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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org LA LEZIONE DI SARAMAGO. "COME scrittore, credo di non essermi mai separato dalla mia coscienza di cittadino". Un suo inedito con interventi e interviste di Oreste Pivetta, Vincenzo Consolo, e Roberto Saviano,a cura di Federico La Sala

LETTERATURA, FILOSOFIA, E IMPEGNO CIVILE. Saramago: "Di fronte alle mistificazioni del nostro tempo retrocederei la bontà (quanti fanno del male, assumendo le sembianze dei buoni) e farei avanzare la giustizia,introdurrei la parola libertà e cancellerei carità" (10.10.2009).
LA LEZIONE DI SARAMAGO. "COME scrittore, credo di non essermi mai separato dalla mia coscienza di cittadino". Un suo inedito con interventi e interviste di Oreste Pivetta, Vincenzo Consolo, e Roberto Saviano

Attenzione, però: che non si confonda quello che rivendico con una qualsiasi espressione moralizzante, con una letteratura che viene a dire alle persone come dovrebbero comportarsi. Sto parlando d’altro, della necessità di contenuti etici senza nessuna traccia di demagogia. E, condizione fondamentale, che non ci si separi mai dall’esigenza di un punto di vista critico.


a cura di Federico La Sala

 

 

 

 

 "Io autore impegnato 
  perché mi sento un cittadino"

Un inedito del Nobel scomparso a 87 anni. "Non ho usato una sola frase in contrasto con le mie convinzioni politiche ma non ho mai posto la letteratura al servizio della mia ideologia"

di JOSE’ SARAMAGO *

COME scrittore, credo di non essermi mai separato dalla mia coscienza di cittadino. Ritengo che dove va uno, dovrà andare l’altro. Non ricordo di aver scritto una sola parola che fosse in contraddizione con le mie convinzioni politiche. Ma questo non significa che abbia mai posto la letteratura al servizio diretto della mia ideologia. Voglio dire, piuttosto, che nella scrittura cerco, in ogni parola, di esprimere la totalità dell’uomo che sono.

Ripeto: non separo la condizione di scrittore da quella di cittadino, ma non confondo la condizione di scrittore con quella di militante politico. È ovvio che le persone mi conoscano più come scrittore, ma c’è anche chi, indipendentemente dal minore o maggiore valore che attribuisce alle opere che scrivo, pensa che quello che dico come cittadino comune gli interessi e importi. Nonostante sia lo scrittore, e solo lui, colui che porta sulle spalle la responsabilità di essere questa voce. Lo scrittore, se è uomo del suo tempo, se non è rimasto ancorato al passato, deve conoscere i problemi del tempo che gli è capitato di vivere. E quali sono i problemi oggi? Che non siamo in un mondo accettabile, esattamente il contrario, viviamo in un mondo che va di male in peggio e che a livello umano non serve.

Attenzione, però: che non si confonda quello che rivendico con una qualsiasi espressione moralizzante, con una letteratura che viene a dire alle persone come dovrebbero comportarsi. Sto parlando d’altro, della necessità di contenuti etici senza nessuna traccia di demagogia. E, condizione fondamentale, che non ci si separi mai dall’esigenza di un punto di vista critico.

  © José Saramago & Editorial Caminho, S. A., Lisboa - 2010-05-21 by arrangement 
  with literarische Agentur Mertin Inh. Nicole Witt e K., Frankfurt am Main, Germany . 
  Per gentile concessione di Giangiacomo Feltrinelli Editore
.

* la Repubblica, 19 giugno 2010

_________________________________  

  Addio Saramago, il mondo è cieco senza il tuo sguardo 
  Fedele alle idee: È sempre rimasto duro, combattivo e comunista 
  Fedele alla politica: Aveva conosciuto, in casa, la dittatura di Salazar

 

  È morto a 87 anni il grande scrittore portoghese, autore di Memoriale del convento e Cecità 
  Di recente teneva un blog per ritrovare nell’immaginazione compagni d’avventure letterarie 
  Il manifesto Aveva un’antipatia mai dissimulata per Israele 
  La sua prosa Maestosa, avvolgente, sinuosa: ti prende per mano e ti accompagna

  Lo scrittore portoghese e Premio Nobel per la Letteratura è morto all’età di 87 anni a causa -di una leucemia cronica nella sua casa di Lanzarote, isola delle Canarie, dove risiedeva dal 1991.

 di Oreste Pivetta (l’Unità, 19.06.2010)

Saramago conobbe momenti di celebrità anche in Italia: quando apparvero i suoi romanzi più belli, come Cecità, quando nel 1998 vinse il Nobel, quando fece intendere che cosa pensava di Berlusconi. Scrivendo di Berlusconi divise il suo pubblico vecchio e possibile, s’attirò accuse pesanti, si guadagnò simpatie estreme. Ormai ottantasettenne. La sua polemica antiberlusconiana sta in un libretto, Il Quaderno, che venne pubblicato da Bollati Boringhieri, dopo che l’Einaudi mondadoriana l’aveva rifiutato. Censura, non si discute. Troppo esplicito il verdetto di condanna nei confronti del nostro presidente del consiglio e dell’italietta pecorona e volgare modellata a sua immagine. Non tutta l’Italia è così e Saramago lo sapeva, altrimenti non avrebbe accettato un viaggio nella piovosissima Torino, per presentare il suo «diario». Che stupiva già per una ragione intrinseca, per il modo con cui era nato, cioè dialogando in un blog: che un vecchio intellettuale famoso, in marcia verso i novant’anni, perdesse il suo tempo dietro un blog potrebbe apparire insolito...

Ho usato l’espressione «in marcia» non a caso, perché al nostro appuntamento me lo vidi, alla lettera, marciare incontro, ritto, elegante in completo grigio, camicia e cravatta (con la bella moglie, assai più giovane, al fianco). Era magro, il viso scavato, calvo, mai stanco di parlare, anche se gli altri tutto attorno trepidavano in ansia per la sua stanchezza. Mi spiegò che il blog era un’invenzione di un cognato. Lui si era prestato volentieri a quel dialogo quotidiano, che gli serviva per ritrovare nell’immaginazione vecchi compagni d’avventure letterarie, per connettere tanti episodi della sua esistenza, per introdurre temi di carattere universale, dalla fame nel mondo al potere delle banche, per polemizzare non risparmiandosi avversari. Perché se, dicendo dell’Italia, il suo bersaglio preferito era Berlusconi, ne aveva pesantemente anche per la nostra sinistra, sbeffeggiata per la sua indolenza in varie pagine, con un angolo riservato al nostro Veltroni, descritto, in modo crudo, fragile di carattere e assai incerto nell’ideologia. A proposito di Berlusconi ne scrisse di peggio. Citiamo: «Con la sua particolarissima opinione sulla ragione d’essere e il significato dell’istituzione democratica, Berlusconi ha trasformato in pochi anni l’Italia nell’ombra grottesca di un Paese e una grande parte degli italiani in una moltitudine di burattini...».

Francamente non mi sentirei di dissentire, ma ci sarà stato qualcuno che l’avrà tacciato di settarismo e l’avrà accusato di non conoscere la realtà del bel paese. Il dubbio venne anche a me e glielo esposi. Saramago teneva un’aria seria, non sorrideva. Accettava le mie domande senza un attimo di impazienza, rispondeva pacato e lento nella parola. Mi rispose che conosceva l’Italia grazie ai suoi viaggi, agli amici che gli riferivano, ai giornali. Ineccepibile.

Poi c’era il blog... Ci sarebbe altro da raccontare, ad esempio l’antipatia mai dissimulata per Israele, con qualche durezza di troppo, come nel manifesto che firmò in nobile compagnia, con John Berger, Noam Chomsky, Harold Pinter, Gore Vidal, l’ostilità nei confronti della chiesa portoghese e del «suo» Dio «vendicativo, rancoroso, cattivo, indegno di fiducia», lo spregio per i banchieri, considerati più o meno delle canaglie (s’era in piena crisi finanziaria). Insomma Saramago, dal ritiro di Lanzarote, alle Canarie, dove ieri è morto, non si risparmiava, duro, combattivo e comunista, come era rimasto, fedele a un’idea più che alla sua dispersione materiale nel corso della storia.

Aveva conosciuto, in casa, la dittatura di Salazar (al partito comunista portoghese, in clandestinità, s’era iscritto nel 1959), appena oltre confine poteva apprezzare quella di Franco. Dopo la libertà, che arrivò con la rivoluzione dei garofani, era rimasto un uomo all’antica, onesto, un combattente, diventando un «grande scrittore», come lo riteneva il più grande dei critici, Harold Bloom: un «titano» lo considerava. Certo rappresenta una delle voci più maestose del secolo che è da poco passato.

Maestosa è la sua prosa, avvolgente, sinuosa: ti prende per mano e ti conduce tra i misteri della vita e della storia, insegnando a guardare, moltiplicando gli sguardi lungo le traiettorie dell’insolito, come nel suo romanzo forse più bello, Cecità, dove la nebbia diventa la lente che costringe a seguire passaggi anomali e per questo meglio aperti sulla verità. C’è anche ironia nelle sue pagine e c’è soprattutto pena per una umanità fragile, destinata alla sconfitta.

José de Sousa Saramago era nato ad Azinhaga il 16 novembre 1922. Il padre era un agricoltore, che, una volta a Lisbona dal 1924, aveva trovato lavoro come poliziotto. Il fratello minore, Francisco, morì a due anni, pochi mesi dopo l’arrivo nella capitale. Non c’erano soldi in famiglia e così il giovane Saramago non frequentò l’università, ingegnandosiper mantenersi nei lavori più diversi, fabbro, disegnatore, correttore di bozze, traduttore, giornalista, fino a impiegarsi in campo editoriale, lavorando per dodici anni come direttore letterario e di produzione. Il suo primo romanzo, Terra del peccato, del 1947, non trovò gran fortuna. Sino alla Rivoluzione dei Garofani, nel ‘74, Saramago visse una stagione di formazione. Pubblicò poesie (Le poesie possibili, 1966), cronache (Di questo e d’altro mondo, 1971), testi teatrali, novelle.

Il secondo Saramago (vice direttore del quotidiano Diario de Noticias nel ‘75 e quindi scrittore a tempo pieno), crollata la dittatura, si presentò nel 1977 con il romanzo Manuale di pittura e calligrafia, seguito da Una terra chiamata Alentejo, incentrato sulla rivolta della popolazione della regione più ad Est del Portogallo. Ma è con Memoriale del convento (1982) che ottenne il successo. In sei anni pubblicò tre opere di grande impatto (oltre al Memoriale, L’anno della morte di Riccardo Reis e La zattera di pietra). Gli anni novanta lo consacrarono con L’assedio di Lisbona, Il Vangelo secondo Gesù e Cecità.

Nel 1998 il riconoscimento «ufficiale»: il Nobel. Non piacque al Vaticano il premio ad un uomo che non s’era mai risparmiato nelle critiche alla Chiesa, alla religione, ad un certo modo di usare persino Dio. Critiche che gli dettava la vicenda del suo paese e della Spagna accanto.


 

  Intervista a Vincenzo Consolo

 «Coraggioso e senza peli sulla lingua. Come lui ce ne sono davvero pochi» 
 

 Lo scrittore siciliano «Insieme visitammo la Striscia di Gaza, ma parlò apertamente di crimine contro l’umanità e i suoi libri furono ritirati»

  di Roberto Carnero ( l’Unità, 19.06.2010)

Con Saramago perdiamo un autore di alta letteratura e di profondo impegno civile». In questo binomio - qualità letteraria coniugata con un’attenzione sempre vigile alla realtà circostante - uno dei più importanti autori italiani, Vincenzo Consolo, individua la peculiarità del lavoro di José Saramago. E ricorda un rapporto di amicizia quasi trentennale con lo scrittore portoghese, che conobbe all’inizio degli anni ’80 in Sicilia, la terra d’origine di Consolo. In che occasione ha conosciuto Saramago?

«Fu a un convegno letterario organizzato a Catania, al quale ricordo che parteciò anche Leonardo Sciascia. In quell’occasione feci da cicerone a Saramago, che portai a visitare il Convento dei Benedettini, ricordato nei Viceré di Federico De Roberto, un romanzo che Saramago conosceva bene».

Avete avuto modo di incontrarvi altre volte?

«Sì, in diverse circostanze. Abbiamo mantenuto un rapporto costante negli anni. Ricordo, in particolare, un viaggio che compimmo nel 2002 con un gruppo di scrittori di diversi Paesi europei, organizzato dall’Unione Europea. Visitammo anche la Striscia di Gaza e nel constatare le terribili condizioni di vita della popolazione palestinese Saramago ebbe una reazione molto forte, pronunciando parole estremamente dure. Pronunciò, cioè, qualcosa di impronunciabile, parlando apertamente di crimine contro l’umanità. La reazione del governo israeliano fu molto determinata: i libri di Saramago vennero immediatamente ritirati dalle librerie».

Come ricorda il suo carattere?

«Questo era l’uomo: un uomo coraggioso, privo di autocensure, sempre disposto a dire apertamente ciò che pensava. Come prova l’episodio che ho appena rievocato. Non aveva cautele diplomatiche. Era schietto, diretto, a costo di essere fastidioso. Era una persona trasparente. Dotata di una grande capacità di empatia. Era innamoratissimo della sua seconda moglie, con la quale, quando era lontano da casa, passava delle intere mezz’ore al telefono».

Come mai era così importante per lui la dimensione dell’impegno civile?

«Lo si capisce facilmente se si guarda alla sua provenienza. Lui veniva dal giornalismo, da giovane, durante gli anni della dittatura di Salazar, aveva lavorato nel giornalismo d’opposizione. Pur essendo poi passato alla narrativa, non ha mai dimenticato di essere partito da lì. E ha mantenuto la forma mentis del bravo cronista, del giornalista d’inchiesta».

Quale dei suoi libri le è più caro?

«Sono molte le opere che l’hanno reso grande e che ho amato. Da Memoriale del convento a La zattera di pietra, fino a Storia dell’assedio di Lisbona. Un libro come Cecità è una grande metafora della nostra condizione attuale: una condizione di accecamento generale, specchio del mondo d’oggi».

In particolare in Italia, forse. Non è un caso che Einaudi, una casa editrice del gruppo Mondadori (la cui proprietà è riferibile alla famiglia Berlusconi), si sia rifiutata di pubblicare uno dei suoi ultimi libri, «Il quaderno» (poi edito da Bollati Boringhieri), perché conteneva critiche al nostro Presidente del Consiglio. Ha avuto modo di raccogliere le sue reazioni su questa vicenda?

«No, e devo dire che ho volutamente evitato di farlo. Perché mi è sembrata una storia davvero sgradevole, un caso di censura bella e buona, particolarmente grave visto che colpiva un autore della sua statura. E mi ha spinto a riflettere su come un’attività come la letteratura, per molti versi oggi considerata marginale, abbia evidentemente ancora la capacità di disturbare i poteri forti. Autori come Saramago e come Roberto Saviano danno fastidio ai potenti, politici o criminali che siano, perché dicono la verità, spiattellano con candore le tante piccole e grandi scomode verità che spesso facciamo prima a non vedere. O che il potere mediatico ci impedisce di vedere, rincitrullendo e rimbambendo la gente con ore e ore di programmi tv stupidi, superficiali e sostanzialmente vuoti. Ecco perché la perdita di uno scrittore come Saramago è gravissima: perché sono pochi quelli che come lui, in un panorama letterario per molti aspetti desolante, continuano a concepire il lavoro della scrittura in questi termini così ampi».

L’altro suo bersaglio polemico, soprattutto negli ultimi anni, era diventato la religione. Da dove derivava questa attenzione al fenomeno religioso?

«Anche questa critica alle religioni rivelate si inserisce nella più ampia critica al potere. Saramago attaccava le grandi fedi monoteiste, in particolare il cattolicesimo da cui proveniva per formazione e l’islam nelle sue derive fondamentaliste, a partire da una matrice laica e razionalista. Lo si vede bene anche nel suo ultimo libro, pubblicato poche settimane fa da Feltrinelli, Caino, che è una rilettura della Bibbia fatta in maniera del tutto anticonvenzionale».


 il mio maestro Josè

 
 Accettare il rischio della parola l’ultima lezione del mio maestro

di Roberto Saviano (la Repubblica, 19.06.2010)

Di tutte le cose che poteva fare Josè Saramago morire è quella più inaspettata. Se conoscevi Josè proprio non lo mettevi in conto. Sì, certo tutti muoiono, anche gli scrittori Ha sempre espresso solidarietà nei miei confronti e mi aveva invitato a trasferirmi da lui Non era affatto stanco della vita e mi aveva detto: "Potessi decidere, non me ne andrei mai" Ma lui non ti dava proprio alcuna impressione di essersi stancato di vivere, respirare, mangiare, amare. Si era consumato negli ultimi anni, tra la carne e le ossa sembrava esserci sempre meno spessore, la sua pelle sembrava un sottile mantello che ricopriva il teschio. Ma diceva: «Potessi decidere, io non me ne andrei mai».

Parlare della morte di qualcuno cui si è voluto bene, molto bene, rischia di essere solo un esercizio retorico, una proclamazione di memoria e virtù del defunto. L’unico modo che si ha per mantenersi sinceri, è quello di tentare di descrivere lo spazio di vita in più che ti ha dato chi ha finito di respirare. Questo vale la pena fare. Vedere quanto ti è stato sommato alla tua vita, ciò che ti è rimasto dentro, che riuscirai a passare a chi incontrerai, e questo sì, ha il sapore della vita eterna. In fondo molto non è andato via, se molto sei riuscito a trattenere.

Avevo conosciuto Saramago per la prima volta come tutti, leggendolo. Il Vangelo secondo Gesù era il suo libro che mi aveva cambiato, trasformando il modo di sentire le cose. Quel Gesù uomo, che sbaglia, ama, arranca, cerca di essere felice, mi era sembrato essere un personaggio del tutto nuovo nella storia della letteratura. Era una sintesi dei vangeli apocrifi, dei vangeli ufficiali, dei racconti pagani e delle leggende materialiste sul Cristo socialista. Era il Gesù dell’amore carnale verso Maria Maddalena. Su questo Saramago ha scritto parole incantevoli come solo il Cantico dei Cantici era riuscito a creare: «Guarderò la tua ombra se non vuoi che guardi te, gli disse, e lui rispose "Voglio essere ovunque sia la mia ombra, se là saranno i tuoi occhi"».

E’ un Gesù umano che non vuole morire: è il contrario della santità, è uomo con i suoi errori, peccati, talenti e con il suo coraggio. Sembra dire al lettore che basta esser fedeli a se stessi per conoscere la vita e non diventare dei servi, o degli schiavi. «Allora Gesù capì di essere stato portato all’inganno come si conduce l’agnello al sacrificio, che la sua vita era destinata a questa morte, fin dal principio e, ripensando al fiume di sangue e di sofferenza che sarebbe nato spargendosi per tutta la terra, esclamò rivolto al cielo dove Dio sorrideva, Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto». Proprio così: il Gesù di Saramago rivolgendosi all’uomo chiede di perdonare Dio, ribaltando la versione evangelica del "Padre perdona loro".

E poi ho letto Cecità, altro suo romanzo che ho amato molto e che spesso mi torna in mente. In una frase. Pronunciata da lui per rispondere a me che maledivo certe scelte che mi avevano rovinato la vita. «Arriva sempre un momento in cui non puoi fare altro che rischiare». E la parola di Saramago era sempre una parola rischiosa, non cercava mai di farsi comoda.

Sognavo di trasferirmi da lui, come mi aveva consigliato, esprimendomi solidarietà nei giorni più difficili. Non lo dimenticherò mai. E non dimenticherò mai l’imbarazzo estremo in cui mi trovai quando mi definì "maestro di vita". Io che da lui cercavo continuamente indicazioni, esperienza, per galleggiare in un oceano di difficoltà, bile, rabbia, ostilità. Lui era un maestro che insegnava per farsi a sua volta insegnare. A Stoccolma disse che nella sua vita le persone più sagge che avesse mai conosciuto erano i suoi nonni. Entrambi analfabeti. La loro saggezza era stata costretta a rinunciare per povertà al libro, alla musica, ai teatri, ai dipinti, ma che era riuscita a conoscere la vita, a sentirne con generosità quello che José chiamava sussurro. «Tutte le cose, le animate e le inanimate, stanno sussurrando misteriose rivelazioni».

Una volta scambiandoci alcune riflessioni sullo stile, citai Albert Camus convinto che «lo scrittore che decide di scrivere chiaro vuole lettori, lo scrittore che scrive oscuro vuole invece interpreti». E la risposta fu: «ecco cos’hanno di simpatico le parole semplici, non sanno ingannare». Trovare parole semplici è il mestiere più complicato che sceglie di fare uno scrittore. Avevi ragione, José: «il viaggio non finisce, solo i viaggiatori finiscono". E ora tocca a noi qui. Continueremo a camminare con le tue parole a indicarci la strada senza fine.

  ©2010 Roberto Saviano/ 
  Agenzia Santachiara

 



Sabato 19 Giugno,2010 Ore: 13:32
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/6/2010 17.27
Titolo:CONTRO SARAMAGO, L'OSSERVATORE ROMANO - OVVIAMENTE!!!
LA POLEMICA

il Vaticano contro Saramago

"Un ideologo anti-religioso"


Il giornale della Santa Sede critica in particolare il "Vangelo secondo Gesù", opera controversa, attraverso la quale il premio Nobel lanciò una "sfida alla memorie del cristianesimo" *

ROMA - Josè Saramago "è stato un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica, fino all'ultimo inchiodato in una sua pervicace fiducia nel materialismo storico, alias marxismo", si legge questo oggi sull'Osservatore Romano, in un articolo, "L'onnipotenza (presunta) del narratore" che ricorda come il poeta portoghese morto ieri a 87 anni 1, avesse scelto "lucidamente" di autocollocarsi "dalla parte della zizzania nell'evangelico campo di grano".

Lo scrittore "si dichiarava insonne al solo pensiero delle crociate, o dell'inquisizione, dimenticando il ricordo dei gulag, delle 'purghe', dei genocidi, dei samizdat culturali e religiosi". Il giornale della Santa Sede critica in particolare il "Vangelo secondo Gesù", un'opera controversa, attraverso la quale il premio nobel lanciò una "sfida alla memorie del cristianesimo di cui non si sa cosa salvare se, tra l'altro, Cristo è figlio di un Padre che imperturbato lo manda al sacrificio; che sembra intendersela con Satana più che con gli uomini; che sovrintende l'universo con potestà senza misericordia. E Cristo non sa nulla di Sè se non a un passo dalla croce; e Maria Gli è stata madre occasionale; e Lazzaro è lasciato nella tomba per non destinarlo a morte suppletiva".

"Irriverenza a parte, la sterilità logica, prima che teologica, di tali assunti narrativi, non produce - conclude l'articolo - la perseguita decostruzione ontologica, ma si ritorce in una faziosità dialettica di tale evidenza da vietargli ogni credibile scopo".

Le spoglie dello scrittore portoghese da Lanzarote, isola delle Canarie dove risiedeva dal 1991, sono state portate a Lisbona, dove si terranno le esequie. Lo ha reso noto la fondazione Saramago. Ad accompagnare il feretro a bordo di un c130 dell'aeronautica militare portoghese, c'erano la vedova e il figlio, oltre al ministro della Cultura, al suo biografo e a diversi parenti e amici. La cremazione si terrà domani intorno a mezzogiorno.

Poeta, romanziere e giornalista, Saramago è stato l'unico autore di lingua portoghese ad avere ricevuto il premio nobel per la letteratura. Il suo primo romanzo - che non ebbe successo - fu "Terra do pecado" del 1947; dopo 30 anni di silenzio uscì "Manuale di pittura e calligrafia", vero inizio di una carriera letteraria riconosciuta a livello internazionale con "L'anno della morte di Ricardo Reis" (1984) e culminata con il premio nobel vinto nel 1998. Ateo dichiarato, ebbe problemi con il governo portoghese che rifiutò di presentare il suo "Vangelo secondo Gesù Cristo" al premio letterario europeo, abbandonando per protesta il Paese e trasferendosi a Lanzarote.

* la Repubblica, 19 giugno 2010
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/6/2010 18.13
Titolo:CONTRO UN ATEO NON DEVOTO, LA STRONCATURA DELL'ORGANO DEL CATTOLICESIMO ATEO-DE...
È morto José Saramago

L’onnipotenza (presunta) del narratore

di Claudio Toscani

"Quello di cui la morte non potrà mai essere accusata è di aver dimenticato a tempo indeterminato nel mondo qualche vecchio, solo per invecchiare sempre di più, senza alcun merito o altro motivo visibile".

Sia pure scomparso alla rispettabile età di 87 anni, di José Saramago non si potrà dire che il destino l’abbia tenuto in vita a tutti i costi, vedi la frase succitata, tolta dal romanzo Tutti i nomi, uscito in quel 1998 che lo vide provocatorio Nobel della letteratura.

"Saramago", cognome aggiunto all’anagrafico José Sousa, era nato nel 1922 ad Azinhaga in Portogallo, da una famiglia di contadini e braccianti. Trasferitosi a Lisbona nel 1924, qui aveva compiuto i suoi studi fino al diploma di tecnico meccanico. Non particolarmente complessa né movimentata, la sua vita veniva registrando vari lavori, tra cui l’editoria; un matrimonio nel 1944; un primo romanzo nel 1947 (Terra di peccato, che disconoscerà in sede di bibliografia ufficiale); l’iscrizione al Partito comunista nel 1969 e una militanza politica clandestina sino al 1974, quando la cosiddetta "rivoluzione dei garofani" (contro la dittatura di Caetano), ristabilisce le libertà democratiche.

Cinquantacinque anni compiva Saramago al suo vero primo romanzo, Manuale di pittura e di calligrafia (1977), ma nel resto della sua vita recupererà il tempo andato imponendosi in decine e decine di opere che coerentemente convergono attorno a pochi cespiti conduttori: la Storia maiuscola in filigrana a quella del popolo; una struttura autoritaria totalmente sottomessa all’autore, più che alla voce narrante, non solo onnisciente ma anche onnipresente; una tecnica dialogica in tutto debitrice all’oralità; un intento inventivo che non si cura di celare con la fantasia l’impronta ideologica d’eterno marxista; un tono da inevitabile apocalisse il cui perturbante presagio intende celebrare il fallimento di un Creatore e della sua creazione. E, infine, una strategica modalità, tematica ed espressiva a un tempo, impegnata a rendere quel che lui stesso ha definito la "profondità della superficie": qualcosa che allude sia a quel poco che conosciamo del tanto che rivendichiamo alla ragione, ma anche quel tanto che strappiamo alla realtà di quel poco che la ragione ci permette.

Chiamando a raccolta non molti ma primari maestri (da Kafka a Borges, da Eça de Queiros a Pessoa, da Antonio Vieira a Machado), Saramago diede da subito l’elenco degli artefici della sua formazione, collocandoli senza soluzione di continuità lungo un’onda di piena al cui estuario poneva la novecentesca inquietudine della letteratura, della storia, dell’arte, della politica e della religione, oltre che di se stesso.

E per quel che riguardava la religione, uncinata com’è stata sempre la sua mente da una destabilizzante banalizzazione del sacro e da un materialismo libertario che quanto più avanzava negli anni tanto più si radicalizzava, Saramago non si fece mai mancare il sostegno di uno sconfortante semplicismo teologico: se Dio è all’origine di tutto, Lui è la causa di ogni effetto e l’effetto di ogni causa.

Un populista estremistico come lui, che si era fatto carico del perché del male nel mondo, avrebbe dovuto anzitutto investire del problema tutte le storte strutture umane, da storico-politiche a socio-economiche, invece di saltare al per altro aborrito piano metafisico e incolpare, fin troppo comodamente e a parte ogni altra considerazione, un Dio in cui non aveva mai creduto, per via della Sua onnipotenza, della Sua onniscienza, della Sua onniveggenza. Prerogative, per così dire, che ben avrebbero potuto nascondere un mistero, oltre che la divina infinità delle risposte per l’umana totalità delle domande. Ma non per lui.

Giunto tardi al romanzo, si era rifatto, come s’è detto, con una serie di narrazioni. Dal 1980 in poi, nella bibliografia dell’opera di Saramago, si transita da Memoriale del Convento a L’anno della morte di Ricardo Reis (1984), che torna alla storia del Portogallo nel 1936; da La zattera di pietra (1986), avventura ecologica e demoniaca che immagina la deriva della Spagna dell’oceano tra magico quotidiano, metafora politica e nuove soluzioni atlantiche, a Storia dell’assedio di Lisbona (1989), libro in cui un revisore editoriale, inserendo una particella negativa (un "non") in un saggio storico, dà a Saramago il destro per giocare a falsificare l’evento, più per gioco che per convinta ideologia.

È il 1991 quando, inaugurando ciò che la critica ha chiamato il suo secondo tempo, lo scrittore pubblica Vangelo secondo Gesù, sfida alla memorie del cristianesimo di cui non si sa cosa salvare se, tra l’altro, Cristo è figlio di un Padre che imperturbato lo manda al sacrificio; che sembra intendersela con Satana più che con gli uomini; che sovrintende l’universo con potestà senza misericordia. E Cristo non sa nulla di Sé se non a un passo dalla croce; e Maria Gli è stata madre occasionale; e Lazzaro è lasciato nella tomba per non destinarlo a morte suppletiva.

Irriverenza a parte, la sterilità logica, prima che teologica, di tali assunti narrativi, non produce la perseguita decostruzione ontologica, ma si ritorce in una faziosità dialettica di tale evidenza da vietargli ogni credibile scopo.

Il secondo tempo di Saramago si diversifica poi con Cecità (1995), affresco apocalittico che denuncia la notte dell’etica in cui siamo sprofondati. Poi in campo esistenziale, sia con Tutti i nomi (1997), altra apocalisse dal pessimismo assoluto sospesa su una indifferenziata comunità di morti e di vivi, sia con Il racconto dell’isola sconosciuta (1998), parabola sull’uguaglianza dell’uomo tra gli uomini. In campo intellettuale, prima con La caverna (2000), che tra Kafka, Huxley e Orwell, dispiega un allarme meno disperato del solito e addirittura aperto alla speranza; poi, con L’uomo duplicato (2003), dove colui che si scopre identico a una comparsa televisiva finisce per smarrirsi in un garbuglio fattuale, psichico e spirituale.

Avvicinandosi alla fine, Saramago ci ha lasciato un "testamentario" Saggio sulla lucidità (del 2004), critica al funzionamento, se non alla funzionalità, delle odierne democrazie, contro le quali l’autore auspica una schiacciante maggioranza di "schede bianche", la più invisa espressione di volontà politica per un potere che solo così dovrebbe deflagrare. Poi, un "giocoso" Don Giovanni o il dissoluto assolto (del 2005), ossia il ritratto di un onore sociale offeso, giacché al grande amatore non riesce, nel testo, ciò per cui è da sempre famoso.

Fertile, comunque, la discesa creativa degli anni appena precedenti la scomparsa: dall’itinerante carovana di Il viaggio dell’elefante (2009), pittoresco, umoristico e "peripatetico", all’inaccettabile Caino (2010), romanzo-saggio sull’ingiustizia di Dio, parodiante antilettura biblica, per non dire di altri titoli che andrebbero segnalati, a onor del vero, ma quasi sempre per polemica o pretesto.

Saramago è stato dunque un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica, fino all’ultimo inchiodato in una sua pervicace fiducia nel materialismo storico, alias marxismo. Lucidamente autocollocatosi dalla parte della zizzania nell’evangelico campo di grano, si dichiarava insonne al solo pensiero delle crociate, o dell’inquisizione, dimenticando il ricordo dei gulag, delle "purghe", dei genocidi, dei samizdat culturali e religiosi.

*

(©L’Osservatore Romano - 20 giugno 2010)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/7/2010 18.05
Titolo:Cecità: un’epidemia collettiva ...
Cecità: un’epidemia collettiva che porta verso la più sfacciata volgarità

di Norberto Lenzi *

Qualche settimana fa è morto Josè Saramago, uno dei più grandi scrittori di sempre. Dopo aver subito il prevedibile ostracismo dalle case editrici di Berlusconi, la sua memoria è stata brutalmente calpestata dall’Osservatore Romano con accenti di un’asprezza così rancorosa da apparire insolita perfino per un giornale che non ha mai risparmiato rampogne verso chi manifesta la sua laicità.

Uno dei suoi libri più belli e più originali si intitola Cecità. In una città qualunque, di un paese qualunque, un guidatore sta fermo al semaforo in attesa del verde quando si accorge di aver perso la vista. All’inizio pensa che si tratti di un fenomeno passeggero, poi passa attraverso un crogiuolo di emozioni che vanno dalla incredulità, alla speranza, alla disperazione.

È l’inizio di un’epidemia che colpisce progressivamente tutta la città e l’intero paese creando un’emergenza per cui i ciechi vengono rinchiusi in un ex manicomio e lì vivono nell’abbrutimento più totale, sorvegliati a vista da soldati armati che non esitano a sparare contro quelli che tentano di fuggire. Quella condizione scatena nei più gli istinti peggiori, l’individualismo più esasperato, la sopraffazione dei più deboli.

Si tratta di un’allegoria spietata su quanto può accadere quando il vivere sociale riceve una turbativa che allontana la comunità dalle regole e crea spinte selvagge alla realizzazione egocentrica degli interessi individuali, condotta fino alla soppressione fisica di chi potrebbe contenderli. Poi, inspiegabilmente come si era manifestata, l’epidemia si risolve, tutti riacquistano la vista e constatano quanta desolazione e quante macerie quello stato collettivo aveva provocato.

Nel nostro Paese, invece, la perdita della vista è stato un lento fenomeno progressivo, con obnubilamenti inizialmente lievi, a volte perfino soavi, come l’attesa di una riduzione delle tasse, fino a raggiungere incredibilmente la cecità totale proprio in concomitanza con la caduta di ogni speranza sulla realizzazione di tale appetitosa promessa.

Dante sistemava all’Inferno chi praticava “lunga promessa con l’attender corto”, ma Berlusconi ha scalato il Paradiso grazie alla procurata cecità collettiva sulla truffaldina condotta di un fedifrago costituzionale. Un’atrofia visiva che impedisce ancora oggi, nonostante la lunga teoria di escort, penose esibizioni fotografiche con ballerine di lap-dance, goffi e volgari corteggiamenti di sconcertate signore all’estero, di riconoscere che questo non può essere un Presidente del Consiglio di un paese civile ma, al massimo, la risposta italiana a Bokassa.

Nel libro di Saramago un’unica donna era riuscita miracolosamente a conservare la vista e non lo manifestava agli altri per pudore e per timore, pur guidandoli nell’assillo delle necessità quotidiane. Da noi fortunatamente sono ancora molti le donne e gli uomini che sono riusciti a conservare questo indispensabile senso. Alcuni anzi, come avviene in certe situazioni nel mondo animale che stimolano l’istinto di conservazione della specie, sono riusciti perfino ad acuirlo.

È a questi che dovremo affidarci nel presente e nel futuro perché tutti questi ciechi, come nella parabola di Bruegel, non finiscano nel precipizio. Dicono che noi pensionati abbiamo una fastidiosa propensione all’apologo. Spero invece che si tratti di una felice disposizione alla profezia. Ha detto Falcone che la mafia, come tutti i fenomeni umani, deve avere un inizio e una fine.

Così dovrà essere anche per Berlusconi.

* DOMANI ARCOIRIS, 08-07-2010

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