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www.ildialogo.org LA DISTORSIONE DELLA RELIGIONE (E DELLA FEDE) E L'IMPORTANZA DELLA LEZIONE DI SIGMUND FREUD. Un'intervista a Macha Chmakoff, psicanalista e pittrice, a cura di Paula Boyer (“La Croix”),a cura di Federico La Sala

PER LA CRITICA DELLA RAGIONE dell'economia politica e della teologia "mammonica" ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).
LA DISTORSIONE DELLA RELIGIONE (E DELLA FEDE) E L'IMPORTANZA DELLA LEZIONE DI SIGMUND FREUD. Un'intervista a Macha Chmakoff, psicanalista e pittrice, a cura di Paula Boyer (“La Croix”)

(...) I problemi sorgono quando la religione non serve più solo ad evitare l’angoscia, ma ad evitare l’origine stessa dell’angoscia. L’origine dell’angoscia sta, da un lato nella nostra vita pulsionale inconscia e, dall’altro, al centro della nostra identità umana: la mancanza fondamentale che nasce in noi dal confronto tra i nostri limiti e il nostro desiderio di infinito, di assoluto.


a cura di Federico La Sala

Troppo spesso la fede viene usata in modo distorto per evitare di guardare nel profondo di se stessi

intervista a Macha Chmakoff, psicanalista e pittrice, a cura di Paula Boyer

  in “La Croix” del 25 giugno 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)

Nel libro che ha appena pubblicato, “Le Divan et le Divin” (1), frutto della sua esperienza clinica, la psicanalista analizza come accada che i valori fondamentali e le pratiche della fede vengano “sviati”.

Il suo libro è un’analisi della cause della crisi nata dallo scandalo della pedofilia?

Questo libro è stato scritto prima, ma può senz’altro costituire una griglia di lettura della crisi attuale della Chiesa. La fede, infatti, può essere utilizzata all’opposto di quello che dovrebbe essere: un fermento di umanizzazione. Essa induce certi credenti ad evitare se stessi. Lasciano nell’ombra interi tratti della loro vita psichica fino al momento in cui sono sopraffatti da certi sintomi (angosce, depressioni, malattie psicosomatiche ricorrenti) o disordini nella loro vita affettiva o sessuale.

La pedofilia è emblematica di questo fenomeno. Scrivendo, lei pensava a delle istituzioni particolari?

No, ognuno di noi è toccato da un certo “sviamento” della religione. Tutti preferiamo inconsciamente ignorare ciò che dovremmo conoscere di noi stessi e che favorirebbe la nostra capacità di evolvere. La religione è spesso vissuta come un insieme di precetti e di pratiche che dà l’illusione di poter essere conformi all’ideale istantaneamente. Allora viene utilizzata per rafforzare l’immagine che noi inconsciamente abbiamo di noi stessi e che diamo agli altri. Questo fenomeno insidioso riguarda tutte le sensibilità cristiane. Si può semplicemente dire che più l’impegno è radicale, più i rischi sono forti.

Da dove deriva questa propensione a “stravolgere” la religione?

A partire dai lavori di Freud e dei suoi successori è diventato chiaro che la religione risponde naturalmente ad un buon numero di angosce inconsce. Offre un’immagine paterna insieme protettiva e in grado di dare un significato al senso di colpa. Propone dei riti suscettibili, come ogni rito, di proteggere il soggetto dal pericolo rappresentato dalle pulsioni. Dà un’identità forte grazie all’appartenenza ad un gruppo. Questo non ha niente di scioccante in sé: il credente è un essere umano e, per far fronte all’angoscia, tutti gli esseri umani ricorrono a questo tipo di funzionamento che si declina in modi più o meno simili negli ambienti laici. I problemi sorgono quando la religione non serve più solo ad evitare l’angoscia, ma ad evitare l’origine stessa dell’angoscia. L’origine dell’angoscia sta, da un lato nella nostra vita pulsionale inconscia e, dall’altro, al centro della nostra identità umana: la mancanza fondamentale che nasce in noi dal confronto tra i nostri limiti e il nostro desiderio di infinito, di assoluto.

Un giovane che entra molto presto in una comunità può evitare di prendere in considerazione la sua difficoltà a diventare autonomo. Una giovane donna che si sposa molto precocemente e che ha molti figli può evitare di affrontare il problema della propria identità reale. Il seminarista che ha delle difficoltà sessuali o semplicemente fa fatica a porsi in rapporto con le donne accantona tutti questi problemi. Il responsabile di comunità molto generoso può mettersi a distanza da una sofferenza psichica nata da conflitti intrapsichici profondi, donandosi agli altri.

Nel discorso della Chiesa, che cosa favorisce queste piccole “devianze”?

Innanzitutto, la presentazione dell’ideale cristiano come qualcosa che deve essere attuato ipso facto. Di fronte a questa esigenza, il credente aderisce spesso solo con la parte consapevole di se stesso. In una pastorale troppo zelante, l’ideale di carità rafforza l’allontanamento delle pulsioni, soprattutto delle pulsioni violente ed incita il credente a “fare come se” lui fosse dolce e amorevole, indipendentemente dal suo grado di progressione nell’unificazione interiore che passa dal riconoscimento e dall’accettazione della propria pulsione di violenza. L’ideale della castità, nello specifico, incita ad accantonare le difficoltà sessuali o a guardare ad esse come a delle “sbandate”, insomma semplici goffaggini o errori nel cammino arduo della virtù. Appaiono come delle debolezze e non come segni di una disfunzione profonda. Il soggetto viene così espropriato di una parte del proprio funzionamento psichico. Un altro fattore è la dinamica del gruppo (comunità o parrocchia) che incita il soggetto a mostrarsi conforme alle attese che gli sono implicitamente rivolte. Il credente è portato a “presentarsi” come un buon prete, come un laico impegnato esemplare, ecc. Infine, l’attivismo legato all’evangelizzazione e alle attività caritative rafforza ulteriormente la mancata presa in considerazione dei limiti fisici e psicologici.

Come premunirsi?

Non ci sono ricette miracolose. Tuttavia, una pastorale che dia ampio spazio all’ascolto e che miri alla trasformazione personale dei credenti più che alla loro efficienza apostolica o alla loro esemplarità sarebbe senza dubbio meno esposta a questi rischi. Ugualmente, imparare ad ascoltare se stessi, e riservare un tempo sufficientemente esteso all’ascolto puro e semplice, alla contemplazione, rivestono un’importanza capitale. Anche il ricorso alla terapia psicanalitica dovrebbe senza dubbio essere più frequente, a condizione che il terapeuta non sia considerato - come troppo spesso avviene - come un meccanico che sostituisce il pezzo difettoso e in tempo record fa funzionare di nuovo la macchina.

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Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:

IL PROBLEMA MOSE’ E LA BANALITA’ DEL MALE: FREUD NELLA SCIA DI KANT (MA NON DEL TUTTO).

LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE.

 



Venerdì 25 Giugno,2010 Ore: 11:23
 
 
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