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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org L'INDICAZIONE DI LUCE IRIGARAY AD ANDARE OLTRE IL VECCHIO SOGGETTO E LA VECCHIA ALLEANZA. Alcune pagine da "Il mistero di Maria", con una nota di Federico La Sala,

PER LA CRITICA DELLA RAGIONE ATEA E DEVOTA. Tracce per una svolta antropologica e teologico-politica ....
L'INDICAZIONE DI LUCE IRIGARAY AD ANDARE OLTRE IL VECCHIO SOGGETTO E LA VECCHIA ALLEANZA. Alcune pagine da "Il mistero di Maria", con una nota di Federico La Sala

(...) Giungere le labbra - come giungere le mani, ma anche le palpebre - è una via di adunare le due parti di sé per racco­gliersi, e dimorare o tornare in sé. Provare un simile raccoglimento di sé con sé, attraverso le due parti di sé che si toccano l’un l’altra è necessario affinché sia possibile vi­vere un affetto nella relazione con l’altro senza perdervi se stessa. E’ essenziale partire da, e tor­nare a, l’unione fra le due parti di sé prima di es­sere capace di vivere la relazione in due con un altro differente (...)


PER ESSERE GIUSTI E GIUSTE CON IRIGARAY, E NON SOTTOVALUTARE LA PORTATA DEL SUO DISCORSO PORTATO AVANTI DA MOLTI ANNI E ANCHE IN QUESTO SUO ULTIMO LAVORO, da cui sono state riprese le pagine qui sotto riportate, mi sia consentito invitare a pre-leggere il seguente articolo sul tema della "creatività" ->:

-  KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETA’ DELL’UOMO A UNA DIMENSIONE, da cui la seguente citazione:

 

-  [...] Ci illudiamo di essere tutti e tutte delle grandi ‘volpi’, degli eroi (Ulisse) e delle eroine (Penelope), ma in fondo stiamo solo illudendoci sulla nostra condizione: in verità, siamo solo e ancora degli esseri umani ‘preistorici’, con un solo occhio, un solo orecchio, una sola mano, un solo piede, una sola bocca, una sola testa, e ... un solo genere sessuale - degli esseri ciclopici, che hanno paura di aprire tutti e due gli occhi e pensare davvero con una sola testa - all’altezza del nostro presente storico! Nutriti da ‘bibliche’ e ‘platoniche’ illusioni, continuiamo a vivere come dei bambini e delle bambine che non vogliono crescere e, da millenni, a cantare il ritornello di questa ‘visione’ ballando su un solo piede (non solo a livello del senso comune, ma anche e soprattutto della scienza e della filosofia). [...] (Federico La Sala).

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Il silenzio di Maria

[ Luce Irigaray. Il mistero di Maria, Paoline 2010, pp. 26-32] *

Nella cultura occidentale parlare è più valutato che non tacere. Chi parla manifesta le sue capacità mentre chi tace dimostra la sua impotenza o la sua sottomissione. Il valore della parola rispetto al silenzio è inverso in certe tradizioni, per esempio orientali. Per un filosofo come Hegel, la fine del nostro cammino dovrebbe essere una sintesi di tutti i discorsi possibili, e il nostro Dio è colui che detiene la chiave del senso della parola. Invece Budda è il saggio capace di pervenire al silenzio. In un caso è alla parola che dobbiamo mirare, nell’altro al silenzio. Il silenzio, allora, non significa un’assenza di un qualcosa, specialmente di vocaboli, ma il compimento di sé, la realizzazione di una perfetta interiorità. Certe rappresenta­zioni di Budda esprimono l’attuazione di un ta­le silenzio sbocciando in un sereno raccogli­mento dell’intero essere. Budda appartiene a una cultura meno maschile della nostra, in cui il fare, il creare o il dire al di fuori da sé è più ap­prezzato che non un cammino interiore.

Il silenzio di Maria è spesso interpretato in modo negativo, in particolare dalle donne. Un simile giudizio è determinato da valori occiden­tali in prevalenza maschili. Il silenzio di Maria può essere inteso in un altro modo. Può signifi­care un mezzo di preservare l’intimità con sé, l’auto-affezione, per non perdersi, segnatamen­te in un discorso che non è il proprio.

Il silenzio che accompagna le labbra che si toccano l’un l’altro non è necessariamente negativo ma può rappresentare, al contrario, un luogo privilegiato di custodia di sé mediante un ri-toccarsi che segna la soglia fra il dentro e il fuori, le mucose e la pelle. Giungere le labbra - come giungere le mani, ma anche le palpebre - è una via di adunare le due parti di sé per racco­gliersi, e dimorare o tornare in sé.

Provare un simile raccoglimento di sé con sé, attraverso le due parti di sé che si toccano l’un l’altra è necessario affinché sia possibile vi­vere un affetto nella relazione con l’altro senza perdervi se stessa. E’ essenziale partire da, e tor­nare a, l’unione fra le due parti di sé prima di es­sere capace di vivere la relazione in due con un altro differente. In mancanza di una tale auto-affezione, di questo raccoglimento di sé con sé, esiste continuamente il rischio di confondere l’altro con una parte di sé o di confondersi, al­meno in parte, con l’altro.

Nella mitologia greca possiamo osservare un’evoluzione negativa della posizione delle labbra nelle sculture della giovane dea Korè fra il momento in cui è un’adolescente vergine e il momento in cui è rapita e sposata per forza al dio degli inferni: le sue labbra sono armoniosa­mente chiuse, toccandosi l’un l’altro, prima del rapimento di Ade, poi sono deformate e, infine, la bocca non si richiude completamente, le lab­bra rimanendo aperte. Korè-Persefone ha perso l’intimità con se stessa, la possibilità di tornare a sé dopo il suo rapimento.

Il ruolo delle labbra chiuse per custodire un raccoglimento con se stessa spiega anche la reazione di rifiuto della giovane Dora quando il si­gnor K. vuole baciarla allorché stanno assisten­do insieme al passaggio di una processione. Freud interpreta un tale gesto come una mani­festazione nevrotica quando, invece, mi appare come una volontà del tutto legittima e sana di preservare un’intimità con se stessa - in particolare al momento di un evento religioso - ri­spetto a un uomo che intende costringere la ra­gazza ad amarlo, affermando che lei lo desidera senza volerlo riconoscere. Cosa che equivale a una maniera di costringerla, di violentarla, non solo a livello fisico ma anche a livello psicologi­co, spirituale.

L’importanza del conservare le labbra chiuse, che si toccano l’un l’altro, ci è anche insegnata dalla sillaba sacra om. L’ultima lettera di questa sillaba, la cui pronuncia richiede che le labbra si chiudano, è supposta salvaguardare ciò che non si è ancora manifestato, e si dice che essa corri­sponda al colore nero. Il silenzio di Maria non è, quindi, necessariamente assenza di parole ma riserva di parole o eventi futuri la cui manifestazione è ancora sconosciuta. Maria - come ogni donna? - sarebbe colei che porta in sé il mistero del non ancora accaduto, al di là di ciò che è già apparso. Cosa che sarebbe vera non so­lo a livello di una generazione naturale ma an­che di una generazione spirituale. Partorire un bambino divino significa portare alla luce una nuova epoca della storia dell’umanità. E a una donna che colui che designiamo con il nome di Dio chiede di compiere una tale opera.

Una simile interpretazione è possibile ed es­sa affida alla donna un ruolo fondamentale nell’incarnazione del divino sulla terra. Molte donne, nella nostra tradizione, sono incapaci di riconoscere che hanno un compito privilegiato da assumere per l’avvento del divino nel mondo. Il carattere molto maschile della nostra cul­tura le impedisce di valutare a loro ruolo fon­datore nel divenire spirituale dell’umanità, un ruolo che trascurano, e perfino disprezzano, in favore di un incarico ecclesiale, più sociale e più visibile, che spetta piuttosto agli uomini.

(Luce Irigaray. Il mistero di Maria, Paoline 2010, pp. 26-32)

«L’angelo apre l’attenzione di Maria al fatto che lei non può generare un bambino divino senza impegnarsi a essere fedele alla verginità del suo respiro, cioè a preservare una riversa di soffio, di anima, capace di accogliere e condividere con, un altro, pur essendo fedele alla propria vita spirituale»

* Fonte: CNOS - Centro Nazionale Opere Salesiane

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Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:

  Al di là della trinità "edipica"!!!!
-  LUCETTA SCARAFFIA E MARY ANN GLENDON: CONTRO IL FEMMINISMO, RILANCIANO LA VECCHIA "DIABOLICA ALLEANZA" CON LA CHIESA CATTOLICO-ROMANA.
-  "NUOVA ALLEANZA"?!: A CONDIZIONE CHE ACCANTO A "MARIA" CI SIA "GIUSEPPE"!!!
-  Uscire dallo "stato di minorità" non significa mangiare un "piatto di lenticchie" ... né "sposare" il figlio!!!


 "DUE SOLI": COME MARIA, COSI’ GIUSEPPE!!!

 

CANOVA E IL VATICANO. Una gerarchia senza Grazie (in greco, Χάριτες - Charites) e un papa che scambia la Grazia ("Charis") di Dio ("Charitas") con il "caro-prezzo" del Dio Mammona ("Caritas"). Materiali per riflettere

FEDE E CARITA’ ("CHARITAS"): CREDERE "ALL’AMORE" ("CHARITATI"). Enzo Bianchi si domanda "come si può credere in Dio se non si crede nell’altro?", ma non si rende conto che è il quadro teologico costantiniano e mammonico che va abbandonato!

 

-  AL DI LA’ DI DIO PADRE E DELLA VECCHIA CRISTOLOGIA. In onore di Mary Daly, un convegno presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.

 

 USCIAMO DAL SILENZIO: UN APPELLO DEGLI UOMINI, CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE.
-  Basta - con la connivenza all’ordine simbolico della madre!!! L’antropologia come la teologia della "sacra famiglia" della gerarchia vaticana è zoppa e cieca: è quella del ’Figlio’ che prende - accanto alla Madre - il posto del padre "Giuseppe" e dello stesso "Padre Nostro"... e fa il "Padrino"!!!

  UOMINI E DONNE. LA NUOVA ALLEANZA di "Maria" e di "Giuseppe"!!!
-  AL DI LA’ DELL’ "EDIPO", L’ "AMORE CONOSCITIVO". SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI. In memoria di Kurt H. Wolff.

 



Domenica 24 Ottobre,2010 Ore: 15:14
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/10/2010 15.33
Titolo:TRA INCOMPRENSIONE E LIVORE, UNA RECENSIONE ....
Studi su Maria nell era del post-patriarcato

di Annarosa Buttarelli (il manifesto, 23.10.2010)

In un delizioso libriccino da tenere in tasca come quelli destinati alla meditazione quotidiana, Luce Irigaray scrive una delle tappe più significative della sua ricerca intorno al divino di segno femminile. Il testo, un’intensa riflessione su Maria di Nazaret e madre di Gesù, scritto con la semplicità accurata di chi vuole arrivare al cuore di molti e di molte, si muove per soccorrere un’umanità che ha fatto a pezzi sé e il pianeta dove vive, che non ha quasi più la capacità di alimentare lo spirito e di conservarsi un accesso alla trascendenza, prima ancora di una qualche confessione religiosa.
- Con Il mistero di Maria, la filosofa incoraggia l’accelerazione di un processo di rispiritualizzazione dell’umano, proponendo un cambiamento generale della forma mentis occidentale verso una «cultura della saggezza».

Si può provare la tentazione di attribuire questa mossa alle sue personali ricerche in ambito buddista e induista, ma rimane lo stupore per la finezza con cui queste ricerche mirino a collocare Maria di Nazaret al centro della nostra vita politica e spirituale. Riprendendo il suo fondamentale Sessi e genealogie, Irigaray ci chiede di mettere al cuore del cambio di civiltà in corso la Madonna cristiana cattolica, in modo da avvalerci della sua opera di «co-redentrice del mondo», insieme a suo figlio Gesù.

Se il senso profondo di questa proposta fosse già stato recepito, potremmo tirare un respiro di sollievo: significherebbe che l’intelligenza generale ha registrato che ci troviamo in pieno postpatriarcato, un tempo che non ha più punti di orientamento, che ha bisogno di un nuovo ordine simbolico da condividere, per il quale occorre trovare immagini, metafore vive, creatività, nuove dimensioni narrative, e perfino mitologiche.

Qui da noi, il cristianesimo popolare e femminile ha seguitato a coltivare il culto di Maria come virgo potens e come figura storica che merita e sostiene tutte le meravigliose attribuzioni contenute nelle Litanie lauretane. La dottrina istituzionale della Chiesa invece, scrive Irigaray, ha scelto di coltivarne la memoria come archetipo di maternità esemplare al servizio di Dio-padre e del suo progetto. La cosa non è rimasta senza conseguenze, né per la nostra cultura, né per la politica, tanto è vero che, in pieno cristianesimo realizzato (?), «di Maria non sappiamo quasi nulla», scrive Irigaray, che è da leggersi anche come un «delle donne non sappiamo e non vogliamo sapere quasi nulla».

La pretesa di Irigaray è alta: mostrare l’evidenza di una correzione teologica improcrastinabile. Colei che è cara a chi «ha fame e sete di giustizia» può essere la figura di una nuova era, di un pensiero incarnato, così come lo è stata per l’inizio dell’era cristiana con il suo consenso a concepire il messaggio d’amore incarnato in suo figlio Gesù. Dice Irigaray che Maria è protagonista consapevole di una novità: il concepimento di una nuova umanità non può essere solo emotivo o fisico (Maria non è mai solo corpo materno), ma accade se si trovano parole nuove, se si parla con l’angelo.

Ci viene ricordato che ogni concepimento è simultaneamente nel corpo, spirito, pensiero e parole e che ogni nuovo inizio ha bisogno di parole vere incarnate e sessuate. Correggendo l’incauto errore di Eva, Maria insegna che non si può pretendere di diventare divini prima di avere portato a compimento la propria umanità, prima di assumerla avendola accettata.

L’autorità simbolica di Maria viene dalla sua misteriosa verginità, fraintesa dalla Chiesa al punto che Luce Irigaray la accusa di minare «i fondamenti stessi del cristianesimo» - ma forse le è sfuggito che già uno dei nomi della Madonna sia «Spirito Santo».

Tuttavia la filosofa respinge la teologia della mediazione dello Spirito Santo (nel mettere incinta Maria, n.d.r) che rappresenta l’amore tra il Padre e il Figlio della Trinità cristiana. «Maria avrebbe concepito senza partecipare!».

La cifra della verginità di Maria (non la castità) starebbe invece a significare che, alle radici stesse del cristianesimo, il legame diretto delle donne con Dio, non è mediato da alcun uomo, né da alcunché di maschile.

Maria appare così anche l’affrancamento, fin dall’origine, dall’identificazione con lo stato di natura in cui la cultura filosofica occidentale ha invitato le donne a rincantucciarsi. Il suo «gesto etico» non consiste solo «nel rispettare, ma anche nel dare» la vita, a un altro differente da lei, mostrando la capacità femminile di «rispettare la trascendenza dell’altro, di cui pochi uomini sono effettivamente capaci». In continuità con la sua ricerca sui «trascendentali sensibili» nella vita di relazione (Etica della differenza sessuale), Irigaray presenta Maria come «la prima figura divina del tempo dell’incarnazione».

Fatta eccezione per la mistica, l’autrice polemizza con l’esito di una cultura cristiana anestetizzata, che considera trascendente solo ciò che «sfugge alle nostre percezioni sensibili, solo ciò che è disincarnato». Maria, concependo e crescendo nel suo corpo l’invisibile divino, mostra la realtà del divino dentro l’umano e testimonia la necessità di coltivare le percezioni sensibili interiori ed esteriori, una «cultura del toccare» sensibile e carnale versus le politiche dell’immunizzazione, dell’astrazione e dell’indifferenza.

Luce Irigaray, Il mistero di Maria, Paoline, pp. 58, Euro 11,50

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