e la cognata».

Bambina poco amata dalla madre, legata da un’ammirazione che sconfina quasi in una passione incestuosa per il fratello Sigmund, Adolfine vive una vita in ombra. Il romanzo la riempie di avvenimenti, che sono tutti frutto della fantasia di Goce Smilevski. Adolfine prende lezioni di disegno e s’innamora di Rajner, il malinconico figlio del suo insegnante; diventa amica di Klara Klimt, la sorella del pittore Gustav; aspetta un figlio da Rajner, che l’abbandona, così decide di abortire; per sua scelta si fa ricoverare nella clinica per malattie mentali Il Nido; si prenderà cura dei tanti figli illegittimi di Gustav Klimt, quando Klara non sarà più in grado di occuparsene.

«Sì, sono tutte finzioni romanzesche, tutte comunque verosimili nella Vienna del crepuscolo dell’Impero. Vienna, dove ho passato lunghi periodi, conserva ancora il ricordo di quella stagione irripetibile di grande creatività e di inarrestabile decadenza». Così la clinica somiglia a un padiglione dello Steinhof, il manicomio costruito da Otto Wagner; Klimt che dà scandalo con la sua vita sregolata ricorda le polemiche dei benpensanti contro gli artisti della Secessione; e ci sono squarci della vita quotidiana di Freud nella sua casa di Berggasse 19.

«Il non sapere niente di Adolfine mi ha dato la libertà di reinventare una vita che nessuno si è curato di documentare. È un po’ la libertà che io, scrittore di un Paese che sta ai limiti dell’Europa, marginale, cui non guarda nessuno, mi posso prendere: posso scegliere quello che mi piace della tradizione dell’Europa occidentale che non mi riconosce come suo cittadino. Mi sono appropriato di Spinoza, di Kundera, di Freud. E se devo pensare a un modello, direi Hermann Broch, il grande scrittore austriaco, l’autore della Morte di Virgilio, da cui ho preso quel misto di narrativa poetica e di saggistica».

Troppo vicini per essere esotici, troppo lontani per essere dei veri europei, agli scrittori macedoni - dice Smilevski - si finisce sempre e solo per chiedere la situazione politica del loro Paese. «Che è una situazione bizzarra, nonostante la richiesta di entrare nella Comunità, l’accesso è sempre rimandato». Per la questione del nome Macedonia che la Grecia contesta? «Ma il problema non è tanto il nome, c’è il fatto che nel 1948 la Grecia espulse 300 mila macedoni e confiscò i loro beni. Se entriamo a pieno titolo in Europa, Atene ci dovrebbe risarcire molti milioni di euro».

Oltre ad Adolfine, nel romanzo incontriamo altre due sorelle, Klara Klimt appunto, e Ottla Kafka, internata a Terezin, che ricorda solo il nome, Franz, del suo grande fratello. Sembra che un destino maligno pesi su queste donne, la cui disgrazia nasce proprio dall’essere sorelle di uomini importanti.

«Sono delle esistenze dimenticate, che nessuno considera anche in vita. Per questo mi piace scriverne, perché se la storia si occupa di generali, grandi leader politici, re e imperatori, il romanzo può, deve dedicarsi a queste figure cosiddette minori».

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