- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (2)
Visite totali: (319) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org LA TRASFORMAZIONE "MOLECOLARE" DELLA COSTITUZIONE E MORTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA. La lettera aperta dei "ragazzi di Barbiana" al Presidente Napolitano e una riflessione dalle "Lettere dal carcere" di Antonio Gramsci, con appunti,a cura di Federico La Sala

ANTIFASCISMO, RESISTENZA, E COSTITUZIONE. ANTONIO GRAMSCI DAL CARCERE DI TURI (6 marzo 1933): "Non so cosa potrà rimanere di me dopo la fine del processo di mutazione che sento in via di sviluppo".
LA TRASFORMAZIONE "MOLECOLARE" DELLA COSTITUZIONE E MORTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA. La lettera aperta dei "ragazzi di Barbiana" al Presidente Napolitano e una riflessione dalle "Lettere dal carcere" di Antonio Gramsci, con appunti

(...) ci rivolgiamo a lei, che è il custode supremo della Costituzione e della dignità del nostro paese, per chiederle di dire in un suo messaggio, come la Costituzione le consente, chiare parole di condanna per lo stato di fatto che si è venuto a creare (....)


a cura di Federico La Sala

 Lettera aperta al Presidente della Repubblica on. Giorgio Napolitano

dei “ragazzi di Barbiana” *

dell’11 aprile 2011

Signor Presidente,

lei non può certo conoscere i nostri nomi: siamo dei cittadini fra tanti di quell’unità nazionale che lei rappresenta.

Ma, signor Presidente, siamo anche dei "ragazzi di Barbiana". Benché nonni ci portiamo dietro il privilegio e la responsabilità di essere cresciuti in quella singolare scuola, creata da don Lorenzo Milani, che si poneva lo scopo di fare di noi dei "cittadini sovrani".

Alcuni di noi hanno anche avuto l’ulteriore privilegio di partecipare alla scrittura di quella Lettera a una professoressa che da 44 anni mette in discussione la scuola italiana e scuote tante coscienze non soltanto fra gli addetti ai lavori.

Il degrado morale e politico che sta investendo l’Italia ci riporta indietro nel tempo, al giorno in cui un amico, salito a Barbiana, ci portò il comunicato dei cappellani militari che denigrava gli obiettori di coscienza. Trovandolo falso e offensivo, don Milani, priore e maestro, decise di rispondere per insegnarci come si reagisce di fronte al sopruso.

Più tardi, nella Lettera ai giudici, giunse a dire che il diritto - dovere alla partecipazione deve sapersi spingere fino alla disobbedienza: “In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando avallano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.

Questo invito riecheggia nelle nostre orecchie, perché stiamo assistendo ad un uso costante della legge per difendere l’interesse di pochi, addirittura di uno solo, contro l’interesse di tutti. Ci riferiamo all’attuale Presidente del Consiglio che in nome dei propri guai giudiziari punta a demolire la magistratura e non si fa scrupolo a buttare alle ortiche migliaia di processi pur di evitare i suoi.

In una democrazia sana, l’interesse di una sola persona, per quanto investita di responsabilità pubblica, non potrebbe mai prevalere sull’interesse collettivo e tutte le sue velleità si infrangerebbero contro il muro di rettitudine contrapposto dalle istituzioni dello stato che non cederebbero a compromesso.

Ma l’Italia non è più un paese integro: il Presidente del Consiglio controlla la stragrande maggioranza dei mezzi radiofonici e televisivi, sia pubblici che privati, e li usa come portavoce personale contro la magistratura. Ma soprattutto con varie riforme ha trasformato il Parlamento in un fortino occupato da cortigiani pronti a fare di tutto per salvaguardare la sua impunità.

Quando l’istituzione principe della rappresentanza popolare si trasforma in ufficio a difesa del Presidente del Consiglio siamo già molto avanti nel processo di decomposizione della democrazia e tutti abbiamo l’obbligo di fare qualcosa per arrestarne l’avanzata. Come cittadini che possono esercitare solo il potere del voto, sentiamo di non poter fare molto di più che gridare il nostro sdegno ogni volta che assistiamo a uno strappo.

Per questo ci rivolgiamo a lei, che è il custode supremo della Costituzione e della dignità del nostro paese, per chiederle di dire in un suo messaggio, come la Costituzione le consente, chiare parole di condanna per lo stato di fatto che si è venuto a creare.

Ma soprattutto le chiediamo di fare trionfare la sostanza sopra la forma, facendo obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a promulgare leggi che insultano nei fatti lo spirito della Costituzione.

Lungo la storia altri re e altri presidenti si sono trovati di fronte alla difficile scelta: privilegiare gli obblighi di procedura formale oppure difendere valori sostanziali. E quando hanno scelto la prima via si sono resi complici di dittature, guerre, ingiustizie, repressioni, discriminazioni.

Il rischio che oggi corriamo è lo strangolamento della democrazia, con gli strumenti stessi della democrazia. Un lento declino verso l’autoritarismo che al colmo dell’insulto si definisce democratico: questa è l’eredità che rischiamo di lasciare ai nostri figli.

Solo lo spirito milaniano potrà salvarci, chiedendo ad ognuno di assumersi le proprie responsabilità anche a costo di infrangere una regola quando il suo rispetto formale porta a offendere nella sostanza i diritti di tutti. Signor Presidente, lasci che lo spirito di don Milani interpelli anche lei.

Nel ringraziarla per averci ascoltati, le porgiamo i più cordiali saluti

*

-  Francesco Gesualdi, 
-  Adele Corradi, 
-  Nevio Santini, 
-  Fabio Fabbiani, 
-  Guido Carotti, 
-  Mileno Fabbiani, 
-  Nello Baglioni, 
-  Franco Buti, 
-  Silvano Salimbeni, 
-  Enrico Zagli, 
-  Edoardo Martinelli, 
-  Aldo Bozzolini

* FONTE: FINE SETTIMANA.ORG


 

 

 


Antonio Gramsci

Lettere dal carcere 

6 marzo 1933 *

 

Carissima Tania,

ho ancora vivo il ricordo (ciò non sempre mi capita piú in questi ultimi tempi) di un paragone che ti ho fatto nel colloquio di domenica per spiegarti ciò che avviene in me. Voglio riprenderlo per trarne alcune conclusioni pratiche che mi interessano.

Ti ho detto su per giù cosí: - immagina un naufragio e che un certo numero di persone si rifugino in una scialuppa per salvarsi senza sapere dove, quando e dopo quali peripezie effettivamente si salveranno. Prima del naufragio, come è naturale, nessuno dei futuri naufraghi pensava di diventare... naufrago e quindi tanto meno pensava di essere condotto a commettere gli atti che dei naufraghi, in certe condizioni, possono commettere, per esempio, l’atto di diventare... antropofaghi.

Ognuno di costoro, se interrogato a freddo cosa avrebbe fatto nell’alternativa di morire o di diventare cannibale, avrebbe risposto, con la massima buona fede, che, data l’alternativa, avrebbe scelto certamente di morire. Avviene il naufragio, il rifugio nella scialuppa ecc. Dopo qualche giorno, essendo mancati i viveri, l’idea del cannibalismo si presenta in una luce diversa, finché a un certo punto, di quelle persone date, un certo numero diviene davvero cannibale.

Ma in realtà si tratta delle stesse persone? Tra i due momenti, quello in cui l’alternativa si presentava come una pura ipotesi teorica e quella in cui l’alternativa si presenta in tutta la forza dell’immediata necessità, è avvenuto un processo di trasformazione «molecolare» per quanto rapido, nel quale le persone di prima non sono piú le persone di poi e non si può dire, altro che dal punto di vista dello stato civile e della legge (che sono, d’altronde, punti di vista rispettabili e che hanno la loro importanza) che si tratti delle stesse persone.

Ebbene, come ti ho detto, un simile mutamento sta avvenendo in me (cannibalismo a parte). Il piú grave è che in questi casi la personalità si sdoppia: una parte osserva il processo, l’altra parte lo subisce, ma la parte osservatrice (finché questa parte esiste significa che c’è un autocontrollo e la possibilità di riprendersi) sente la precarietà della propria posizione, cioè prevede che giungerà un punto in cui la sua funzione sparirà, cioè non ci sarà piú autocontrollo, ma l’intera personalità sarà inghiottita da un nuovo «individuo» con impulsi, iniziative, modi di pensare diversi da quelli precedenti.

Ebbene, io mi trovo in questa situazione. Non so cosa potrà rimanere di me dopo la fine del processo di mutazione che sento in via di sviluppo [...].

FONTE. LIBERLIBER/BIBLIOTECA GRAMSCIANA - RIPRESA PARZIALE 



Mercoledì 13 Aprile,2011 Ore: 15:03
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/4/2011 15.06
Titolo:La Magna Charta di don Milani ...
La Magna Charta di don Milani

di Roberto Beretta (Avvenire, 13 aprile 2011)

Don Milani garante della Costituzione. Per chi conosce il Priore, non è affatto una novità: «Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di lingua», citava la Lettera a una professoressa; «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», stava scritto nella Lettera ai cappellani militari che costerà all’autore un processo per apologia di reato. È tuttavia alquanto curioso che due suoi discepoli, due fratelli di sangue - Michele e Francesco Gesualdi -, in modo praticamente contemporaneo benché da prospettive politiche differenti evochino la figura del prete toscano per difendere la nostra Carta fondamentale, tirando in ballo - in modi diversi - il presidente Napolitano in quanto garante appunto della Costituzione.

Francuccio, infatti, ha appena firmato con altri ex alunni di Barbiana una veemente lettera aperta in cui chiede al Quirinale - «nello spirito di don Milani» - di pronunciarsi con un pubblico messaggio a difesa della Costituzione e di praticare l’«obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a promulgare leggi che ne insultano nei fatti lo spirito».

Il fratello maggiore Michele invece, già presidente della Provincia di Firenze, ha invitato il medesimo presidente della Repubblica a seguire (forse avverrà a settembre) il «percorso costituzionale » che la Fondazione Don Lorenzo Milani inaugura sabato alle 11 a Barbiana, alla presenza del presidente della Corte costituzionale Ugo De Siervo. Un sentiero appositamente ripristinato (è lo stesso percorso a piedi dal sacerdote fiorentino la prima volta che giunse nella sua destinazione «punitiva») che si snoda per oltre un chilometro lungo il bosco, fino alla canonica del Mugello dove don Lorenzo visse dal 1954 al 1967 e dove è sepolto.

Un grande «libro di strada» permanente costituito da 44 cartelloni con gli articoli della «magna charta» italiana, illustrati dagli studenti di alcune scuole della Penisola (Rovereto, Firenze, Milano, Montebelluna, Pieve a Nievole...). Un percorso didattico che, d’ora in poi, sarà obbligatorio per le migliaia di giovani che ogni anno si recano in pellegrinaggio civile nella sperduta eppure «centrale» località: nemmeno oggi, infatti, i pullman arrivano fin lassù e dunque tutti i visitatori percorreranno l’ultimo tratto a piedi sotto l’ombra delle nuove bacheche «costituzionali». Un’ottima introduzione alla «lezione» che poi riceveranno nella scarna aula dove si faceva scuola 365 giorni l’anno, 10 ore al giorno, e senza annoiarsi.

Lì sono cresciuti anche fisicamente i due Gesualdi (il Priore li aveva praticamente adottati e sono gli unici allievi citati per nome nel suo testamento) ed è sintomatico che oggi, ragionando sulla situazione del Paese e anche come segno per il 150° dell’unità, abbiano avuto uno spunto simile: ricorrere al libro che il loro maestro indicava come garanzia per poter essere cittadini sovrani.

«Lo studio della Costituzione era costantemente presente nell’insegnamento di don Milani - testimonia Michele -. Se ne trovano ampi riferimenti in Esperienze pastorali, nella Lettera ai cappellani militari e in quella ai giudici, in Lettera a una professoressa e nelle lettere pubblicate postume. Alla scuola di Barbiana il suo studio era molto considerato, non solo come legge fondamentale, ma anche come punto di equilibrio sociale capace di indicare soluzioni per la costruzione di una società diversa». Lo testimoniano ancor oggi vari grafici su temi di educazione civica (il diritto al voto, la storia del Parlamento dal 1921 al 1968, l’iniquità fiscale, la piramide della selezione scolastica, il diritto al lavoro...) che stavano appesi al muro dell’aula di Barbiana e oggi sono riprodotti nel percorso didattico.

La Costituzione era considerata dal Priore un’arma fondamentale di difesa degli ultimi, i figli dei contadini semi-analfabeti ai quali egli voleva fornire la cultura come mezzo per emanciparsi da una situazione di inferiorità economica e sociale; il Vangelo infatti vale solo per i credenti, ma la Costituzione - quella - è obbligatorio rispettarla.

Non per nulla il prete Milani nella Lettera ai cappellani militari rinuncia ad usare argomenti religiosi (troppo facile dimostrare che Gesù era contro la violenza!) e scegli di basarsi solo sulla carta repubblicana fondamentale.«Agli occhi dei barbianesi - sostiene ancora Michele Gesualdi - i valori e le promesse costituzionali apparivano elementi di grande novità con una forte carica innovativa, tesa al riscatto delle persone deboli. È proprio a quella società diversa che guarda don Lorenzo e forma i suoi ragazzi ad impegnarsi nella vita per eliminare le disuguaglianze che creano ingiustizie sociali. Quando il contadinello Luciano che, per andare a scuola, cammina solo solo nel bosco per più di un’ora e mezzo, cade in un fosso d’acqua che sbarra la strada rischiando di affogare, don Lorenzo trasuda d’indignazione e sdegno e reagisce insieme ai ragazzi della scuola impugnando di fronte al sindaco di Vicchio l’articolo 3 della Costituzione: la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano di fatto l’eguaglianza di tutti i cittadini...

E ottiene che venga costruita una passerella sul ruscello. Oggi che si invoca da più parti una revisione della Costituzione, sarebbe utile rammentare come - per il Priore - «le leggi degli uomini sono giuste quando sono la forza del debole... e non sono giuste quando sanzionano il sopruso del forte».

Ne conviene il presidente della Fondazione Don Milani, sostenendo che i valori costituzionali sono semmai da rafforzare: «Sembra lontana la tensione morale di quando don Lorenzo indicava nella Costituzione il fondamento e la formazione civile dei suoi ragazzi. Allora nessuno metteva in discussione l’attualità e la lungimiranza della nostra Carta. Oggi il clima è un po’ diverso, non è più unanimemente riconosciuta la fecondità di quel documento; ma proprio per questo si rende più necessario riproporne la forza». Magari facendo quattro passi in Mugello, sulle pendici del Monte Giovi, destinazione Barbiana.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/6/2011 21.58
Titolo:Primo Levi su «un oceano dipinto» ...
Primo Levi su «un oceano dipinto»

di Sergio Luzzatto (Il Sole-24 Ore, 19 giugno 2011)

Primo Levi ha parlato molto di sé, nei quarant’anni compresi fra la pubblicazione di Se questo è un uomo e l’abbreviata fine della sua vita. Tuttavia, c’è una dimensione del suo racconto che noi continuiamo a ignorare per la maggior parte: è la dimensione duale (e intima, o comunque più privata che pubblica) del Levi scrittore di lettere. Fino a oggi l’epistolario è rimasto disperso, e quasi interamente inedito. Da qui l’importanza delle trouvailles, i rinvenimenti fortunosi. Come la lettera pubblicata in questa pagina, risalente al maggio 1965 e collegata a una precisa circostanza editoriale: la pubblicazione in Gran Bretagna e negli Stati Uniti della traduzione inglese de La tregua.

Due anni prima, nel 1963 (sedici anni dopo l’esordio ben poco fragoroso di Se questo è un uomo, e cinque anni dopo la più fortunata riedizione Einaudi), l’uscita della Tregua aveva dischiuso a Levi le porte del riconoscimento letterario: terzo classificato al premio Strega, vincitore del premio Campiello. Il racconto dell’avventuroso ritorno da Auschwitz - oltre sei mesi nel 1945 per ritrovare l’Italia, dopo un periplo attraverso la Polonia, la Russia, l’Ucraina, la Romania e l’Ungheria - aveva conferito a Levi, chimico di professione, lo status non più soltanto di un memorialista del Lager ma di un narratore a pieno titolo. E non soltanto in Italia, anche all’estero. Mentre le edizioni britannica e americana di Se questo è un uomo erano uscite, fra 1959 e 1961, per due editori di nicchia, a tradurre La tregua nel ’65 erano ormai due case di prima grandezza, Bodley Head e Little Brown.

Nonostante questo, entrambe le edizioni conobbero un fiasco: per sfondare presso il pubblico anglosassone Levi avrebbe dovuto attendere gli anni Ottanta, con la traduzione del Sistema periodico. Invece, fin dal 1961 aveva sfondato in Germania con la traduzione tedesca di Se questo è un uomo: cinquantamila copie vendute in pochi mesi... E un dialogo diretto con decine di lettori tedeschi, che avevano voluto scrivere all’autore e ai quali l’autore aveva risposto, inaugurando scambi epistolari anche distesi nel tempo.

Tale essendo il contesto d’origine della lettera ritrovata, in che cosa la missiva partita da Torino il 23 maggio 1965 verso un indirizzo postale del Massachusetts può contribuire significativamente alla nostra conoscenza di Primo Levi? L’inedito si rivela prezioso sia per documentare il rapporto con uno scrittore-chiave del suo pantheon letterario, il poeta romantico inglese Samuel T. Coleridge, sia per illuminare la genesi di un progetto editoriale che Levi coltivò nei primi anni Sessanta e che - dopo essere fallito in quanto progetto a sé stante - sarebbe sfociato nell’ultimo capitolo dell’ultimo suo libro.

Che Coleridge sia stato, con la tardosettecentesca Ballata del vecchio marinaio [CFR.: http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/SoleOnLine5/_Oggetti_Correlati/Documenti/Cultura/2011/The-Rime-of... , un autore-feticcio di Primo Levi, è cosa nota. Più volte Levi ha descritto il se stesso del 1946, straziato reduce di Auschwitz, come «simile al Vecchio Marinaio di Coleridge, che abbranca in strada i convitati che vanno alla festa per infliggere loro la sua storia di malefizi». Quando Levi avesse letto la Ballata per la prima volta non è dato di sapere con esattezza. Di sicuro, nel 1984 il sentimento di identificazione con il personaggio di Coleridge lo avrebbe spinto a intitolare con un verso del poemetto la principale sua raccolta di poesie, Ad ora incerta. E nel 1986 lo avrebbe spinto a riprendere (nell’originale inglese) l’intera strofa di quel verso come esergo del suo libro fondamentale e testamentario, I sommersi e i salvati.

La lettera del 1965 pubblicata qui per la prima volta [CFER.: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-06-17/primo-levi-oceano-dipinto-173901.shtml?grafici] offre un complemento d’informazione tanto suggestivo quanto istruttivo alla storia del rapporto di Levi con Coleridge. Attesta infatti come già all’epoca della traduzione inglese della Tregua lo scrittore torinese avesse immaginato di intitolare un suo libro con parole tratte dalla Ballata del vecchio marinaio. A fronte dei due titoli scelti rispettivamente dall’editore britannico e dall’editore statunitense - il letterale, ma «sofisticato» The Truce e il «molto insipido» The Reawakening, il risveglio - l’autore ne avrebbe preferito un terzo che trovava «molto bello», Upon a painted Ocean: «sopra un oceano dipinto», il verso n. 118 del poemetto di Coleridge. Così, già nel ’65 l’odissea del ritorno da Auschwitz si presentava a Primo Levi nella forma di una navigazione (il titolo italiano da lui inizialmente pensato per la Tregua era Vento alto) che attribuiva al marinaio il ruolo insieme fatidico e fatale dell’unico superstite.

Non meno notevole la seconda parte dell’inedito, quella relativa al «progetto tedesco». In pratica, si trattava dell’idea di raccogliere in volume le lettere che l’autore aveva ricevuto dai lettori tedeschi di Se questo è un uomo, unitamente alle sue proprie lettere di risposta. Era questo un progetto che Levi aveva presentato all’Einaudi nel gennaio 1963 e che la casa editrice aveva sottoposto all’attenzione del suo germanista di riferimento, Cesare Cases. Il quale Cases, benché fosse da sempre un estimatore di Levi, aveva poi dimostrato (apprendiamo dall’inedito) ben poco interesse. Da qui - «il campo è libero, e le lettere sempre a Sua disposizione» - la scelta di Levi di rimettere il «progetto tedesco» nelle mani di un suo interlocutore d’oltreoceano: il destinatario della missiva ritrovata, Kurt H. Wolff.

Ecco un nome che fa capolino per la prima volta, o quasi, nella ricostruzione del paesaggio biografico di Primo Levi. Nome peraltro assai noto agli studiosi di sociologia, se è vero che Wolff, nato in Germania nel 1912 ed emigrato in America nel 1939, fu esponente fra i maggiori della scuola sociologica tedesca in esilio, e sarebbe giunto negli anni Settanta a occupare la carica di presidente dell’American Sociological Association. Levi lo aveva probabilmente conosciuto fra il 1963 e il ’64, quando il professore della Brandeis University aveva trascorso un anno sabbatico in Italia: quell’Italia dove era emigrato ventunenne nel 1933, dopo la presa al potere di Hitler, e dove si era laureato a Firenze con una pioneristica tesi di sociologia della cultura.

Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (2) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Filosofia

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info