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www.ildialogo.org LA TRE-SFERA: DANTE CON EINSTEIN - E KANT. Una bella e formidabile ipotesi di Carlo Rovelli, da coniugare con il lavoro di Kant - dalla "Storia universale della natura e teoria del cielo" alla "Critica della facoltà del giudizio".,a cura di Federico La Sala

COSMOLOGIA (""MONDO"), TEOLOGIA ("DIO"), ANTROPOLOGIA ("UOMO"): USCIRE DALLA CAVERNA PLATONICA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” CONCEPITO COME “UOMO SUPREMO”...
LA TRE-SFERA: DANTE CON EINSTEIN - E KANT. Una bella e formidabile ipotesi di Carlo Rovelli, da coniugare con il lavoro di Kant - dalla "Storia universale della natura e teoria del cielo" alla "Critica della facoltà del giudizio".

(...) Come ha potuto Dante anticipare Einstein di sei secoli? Innanzitutto l’immaginazione spaziale di Dante, nel tardo medioevo, non era ancora ingabbiata nel rigido immaginario newtoniano per il quale lo spazio fisico è euclideo e infinito. (...) In secondo luogo, l’idea che la divinità risieda “oltre” il bordo dell’Universo aristotelico si trova già nel Lì Tresor, il bellissimo libro di Brunetto Latini, maestro di Dante, che compendia il sapere medioevale(...)


a cura di Federico La Sala

Dante e Einstein nella tre-sfera

La struttura dell’universo descritta nel Paradiso è la stessa suggerita dal grande fisico della relatività. Ed è coerente con le più recenti misure cosmologiche

 

di Carlo Rovelli (Il Sole 24 Ore / Domenica, 17.10.2010)

 

Salito fino alla sfera più esterna dell’universo aristotelico, Dante, invitato da Beatrice, guarda verso il basso. Vede tutti i cieli, e, giù in fondo, la , piccola Terra, che gli sembra girare lentamente sotto i suoi piedi. Poi Beatrice lo invita a guardare verso l’alto, fuori dall’Universo aristotelico, là dove secondo Aristotele non ci sarebbe più nulla di nulla, perché per Aristotele l’Universo ha un bordo dove tutto finisce.

Dante guarda e ha la straordinaria visione di un punto di luce circondato da nove immense sfere di angeli. Dove stanno questo punto di luce e le sfere angeliche, che sono fuori dall’Universo aristotelico? Dante lo dice in maniera incantevole: «questa altra parte dell’Universo d’un cerchio lui comprende, sì come questo li altri». E nel canto successivo: «parendo inchiuso da quel ch’elli ’nchiude». Il punto di luce e le sfere di angeli circondano l’Universo e insieme sono circondati dall’Universo. Che significa?

Per la maggior parte dei lettori, l’immagine di due insiemi di sfere concentriche ciascuno dei quali "inchiude" l’altro è solo un’oscura immagine poetica. I libri di testo dei licei disegnano il punto di luce e le sfere di angeli semplicemente fuori dall’universo aristotelico. Ma per un matematico o un cosmologo di oggi, la descrizione della forma dell’Universo data da Dante è perfettamente trasparente, e l’oggetto descritto da Dante è inconfondibile. Si tratta di una "tre‑sfera", la forma che nel 1917 Albert Einstein ha ipotizzato essere la forma del nostro universo, e che oggi resta compatibile con le più recenti misure cosmologiche.

La sfrenata fantasia poetica e la straordinaria intelligenza di Dante Alighieri hanno anticipato di sei secoli una geniale intuizione di Albert Einstein sulla forma che il nostro universo potrebbe avere. Che cos’è questa "tre‑sfera"? E una struttura matematica, una figura geometrica, che non è facilissima, ma in fondo neanche difficilissima, da concepire. La difficoltà sta nel fatto che non la si può disegnare dentro lo spazio a cui siamo abituati, per lo stesso motivo per cui la superficie della Terra non può essere disegnata fedelmente su una carta geografica piana.

Per capire, consideriamo il seguente problema: se camminiamo sulla Terra sempre nella stessa direzione, dove arriviamo? Incontriamo il bordo della Terra? No. Arriviamo in paesi sempre nuovi all’infinito? Neppure. Come ben sappiamo, dopo avere fatto il giro della Terra, torniamo al punto di partenza. Un’idea difficile da digerire per gli antichi, e che fa ancora ridere i bambini alle elementari, ma alla quale abbiamo finito per abituarci, e trovare ragionevole. Questo perché la terra è una “sfera”. I matematici, precisi, dicono piuttosto che la "topologia", cioè la "forma intrinseca”, della Terra è una “due-sfera” ("due", perché sulla Terra si può camminare in due direzioni principali: nord‑sud, o esto-vest).

Poniamo la stessa domanda per l’universo in cui siamo: immaginiamo di poter viaggiare su un’astronave velocissima sempre nella stessa direzione. Dove arriviamo? Incontreremo il bordo dell’universo? Poco credibile. Troveremo spazi sempre nuovi all’infinito? Anche quest’idea è poco attraente e forse poco credibile. E allora? Allora c’è la terza possibilità: dopo avere fatto il giro intero dell’Universo, ritorneremo al punto di partenza, sulla Terra. Questo è ciò che avviene se l’Universo è una tre‑sfera.

C’è un modo abbastanza semplice di disegnare questa tre‑sfera. Torniamo alla superficie della Terra. Una tecnica ben nota per disegnarla su una carta geografica, consiste nel disegnare due dischi: uno con i continenti dell’emisfero nord e il polo nord al centro, e l’altro analogo per l’emisfero sud. L’equatore è disegnato due volte, come il bordo di entrambi i dischi. Se partiamo dal polo sud e camminiamo verso nord, a un certo punto attraversiamo l’equatore: nella nostra rappresentazione in due dischi, "saltiamo" da un disco all’altro.

Ovviamente nella realtà non facciamo nessun salto, perché nella realtà l’emisfero nord, visto da chi viene dal polo sud, "circonda" l’emisfero nord, così come l’emisfero sud "circonda" l’emisfero nord, per chi guarda da nord. La tre-sfera può essere rappresentata in maniera del tutto analoga, disegnando due "palle". Una palla è "l’emisfero nord" della tre‑sfera, l’altra è l’emisfero sud. La sfera "equatoriale" che separa e connette i due emisferi è disegnata due volte: come il bordo delle due palle. Un viaggiatore che partisse dal centro della prima palla e salisse "di sfera in sfera", come Dante, fino a questo equatore, vedrebbe sotto di sé un insieme di sfere concentriche, che si richiuderebbero intorno a un punto. Quest’altro emisfero, allo stesso tempo “circonderebbe” e “sarebbe circondato” dalla prima palla. In altre parole, la migliore rappresentazione della tre-sfera è esattamente quella che ne dà Dante. È stato un matematico americano, Mark Peterson, il primo a scrivere nel 1979 un bell’articolo sottolineando la chiarezza con cui Dante descrive la tre-sfera, ma oggi ogni fisico o matematico riconosce facilmente la tre-sfera nella descrizione dantesca dell’Universo.

Come ha potuto Dante anticipare Einstein di sei secoli? Innanzitutto l’immaginazione spaziale di Dante, nel tardo medioevo, non era ancora ingabbiata nel rigido immaginario newtoniano per il quale lo spazio fisico è euclideo e infinito. Per Dante, come per Aristotele, lo spazio è solo la struttura della relazione tra e cose, e una tale struttura può avere forme peculiari. In secondo luogo, l’idea che la divinità risieda “oltre” il bordo dell’Universo aristotelico si trova già nel Lì Tresor, il bellissimo libro di Brunetto Latini, maestro di Dante, che compendia il sapere medioevale.

In terzo luogo, l’immagine di Dio come un punto di luce circondato da sfere di angeli è anch’esso già presente nel Medioevo, come ci mostrano diverse immagini del tempo. Dante ha messo insieme i pezzi del puzzle.

 

A me piace pensare che sia stata un’immagine precisa a ispirare Dante. Dante lascia Firenze nel 1301, mentre si stanno completando gli straordinari mosaici della cupola del Battistero. Se entrate nel Battistero e guardate in alto, vedete un punto di luce (la presa di luce dalla lanterna sulla sommità della cupola) circondato da nove ordini di angeli, (con il nome scritto per ciascun ordine: Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini e Serafini) esattamente come nel Paradiso. Se immaginate di essere una formica sul pavimento del Battistero (il polo sud) e iniziare a camminare in una qualunque direzione, notate come da qualunque direzione saliste sui muri, arrivereste poi allo stesso punto di luce circondato da angeli (il polo nord): il punto di luce e suoi angeli "circondano" e insieme "sono circondati", dal resto delle decorazioni interne del Battistero. L’interno del battistero è una due‑sfera, ovviamente. Dante, come ogni cittadino della Firenze della fine del Duecento, sarà certo rimasto impressionato dalla grandiosa opera architettonica che la sua città stava completando. (Il bellissimo e terrificante mosaico del Battistero che rappresenta l’Inferno, opera di Coppo di Marcovaldo, maestro di Cimabue, è comunemente considerato una sorgente d’ispirazione per Dante). Non potrebbe Dante avere trovato ispirazione anche nella "topologia" del Battistero? Il Paradiso ne riproduce con esattezza la struttura, compresi gli angeli e il punto di luce, traducendola da due dimensioni a tre, e ottenendo così la tre‑sfera einsteiniana.

Che sia questa o altra l’origine dell’idea, resta il fatto che la straordinaria immaginazione di Dante ha saputo trovare una soluzione consistente all’antico problema di conciliare l’idea di un mondo finito con l’idea dell’assenza del "bordo del Mondo". La soluzione è la stessa che Einstein escogiterà sei secoli più tardi. E che forse è la soluzione giusta.

Perché ci piace tanto Dante? Per molti motivi, ma forse anche per un motivo che chi come me si occupa di scienza vede particolarmente bene: Dante è uomo non solo di grandissima cultura, ma anche di straordinaria intelligenza, anche matematico‑scientifica. Sentire una persona colta di oggi che scherza e quasi si vanta della sua ignoranza scientifica è altrettanto triste che sentire uno scienziato che si vanta di non avere mai letto una poesia. Poesia e Scienza sono entrambe creazioni dello spirito che creano nuovi modi di pensare il mondo, per farcelo meglio capire. La grande Scienza e la grande Poesia sono entrambe visionarie, e talvolta possono arrivare alle stesse intuizioni. La cultura italiana odierna che tiene Scienza e Poesia separate è sciocca, perché si rende miope alla complessità e alla bellezza del mondo, che sono rivelate da entrambe.

****

Per capire quanto e come  questa indicazione sia (a mio parere) importante e preziosa, mi sia lecito invitare a leggere  due note (link - allegati: cliccare sui titoli)  relative,  una a un invito alla rilettura della "Storia universale della natura e teoria del cielo" di Kant,  e l'altra a ripensare il problema della "creatività":

LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” CONCEPITO COME “UOMO SUPREMO”. Note per una rilettura della “Storia universale della natura e teoria del cielo”

CREATIVITA’: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETA’ DELL’UOMO A UNA DIMENSIONE. Da Emilio Garroni, una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico

 

 

 



Giovedì 21 Ottobre,2010 Ore: 13:09
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/10/2010 16.34
Titolo:ANTIGRAVITAZIONE E ANTROPOTECNICA ......
- Le idee di Peter Sloterdijk hanno conquistato Habermas e gli studiosi francesi

- La filosofia è un personal trainer

- Ora esce in Italia uno dei suoi saggi più importanti. Per "allenarci" a un’altra vita
- "Non si può sperare di cambiare il mondo ma solo di migliorare se stessi"
- "Si deve ritrovare il senso della disciplina come pratica e come metodo"

- di Marco Filoni (la Repubblica, 22.10.2010)

Quando Peter Sloterdijk scrive un libro, in Germania e in Francia, diventa un evento. Da noi non è ancora così noto. Eppure il filosofo di Karlsruhe, classe 1947, domina la scena tedesca come non succedeva da decenni. Già nel 1983, il suo esordio con la Critica della ragion cinica viene definito dal decano Jürgen Habermas come l’avvenimento più importante dopo il 1945. Perché mina i principi dell’Illuminismo e propone un maquillage del cinismo greco per uscire dallo stallo del moderno.

Da quel momento diventa un riferimento: con le sue eccentriche, ma solidissime, ricerche colma il vuoto di tante asfittiche variazioni filosofiche. Affrontando, anche in modo provocatorio, la concretezza dei problemi attuali. Lo dimostra il suo ultimo libro, Devi cambiare la tua vita, in libreria per Raffaello Cortina. In Germania ha venduto 50.000 copie in soli due mesi. Un record per un libro di filosofia di quasi 600 pagine. Un libro nel quale, analizzando la condizione umana, Sloterdijk ci dice che siamo alla deriva. Ma possiamo salvarci con l’allenamento, praticare esercizi che ci migliorino. Dobbiamo cambiare vita.

Professore, cosa significa questo imperativo?

«È quello che io chiamo imperativo assoluto. Una sorta di provocazione insormontabile. Che si muove su una sconvolgente scoperta, fatta agli inizi delle così dette civiltà avanzate: l’uomo è un essere stratificato. Del resto l’idea è presente, ai giorni nostri, nell’opera di Freud. Quando descrive l’anima la raffigura come una regione su tre piani: nel solaio, al primo piano, abita il super-io; nel pianoterra c’è l’io; nello scantinato c’è l’es. Da questa stratificazione si sviluppa quella che chiamo tensione verticale».

Lei raffigura questa tensione come una scalata, un’ascensione verso il miglioramento di noi stessi. Ma quali sono i mezzi per compiere questa scalata?

«La vita dell’essere umano non è soltanto una vita omogenea, pacificata e felice. Sente una tensione verso l’alto, una competizione a essere migliore rispetto ai suoi simili e a sé stesso. Un’idea espressa nei sistemi di esercizio antichi. I primi a incarnare questo modello, nella tradizione occidentale, sono stati gli atleti. Ma poco a poco si è generalizzato, è diventato un’ambizione di vita che ha formato il nucleo della nostra concezione filosofica della paideia, l’educazione. La paideia classica dei greci è una sorta di democratizzazione delle pretese atletiche. Non a caso Platone ha forgiato il termine philo-sofia sul modello della parola più antica philo-timia, che designava la virtù degli atleti a lottare per l’amore della gloria».

È una tradizione riscontrabile solo nei greci?

«No, affatto. La storia continua con il cristianesimo. I primi monaci orientali si erano denominati atleti di Cristo. E vivevano nell’asketeria, cioè luogo di allenamento: questo il primo nome di quello che più tardi avremmo chiamato monastero. Perciò i primi cristiani si allenavano a imitare il Cristo, l’essere umano che ha raggiunto la cima dell’autoperfezione divenendo il figlio di Dio, sviluppando la facoltà di vincere la morte e realizzare così l’ascensione verso il cielo. In questo senso la verticalità è l’idea più radicale della nostra storia. Imitare il Cristo è partecipare a un gigantesco esercizio di antigravitazione umana. I primi cristiani erano tutti discepoli dell’arte dell’antigravitazione».

Eppure nelle sue pagine lei ipoteca la religione. Addirittura sembra voler spogliare la teologia del suo carattere divino.

«Il mio proposito è far cadere il concetto di religione. È una conseguenza che traggo dalla teoria generale dell’esercizio. È più giudizioso descriverla con una terminologia legata all’allenamento. Quindi propongo una naturalizzazione del concetto di religione per esprimere la sua verità in termini immunitari. La religione è il primo sistema immunitario dei gruppi umani, un sistema d’immaginazione che promette loro la salvezza. Ma la salvezza non è gratuita: è il risultato di un’attività permanente, uno sforzo di solidarizzazione collettiva che dovrà essere regolarmente ripetuto. Solo così gli uomini possono immunizzarsi contro la paura della morte e della dannazione eterna. E questa immunità è acquisita attraverso l’allenamento».

Il sottotitolo del suo libro è Sull’antropotecnica. Cos’è?

«La definisco come la somma degli esercizi e delle pratiche attraverso le quali gli esseri umani elaborano il loro potenziale. Allo stesso tempo è la somma delle tecniche che gli individui utilizzano per mettersi in forma. Quindi un ambito della conditio humana che bisogna finalmente integrare nell’antropologia generale».

E quali sono le conseguenze politiche?

«L’antropotecnica nasce nella sfera politica durante la rivoluzione russa. I rivoluzionari sono stati i primi a fare apertamente la propaganda del miglioramento dell’uomo. In origine il termine compare nell’enciclopedia sovietica del 1926. Nasce dall’ideologia di Trotsky, che voleva creare una nuova umanità con un livello medio più elevato. Ovvero un mondo di geni, in cui al confronto Goethe o Michelangelo apparissero addirittura mediocri. Si può dire che è la ricezione dell’idea nietzscheana del superuomo asservita all’ideologia rivoluzionaria. In rapporto a ciò, oggi l’ideologia cattolica predica la modestia: l’uomo è così com’è. Anzi, meglio che vi rimanga più a lungo possibile. È un atletismo piatto, uno sport di massa senza vere ambizioni. Si è perduta la grande tensione dell’età classica. La generazione contemporanea ha dimenticato il concetto di antigravitazione e di tensione verticale. E se vi è un elemento pedagogico nel mio libro, consiste nella volontà di ricordare questa dimensione».

Quindi il filosofo oggi è una specie di allenatore che deve contribuire a indicare gli esercizi per esser migliori. C’è una certa assonanza con l’idea di Alexandre Kojève, che diceva di non esser più interessato ai filosofi ma soltanto ai saggi...

«In un certo senso ha ragione. La filosofia in quanto tale ha già giocato la sua ultima carta. E non ci si può più attendere molto da lei. Ma bisogna dire che il saggio kojèviano è legato al compimento del sapere, alla chiusura del grande ciclo della riflessione umana. Dopo il desiderio, dopo la storia, dopo la lotta, il saggio partecipa al Sapere Assoluto o lo realizza lui stesso. Un’idea molto stimolante e seducente, ma riservata a chi oggi può permettersi di vivere di rendite, senza la costrizione del lavoro. Ma tutti noi che invece continuiamo a lavorare siamo fuori portata dalla tentazione kojèviana. Per noi la storia continua, il lavoro continua...».

Quindi oggi a che serve la filosofia?

«Ci sono due risposte contrastanti. Fino alla fine della Seconda guerra mondiale, e negli anni che seguirono, la risposta era: la filosofia serve a interpretare e preparare il miglioramento del mondo. Così però la filosofia è una sorta di serva della sociologia, come nel Medioevo si diceva lo fosse della teologia. C’è poi una seconda risposta, accennata nel secolo scorso e che va ripresa: prima di migliorare il mondo esterno, l’individuo deve migliorare sé stesso».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/12/2011 12.53
Titolo:Il Battistero, il «bel San Giovanni», come lo chiamò Dante ....
Quella bellezza multistrato nel palinsesto del Battistero

Un capolavoro dove si intrecciano varie epoche

di Francesca Bonazzoli (Corriere della Sera, 19.12.2011)

È vero che la cupola di santa Maria del Fiore, superbo orgoglio del Brunelleschi, è il segno di Firenze che tutti riconoscono ma il luogo più simbolico, persino mitico, fulcro religioso e culturale della città, è il Battistero, il «bel San Giovanni», come lo chiamò Dante.

Fu consacrato nel 1059 ma le sue origini sono misteriose, la sua fondazione avvolta nel fumo delle leggende: nel Medio Evo lo si pensava un tempio di Marte consacrato a san Giovanni Battista solo dopo l'editto di Milano, nel 313.

Nel Settecento la datazione fu alzata all'epoca gota o longobarda; oggi viene ritenuto un edificio romanico costruito in un intervallo di tempo incerto fra il IV-V secolo e il VII, sulle rovine di una grande domus romana. I resti di quell'antico passato sono ancora visibili, per esempio, girando attorno all'edificio a sinistra, dove alla base si scopre una battaglia navale che altro non è se non il frammento inglobato di un sarcofago.

Se poi fate qualche altro passo e alzate gli occhi sugli spigoli dell'abside, vedrete due grandi teste di leone con le fauci aperte pronte ad azzannare i peccatori. Legata alle stranezze del Battistero è anche, davanti alla porta Nord, la colonna di San Zanobi. Sormontata da una croce, fu eretta per ricordare il miracolo avvenuto durante il passaggio delle reliquie del santo, quando un olmo secco, colpito accidentalmente dal sarcofago, rinverdì miracolosamente in pieno inverno.

Altri due segni curiosi si vedono nelle colonne della porta Sud: due rettangoli che corrispondono alle misure di lunghezze usate nell'Alto Medio Evo, il piede longobardo e quello fiorentino.

Il rivestimento esterno, in marmo bianco e verde, è datato tra l'XI e il XIII secolo ma è strutturato in due ordini, secondo il paradigma classico, così come classica è la pianta ottagonale, il cui modello è la perfezione del Pantheon.

All'interno, nella cupola, suddivisa in gironi e spicchi, la decorazione a mosaico del XIII secolo ambisce agli esempi illustri delle grandi basiliche di Roma e Costantinopoli. Precedenti fiorentini non ce n'erano e così le maestranze furono chiamate da Venezia ma lavorarono su disegni di artisti locali come Coppo di Marcovaldo cui viene attribuito il Giudizio Universale con l'inferno dominato da un enorme mostro che divora i peccatori (timore collettivo del Medio Evo) e che verrà ripreso da Giotto a Padova.

Le forzature espressive dei dannati, rispetto alla più composta tradizione bizantina, hanno dunque origini toscane, mentre il grande Cristo Pantocrator, assiso con serena maestà in una mandorla circolare sul trono del mondo, rimane più fedele al modello bizantino.

Ma non è ancora tutto. Dopo aver dunque gettato le basi della fondazione del romanico fiorentino e iniziato il passaggio «dal greco al latino», il Battistero è stato anche l'arena dove si è giocata la partita del trapasso dal Gotico al Rinascimento.

Questa volta la data è precisa: 1401, l'anno in cui va in scena il celebre duello fra Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi. In palio c'è la commissione per una porta del Battistero ma di fatto si battezza qui la svolta più epocale della storia dell'arte: la nascita, a Firenze, del Rinascimento come il nuovo stile della finanza borghese in antitesi al gusto aristocratico delle corti.

Al concorso bandito per l'assegnazione dell'incarico parteciparono anche due scultori poco più che ventenni: Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi. Questi presentò la proposta più rivoluzionaria, ma Ghiberti vinse e conservò la «signoria» sul Battistero fino al 1425 ricevendo anche la commissione della terza porta (chiamata da Michelangelo «del Paradiso»). Intanto, però, in città aveva preso piede una fronda di artisti che aveva trovato spazio d'espressione in un'altra porta, quella della Mandorla, sul fianco nord del Duomo, dove viene adottato un linguaggio più energico e meno raffinato di quello del Ghiberti: fra loro c'era anche Donatello.

Ne nacque una guerra culturale fra due fazioni tanto che, ancora verso il 1450, Ghiberti volle rendere pubbliche le sue memorie per giustificare la propria arte affermando con orgoglio di essere stato l'artefice di tutte le più importanti opere fiorentine. Il clan umanista, all'opposto, sosteneva il nome di Brunelleschi anche attraverso novelle (quella per esempio del Grasso legnaiolo) e con una biografia (attribuita ad Antonio Manetti) che incoronava l'architetto come l'iniziatore di una nuova età.

Tutto era partito dal Battistero: come un palinsesto, diventando via via sempre più bello, raccoglieva le stratificazioni della storia artistica e religiosa dando spazio anche alla tomba dell'antipapa Giovanni XXIII.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2012 13.16
Titolo:Il paradiso di Dante in realtà è ispirato al battistero di Firenze
LA SCOPERTA

Il paradiso di Dante in realtà è ispirato
al battistero di Firenze

Negli ultimi canti del Purgatorio, sul monte del paradiso terrestre, Dante Alighieri nella sua «Divina Commedia» descrive una complessa scena allegorica. Ci sono più personaggi (tra i quali lo stesso Dante, Virgilio e Beatrice) che si muovono quando a est, quando a ovest, al di qua e al di là delle sponde del fiume Lete, il grande purificatore.

È il cammino intrapreso per arrivare al paradiso, non casuale e frutto della fantasia del sommo poeta, ma scandito da un rituale preciso che Dante aveva visto più di una volta nel battistero e nella cattedrale di Firenze.

Lo ha scoperto Marco Santagata, ordinario di Storia della letteratura italiana all'Università di Pisa e tra i massimi studiosi dell'Alighieri, oltre che vincitore nel 2003 del Premio Campiello (allora era stato premiato per «Il maestro dei santi pallidi»).

Ora, nel suo ultimo libro («L'Io e il mondo, un'interpretazione di Dante», pubblicato dal Mulino) Santagata espone la sua tesi anche grazie a schemi grafici. «Nel paradiso terrestre Dante procede come facevano i catecumeni nel battistero di San Giovanni - spiega il professore - seguendo i movimenti liturgici di chi, battezzato, cerca la grazia».

Marco Gasperetti

* CORRIERE DELLA SERA, 6 febbraio 2012

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