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www.ildialogo.org AL DI LA' DELLA LOGICA DELLA VENDETTA: DA ANNIBALE A MOSE' E A GESU'. Il cammino di Freud e la tragedia di Teramo. Tre testi (di Freud, Luigi Cancrini, e Paolo Di Stefano) da leggere come uno solo - unitamente alle note,a c. di Federico La Sala

PSICOANALISI, SOCIETA' E UMANITA'.. Essere giusti con Freud... e con la madre di Elena. "La madre di Elena difende suo marito nonostante la tragedia. Ed è una lezione straordinaria" (Luigi Cancrini).
AL DI LA' DELLA LOGICA DELLA VENDETTA: DA ANNIBALE A MOSE' E A GESU'. Il cammino di Freud e la tragedia di Teramo. Tre testi (di Freud, Luigi Cancrini, e Paolo Di Stefano) da leggere come uno solo - unitamente alle note

Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor. La locuzione latina, tradotta letteralmente, significa che nasca un giorno dalle mie ceneri un vendicatore. (Virgilio, Eneide, IV, 625). Imprecazione di Didone nel gettarsi sul rogo, perché abbandonata da Enea. Il vendicatore sarà poi Annibale, il terribile nemico di Roma che, a dodici anni, aveva giurato su gli altari patrii odio eterno contro i Romani (...)


a c. di Federico La Sala

Note di premessa:

Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor. La locuzione latina, tradotta letteralmente, significa che nasca un giorno dalle mie ceneri un vendicatore. (Virgilio, Eneide, IV, 625). Imprecazione di Didone nel gettarsi sul rogo, perché abbandonata da Enea. Il vendicatore sarà poi Annibale, il terribile nemico di Roma che, a dodici anni, aveva giurato su gli altari patrii odio eterno contro i Romani (...) (Wikipedia).

 


A.

DIMENTICANZA DI PAROLE STRANIERE

di Sigmund Freud *

Il lessico corrente della nostra propria lingua, nell’ambito dell’uso normale, appare protetto dalla dimenticanza. Ciò non accade, notoriamente, quando si tratta di vocaboli di una lingua straniera. La tendenza a dimenticarli esiste per tutte le parti del discorso e un primo grado di disturbo funzionale si manifesta nella irregolarità della nostra padronanza del lessico straniero, a seconda delle condizioni generali e del grado di stanchezza.

Queste dimenticanze presentano, in tutta una serie di casi, il medesimo meccanismo [...] A riprova, comunicherò una sola analisi, ricca però di caratteristiche rilevanti, che riguarda la dimenticanza di una parola non sostantivale di una citazione latina. Mi si permetta di riferire questo piccolo episodio per esteso e in modo particolareggiato.

Ancora in occasione di un viaggio di vacanza, la scorsa estate, rinnovai la conoscenza di un giovane di formazione accademica che - mi accorsi subito - aveva una certa familiarità con alcuni dei miei scritti di psicologia. Non ricordo più come, eravamo giunti a parlare della collocazione sociale della razza a cui noi due apparteniamo, e questo giovane, ambizioso, esprimeva profondo rammarico per il fatto che la sua generazione, così si era espresso, fosse destinata ad atrofizzarsi, non potendo sviluppare i propri talenti né soddisfare le proprie esigenze.

Concluse il suo appassionato e commosso discorso con il celebre verso virgiliano in cui l’infelice Didone incarica i posteri della vendetta contro Enea: “Exoriare...”; anzi avrebbe voluto concluderlo così, ma non portò a termine la citazione e tentò di nascondere un palese vuoto di memoria con un’inversione di parole:”Exoriar(e) ex nostris ossibus ultor!”. Alla fine esclamò seccato: ”Per favore, non mi guardi con quell’espressione derisoria, quasi il mio imbarazzo la stesse divertendo e, piuttosto, mi aiuti. Manca qualcosa al verso. Com’è esattamente, per esteso?”.

“Volentieri” risposi e citai correttamente: “Exoriar(e) aliquis nostris ex ossibus ultor!”.

“Che sciocco a dimenticare una parola così. D’altronde sappiamo da Lei che nulla si dimentica senza una ragione precisa. Sarei proprio curioso di sapere come mai io abbia potuto dimenticare il pronome indefinito aliquis”.

Accolsi prontamente la sfida, sperando in un contributo ulteriore alla mia collezione, e dissi: “Possiamo arrivarci senz’altro, soltanto devo chiederle di comunicarmi con sincerità e non criticamente tutto ciò che le viene in mente quando, senza alcuna intenzione precisa, rivolge la sua attenzione alla parcla dimenticata”.

“Bene, allora mi viene in mente una cosa ridicola: dividere, cioè, la parola nel modo seguente: a e liquis”.

“Che intende dire?”

”Non lo so”.

“Che altro le viene in mente?”

“Si continua così: reliquie, liquidazione, fluidità, fluido. Ha già capito qualcosa?”

“No, ancora nulla, ma prosegua”.

“Penso” continuò, ridendo sarcasticamente “a Simonino da Trento, di cui un paio di anni fa ho visto le reliquie in una chiesa di quella città. Penso alla sanguinosa accusa che proprio ora, di nuovo, si sta levando contro gli ebrei e al saggio di Kleinpaul, che in tutte quelle presunte vittime ravvisa incarnazioni, riedizioni, del Redentore”.

“L’idea non è del tutto scollegata dal tema sul quale ci stavamo soffermando prima che le sfuggisse la parola latina”.

“Vero. Penso, inoltre, a un articolo di un giornale italiano, che ho letto non molto tempo fa. Credo fosse intitolato: Ciò cbe sant’Agostino dice delle donne. Cosa se ne fa, di questo?”

“Attendo”.

“Ora arriva qualcosa che sicuramente non ha alcun nesso con il nostro tema”.

“Si astenga, per favore, da ogni critica, e...”

“Lo so. Mi ricordo di uno splendido vecchio signore, incontrato la settimana scorsa in viaggio. Un vero originale. Somigliava a un grosso uccello rapace. Si chiama, se le interessa, Benedetto”.

“Almeno abbiamo una serie di santi e di Padri della Chiesa: san Simonino, sant’Agostino, san Benedetto. Uno dei Padri della Chiesa mi sembra si chiamasse Origene. Tre dei nomi, d’altro canto, sono anche nomi di persona, come Paolo nel cognome Kleinpaul”.

“Ora mi viene in mente san Gennaro e il suo miracolo del sangue - trovo che così si proceda meccanicamente”.

“Lasci perdere; san Gennaro e sant’Agostino hanno a che fare tutti e due con il calendario. Non vuole ricordarmi il miracolo del sangue?”

”Certamente Lei lo conoscerà! In una chiesa di Napoli si custodisce in un’ampolla il sangue di san Gennaro che, per un miracolo, in una determinata festività, ridiventa liquido. La popolazione attribuisce grandissimo valore a questo miracolo e si eccita molto se esso tarda a manifestarsi, come è accaduto una volta al tempo dell’occupazione francese. Allora il generale occupante (o mi sbaglio? che fosse Garibaldi?) prese da parte il reverendo e gli indicò con gesto eloquente i soldati schierati sulla piazza, lasciandogli intendere che sperava che il miracolo si compisse al più presto, E questo, in realtà, si compì...”.

“Orsù continui, perché si ferma?”

“Ora, mi è senz’altro venuta in mente una cosa... troppo intima, però, per essere comunicata... del resto non vedo alcun nesso, né alcuna necessità di raccontarla”.

“Quanto al nesso, ci penso io. Non posso certo costringerla a raccontare cose per Lei spiacevoli, ma allora non mi chieda di spiegarle per quale via sia giunto a dimenticare la parola aliquis”.

“Veramente? Lei crede? Allora, ho a un tratto pensato a una signora, da cui potrei forse ricevere una notizia che sarebbe sgradevole per entrambi.

“Che non le sono comparse le mestruazioni?”

“Come ha potuto indovinarlo?”

“Non è così difficile. Mi ci ha preparato Lei stesso a sufficienza. Pensi ai santi del calendario, allo sciogliersi,del sangue in un determinato giorno, all’inquietudine quando l’avvenimento non si verifica, alla minaccia esplicita che il miracolo deve compiersi, altrimenti... Lei si è servito magnificamente del miracolo di san Gennaro per alludere al ciclo delle donne”.

“Senza averne coscienza. E Lei è veramente convinto che io non sia riuscito a formulare la paroletta aliquis per questa ansiosa attesa?”

“Mi sembra fuor di dubbio. Orbene, si rammenti della Sua scomposizione in a e liquis e dell’associazione: reliquie, liquidazione, fluidità. E proprio necessario che inserisca nella connessione san Simonino immolato da bambino, delle cui reliquie Lei si è qui ricordato?”

“Sarebbe preferibile non lo facesse. Spero che Lei non prenda sul serio questi pensieri, se mai io li abbia veramente avuti. Le confesserò, in cambio, che la signora è italiana e che ho visitato Napoli in sua compagnia. Ma tutto ciò non può essere una pura coincidenza?”

“Lascio giudicare a Lei, se riesce a spiegare tutte queste connessioni ricorrendo alla casualità. Posso, però, dirle che tutti i fatti analoghi, se vorrà analizzarli, la porteranno a "casi fortuiti" altrettanto strani.”.

Ho varie ragioni per attribuire valore a questa piccola analisi e sono grato a quel mio compagno di viaggio di allora per avermela concessa. In primo luogo, perché in questo caso ebbi l’opportunità di attingere a una fonte che di solito mi è preclusa. Nella maggior parte dei casi, devo ricavare dalla mia autosservazione gli esempi, raccolti qui, dei disturbi funzionali psichici nella vita quotidiana. Cerco di evitare il materiale assai più abbondante fornitomi dai miei pazienti nevrotici, perché devo temere l’obiezione che i fenomeni in questione siano appunto conseguenza o manifestazione della nevrosi. Ha quindi grande valore, per i miei scopi, se una persona estranea, sana di nervi, si offre come oggetto per una simile indagine.

[...] Il valore principale dell’esempio di aliquis [...] Il disturbo della riproduzione emerge qui dall’interno del tema toccato, in quanto vi suscita inconsciamente un’opposizione contro l’idea-desiderio rappresentata nella citazione.

Il procedimento va costruito nel modo seguente: il soggetto ha lamentato che la generazione attuale del suo popolo subisce una restrizione dei propri diritti e profetizza, come Didone, che una nuova generazione si assumerà il compito della vendetta contro gli oppressori. Così egli ha espresso il desiderio di avere dei discendenti. In quel momento interviene un pensiero contraddittorio. “Aspiri davvero tanto ardentemente ad avere dei discendenti? Ciò non è vero. Quanto saresti turbato se ora ti giungesse la notizia che, dalla persona che tu sai, devi aspettarti dei discendenti? No, niente progenie, pur avendone bisogno per la vendetta” [...]

* Sigmund Freud, Psicopatologia della vita quotidiana [1901], Biblioteca della Mente - Libri del “Corriere della Sera”, Milano 2011, pp. 13-19, senza le note.


Sul tema, in rete, si cfr.:

 FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo. "L’UOMO MOSE’ E LA RELIGIONE MONOTEISTICA", IL “MOSE’ DELLA NAZIONE TEDESCA” E LE ORIGINI DELL’“IMPERATIVO CATEGORICO” DI HEIDEGGER E DI ADOLF EICHMANN


Quell’isola di follia in agguato e dentro ognuno di noi

Ci si può scordare di un figlio? La madre di Elena difende suo marito nonostante la tragedia. Ed è una lezione straordinaria

La gara frenetica. Dobbiamo essere forti, muoverci in fretta per non essere esclusi

di Luigi Cancrini (l’Unità, 23.05.2011)

Psicopatologia della vita quotidiana, una delle opere più famose di Sigmund Freud fu pubblicata nel 1901. Parlando di lapsus e di amnesie, di sogni e di atti mancati, il padre della psicoanalisi e della moderna psicoterapia metteva in evidenza il modo in cui l’inconscio e le sue follie irrompono normalmente nella vita della persona normale. Condizionandoci e riportandoci di continuo all’imperfezione del nostro funzionamento mentale, al dubbio di cui non dovremmo mai liberarci sulla nostra capacità di essere davvero padroni, in ogni momento, del nostro pensiero e delle nostre azioni.

La consapevolezza di questa imperfezione dovrebbe essere (e spesso è) un segno importante del nostro livello di maturità personale. Lo dimostra, meglio di qualsiasi altro esempio, il modo appassionato, fermo, pieno di dolore e di pietà in cui la madre della bambina morta tragicamente a Teramo difende oggi il suo compagno. Parlandone come di un padre straordinario. Riuscendo a restargli vicina anche dall’interno di uno strazio come quello da cui è palesemente travolta. Usando la dolcezza della comprensione invece della lama fredda del giudizio nel momento in cui quelli che vengono colpiti così duramente sono i suoi affetti più cari. La sua stessa vita.

Vale la pena di riflettere davvero molto seriamente su questa straordinaria lezione di stile. “Perdona il peccato, non il peccatore” è sicuramente il più bello e il più importante degli insegnamenti di Gesù nel momento in cui il Vangelo propone di sostituire il perdono alla vendetta “giusta” del Dio insegnato dal Vecchio Testamento. Accettare e praticare questo insegnamento chiede, tuttavia, una capacità appunto straordinaria di vedere

il fatto per cui l’uomo che sbaglia è sempre e solo un uomo che fa del male a se stesso oltre che all’altro e che non trae mai nessun vantaggio sostanziale dal suo errore. Un essere umano come noi da aiutare con la vicinanza. Da non distanziare con la durezza del giudizio di quelli che hanno bisogno di sottolineare gli errori degli altri solo per dimostrare, a se stessi prima che agli altri, di essere migliori di loro. Viviamo un tempo assai difficile proprio da questo punto di vista.

Dai giochi della Playstation alla vita reale, dal mondo dello sport a quello del lavoro, quella in cui viviamo immersi è una competizione senza sosta che non concede nessun perdono. Dove in ogni momento c’è qualcuno che sbaglia e viene eliminato e dove tutto si muove in fretta e sempre più in fretta nella grande corsa ad ostacoli in cui si è trasformata la nostra vita di tutti i giorni. Un mondo in cui lo spazio per chi è più debole si riduce ogni giorno di più ed in cui la paura di perdere rende sempre più feroce la gara in cui si è ingaggiati anche senza volerlo. È proprio di questo, mi pare, che parla a noi tutti la madre della bambina che non c’è più. Duramente rappresentandosi l’assurdità della condizione in cui siamo costretti e abbiamo accettato di vivere.

Correndo da un impegno all’altro senza riuscire più, spesso, a sistemarli all’interno di una gerarchia dotata di senso e senza più provare a volte il tempo necessario per noi e per le cose più importanti. Per la salute e per l’amore di ciò che vi è di più caro. Fino al momento in cui qualcosa dentro si rompe e non funzioniamo più come vorremmo e dovremmo. Travolti dalle isole di follia che sono sempre in agguato. Dentro tutti noi e dentro ognuno di noi.

c

Vuoto e pietà. Il coraggio di una donna

di Paolo Di Stefano (Corriere della Sera, 22.05.2011)

Distrazione significa, letteralmente, essere trascinati via da ciò che in quel momento dovrebbe occuparti la mente più di ogni altra cosa. Chissà da che cosa è stata trascinata via la mente del papà della piccola Elena, la mattina di mercoledì, alle 8.30, quando ha chiuso la portiera della sua auto per andare a lavorare come tutti i giorni. Producendo una voragine, un buio, un vuoto, proprio là dove invece dovevano esserci presenza, protezione e cura. Avrebbe dovuto portarla all’asilo e probabilmente credeva di averlo già fatto: «credeva» è eccessivo. Diciamo «aveva l’idea», neanche, «aveva una specie di idea», «un’immagine mentale», ma neanche. Non c’è niente, apparentemente, che possa spiegare un salto cognitivo come quello: un padre chiude la portiera dell’auto per andare a lavorare, dimenticando che sul sedile posteriore c’è ancora la sua bambina di due anni, addormentata. Passano le ore e la figura della bambina addormentata non emerge, non viene a galla quella tragica «distrazione» .

In letteratura, la distrazione produce, di solito, effetti comici, come nella pièce secentesca del francese Jean-François Regnard (Il distratto, appunto), il cui protagonista accetta la mano della donna che ama, dimenticandosi di essere già sposato. Oppure in una novella di Pirandello (La distrazione, appunto) dove il nocchiero di un carro funebre si scorda di trasportare una bara e, estenuato dalla sua «vitaccia porca» , lascia scorazzare liberamente i cavalli per la città. Distrazione, vuoto, assenza, dimenticanza, cancellazione, blackout, amnesia.

Il caso di Teramo, Freud lo chiamerebbe un «lapsus memoriae» . Ma va messo tutto tra virgolette, perché ogni tentativo di definizione appare drammaticamente inadeguato alle conseguenze che il gesto (mancato) del papà di Elena ha prodotto. A che serve stare a chiedersi perché e per come? È successo a Teramo, come è successo in un passato recente a Catania, a Lecco, in Francia, in Cina. E spesso in un aeroporto, in un centro commerciale o in un’area di servizio (due anni fa a San Zenone Lambro), come nel film di Soldini Pane e tulipani, dove a essere dimenticata (dalla famiglia: marito e due figli) è una madre.

Una sociologia facile potrebbe trarne la conseguenza che sono i non-luoghi di Marc Augé a favorire l’alienazione, dunque quel clamoroso blackout. Nelle fiabe, i figli vengono abbandonati dai genitori per fame o per cattiveria, mai per distrazione: da Hänsel e Gretel a Pollicino, a Biancaneve. Ma si sa che la realtà è più crudele delle favole, dove a tutto c’è rimedio.

In un famoso verso, Fabrizio De André metteva in musica un dialogo allucinato in cui a una madre che piangeva: «Lo sa che io ho perduto due figli?» , un interlocutore cinico rispondeva: «Signora, lei è una donna piuttosto distratta» . La canzone si intitolava «Amico fragile» . L’amico più fragile è adesso il padre di Elena, certamente travolto dal senso di colpa. A qualcuno toccherà consolarlo, se possibile: «Non è colpa sua», ha trovato la forza di dire sua moglie. Forse lei riuscirà ad accompagnarlo nel dolore procurato da un mistero a cui la neuropsichiatria troverà spiegazioni superficiali. Più che a Freud e agli scienziati, ora è tempo di ricorrere a Michelangelo e alla sua Pietà

 

 



Lunedì 23 Maggio,2011 Ore: 18:52
 
 
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