- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (6)
Visite totali: (485) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org AL DI LA' DELLA TRAGICA OPPOSIZIONE TRA SACRO E PROFANO, PER LA "COMMEDIA"!!! IL CORTILE DEI GENTILI, IL CRISTO MORTO, L'ORIGINE DEL MONDO E LACAN. Una nota di Armando Torno, un'intervista a Julia Kristeva, e alcuni appunti critici,a c. di Federico La Sala

L'EUROPA, IL MESSAGGIO EVANGELICO (CON IL SUO "RISUS PASCHALIS"), E IL TRAGICO CATTOLICESIMO-ROMANO: IN VATICANO NON C’E’ SOLO LA "SFINGE" - C’E’ LA "PESTE"! E LA ’CROCE’ (= X) DI CRISTO NON HA NIENTE A CHE FARE CON IL CROCIFISSO DELLA TRADIZIONE COSTANTINIANA...
AL DI LA' DELLA TRAGICA OPPOSIZIONE TRA SACRO E PROFANO, PER LA "COMMEDIA"!!! IL CORTILE DEI GENTILI, IL CRISTO MORTO, L'ORIGINE DEL MONDO E LACAN. Una nota di Armando Torno, un'intervista a Julia Kristeva, e alcuni appunti critici

Gianfranco Ravasi: «Per una ragione aperta al sacro». Julia Kristeva: «Fede e umanesimo laico dialogano grazie a Freud»


a c. di Federico La Sala

 

APPUNTI INTRODUTTIVI SUL TEMA:

AL DI LA’ DEL SACRO E DEL PROFANO, RIPENSARE INSIEME IL "CRISTO MORTO" (DI MANTEGNA) E "L’ORIGINE DEL MONDO" (DI COURBET) E ANDARE AL DI LA’ DEL CATTOLICO ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE (DI EDIPO) VERSO IL CRISTIANO ORDINE SIMBOLICO DI UOMINI E DONNE LIBERE E LIBERI - QUELLO DI GESU’, GIUSEPPE E MARIA:

(Cliccare sui titoli in rosso, per approfondimenti)

 EUROPA ED EVANGELO. LA ’CROCE’ (= X) DI CRISTO NON HA NIENTE A CHE FARE CON IL CROCIFISSO DELLA TRADIZIONE COSTANTINIANA E CATTOLICO-ROMANA.

PSICOANALISI E CATTOLICESIMO: LACAN INTERPRETA "KANT CON SADE" E SI AUTO-INTERPRETA CON "L’ORIGINE DEL MONDO" DI COURBET

-  PER UNA SVOLTA ANTROPOLOGICO-TEOLOGICA... 
-  ALLE RADICI DELLA BELLICOSA POLITICA DEL VATICANO. LA GUERRA NELLA TESTA DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA E L’INDICAZIONE ’DIMENTICATA’ DI GIOVANNI PAOLO II
.

In principio era l’amore (charitas - non caritas!!!): pensare l’ "edipo completo"(Freud)
-  INTERVISTA A JULIA KRISTEVA. Anche chi non crede in Dio, crede nell’amore e ciò mi pare oggi il più grande elemento di persistenza della nostra civiltà cristiana. Ma, detto questo, la studiosa ri-cade nelle braccia dell’autorità paterna (della versione cattolico-romana del cristianesimo ... ancora edipica)

Mantegna, Cristo morto (Wikipedia) 

Courbet, L’origine du monde (Wikipedia)

IL PRESIDENTE SARKOZY E IL FILOSOFO J.-L. MARION: DALL’ACCOGLIENZA DELLA DIVERSITA’ ALLA DIFESA DELL’IDENTITA’, ’NAZIONALE’ E ’CATTOLICA’. 

Cattolicesimo, fascismo, nazismo, stalinismo: il sogno del "regno di ‘dio’" in un solo ‘paese’ è finito. UN NUOVO CONCILIO, SUBITO! Il cardinale Martini, dalla “città della pace”, lo sollecita ancora!!! 95 TESI ? NE BASTA UNA SOLA! (Federico La Sala)

_______________________________________________________________________________

Ravasi: «Per una ragione aperta al sacro»

di Armando Torno (Corriere della Sera, 25 marzo 2011)

Il Cortile dei Gentili è cominciato ieri alle 15 nella sala XI dell’Unesco, a Parigi. Dopo il primo incontro di Bologna, che sotto la torre Eiffel qualcuno ha graziosamente definito apéritif, il dialogo tra credenti e non credenti è stato avviato dai saluti delle autorità («la ragione non riesce a fondare la fraternità», ha detto Getachew Engida, direttore generale aggiunto) ma anche dalle parole del cardinale Gianfranco Ravasi. Utilizzando un felice tocco di retorica, il porporato ha scelto una parabola per l’esordio di questo progetto destinato a raggiungere ogni parte del mondo. Ravasi, inoltre, cita Goethe, ricorda le frasi dell’apostolo Paolo per descrivere Gesù nell’antico cortile, utilizza Wittgenstein per parlare dell’indagine e dei confini della nostra conoscenza.

Poi si succedono gli ambasciatori del Marocco, della Repubblica Ceca, del Congo, nonché Giuliano Amato, protagonista di un intervento che fa pensare. Evidenzia lo spostamento dei confini del bene e del male che è in atto, sottolinea che la democrazia non è il regno del relativismo ma è basata su valori assoluti, invita a un’alleanza tra credenti e non credenti per ridare senso ai fondamenti morali del vivere. Merita un plauso, tra gli altri, l’intervento di Fabrice Hadjadj, filosofo e scrittore, che rammenta il bisogno di ognuno di elevarsi al cielo; inoltre, con un affondo, paragona il mistero della Parola alla volontà di potenza, invitando a cercare l’uomo non nell’efficienza ma «nell’epifania del suo volto».

Oggi, invece, dopo le credenziali politiche e diplomatiche, il Cortile dei Gentili avrà una giornata parigina intensissima. Alle 9 si comincia alla Sorbona con personalità quali Jean-Luc Marion, Julia Kristeva e, tra gli altri, il genetista Axel Kahn; alle 15 si passa all’Institut de France, dove gli accademici di Francia (tra loro si chiamano «immortali» ) renderanno onore all’iniziativa: da Gabriel de Broglie a Jean Clair, da Claude Dagens a Jean-Claude Casanova.

Alle 19 si terrà al Collège des Bernardins una tavola rotonda, dove Patrick de Carolis animerà un confronto sul progetto globale del Cortile. Intanto, alle 19.30 comincerà davanti a Notre-Dame un’animazione musicale, che lascerà il posto a una proiezione e alle 21 all’intervento su grande schermo di papa Benedetto XVI. Quindici minuti sono previsti per le parole del pontefice. Poi canti gregoriani, video, una danza sul «Cantico dei Cantici» e altro ancora. Sino al silenzio della notte, accolto nella cattedrale dalle meditazioni dei Fratelli di Taizé.

______________________________________________________________________

 A FREUD, GLORIA ETERNA!!! IN DIFESA DELLA PSICOANALISI.

_______________________________________________________________________

 «Fede e umanesimo laico dialogano grazie a Freud» 

intervista a Julia Kristeva,

a cura di Stefano Montefiori (Corriere della Sera, 25 marzo 2011)

Il Bisogno di credere: prepolitico, prereligioso. A questo istinto dell’uomo Julia Kristeva ha dedicato un libro (edito in Italia da Donzelli) e l’intervento che pronuncerà questa mattina, alla Sorbona, nella seconda giornata del «Cortile dei Gentili». Uno spazio di dialogo e di confronto tra mondo religioso e intellettuali non credenti, alla ricerca dei valori comuni e della complementarità, dove la grande semiologa «bulgara d’origine, francese di nazionalità, europea di cittadinanza e americana d’adozione» ripercorrerà i grandi momenti dell’umanesimo secondo questa traiettoria: Erasmo, Diderot, Sade, Freud.

«L’opera di Freud - spiega la Kristeva - è la cerniera tra le due frontiere dell’esperienza umana: lo scatenamento delle passioni da una parte e la morale dall’altra. Solo la teoria freudiana permette di coordinare questi due aspetti».

-  Ormai da qualche anno la moda del tempo, anche e soprattutto tra gli intellettuali non credenti, è demolire l’opera di Freud, accusata di essere una falsa scienza dal Libro nero della psicoanalisi (Fazi) fino agli ultimi saggi di Michel Onfray.

«Sono solo fenomeni mediatici, che non mi interessano. Non vedo come si possa affrontare la questione della religione senza tenere conto di ciò che Sigmund Freud ci insegna sull’essere umano, e cioè che l’homo sapiens è homo religiosus: il bisogno di sapere si traduce in un bisogno di credere, il sapere può decostruire il credere, ma non può esistere senza il credere. Ci siamo abituati ad attaccare l’opera di Freud perché ha detto che le religioni sono un’illusione e questo infastidisce molto gli uomini di fede; è vero, i fenomeni religiosi talvolta portano alla nevrosi se non all’oscurantismo e all’integralismo, ma Freud non si limita a questo. Mostra anche come la psicanalisi sia la sola delle scienze umane in grado di avvicinare il fenomeno religioso in maniera delicata, riconoscendone il radicamento profondo nell’uomo. Penso che il dialogo che cominciamo in questi giorni a Parigi possa avvenire a partire da questo tipo di approccio. Con delicatezza».

-  Lei come si definisce in rapporto alla religione?

«Mi interessa l’umanesimo, la differenza tra l’umanesimo cristiano e quello dei Lumi, e come quest’ultimo può rispondere alle questioni della nostra epoca, dalla libertà sessuale al ruolo della donna, alle crisi dei giovani e del multiculturalismo. Non si tratta di distruggere la religione, come hanno tentato di fare i totalitarismi, ma neanche di accettarla: serve un lavoro di rivalutazione della memoria».

-  Questo umanismo è ateo, agnostico o credente?

«Io appartengo alla variante dell’umanesimo dei Lumi: un ateismo in senso sartriano, che è quindi un’"esperienza crudele e di lungo respiro". Cerco di continuare quel lavoro».

-  Nell’intervento, Julia Kristeva citerà L’esistenzialismo è un umanesimo di Jean-Paul Sartre (Mursia) e la Lettera sull’ «umanismo» di Martin Heidegger (Adelphi).

«Sartre parla molto della libertà, l’esistenza dell’uomo precede l’essenza, ed è una libertà che si conquista con scelte e rischi; dalla parte di Heidegger il problema è più complesso: non si pone né per Dio né contro Dio né nell’indifferentismo, ma cerca di cogliere l’uomo in rapporto al linguaggio. Ma solo Freud riesce a mettere in relazione la follia umana e il bisogno di valori. Come diceva Jung, il credere non può essere cancellato, può essere solo sublimato. Il percorso psicanalitico è in fondo un modo di sublimare questo bisogno di credere».

Julia Kristeva crede molto nell’utilità di spazi di confronto come «Il Cortile dei Gentili», «che non può restare un’occasione isolata». Il suo progetto è creare un’istituzione permanente, un luogo di studio che aiuti a «rispondere al malessere dell’uomo moderno in modo post-religioso, ma tenendo conto dell’apporto delle religioni».



Venerdì 25 Marzo,2011 Ore: 15:10
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/3/2011 18.34
Titolo:DALLA CATTEDRA AL CORTILE di Piero Stefani ....
Dalla cattedra al cortile

di Piero Stefani (Il pensiero della settimana, 26 febbraio 2011)

Una delle intuizioni più profonde del card. Martini fu di istituire la «cattedra dei non credenti». L’esempio di Milano fu imitato da molti, in modi non sempre felici. Invero, nel succedersi delle edizioni, anche nella diocesi ambrosiana l’iniziativa perse progressivamente di smalto. Assunse, infatti, più l’aspetto di «liturgia culturale» che di vero e proprio confronto. Ciò non toglie la geniale originalità dell’iniziativa.

Il suo fulcro era ben espresso dal titolo scelto. Un vescovo, a cui spetta, per definizione, la cattedra, dava voce a insegnamenti che provengono dall’esterno e giungono fino all’interno. Per comprenderlo occorre aver a mente che l’impostazione degli incontri non si concentrava sul confronto tra persone dotate o sprovviste di fede. Questo aspetto non era escluso, ma non era il più significativo.

La qualifica di «non credente» è spesso riduttiva o addirittura impropria, dominata com’è da una pura negazione. Nella «cattedra» era invece propria; e lo era perché il senso più autentico della proposta stava nell’affermare che le ragioni più serie della non credenza venivano considerate una forma di interlocuzione, esterna e interna, indispensabile perché ci fosse una fede matura. Analogamente la testimonianza di un credente pensoso non era avvertita priva di significato da parte di chi, in virtù della sua riflessione e della sua coscienza, era indotto a negare l’esistenza di una realtà trascendente o, quanto meno, nutriva dubbi al suo riguardo.

Si comprende, allora, sia perché Martini parlasse del dialogo con il non credente che è in noi, sia perché dichiarasse che la vera distinzione non era quella che sussiste tra credenti e non credenti, ma quella che divide le persone pensanti dai non pensanti. Si potrebbe tentare una sintesi: le persone pensanti sono coloro che danno spazio dentro di sé alle ragioni dell’«altro»; lo fanno non per consegnarsi all’incertezza, ma per render più mature le proprie convinzioni. Ciò avviene solo nel caso in cui il confronto sia sincero e alieno tanto da interessi di parte quanto da convenienze reciproche; condizioni queste ultime ormai estremamente rare.

In luogo della «cattedra dei non credenti», la Chiesa universale ora lancia un’iniziativa chiamata «cortile dei gentili». Affidata al Pontificio Consiglio della Cultura (prefetto card. Ravasi), il «cortile» è stato preinaugurato un paio di settimane fa a Bologna; mentre l’avvio ufficiale avverrà a Parigi verso fine marzo.

La scelta dell’espressione è stata spiegata da Benedetto XVI nel suo discorso tenuto alla Curia romana a fine 2009. Si prendono le mosse dal fatto che, sentendo parlare di «nuova evangelizzazione», persone agnostiche o atee (le quali «devono stare a cuore a noi come credenti») forse si spaventano. Tuttavia in loro rimane presente la questione Dio. Come primo passo dell’evangelizzazione bisogna perciò tener desta la loro ricerca di Dio. A tal proposito, aggiunge Ratzinger, vengono in mente le parole di Gesù che, sulla scorta di Isaia, presentano il tempio di Gerusalemme come casa di preghiera per tutti i popoli (Mc 11,17; Is 56,7).

Gesù pensava «al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio per i gentili che lì volevano pregare l’unico Dio, anche se non potevano prender parte al mistero, al cui servizio era riservato l’interno del tempio». Si pensava cioè a persone che conoscono Dio solo da lontano: «che desiderano il Puro e il Grande anche se Dio rimane per loro il “Dio ignoto” (cfr. At 17,23)». «Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorte di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto».

È noto che l’esegesi biblica non ha alcun peso nei documenti ufficiali della «Chiesa docente», perciò non val la pena di impegnarsi a mostrare quanto sia inesatta l’interpretazione del passo evangelico qui proposta. Il punto serio è altrove; esso sta nel fatto che, in questa immagine, la Chiesa prende il posto del tempio (e di Israele). La sua cura e generosità sono però tali da aprire una dependance in cui è concessa ospitalità ad alcuni incerti ricercatori di Dio. Nel suo interno, la Chiesa celebra il mistero e nessuna crepa solca il suo levigato seno. In questa prospettiva sarebbe un vero e proprio ossimoro parlare della parte non credente che è in noi e sarebbe addirittura inconcepibile che le ragioni serie del dubbio e della negazione siano meritevoli di ascolto al fine di liberare la propria fede da sovrastrutture improprie.
In realtà, però, a dover essere purificato non è solo il cortile, è anche e soprattutto l’interno del tempio.

In definitiva, il «cortile» che si sta inaugurando presuppone un dialogo senza ascolto. A quanto si può immaginare (e l’impressione è confermata dalla prime avvisaglie), nessuno accederà a essa per mettersi in discussione; dichiaratamente non lo faranno mai i credenti (si può, dunque, già ipotizzare quale sarà la lista degli invitati). Se i fatti confuteranno queste previsioni, saremo ben lieti di ricrederci.

Del resto mettersi in discussione è difficile per tutti. Le drammatiche vicende libiche di queste ore dovrebbero indurre l’Italia a mobilitarsi (ma non ne vediamo tracce consistenti) e ad aprire un profondo ripensamento a proposito della sua storia (in Cirenaica Badoglio e Graziani non si comportarono meglio di quanto faccia Gheddafi nei suoi ultimi giorni di potere), del suo passato prossimo e dei suoi affari presenti. Sono considerazioni che non valgono per la Grecia, Cipro e Malta.

Questi ultimi giorni dimostrano, ancora una volta, che anche ottanta o settanta anni fa i governi e le società erano fatti di uomini esattamente come siamo noi che peraltro siamo, volenti o nolenti, molti più informati di allora. In Libia si compiono stragi e qui ci si preoccupa del prezzo del petrolio e della possibile invasione degli immigrati; mentre, quando si passa ad altro compartimento stagno, si riesce, per esempio, persino a scandalizzarci che alla fine degli anni trenta l’Inghilterra mandataria contingentasse l’immigrazione ebraica in Palestina.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/3/2011 18.25
Titolo:Te­sto del video-messaggio pronunciato dal Pa­pa e trasmesso ieri sera sul sagra...
«La nuova fraternità tra credenti e no»

Benedetto XVI

Il Papa: «Varcate insieme questo magnifico portale e rivolgete una preghiera al Dio conosciuto nella fede, o al Dio Ignoto»

«La questione di Dio non è un pericolo per la società, non deve essere assente dai grandi interrogativi del nostro tempo. Non chiudete la vostra coscienza»

«La prima delle azioni che potete compiere insieme è rispettare, aiutare e amare ogni essere umano, poiché esso è una creatura di Dio e in un certo modo la strada che conduce a Lui»

Pubblichiamo in una nostra traduzione il te­sto del
video-messaggio pronunciato dal Pa­pa e trasmesso ieri sera
sul sagrato di Notre-Dame in occasione del Cortile dei gentili
(Avvenire, 26.03.2011)


Cari giovani, cari amici!

So che vi siete riuniti numerosi sul sa­grato di Notre-Dame di Parigi, su in­vito del cardinale André Vingt-Trois, arcive­scovo di Parigi, e del cardinale Gianfranco Ra­vasi, presidente del Pontificio Consiglio del­la Cultura. Vi saluto tutti, senza dimenticare i fratelli e gli amici della Comunità di Taizé. Sono grato al Pontificio Consiglio per aver ri­preso e sviluppato il mio invito ad aprire, nel­la Chiesa, dei ’Cortili dei gentili’, immagine che richiama quello spazio aperto sulla vasta spianata vicino al Tempio di Gerusalemme, che permetteva a tutti coloro che non condi­videvano la fede di Israele di avvicinarsi al Tempio e di interrogarsi sulla religione. In quel luogo, essi potevano incontrare degli scribi, parlare della fede ed anche pregare il Dio ignoto.

E se, all’epoca, il Cortile era allo stesso tempo un luogo di esclusione, poiché i ’Gentili’ non avevano il diritto di entrare nello spazio sacro, Cristo Gesù è venuto per «abbattere il muro di separazione che divi­deva » ebrei e gentili, «per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo del­la croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunziare pace ...» ( Ef 2 , 14 -17 ), come ci dice san Paolo.

Nel cuore della ’Citè des Lumières’, davanti a questo magnifico capolavoro della cultura religiosa francese, Notre-Dame di Parigi, un grande spazio si apre per dare nuovo impul­so all’incontro rispettoso ed amichevole tra persone di convinzioni diverse. Giovani, cre­denti e non credenti presenti questa sera, voi volete stare insieme, questa sera come nella vita di tutti i giorni, per incontrarvi e dialogare a partire dai grandi interrogativi dell’esisten­za umana. Al giorno d’oggi, molti riconosco­no di non appartenere ad alcuna religione, ma desiderano un mondo nuovo e più libe­ro, più giusto e più solidale, più pacifico e più felice.

Nel rivolgermi a voi, prendo in consi­derazione tutto ciò che avete da dirvi: voi non credenti volete interpellare i credenti, esi­gendo da loro, in particolare, la testimonian­za di una vita che sia coerente con ciò che es­si professano e rifiutando qualsiasi deviazio­ne della religione che la renda disumana. Voi credenti volete dire ai vostri amici che que­sto tesoro racchiuso in voi merita una con­divisione, un interrogativo, una riflessione. La questione di Dio non è un pericolo per la società, essa non mette in pericolo la vita u­mana! La questione di Dio non deve essere assente dai grandi interrogativi del nostro tempo. C ari amici, siete chiamati a costruire dei ponti tra voi. Sappiate cogliere l’opportunità che vi si presenta per trovare, nel profondo delle vostre coscienze, in una riflessione solida e ragionata, le vie di un dialogo precursore e profondo. Avete tan­to da dirvi gli uni agli altri. Non chiudete la vo­stra coscienza di fronte alle sfide e ai proble­mi che avete davanti. Credo profondamente che l’incontro tra la realtà della fede e quella della ragione per­metta all’uomo di trovare se stesso. Ma trop­po spesso la ragione si piega alla pressione de­gli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscere quest’ultima come criterio ul­timo. La ricerca della verità non è facile. E se ciascuno è chiamato a decidersi, con corag­gio, a favore della verità, è perché non esisto­no scorciatoie verso la felicità e la bellezza di una vita compiuta. Gesù lo dice nel Vangelo: «La verità vi renderà liberi».

Spetta a voi, cari giovani, far sì che, nel vostro Paese e in Europa, credenti e non credenti ri­trovino la via del dialogo. Le religioni non pos­sono aver paura di una laicità giusta, di una laicità aperta che permette a ciascuno di vi­vere ciò che crede, secondo la propria co­scienza. Se si tratta di costruire un mondo di libertà , di uguaglianza e di fraternità , cre­denti e non credenti devono sentirsi liberi di essere tali, eguali nei loro diritti a vivere la propria vita personale e comunitaria restan­do fedeli alla proprie convinzioni, e devono essere fratelli tra loro.

Una delle ragion d’essere di questo Cortile dei gentili è quella di operare a favore di que­sta fraternità al di là delle convinzioni, ma senza negarne le differenze. E, ancor più profondamente, riconoscendo che solo Dio, in Cristo, ci libera interiormente e ci dona la possibilità di incontrarci davvero come fra­telli.

Il primo degli atteggiamenti da assumere o delle azioni che potete compiere insie­me è rispettare, aiutare ed amare ogni es­sere umano, poiché esso è una creatura di Dio e in un certo modo la strada che condu­ce a Lui. Portando avanti ciò che vivete que­sta sera, contribuite ad abbattere le barriere della paura dell’altro, dello straniero, di colui che non vi assomiglia, paura che spesso na­sce dall’ignoranza reciproca, dallo scettici­smo o dall’indifferenza. Siate attenti a raffor­zare i legami con tutti i giovani senza distin­zioni, vale a dire non dimenticando coloro che vivono in povertà o in solitudine, coloro che soffrono per la disoccupazione, che at­traversano la malattia o che si sentono ai mar­gini della società.

Cari giovani, non è solo la vostra esperienza di vita che potete condividere, ma anche il vostro modo di avvicinarvi alla preghiera. Cre­denti e non credenti, presenti su questo sa­grato dell’Ignoto, siete invitati ad entrare an­che all’interno dello spazio sacro, a varcare il magnifico portale di Notre-Dame e ad en­trare nella cattedrale per un momento di pre­ghiera. Per alcuni di voi, questa preghiera sarà una preghiera ad un Dio conosciuto nella fe­de, ma per gli altri essa potrà essere anche u­na preghiera al Dio Ignoto. Cari giovani non credenti, unendovi a coloro che stanno pre­gando all’interno di Notre-Dame, in questo giorno dell’Annunciazione del Signore, apri­te i vostri cuori ai testi sacri, lasciatevi inter­pellare dalla bellezza dei canti e, se lo volete davvero, lasciate che i sentimenti racchiusi in voi si elevino verso il Dio Ignoto. S ono lieto di aver potuto rivolgermi a voi questa sera per questo momento inau­gurale del Cortile dei gentili. Spero che vorrete rispondere ad altri appuntamenti che ho fissato, in particolare alla Giornata mon­diale della gioventù, quest’estate, a Madrid. Il Dio che i credenti imparano a conoscere vi invita a scoprirLo e vivere di Lui sempre più. Non abbiate paura! Sulla strada che percor­rete insieme verso un mondo nuovo, siate cercatori dell’Assoluto e cercatori di Dio, an­che voi per i quali Dio è il Dio Ignoto.

E che Colui che ama tutti e ciascuno di voi vi benedica e vi protegga. Egli conta su di voi per prendersi cura degli altri e dell’avvenire, e voi potete contare su di Lui!

Benedetto XVI
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/3/2011 18.30
Titolo:Le strutture religiose accolgano gli immigrati .....
Le strutture religiose accolgano gli immigrati

di Chiara Saraceno (la Repubblica, 27.3.2011)

Sarebbe bello che le istituzioni religiose aprissero almeno una parte delle proprie strutture per dare un’ospitalità decente alle migliaia di immigrati, in primis ai minori non accompagnati, che arrivano a Lampedusa in fuga dall’incertezza e dai pericoli dei loro paesi in conflitto. Sarebbe non solo una doverosa compartecipazione all’azione di solidarietà collettiva cui tutti siamo chiamati a fronte di questa emergenza umanitaria, ma un atto di restituzione di un mancato introito per il bilancio pubblico (stimato in 70-80 milioni di euro) in un periodo di tagli alla spesa sociale che colpiscono soprattutto i cittadini più vulnerabili.

Soprattutto sarebbe una, sia pure temporanea, dimostrazione che effettivamente quelle strutture hanno finalità religiose e assistenziali e non commerciali e quindi la giustificazione formale del sostanzioso sconto Ici di cui beneficiano gli immobili destinati "esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive o per uso culturale" ha un effettivo fondamento.

Ricordo che, nonostante il parere contrario della Corte di giustizia Europea che giustamente ha parlato di trattamento di favore lesivo della concorrenza, il governo lo ha mantenuto e introdotto anche nel decreto sulla fiscalità municipale, anche se, specie per le "strutture ricettive", è spesso davvero difficile non definirle commerciali. Non basta la pur benemerita opera della Caritas, oggi in prima linea anche a Lampedusa, a giustificare perché i vari conventi trasformati in strutture alberghiere a Roma come a Venezia e in altre città debbano pagare meno Ici di qualsiasi altro albergo, pensione o bed and breakfast, facendo anche concorrenza sleale. Questo è il momento di dimostrare che sono innanzitutto dedicate allo svolgimento d attività assistenziali ed anche ricettive non commerciali.

Sarebbe anche opportuno che il governo ripensasse alla sua decisione di non avere un unico election day, buttando al vento centinaia di migliaia di euro. E’ stata una scelta sconsiderata in sé, appunto in un periodo di tagli dolorosi, ma lo è tanto più ora, quando le immagini dei profughi ridotti in condizioni disumane non possono non lasciarci pieni di vergogna. Lo scarto tra spreco e bisogno è letteralmente intollerabile.

Sarebbe infine bello che quest’anno lo Stato, a fronte di tagli alla spesa sociale e viceversa crescenti domande di sostegno in una situazione in cui una emergenza sociale non ne cancella un’altra, indicasse due-tre priorità sociali su cui si impegna a spendere l’8 per mille che gli verrà destinato nelle dichiarazioni dei redditi. Offrirebbe ai cittadini una alternativa effettiva, invogliando una quota maggiore di contribuenti ad indicare il proprio destinatario di elezione: tra le diverse chiese e confessioni religiose e, appunto, lo Stato.

E’ bene ricordare, infatti, che solo una minoranza dei contribuenti indica un destinatario dell’8 per mille. Chi non sceglie, è convinto che i soldi rimangano nel bilancio pubblico. Ma non è così. L’intero ammontare dell’8 per mille delle entrate è ripartito sulla base delle scelte effettuate. Chi conquista la maggioranza della minoranza che sceglie, conquista perciò anche la maggioranza dell’intero ammontare. Come nelle elezioni, chi si astiene di fatto è come se votasse con la maggioranza. In una situazione di risorse scarse e bisogni gravi crescenti, mi sembra davvero non solo poco democratico, ma uno spreco non mettere i cittadini di fronte a possibilità di scelta effettiva sugli obiettivi concreti, in campo sociale, su cui distribuire l’8 per mille.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/3/2011 13.44
Titolo:L'IDENTITA' DI CRISTO, SECONDO RATZINGER. Un'analisi di Franca D'Agostini ...
FILOLOGIA, FILOSOFIA, E TEOLOGIA. Il teologo Ratzinger, dopo aver tolto la "h" dalla "Charitas" (Amore), ha precisato: "Gesù di Nazaret" si scrive "senza acca"...

IL TEOLOGO E SACERDOTE RATZINGER - PAPA BENEDETTO XVI SI METTE SOTTO I PIEDI IL REGNO DI DIO E S'IDENTIFICA A MODO SUO CON "GESU' DI NAZARET".

L’identità di Cristo

di Franca D’Agostini (il manifesto, 30 marzo 2011)

Nel pontificato di Benedetto XVI si esprime un preciso disegno politico-culturale, che si annuncia chiaramente, e in tutta onestà, nella prima enciclica papale: la Deus caritas est, del 2006. Qui il pontefice dice senza mezzi termini che la dottrina sociale della Chiesa deve prendere il posto lasciato vuoto dalla koiné marxista; deve cioè sostituirsi al marxismo (un «sogno svanito») nella sua opera di mobilitazione convergente delle coscienze umane. Consapevole di quanto la fine del bipolarismo mondiale e la cosiddetta «crisi delle ideologie» abbiano portato e stiano portando a un nuovo orizzonte politico e ideologico, il papa ipotizza dunque che il messaggio cristiano, di cui la Chiesa è prima autorevole interprete, possa e debba porsi alla testa del mutamento.

La sua fisionomia politica

L’ipotesi sembra rischiosa e nello stesso tempo plausibile. Rischiosa perché potrebbe essere l’inizio di un tipo di teocrazia intellettuale che urta contro tutte le conquiste del pensiero politico moderno. Plausibile perché l’idea del marxismo, o più in generale dei movimenti libertari dell’Ottocento, come forme di secolarizzazione (o realizzazione-dissoluzione) del messaggio cristiano, è ben presente alla nostra memoria culturale. L’intera opera di Benedetto XVI - e prima ancora di Joseph Ratzinger - si colloca in equilibrio su questo discrimine.

Questo papa, che oltre a essere un teologo e un sacerdote è anche, chiaramente, un intellettuale pubblico, sembra aver lavorato soprattutto nella prima direzione. Ma per chiunque sia interessato alle sorti dell’umanità globalizzata, è utile vedere da vicino con quali argomenti si giustifica l’ipotesi. E in questo senso i due libri del papa su Gesù di Nazareth costituiscono un’ottima risorsa, perché affrontano il problema in modo diretto e preliminare, chiedendosi: che cosa ha detto e fatto Gesù? Che significato ha per noi la sua figura?

La politica di Gesù. Il primo libro, uscito nel 2007, riguarda il periodo Dal battesimo alla Trasfigurazione, il secondo, appena uscito (a cura di Pierluca Azzaro, e tradotto da Ingrid Stampa), va Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione (Libreria Editrice Vaticana). Questo secondo libro può definirsi decisamente politico.

Il suo tema dominante è la questione della regalità di Gesù Cristo. È questo in effetti il tema centrale dell’ultima fase della vita di Gesù, che incomincia con l’ingresso in Gerusalemme, tra la folla che lo acclama, culmina con il processo e la condanna, precisamente a causa del suo presentarsi come Re d’Israele e Figlio di Dio (bestemmia! urla Caifa, stracciandosi le vesti), e si conclude con il trionfo della Resurrezione.

Benedetto XVI avverte che Gesù separa religione e politica, in precedenza intrecciate, nella prospettiva tradizionale giudaica. Eppure, tutto il testo è destinato a mostrare che in Gesù si esprime una nuova forma di regno e di potere, un nuovo modo di essere giusti e concepire la giustizia, un nuovo tipo di agire pubblico. Dunque tutti gli aspetti del «politico» che riconoscono i filosofi: il potere (Schmitt, Foucault), la giustizia (Rawls), l’agire (Arendt), sono coinvolti.

Il punto è che questi aspetti sono praticati e concepiti da Gesù in modo nuovo. I termini «nuovo», «novità», dominano nel libro. Ma in che cosa consiste, esattamente, la novità? Il papa individua sostanzialmente due categorie-chiave: il sacerdozio, e la verità. Il potere di Gesù è potere sacerdotale, e comporta una speciale (nuova) visione del sacerdozio; il regno di Gesù è il regno (inedito) della verità.

La sua fisionomia rivoluzionaria

Gesù rivoluzionario? Intuitivamente, e al di là di ogni raffinata analisi teologica, si sarebbe portati a dire che la novità di Gesù consiste nel «rovesciamento» per cui si afferma il primato dei deboli, degli umili, dei poveri e degli oppressi (ciò di cui si lamentava appunto Nietzsche). La concezione cristiana della giustizia si presenta subito, nelle parole della più tranquilla tra i personaggi evangelici: Maria. Nel Magnificat appare con chiarezza un Dio che «rovescia i potenti dai troni», e «innalza gli umili», che «ricolma di beni gli affamati» e «rimanda a mani vuote i ricchi». E tutto ilseguito della narrazione conferma questa intuizione preliminare.

In ciò effettivamente il cristianesimo potrebbe facilmente sostituirsi al «sogno svanito» del marxismo, o forse correggerlo e integrarlo: è l’intuizione di Simone Weil, e di molti altri. Ma non è questa la via intrapresa dal Papa. Il tema di Gesù difensore dei poveri e dei perseguitati non è del tutto assente nell’analisi di Benedetto XVI. Però, insistendo in questa direzione, il Papa avrebbe dovuto sposare la causa delle teologie politiche, specie quelle della liberazione, o quelle femministe. Perciò, tanto nel precedente volume quanto nel secondo, l’autore ha una cura del tutto speciale non nel discutere, ma piuttosto nel disattivare e attenuare una simile ipotesi interpretativa.

In questo nuovo volume i conti con le teologie libertarie vengono fatti rapidamente, nella riflessione sulla «purificazione del Tempio», quando Gesù adirato rovescia i tavoli dei cambiamonete. Qui il Papa scrive che sì, il gesto di Gesù esprime uno zelo speciale, ma l’idea del riscatto promesso da Gesù così come è concepito dalle «teologie della rivoluzione» equivale all’idea di una legittimazione della violenza «come mezzo per instaurare un mondo migliore»; ed è pertanto inaccettabile nella luce del messaggio evangelico.

In realtà, non è necessario legittimare la violenza per riconoscere che l’integrità di Gesù indica agli esseri umani un modo preciso di essere giusti, e di promuovere la giustizia. Ma per Benedetto XVI questo e altri gesti fanno di Gesù non un rivoluzionario, né un «rovesciatore» di ordini e gerarchie, ma piuttosto un Sommo Sacerdote di un tipo particolare.

La chiave interpretativa del «sacerdozio» di Gesù è una costante in tutto il testo. Gesù è un sacerdote di tipo nuovo, che è venuto per servire, e non per essere servito, che compie la sua opera nel sacrificio di se stesso (in tal modo ponendo fine alla consuetudine dei sacrifici animali), e facendosi tramite della verità. Il suo zelo è amore per il Tempio, la casa di suo padre. Evidentemente questa prospettiva permette al Papa di allacciare meglio il Nuovo Testamento all’Antico, enfatizzando la continuità del Cristianesimo con l’ebraismo. Ma gli permette anche di minimizzare un aspetto che è altrimenti evidentissimo: l’anticlericalismo di Gesù, un altro dato ben noto, e inequivocabile.

In modo insistente, Gesù manifesta una netta e sistematica avversione per le gerarchie ecclesiastiche («guai a voi scribi e farisei!»), e proprio da queste viene condannato e ucciso. Prevede lui stesso che «dovrà soffrire molto» a causa degli «anziani, degli scribi, dei sacerdoti». E non è un caso che il suo unico e solo gesto violento siano proprio quei tavoli rovesciati, contro la corruzione del Tempio. Se davvero Gesù di Nazareth è da vedersi come un sacerdote di un genere particolare, allora il senso del suo sacerdozio non risiede soltanto nel «sacrificio di sé» ma anche (e piuttosto) nel lanciare l’autocritica della Chiesa come apparato sacerdotale. In questo senso, Caifa aveva le sue ragioni: Gesù costituiva un serio pericolo.

Il Regno della Verità. Ma il punto cruciale dell’analisi compare proprio al centro del libro. Il potere di Gesù è il potere della verità, scrive l’autore. «Gesù qualifica come essenza della sua regalità la testimonianza della verità». Anche in precedenti opere, e nel suo confronto con i filosofi «laici», Joseph Ratzinger ha fatto della verità il concetto-chiave del suo magistero. Resta però sempre in gioco la questione di Pilato: che cosa è la verità? Che cosa intende Benedetto XVI per «verità»?

Ora è interessante notare che la verità di cui si tratta non è tanto e propriamente «l’adeguamento dell’intelletto alla realtà oggettiva», come scriveva Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, richiamando la formula tomistica dell’adaequatio intellectus et rei. L’autore del Gesù di Nazareth ci dice infatti che questa nozione di verità è appropriata, ma funziona solo per una verità parziale, umana, che è sempre imperfetta e incompiuta. Nell’ottica umana «la verità in tutta la sua grandezza e purezza non appare». Invece, la vera verità è qualcosa di cui dispone Dio, e vale allora la «formula lapidaria» di San Tommaso: Dio è la prima e somma verità. Dunque: gli umani non hanno vera verità, questa proviene da Dio e Dio solo ne dispone.

Una teocrazia intellettuale

In questi passi Benedetto XVI si rivela in perfetto accordo con molta filosofia laica del Novecento. Non soltanto, per esempio, con Hilary Putnam, che assegna la vera verità allo «sguardo di Dio», ma anche con il maestro di tutti i relativismi, Richard Rorty, che vede nel concetto stesso di veritàl’espressione di una visione «teologica» della conoscenza. L’unica variazione è che mentre per Putnam (ebreo) la verità resta l’enigma inaccessibile di Dio, e per Rorty non c’è verità perché non c’è nessun Dio, per Benedetto XVI Dio c’è, e la sua verità è accessibile, ma attraverso Gesù Cristo, e cioè attraverso la Chiesa, interprete autorizzata del suo messaggio.

Esattamente come i relativisti, Benedetto XVI ritiene che le facoltà umane non abbiano accesso alla verità. «Dare testimonianza alla verità» non significa dunque per lui dire le cose come stanno, ma piuttosto: «mettere in risalto Dio e la sua volontà di fronte agli interessi del mondo e delle sue potenze». Le conseguenze sono molto problematiche, tanto sul piano politico quanto sul piano dottrinale. Qui ha origine, in sordina ma inequivocabilmente, la teocrazia intellettuale di cui si diceva. «La moderna dottrina dello Stato», scrive il Papa, riconosce che il mondo umano non dispone di verità; ma allora: «quale giustizia sarà possibile», visto che non ci sono criteri per distinguere la vera giustizia? Ecco dunque la Chiesa venire in soccorso degli Stati smarriti, senza fondamenti e senza vero: il messaggio cristiano deve dettare agli organismi statali la regola del vero, perché evidentemente «senza verità l’uomo non coglie il senso della sua vita, e si lascia, in fin dei conti, il campo ai più forti».

L’obiezione però è fin troppo facile: se i contenuti della verità sono stabiliti dalla dottrina ufficiale della Chiesa, quali garanzie abbiamo che questa verità sia esente dalla parzialità e dal difetto che per definizione affliggono ogni tentativo umano di sapere? Chi ci assicura che questa pretesa verità non sia ancora la voce «del più forte»? Se si ignorano queste perplessità siamo di nuovo daccapo: siamo al Sinedrio che non fa trionfare affatto la verità, ma anzi, tutto al contrario: manda a morte Gesù.

Così stanno le cose

L’altra verità. Si può in effetti sostenere che proprio la difesa della verità è un dato intrinseco al messaggio di Gesù, e che nel cristianesimo la verità diventa davvero «categoria politica». È essenziale però chiarire che forse non si tratta della summa veritas, come ritiene Joseph Ratzinger, ma più semplicemente: della verità umile e banale, per cui è vero significa così stanno le cose. In questa prospettiva molto cambia.

In primo luogo, spostare l’accento sul potere della verità significa dire: la realtà, proprio quella realtà che urta i nostri corpi, ferendoli, quella realtà fisica che ci fa morire, e soffrire, ed è teatro delle guerre, dell’ingiustizia, e dell’oppressione dei più deboli, ha un potere inequivocabile e primario nelle nostre vite. Questa idea schiettamente naturalistica della vita umana è ben presente nell’operare di Gesù, non per nulla attento a curare i corpi, e pronto a commuoversi per la morte di Lazzaro e per il dolore degli esseri umani che incontra. Verità è la proprietà delle parole (umane) che dicono onestamente e con giustizia questi fatti. Di qui l’estrema importanza del logos - parola, ragione, discorso - per il vangelo di Giovanni.

In secondo luogo, questa verità, cioè dire l’urto dei fatti contro chi vorrebbe occultarli per nascondere e legittimare l’ingiustizia, non è un requisito di Dio, ma degli uomini. Come dice J. C. Beall, in Spandrels of Truth (Oxford University Press, 2009), la verità è una dotazione caratteristica del linguaggio umano. È il nostro linguaggio, che occulta, devia, sbaglia, e ha bisogno di chiarire e generalizzare, a richiedere il predicato ’è vero’. Dio non ne ha alcun bisogno. Dunque il quadro si rovescia: la verità è affare degli uomini, non di Dio, e non per nulla Gesù la difende e ne fa il centro del suo potere: esattamente perché il suo potere è attento agli uomini, e alle loro specifiche fragilità.

In terzo luogo: anche il bisogno del papa di distinguere la rivoluzione di Gesù dalla violenza degli «zeloti», o dei «terroristi», da questo punto di vista potrebbe ricavarne qualche vantaggio. Infatti richiamarsi alla verità, che in definitiva è una proprietà di discorsi, e non di azioni, significa che la trasformazione e l’emancipazione avvengono anzitutto attraverso la parola, non attraverso la violenza. Ecco dunque il senso del potere salvifico del logos come potere non violento, «senza eserciti né legioni».

In questa prospettiva, si direbbe, il lavoro politico di Gesù è equivalente al lavoro politico svolto dai «Tribunali della verità» sorti in Sud Africa contro l’apartheid; o equivalente a tutte le discussioni che oggi riguardano la giustizia globale, ai faticosi tentativi di cambiare le cose con organismi nonsolo nominalmente «umanitari», o alla «parola contro la mafia» di Roberto Saviano e di altri. È vero allora che, intesa in questo modo, la luce innovativa di Gesù Cristo, da quegli sperduti paesi della Palestina «cresce» ed è cresciuta «lungo i secoli», come scrive il papa.

Ma certo la distorsione che la lettura di Benedetto XVI imprime alle interpretazioni libertarie del Vangelo complica la situazione. La parola di Gesù viene assorbita nella voce della Chiesa, delle sue istituzioni dottrinali, dei suoi sacerdoti; il potere eversivo della verità libera dai vincoli delle convenzioni diventa potere non di Dio, ma dei suoi interpreti autorizzati. In questo senso, il cristianesimo non è più l’erede e il sostituto del «sogno svanito», ma il suo affossamento, la sua definitiva cancellazione dalla storia. Il rischio che con ciò si cancelli anche la promessa del Cristianesimo stesso, e se ne oscuri la luce, deve però essere preso in seria considerazione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/4/2011 23.06
Titolo:Un neopaganesimo che monsignor Fisichella durerà fatica a contestualizzare ...
Il bacio del dio Priapo

l’ultimo rito delle notti di Arcore

"L’Omino con il pene grosso" viene offerto alle ospiti della villa di Berlusconi: così il mito incrocia il bunga bunga

di FILIPPO CECCARELLI *

E INSOMMA, per farla breve: è tornato Priapo. Ma sul serio, e dalle risultanze giudiziarie si capisce che è tornato sulla cresta dell’onda di un neopaganesimo che monsignor Fisichella durerà fatica a contestualizzare. E’ tornato dalle parti di villa San Martino, l’inconfondibile dio, in forma di statuetta a riscaldare l’atmosfera per il bunga bunga. Una giovanissima ha raccontato ai Pm che durante le simpatiche seratine di Arcore, appena dopo la solita scarica di barzellette sconce, il presidente del Consiglio dei ministri si faceva portare - purtroppo non è detto da chi - un involucro della grandezza di una bottiglia d’acqua da mezzo litro e, oplà, sorpresa, meraviglia, tintinnio di risate olgettine, ecco che dall’arcano tabernacolo è spuntata fuori una statuetta di un "omino con il pene grosso" l’ha definito la ragazza. Di più: "Un pene visibilmente sproporzionato".

E insomma, non ci sono dubbi: è lui, e quel coso lì nella mitologia ellenico arcaica, non ancora arcoriana, è detto "itifallo"; e il suo legittimo proprietario, un vecchio basso e tarchiato la cui incerta genealogia oscilla fra Dioniso, Pan e una mezza dozzina di divinità prosperate nella notte dei tempi con i significativi patronimici tipo "l’Eretto" o "Colui che colpisce", ecco, non può essere che Priapo, il dio che passò il tempo a corrompere le donne della città di Lampsaco insegnando loro ogni sorta di turpitudine, ma che gli antichi finirono per riconoscere come custode delle vigne e dei giardini, a volte ridotto al rango di spaventapasseri, ma soprattutto dispensatore di fertilità nonché protettore di quella particolare forma di malocchio che punta a debilitare la virilità a colpi di invecchiamento, impotenza, cilecche.

Il trasloco di questo specialissimo culto dall’Ellesponto alla Brianza berlusconiana trova nei verbali della Procura una descrizione adeguatamente vivida. Nel senso che a un dato momento il Cavaliere consegnava l’idoletto nelle mani delle sue graziose ospiti che se lo passavano l’un l’altra dopo averne baciato la macroscopica protuberanza. Sembra che alcune, per non lasciare nulla d’intentato, se lo strusciassero anche sulle sise - e a questo punto un giornalista politico, pure avvezzo agli scialbi rituali della Prima e della Seconda Repubblica, si sentirebbe anche un po’ in imbarazzo a proseguire nella sua linea interpretativa, oltretutto necessariamente guardona. Sennonché, con l’insperato soccorso del Dizionario dell’erotismo di Ernest Borneman (Rizzoli, 1984) si intuisce che tale cerimonia è assimilabile a una "falloforia", o se si vuole a una "fallogogia", comunque una sorta di processione augurale, nondimeno scherzosa considerato l’oggetto portato in giro per celebrare la forza generatrice della natura. E vabbè.

Resta da aggiungere che Emilio Fede nega di aver visto statuette falliche, "e comunque - ha specificato - non sarebbe reato". Certo che no. Ma intanto è sorprendente la facilità con cui da qualche tempo la vita pubblica va a sbattere sulla mitologia e i suoi derivati. C’è questo anziano presidente le cui voglie incessanti hanno fatto richiamare creature come quelle dei satiri. Ci sono queste giovanissime ragazze da cui egli "è preso", come dicono al telefono le ninfe della Dimora Olgettina. L’ex scenografo del craxismo, Filippo Panseca, ha dedicato un intero ciclo pittorico agli amori, per così dire, e alle incessanti mitologie orgiastiche berlusconiane. Rispetto alle quali di recente Famiglia cristiana ha evocato addirittura la Nemesi, anch’essa una divinità, figlia della Notte e adeguatamente dotata di spada per ristabilire l’equilibrio sbomballato dall’arroganza e dagli eccessi dei mortali.

Il problema odierno, semmai, è che questi ultimi vengono addirittura rivendicati e incoraggiati dal potere. Come dimostra, pure qui con cospicui agganci mitici, il simbolico dono di un toro, sia pure Swaroski, da parte dei maggiorenti del Pdl lombardo al Cavaliere con annesso attestato di efficacia genitale ("due palle così"), al quale il premier ha reagito con maestoso autocompiacimento: "Mi pare un paragone appropriato". Come pure il restauro del blocco scultoreo di Venere e Marte in prestito a Palazzo Chigi, che Berlusconi ha personalmente ordinato impegnando i migliori restauratori a ricostruire il pisello del dio guerriero per la non modica spesa di 70 mila euri. Chissà cosa ne avrebbe scritto Carlo Emilio Gadda che in Eros e Priapo demolì dalle fondamenta il mussolinismo dimostrando la terribile pericolosità di certe smaniose follie. E a rileggerlo davvero sembra che parli di oggi, "il Gran Tauro", appunto, "la Fava Unica", "il Cetriolo Immagine", "la fulgurata protuberanza di chella sua proboscide fallica e grifomorfa in dimensione suina". L’idoletto del bunga bunga che mette una mano in tasca e recita l’anagramma del suo nome: Silvio Berlusconi, "l’unico boss virile".

* la Repubblica, 15 aprile 2011: http://www.repubblica.it/politica/2011/04/15/news/bacio_priapo-14954489/
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/4/2011 19.47
Titolo:OMOSESSUALITA' NEGATA DI RATZINGER. Secondo il teologo David Berger ...
Il teologo David Berger:

“Papa Benedetto XVI è gay”

Secondo lo studioso “quando si parla tra studiosi in privato, tutti concordano sull’omosessualità di Ratzinger”. Indignati i cattolici

di Emiliana Costa *

“Papa Ratzinger è gay”. La scioccante dichiarazione è di David Berger, il teologo tedesco che nel novembre scorso era salito alla ribalta delle cronache per aver fatto coming out e aver lanciato input pruriginosi sull’omosessualità di molti preti nella chiesa cattolica. A distanza di pochi mesi, Berger è tornato con un pettegolezzo choc sulle inclinazioni sessuali di Benedetto XVI. E lo ha fatto dalle colonne del mensile gay “Fresh”.

Secondo il teologo “quando si parla tra studiosi in privato, tutti concordano sull’omosessualità di Ratzinger. Lui viene da una cultura clericale nella quale il tema dell’amore per persone dello stesso sesso era totalmente tabù. Quello che odia in sé lo proietta sugli altri e lo disprezza”.

Nel suo libro “Una sola illusione: un teologo gay nella Chiesa cattolica”ci sarebbero anche le dichiarazioni della giornalista Valeska von Roques, secondo cui Benedetto XVI durante la sua attività di cardinale avrebbe avuto storie omosessuali con alcune guardie svizzere.

“Il Papa - ha aggiunto Berger - è costantemente preoccupato dell’omosessualità, la prima cosa che ha fatto nel 2005 è stato un documento contro i preti gay, per lui sono pericolosi”. Secondo il teologo, Benedetto XVI avrebbe avuto contatti regolari con cardinali omosessuali.

Mentre sul web, la notizia rimbalza da un portale all’altro, il mondo cattolico si indigna davanti a simili dichiarazioni. Il sito cattolico kath.net sostiene che quella di Berger sia pura diffamazione di un uomo potente come papa Ratzinger. Anzi alcuni sono molto taglienti e ribattono che la tesi di Berger dimostrerebbe come l’omosessualità spenga il cervello.

Kreuz.net definisce Berger una “latrina omosessuale”, in quanto “avrebbe insultato il Papa nello squallido mensile omosessuale descrivendolo come un sodomita”.

* REPORTER: Emiliana Costa, 15 aprile 2011

Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (6) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Filosofia

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info